Come Fosse Cinema
di
Jan Zarik
genere
prime esperienze
Oggi intendo dedicare del tempo a me stesso. Metterò dei vestiti normali, tanto per cominciare, anziché le solite divise di reparto. Un jeans, una maglia a girocollo per non farsi fottere dal clima d’autunno. Giubbotto di pelle, perché altrimenti sarebbe esagerato.
Aperitivo con qualche amico? Stadio? Concerto? Onanismo pubblico?
No. Cinema. Quello che fino a una decina di anni fa si era abituati a frequentare con la propria comitiva di amici, con il partner o - perché no - anche da soli. Voi quando avete smesso di andare al cinema? Se avete risposto “dopo il COVID”, probabilmente la vostra risposta è sbagliata.
Io ho smesso di andare davvero al cinema molto prima del COVID, quando parlare di cinema è stato soppiantato da un simulacro formato reality intitolato “Come fosse Cinema”.
Infatti, con la modica cifra di 12 euro, adesso puoi fare esperienza dell’ennesimo remake di un film che a sua volta è stato rifacimento di un musical di 30 anni fa. Il mestiere degli sceneggiatori, un tempo il più bello del mondo, adesso è diventato un processo standardizzato a catena di montaggio, mirato solo alla massima resa con minimo sforzo.
Ci sta. È sempre stato così. Oppure no, non è sempre stato così, ma adesso mi sto distraendo e probabilmente vi sto anche annoiando. Oggi me lo prendo libero perfino dalle polemiche. Oggi niente distrazioni. Niente post d’odio contro il governo, niente marce pro-Pal e niente meme su Salvini.
Oggi ricorre l’anniversario in cui anni fa comprai casa. Possiamo inventarci diversi traguardi, questo è sicuramente un traguardo inventato ma meritevole, quindi va festeggiato. Quale migliore modo per festeggiarlo se non uscire una volta tanto da quelle fottute mura in cui sembra di stare imprigionati?
Andare al cinema da soli è strano. Ho sempre adorato farlo, ma qualcuno mi ha fatto notare che ultimamente mi sto isolando da tutto e da tutti e che dovrei dunque preferire attività pro-sociali. Mi sa che hanno ragione, perché l’ultima volta che una persona sconosciuta mi ha fermato per strada per chiedermi l’ora stavo a balbettare facendomi venire un attacco di panico per spiegare senza senso che non porto più orologi da quando tengo lo smartphone sempre in mano. Per cui, diamo una chance alle serate imprevedibili! Recentemente, dei colleghi mi hanno parlato di questa nuova app di incontri chiamata “Philia”, in cui tu segnali la tua presenza al cinema e l’algoritmo ti induce a matchare con le persone che hanno deciso di vedere un film allo stesso orario tuo. Tuttavia, non sono ammessi scambi di foto, ci si può incontrare solo in corrispondenza dell’orario di inizio del film. (Lo scopo dovrebbe essere la “cinefilia”, da cui l’indizio per il nome. Chissà se gli sviluppatori si saranno accorti dell’ambiguità…).
Giunti all’orario di inizio, nessuna notifica. Forse l’app è difettosa o semplicemente nessun altro/a sta usando l’applicazione. Nel frattempo, vi dico che mi sono scelto un biopic su Springsteen, sperando che mostrino il culo di Jeremy Allen White foderato dai blue jeans mentre si fa scoppiare le vene del collo cantando Born in the U.S.A., per poter ammirare il rendering di un concerto live epico o le rappresentazioni dello studio di registrazione della CBS. Invece, scopro che il film parla di depressione. D’altronde, il titolo non lasciava spazio a molte interpretazioni: “Liberami dal nulla”. Il problema è che ormai esiste un biopic su qualsiasi cosa: esiste persino il biopic sul tizio che ha inventato i biopic. In ogni caso, la recitazione di White è convincente. Il film non è una paccottiglia di frasi fatte e la scenografia è molto suggestiva.
Ho sgranocchiato dei nachos con salsa piccante durante tutta la seconda parte del film, dando probabilmente fastidio al signore di mezza età seduto accanto a me. A un certo punto, a film quasi ultimato, il cellulare vibra in modo inconsueto, pare si tratti di un match in zona cesarini.
Teresa, 38 anni. Fila E, posto 5.
Mi guardo intorno, individuo la fila e mi rendo conto che una donna dai capelli ramati, a poca distanza da me, occupa effettivamente quel posto. La osservo concentrata mentre segue le ultime scene del film. D’un tratto, ella devia lo sguardo, incrociando il mio. Mi rigiro, per strano e cauto timore, cercando di risincronizzarmi con lo schermo, in attesa dei titoli di coda.
A fine proiezione, le luci si accendono e tutti ci alziamo dalle rispettive poltrone. Attendo che lei scenda dalle scale per raggiungere insieme l’uscita.
«Ciao! Teresa, giusto?»
«In realtà mi chiamo Gabriella. Però si, sono io. Tu sei Jimmy?»
«Si, sono io! Piacere.»
«Ti chiami davvero così?»
«Ehm, si!»
«Capisco! Beh, allora? Piaciuto il film?»
«Mmh, si! Dai, accettabile.»
«Cosa non ti ha convinto?»
«Credo di non essere un vero appassionato di Springsteen. Cioè, conoscevo alcune canzoni ma sentivo di non essere davvero immerso nel suo universo. Forse, tutto questo ha inciso negativamente sul senso di straniamento.»
«Beh, questo posso capirlo. Ma gli attori? Le scene? Il montaggio»
«Tutto in ordine, come doveva essere.»
«Tutto come deve essere… wow.»
Noto una vena sarcastica nel tono della sua voce. Mi sa che ho beccato la nazi della cinematografia, una versione per dilettanti di Gianni Canova, una seguace di Laura Mulvey ma più estremista.
«Non ho la pretesa di parlare da esperto. Te che ne pensi, piuttosto?»
«Penso che se dovessi trovarmi davanti qualcosa in cui “tutto è come deve essere” mi annoierei moltissimo.»
«Ah, si? Preferisci le sbavature, le bizzarrie?»
«Mi piace l’errore, in generale. Se qualcosa può essere fatta in modo diverso, allora mi esalto al pensiero di come possa essere.»
«Quindi, fammi capire, tu snobbi i capolavori?»
«Dipende di cosa stiamo parlando. Dipende soprattutto da chi li giudica capolavori.»
«Interstellar, ad esempio?»
«Finale forzato e discutibile, reiterazione del complesso machista e della donna che idealizza la figura paterna e se la trascina per il resto della sua vita, fino alla morte. Tuttavia, musiche da paura. Nulla da eccepire.»
Rimango interdetto e incuriosito allo stesso tempo.
«Ok, allora per te cosa è un capolavoro?»
«Un esempio a caso? Vertigo, di Hitchcook.»
«Ah, beh. Giochi le carte più forti. Vertigo è indiscutibilmente un capolavoro!»
«Vedi, io penso che a rendere Vertigo un capolavoro per me è il più banale degli errori: Ferguson non avrebbe mai dovuto accettare l’incarico di sorvegliare Judy; Avrebbe dovuto invece consigliare al marito di affidarsi a qualche medico o psicologo; passare semplicemente la palla. Hai la carriera rovinata e sei pure fobico delle altezze: perciò evita quel tipo di casini, dai! Invece, spinto da una strana pretesa di dare voce alla “trama”, Ferguson accoglie il suo incarico con estrema devozione e senza sapere nulla di traumi, psicosi e regolazione emotiva, dando vita all’intreccio stupendo che poi porterà alla torre a spirale. Quello, per me, è l’aspetto più prezioso di tutti: l’elemento che stona col razionale, che travolge, che mi appassiona.»
La sua risposta mi spiazza e mi fulmina come una quercia in mezzo alla tempesta. I suoi capelli ramati si fanno improvvisamente carichi di un colore lucente. I lineamenti del suo viso appaiono decisi, taglienti e Il suo sorriso sardonico lascia trasparire molteplici significati.
«Ti piace il vino?» le chiedo a colpo freddo, mentre contemplo la sua reazione incuriosita. Lei annuisce di buon grado.
Ci ritroviamo dunque a bere in una enoteca poco distante. Lei ordina bollicine mentre io vado su un fermo blend di sangiovese con vitigni autoctoni sardi, consigliatomi dall’oste. Dice di essere una archivista alla biblioteca comunale. Le racconto molto brevemente il mio mestiere di tecnico radiologo.
«Anche tu, dunque, sviluppi pellicole, fai montaggi di film, giochi con le luci e i contrasti.» Dice lei, divertita. Trovo estremamente attraente la curva che le sue labbra assumono durante il suo sorriso.
«Beh, il mio lavoro è un po’ meno artistico di così, purtroppo! Però, potremmo dire che sono un regista mancato! Tu, piuttosto, quante sceneggiature hai letto nel posto dove lavori?»
«Molte, devo dire. Tuttavia, le sceneggiature sono davvero brutte da leggere. Se sei un attore vanno bene, se sei un lettore, mmh. Non ci siamo: ti impongono una visione cristallizzata che spesso non corrisponde alle sfumature emotive che si potrebbero sprigionare immaginando certe scene!» La sua risposta, come al solito, risulta molto puntuale e non scontata. Nel frattempo, sorseggia un po’ di vino, bagnandosi appena le labbra. Sento il peso del suo sguardo su di me.
«Secondo te, in questo nostro incontrarci e bere insieme del vino, dove sta l’errore?» Chiedo io, fomentato da una fervida curiosità.
«Intendi, se tutto questo non sia una cazzata?»
«Beh, poco fa tu hai detto di amare gli errori. Tutto ciò che devia dal razionale, etc etc…»
«Eh, sì. L’errore è quasi sicuramente il motivo per cui ora siamo qui seduti a questo tavolo, mentre fino a pochi minuti fa neanche ci conoscevamo.»
«Agli errori, allora!» alzo il calice per incontrare il suo calice. Brindiamo e ci scrutiamo a vicenda. L’attrazione sembra reciproca, non possiamo negarlo. Il potere disinibente dell’alcol contribuisce a questa percezione. Finora, ammetto che la sua compagnia mi è stata più che piacevole e mi sorprendo nel non essermi coperto di ridicolo fino ad adesso.
«E’ la prima volta che commetti questo genere di errori?» Chiedo io, mentre un rapido e fugace sguardo cade sul suo collo, alto e dinoccolato, alla cui base si possono scorgere gli accennati rilievi delle clavicole.
«Mmmh. No, in realtà. Ho conosciuto altri cinefili, prima di te, durante la visione di altri film.»
«Noiosi?»
«Chi? i film o i cinefili?»
«Entrambi!»
«Rispetto ad alcuni, giudico più interessanti le trame dei film che li hanno preceduti. Di altri incontri, il film non me lo ricordo neanche! Tu invece?»
«Tu sei la prima.»
«Spavaldo da parte tua, prevederne che ce ne siano altre dopo…»
«Avventato da parte tua, pensare che tu possa essere l’ultima!» replico io, con tono di sfida.
«Io conosco a memoria la sceneggiatura di questo nostro film! Se vuoi te la racconto…»
«Spoilerami, allora! Sono curioso di sapere la trama intera…» Divertito, gusto un altro po’ di vino.
«Sicuro? Non preferisci guardarlo e basta?»
«Mi piace giudicare un trailer prima di decidere se andare a vedere il film intero…» ribadisco io, intrigato dall’argomento.
«Molto bene…» Si schiarisce la gola, dopodiché, la sua voce si fa improvvisamente calda e accogliente, con una perfetta dizione da voce fuori campo.
«”[Campo medio - Interno, sera]: Due persone siedono a un tavolo, ordinano del vino e parlano amabilmente del film appena visto. Sembra che non si conoscano ma per qualche strano motivo sono molto in sintonia. Lei ha un tratto disinvolto e un abbigliamento curato, lui è vestito più casual, la barba incolta e gli occhiali da vista.”»
«Ehi! Io non porto gli occhiali!»
«Shh, sei nella mia sceneggiatura, adesso, ricordi? “L’uomo chiede alla donna se ha voglia di uscire e fare due passi. Lei acconsente;
[Campo lungo - Esterno, sera]: I due percorrono fianco a fianco un viale alberato. Lui guarda verso il marciapiede, parzialmente ricoperto dal fogliame. Lei osserva i palazzi intorno. A un certo punto, lei si ferma. Lui fa altrettanto. Si avvicinano e pronunciano alcune frasi di circostanza.
Donna: – Sono stata davvero bene, stasera. –
Uomo: - Anche io. –
Donna: - Qui è dove abito… sarei troppo spregiudicata se ti proponessi una cosa da bere su da me? –
Uomo: - Sarei io spregiudicato se accettassi… -
I due si ritrovano a baciarsi appassionatamente sul ciglio della strada. Con il movimento del braccio, la donna raggiunge la serratura di casa e gira la chiave, senza interrompere il bacio. I due personaggi si lasciano la porta alle spalle ed entrano in casa;
[Piano Sequenza, Interno, sera]: La casa della donna è piccola e accogliente. Alcune luci soffuse illuminano il salotto, composto da alcuni divanetti in velluto, un tavolo circolare e un mobiletto-credenza.
Uomo: – Gran bella casa! –
La donna approda in cucina con passo cadenzato.
Donna: – È in affitto, soluzione temporanea. Questa, tuttavia non è la stanza più interessante. –
Uomo: - Fammi vedere la stanza più interessante, allora. –
La donna ritorna dalla cucina con due bicchieri contenenti un liquido color oro. L’uomo odora il suo drink e capisce che si tratta di whiskey. Dopo il sorso, lui le stampa sulle labbra un bacio intenso, cingendola per i fianchi, muovendo una mano lungo il profilo delle natiche, giù fino alla coscia, stringendo e sollevando. La donna aderisce col suo intero corpo a quello dell’uomo, rispondendo con altrettanto ardore. I due personaggi quindi si spostano in camera da letto, proseguendo a strofinarsi e ondeggiando in sincronia. L’uomo spinge la donna verso il letto, le sfila i tacchi e procede a baciarle prima le punte dei piedi, poi risalendo lungo l’interno coscia. La donna, sempre più coinvolta, chiude gli occhi per godersi il momento.
[Stacco del piano sequenza. Ripresa dall’alto.]
I due si spogliano con crescente furore. La donna ansima sul collo dell’uomo, che nel frattempo le bacia la pelle nuda e la libera del reggiseno, lasciandola a petto nudo. Si intuisce un movimento di penetrazione, solo dallo spostamento dei corpi. La donna chiude gli occhi e apre la bocca in un verso osceno.
Donna: – Oh, si. Ti prego.-
Ansima e supplica. L’uomo, in silenzio, prosegue con un movimento meccanico e travolgente.
[Primissimo piano del volto di lui]
[primissimo piano del volto di lei, in rapida alternanza]
Donna: - Vengo! –
Uomo: - Anche io… -
[Ripresa di uccelli che volano via da un albero - Fermo immagine di un brick di latte che inizia a vibrare e poi scoppia – Bollitore del tè che inizia a emettere vapore e fischiare. Riprese della cascata del Niagara.]
[Ripresa dall’alto della donna, seni scoperti, volto rilassato, che guarda verso il soffitto. L’uomo le sta accanto e la riempie di baci sui seni e sul collo. L’immagine si allontana e la luminosità va schiarendo fino a che tutto non scompare…]»
La osservo mentre finisce di sorseggiare il suo vino, rimanendo a bocca aperta per quello che ho appena ascoltato.
«Beh, perché quella faccia da fesso? Non è forse così che andrà?» chiede lei, con tono sarcastico e sfottente.
«E’ questo il finale che immagini, dunque?» chiedo io, cercando di rimanere sul pezzo.
«Solo se sei d’accordo, altrimenti possiamo cambiarlo! Oppure, lo cestiniamo direttamente e passiamo ad altro.»
«Possiamo sostituire il whiskey con il cognac?» chiedo io.
«Solo se mi prometti che non lo bevi davvero. Odio l’alito che sa di liquore.» risponde lei.
«Posso suggerire inoltre di eliminare la parola “Fine”, dai titoli di coda? MI ha sempre messo parecchio tristezza.» chiedo io.
Lei mi carezza il volto e sorride. «Se non lo dici, la gente potrà pensare che siano previsti dei sequel…»
Io la guardo con presa di coscienza, cogliendo il sottile e implicito significato di queste sue ultime parole. Al che, vedendomi incupito, ella raddrizza il tiro e aggiunge «Oppure, potremmo scriverlo alla francese, come in Godard: “Fin.” Manca una lettera, si spera che sia lieto, che non sia vacuo… è perfino più musicale; dici che così andrebbe bene?»
«Molto meglio, sono d’accordo.»
[cigno2017@gmail.com]
Aperitivo con qualche amico? Stadio? Concerto? Onanismo pubblico?
No. Cinema. Quello che fino a una decina di anni fa si era abituati a frequentare con la propria comitiva di amici, con il partner o - perché no - anche da soli. Voi quando avete smesso di andare al cinema? Se avete risposto “dopo il COVID”, probabilmente la vostra risposta è sbagliata.
Io ho smesso di andare davvero al cinema molto prima del COVID, quando parlare di cinema è stato soppiantato da un simulacro formato reality intitolato “Come fosse Cinema”.
Infatti, con la modica cifra di 12 euro, adesso puoi fare esperienza dell’ennesimo remake di un film che a sua volta è stato rifacimento di un musical di 30 anni fa. Il mestiere degli sceneggiatori, un tempo il più bello del mondo, adesso è diventato un processo standardizzato a catena di montaggio, mirato solo alla massima resa con minimo sforzo.
Ci sta. È sempre stato così. Oppure no, non è sempre stato così, ma adesso mi sto distraendo e probabilmente vi sto anche annoiando. Oggi me lo prendo libero perfino dalle polemiche. Oggi niente distrazioni. Niente post d’odio contro il governo, niente marce pro-Pal e niente meme su Salvini.
Oggi ricorre l’anniversario in cui anni fa comprai casa. Possiamo inventarci diversi traguardi, questo è sicuramente un traguardo inventato ma meritevole, quindi va festeggiato. Quale migliore modo per festeggiarlo se non uscire una volta tanto da quelle fottute mura in cui sembra di stare imprigionati?
Andare al cinema da soli è strano. Ho sempre adorato farlo, ma qualcuno mi ha fatto notare che ultimamente mi sto isolando da tutto e da tutti e che dovrei dunque preferire attività pro-sociali. Mi sa che hanno ragione, perché l’ultima volta che una persona sconosciuta mi ha fermato per strada per chiedermi l’ora stavo a balbettare facendomi venire un attacco di panico per spiegare senza senso che non porto più orologi da quando tengo lo smartphone sempre in mano. Per cui, diamo una chance alle serate imprevedibili! Recentemente, dei colleghi mi hanno parlato di questa nuova app di incontri chiamata “Philia”, in cui tu segnali la tua presenza al cinema e l’algoritmo ti induce a matchare con le persone che hanno deciso di vedere un film allo stesso orario tuo. Tuttavia, non sono ammessi scambi di foto, ci si può incontrare solo in corrispondenza dell’orario di inizio del film. (Lo scopo dovrebbe essere la “cinefilia”, da cui l’indizio per il nome. Chissà se gli sviluppatori si saranno accorti dell’ambiguità…).
Giunti all’orario di inizio, nessuna notifica. Forse l’app è difettosa o semplicemente nessun altro/a sta usando l’applicazione. Nel frattempo, vi dico che mi sono scelto un biopic su Springsteen, sperando che mostrino il culo di Jeremy Allen White foderato dai blue jeans mentre si fa scoppiare le vene del collo cantando Born in the U.S.A., per poter ammirare il rendering di un concerto live epico o le rappresentazioni dello studio di registrazione della CBS. Invece, scopro che il film parla di depressione. D’altronde, il titolo non lasciava spazio a molte interpretazioni: “Liberami dal nulla”. Il problema è che ormai esiste un biopic su qualsiasi cosa: esiste persino il biopic sul tizio che ha inventato i biopic. In ogni caso, la recitazione di White è convincente. Il film non è una paccottiglia di frasi fatte e la scenografia è molto suggestiva.
Ho sgranocchiato dei nachos con salsa piccante durante tutta la seconda parte del film, dando probabilmente fastidio al signore di mezza età seduto accanto a me. A un certo punto, a film quasi ultimato, il cellulare vibra in modo inconsueto, pare si tratti di un match in zona cesarini.
Teresa, 38 anni. Fila E, posto 5.
Mi guardo intorno, individuo la fila e mi rendo conto che una donna dai capelli ramati, a poca distanza da me, occupa effettivamente quel posto. La osservo concentrata mentre segue le ultime scene del film. D’un tratto, ella devia lo sguardo, incrociando il mio. Mi rigiro, per strano e cauto timore, cercando di risincronizzarmi con lo schermo, in attesa dei titoli di coda.
A fine proiezione, le luci si accendono e tutti ci alziamo dalle rispettive poltrone. Attendo che lei scenda dalle scale per raggiungere insieme l’uscita.
«Ciao! Teresa, giusto?»
«In realtà mi chiamo Gabriella. Però si, sono io. Tu sei Jimmy?»
«Si, sono io! Piacere.»
«Ti chiami davvero così?»
«Ehm, si!»
«Capisco! Beh, allora? Piaciuto il film?»
«Mmh, si! Dai, accettabile.»
«Cosa non ti ha convinto?»
«Credo di non essere un vero appassionato di Springsteen. Cioè, conoscevo alcune canzoni ma sentivo di non essere davvero immerso nel suo universo. Forse, tutto questo ha inciso negativamente sul senso di straniamento.»
«Beh, questo posso capirlo. Ma gli attori? Le scene? Il montaggio»
«Tutto in ordine, come doveva essere.»
«Tutto come deve essere… wow.»
Noto una vena sarcastica nel tono della sua voce. Mi sa che ho beccato la nazi della cinematografia, una versione per dilettanti di Gianni Canova, una seguace di Laura Mulvey ma più estremista.
«Non ho la pretesa di parlare da esperto. Te che ne pensi, piuttosto?»
«Penso che se dovessi trovarmi davanti qualcosa in cui “tutto è come deve essere” mi annoierei moltissimo.»
«Ah, si? Preferisci le sbavature, le bizzarrie?»
«Mi piace l’errore, in generale. Se qualcosa può essere fatta in modo diverso, allora mi esalto al pensiero di come possa essere.»
«Quindi, fammi capire, tu snobbi i capolavori?»
«Dipende di cosa stiamo parlando. Dipende soprattutto da chi li giudica capolavori.»
«Interstellar, ad esempio?»
«Finale forzato e discutibile, reiterazione del complesso machista e della donna che idealizza la figura paterna e se la trascina per il resto della sua vita, fino alla morte. Tuttavia, musiche da paura. Nulla da eccepire.»
Rimango interdetto e incuriosito allo stesso tempo.
«Ok, allora per te cosa è un capolavoro?»
«Un esempio a caso? Vertigo, di Hitchcook.»
«Ah, beh. Giochi le carte più forti. Vertigo è indiscutibilmente un capolavoro!»
«Vedi, io penso che a rendere Vertigo un capolavoro per me è il più banale degli errori: Ferguson non avrebbe mai dovuto accettare l’incarico di sorvegliare Judy; Avrebbe dovuto invece consigliare al marito di affidarsi a qualche medico o psicologo; passare semplicemente la palla. Hai la carriera rovinata e sei pure fobico delle altezze: perciò evita quel tipo di casini, dai! Invece, spinto da una strana pretesa di dare voce alla “trama”, Ferguson accoglie il suo incarico con estrema devozione e senza sapere nulla di traumi, psicosi e regolazione emotiva, dando vita all’intreccio stupendo che poi porterà alla torre a spirale. Quello, per me, è l’aspetto più prezioso di tutti: l’elemento che stona col razionale, che travolge, che mi appassiona.»
La sua risposta mi spiazza e mi fulmina come una quercia in mezzo alla tempesta. I suoi capelli ramati si fanno improvvisamente carichi di un colore lucente. I lineamenti del suo viso appaiono decisi, taglienti e Il suo sorriso sardonico lascia trasparire molteplici significati.
«Ti piace il vino?» le chiedo a colpo freddo, mentre contemplo la sua reazione incuriosita. Lei annuisce di buon grado.
Ci ritroviamo dunque a bere in una enoteca poco distante. Lei ordina bollicine mentre io vado su un fermo blend di sangiovese con vitigni autoctoni sardi, consigliatomi dall’oste. Dice di essere una archivista alla biblioteca comunale. Le racconto molto brevemente il mio mestiere di tecnico radiologo.
«Anche tu, dunque, sviluppi pellicole, fai montaggi di film, giochi con le luci e i contrasti.» Dice lei, divertita. Trovo estremamente attraente la curva che le sue labbra assumono durante il suo sorriso.
«Beh, il mio lavoro è un po’ meno artistico di così, purtroppo! Però, potremmo dire che sono un regista mancato! Tu, piuttosto, quante sceneggiature hai letto nel posto dove lavori?»
«Molte, devo dire. Tuttavia, le sceneggiature sono davvero brutte da leggere. Se sei un attore vanno bene, se sei un lettore, mmh. Non ci siamo: ti impongono una visione cristallizzata che spesso non corrisponde alle sfumature emotive che si potrebbero sprigionare immaginando certe scene!» La sua risposta, come al solito, risulta molto puntuale e non scontata. Nel frattempo, sorseggia un po’ di vino, bagnandosi appena le labbra. Sento il peso del suo sguardo su di me.
«Secondo te, in questo nostro incontrarci e bere insieme del vino, dove sta l’errore?» Chiedo io, fomentato da una fervida curiosità.
«Intendi, se tutto questo non sia una cazzata?»
«Beh, poco fa tu hai detto di amare gli errori. Tutto ciò che devia dal razionale, etc etc…»
«Eh, sì. L’errore è quasi sicuramente il motivo per cui ora siamo qui seduti a questo tavolo, mentre fino a pochi minuti fa neanche ci conoscevamo.»
«Agli errori, allora!» alzo il calice per incontrare il suo calice. Brindiamo e ci scrutiamo a vicenda. L’attrazione sembra reciproca, non possiamo negarlo. Il potere disinibente dell’alcol contribuisce a questa percezione. Finora, ammetto che la sua compagnia mi è stata più che piacevole e mi sorprendo nel non essermi coperto di ridicolo fino ad adesso.
«E’ la prima volta che commetti questo genere di errori?» Chiedo io, mentre un rapido e fugace sguardo cade sul suo collo, alto e dinoccolato, alla cui base si possono scorgere gli accennati rilievi delle clavicole.
«Mmmh. No, in realtà. Ho conosciuto altri cinefili, prima di te, durante la visione di altri film.»
«Noiosi?»
«Chi? i film o i cinefili?»
«Entrambi!»
«Rispetto ad alcuni, giudico più interessanti le trame dei film che li hanno preceduti. Di altri incontri, il film non me lo ricordo neanche! Tu invece?»
«Tu sei la prima.»
«Spavaldo da parte tua, prevederne che ce ne siano altre dopo…»
«Avventato da parte tua, pensare che tu possa essere l’ultima!» replico io, con tono di sfida.
«Io conosco a memoria la sceneggiatura di questo nostro film! Se vuoi te la racconto…»
«Spoilerami, allora! Sono curioso di sapere la trama intera…» Divertito, gusto un altro po’ di vino.
«Sicuro? Non preferisci guardarlo e basta?»
«Mi piace giudicare un trailer prima di decidere se andare a vedere il film intero…» ribadisco io, intrigato dall’argomento.
«Molto bene…» Si schiarisce la gola, dopodiché, la sua voce si fa improvvisamente calda e accogliente, con una perfetta dizione da voce fuori campo.
«”[Campo medio - Interno, sera]: Due persone siedono a un tavolo, ordinano del vino e parlano amabilmente del film appena visto. Sembra che non si conoscano ma per qualche strano motivo sono molto in sintonia. Lei ha un tratto disinvolto e un abbigliamento curato, lui è vestito più casual, la barba incolta e gli occhiali da vista.”»
«Ehi! Io non porto gli occhiali!»
«Shh, sei nella mia sceneggiatura, adesso, ricordi? “L’uomo chiede alla donna se ha voglia di uscire e fare due passi. Lei acconsente;
[Campo lungo - Esterno, sera]: I due percorrono fianco a fianco un viale alberato. Lui guarda verso il marciapiede, parzialmente ricoperto dal fogliame. Lei osserva i palazzi intorno. A un certo punto, lei si ferma. Lui fa altrettanto. Si avvicinano e pronunciano alcune frasi di circostanza.
Donna: – Sono stata davvero bene, stasera. –
Uomo: - Anche io. –
Donna: - Qui è dove abito… sarei troppo spregiudicata se ti proponessi una cosa da bere su da me? –
Uomo: - Sarei io spregiudicato se accettassi… -
I due si ritrovano a baciarsi appassionatamente sul ciglio della strada. Con il movimento del braccio, la donna raggiunge la serratura di casa e gira la chiave, senza interrompere il bacio. I due personaggi si lasciano la porta alle spalle ed entrano in casa;
[Piano Sequenza, Interno, sera]: La casa della donna è piccola e accogliente. Alcune luci soffuse illuminano il salotto, composto da alcuni divanetti in velluto, un tavolo circolare e un mobiletto-credenza.
Uomo: – Gran bella casa! –
La donna approda in cucina con passo cadenzato.
Donna: – È in affitto, soluzione temporanea. Questa, tuttavia non è la stanza più interessante. –
Uomo: - Fammi vedere la stanza più interessante, allora. –
La donna ritorna dalla cucina con due bicchieri contenenti un liquido color oro. L’uomo odora il suo drink e capisce che si tratta di whiskey. Dopo il sorso, lui le stampa sulle labbra un bacio intenso, cingendola per i fianchi, muovendo una mano lungo il profilo delle natiche, giù fino alla coscia, stringendo e sollevando. La donna aderisce col suo intero corpo a quello dell’uomo, rispondendo con altrettanto ardore. I due personaggi quindi si spostano in camera da letto, proseguendo a strofinarsi e ondeggiando in sincronia. L’uomo spinge la donna verso il letto, le sfila i tacchi e procede a baciarle prima le punte dei piedi, poi risalendo lungo l’interno coscia. La donna, sempre più coinvolta, chiude gli occhi per godersi il momento.
[Stacco del piano sequenza. Ripresa dall’alto.]
I due si spogliano con crescente furore. La donna ansima sul collo dell’uomo, che nel frattempo le bacia la pelle nuda e la libera del reggiseno, lasciandola a petto nudo. Si intuisce un movimento di penetrazione, solo dallo spostamento dei corpi. La donna chiude gli occhi e apre la bocca in un verso osceno.
Donna: – Oh, si. Ti prego.-
Ansima e supplica. L’uomo, in silenzio, prosegue con un movimento meccanico e travolgente.
[Primissimo piano del volto di lui]
[primissimo piano del volto di lei, in rapida alternanza]
Donna: - Vengo! –
Uomo: - Anche io… -
[Ripresa di uccelli che volano via da un albero - Fermo immagine di un brick di latte che inizia a vibrare e poi scoppia – Bollitore del tè che inizia a emettere vapore e fischiare. Riprese della cascata del Niagara.]
[Ripresa dall’alto della donna, seni scoperti, volto rilassato, che guarda verso il soffitto. L’uomo le sta accanto e la riempie di baci sui seni e sul collo. L’immagine si allontana e la luminosità va schiarendo fino a che tutto non scompare…]»
La osservo mentre finisce di sorseggiare il suo vino, rimanendo a bocca aperta per quello che ho appena ascoltato.
«Beh, perché quella faccia da fesso? Non è forse così che andrà?» chiede lei, con tono sarcastico e sfottente.
«E’ questo il finale che immagini, dunque?» chiedo io, cercando di rimanere sul pezzo.
«Solo se sei d’accordo, altrimenti possiamo cambiarlo! Oppure, lo cestiniamo direttamente e passiamo ad altro.»
«Possiamo sostituire il whiskey con il cognac?» chiedo io.
«Solo se mi prometti che non lo bevi davvero. Odio l’alito che sa di liquore.» risponde lei.
«Posso suggerire inoltre di eliminare la parola “Fine”, dai titoli di coda? MI ha sempre messo parecchio tristezza.» chiedo io.
Lei mi carezza il volto e sorride. «Se non lo dici, la gente potrà pensare che siano previsti dei sequel…»
Io la guardo con presa di coscienza, cogliendo il sottile e implicito significato di queste sue ultime parole. Al che, vedendomi incupito, ella raddrizza il tiro e aggiunge «Oppure, potremmo scriverlo alla francese, come in Godard: “Fin.” Manca una lettera, si spera che sia lieto, che non sia vacuo… è perfino più musicale; dici che così andrebbe bene?»
«Molto meglio, sono d’accordo.»
[cigno2017@gmail.com]
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