Colpo su colpo (Love in the shadow) Cap. 4

di
genere
pulp

REEL ONE, TRAVELLING LIGHT


Non c’è niente di meglio della voce schietta e amichevole di Red Simpson, quando sei nel bel mezzo del deserto, sotto il sole rovente. It’s a stretch of road, il Patrol scivolava sui dossi della Route 66 come una tavola da surf sulla cresta dell’onda. Avevo trovato la baracca di Marina deserta, nessuna traccia della T- Bird. Sul retro al suo posto c’era il Patrol con il suo nuovo assetto. Cofano rialzato da due distanziatori sulle cerniere, una minigonna gialla lunga fino al muso per alimentare l’intercooler. Lo scarico sul montante della cabina, fari di profondità e Bull Bar. Le balestre sui ponti con un doppio ammortizzatore anteriore.
Quando mi ero avvicinato, avevo notato subito il gatto grigio acciambellato vicino ad una delle ruote, proprio sotto il motore, si godeva l’ombra fissandomi con sospetto. Le chiavi erano nel quadro. Avevo infilato i guanti con il serpente bianco sul polsino e abbassato i finestrini. Prima di mettere in moto gli avevo detto: “Allora?”. Due secondi dopo era saltato su dal lato del passeggero e si era messo comodo sul sedile. Pelo raso e lucido, un collarino rosso con un campanello, sopra c’era scritto: Loosh Lush.

“Eh già, amico mio. Red Simpson è proprio quello che ci vuole. C’è questa strofa che non capisco però: When you’re loaded with potatoes, and you’re headed down…potatoes…”.
Si era grattato un orecchio.
“Che ci vuoi fare, mio caro. È il destino di noi cavalieri erranti. La solitudine è la nostra unica compagna”. Ho soffiato una boccata di sigaro alla menta sfrecciando di fianco ad una stazione di servizio Sexaco. La ragazza all’ingresso indossava un costume da coniglietta di Playboy, i seni scoperti, stivali di pelle neri con le zeppe. Si teneva un cartello sulla pancia con la scritta: “GAS&SUGAR”. Ho lanciato un’occhiata alla lancetta del carburante, segnava ancora il pieno. Poi ho pestato a tavoletta, una nuvola nera si è alzata sopra il tettuccio della cabina. Il motore V6 ha ruggito sull’asfalto incandescente. Frizione e acceleratore, prima di arrampicarmi su una salita ho scalato in terza e ho pestato di nuovo a tavoletta.
“Lo so cosa stai pensando, ma a volte è bello essere l’unico Jolly nel mazzo. E poi, come si dice? That’s the power of love. Neanche la morte è riuscita a separarli. Capisci cosa intendo? Non potevo certo tirarmi indietro. In fondo si tratta soltanto di un piccolo favore per sdebitarmi”.
Ho lanciato il sigaro dal finestrino, lui si era girato a pancia in su, tenendosi in equilibrio con una zampa. Mi fissava leccandosi i baffi, apparentemente non sembrava molto coinvolto dai miei discorsi.
“Ancora pochi chilometri su questa strada infernale. Esaudire il desiderio di un amante. È una cosa che non capita tutti i giorni, non sei d’accordo?”.
Aveva cominciato a mordicchiarsi la pancia, sembrava molto preso. Di tanto in tanto emetteva una specie di mugugno sommesso.
“Deve essere proprio una di quelle toste…”.

REEL TWO, INTO THE LUNGS OF HELL


L’acqua zampillava lentamente dal soffitto di pietra, goccia a goccia scandiva nell’oscurità il tempo infinito in cui ero stata intrappolata. Un cappio intorno al collo, la fune si perdeva nel buio per ridiscendere davanti a me, si insinuava in mezzo alle gambe. Riuscivo a mala pena a tenermi sollevata da terra quel tanto che mi bastava per non restare strangolata. Un altro nodo intorno alla vita, le mani appoggiate al pavimento freddo e umido. Ogni volta che provavo ad alzarmi in piedi la fune si tendeva rischiando di spezzarmi il collo, ero costretta in quella posizione senza la possibilità di liberarmi. Se avessi provato a lasciarmi andare sul pavimento, il nodo intorno alla vita si sarebbe stretto tanto da spezzarmi la schiena. Jo che tra viri equestri e patrizi soglio seder, mi vidi allor negligere. Non c’era stato nulla da fare con le leonesse di Lucy. Mi avevano condotta in quella prigione sotterranea, dove avrei trascorso l’eternità.
La donna veniva a trovarmi spesso. La sua pelle aveva uno strano colorito cadaverico, labbra rosse e carnose, capelli lunghi castani. Erano incredibilmente lucenti, riuscivo a vederne i riflessi rossastri anche nell’oscurità di quella tomba sepolta sotto la sabbia del deserto. Indossava sempre una lunga veste bianca e trasparente, un raggio di luce intensa guidava il suo cammino nel labirinto di pietra, svelando le pareti coperte di incomprensibili geroglifici. Con sé portava una lunga candela accesa. A volte si avvicinava per accarezzarmi i capelli. Le mani scendevano lentamente sul corpo nudo immobilizzato dalla tortura di Lucy. Lasciava cadere alcune gocce di cera sulla mia pelle, poi infilava dentro le dita. Io mi lasciavo andare, aspettavo che la fune cominciasse a scorrere sulla fica, la vedova nera tatuata sulla pancia bruciava come se fosse appena stata impressa con un marchio a fuoco.
Pensavo all’ultima volta in cui avevo incontrato C. A. il passaggio di una cometa stava facendo impazzire il segnale trasmesso dalle parabole. La recinzione metallica sembrava sul punto di svanire. La Media Elektron era ovunque, lui però non se ne preoccupava affatto. Mi aveva portato al Luna Park. La mente tornava a quei giorni come se fosse stata in grado di attraversare il tempo. Potevo volare mentre la realtà svaniva nel ricordo. Le luci sfocate del Luna Park, le persone accalcate, i suoni ovattati come in un sogno. Eravamo stati sulla ruota panoramica, mi aveva baciato dolcemente mentre saliva verso l’alto. Poi ci eravamo chiusi nel primo albergo per scopare. Non aveva mai fatto l’amore con me in un modo così romantico, sentivo il calore della pelle tra le lenzuola profumate. Dopo mi ero addormentata e avevo sognato l’isola tropicale, gli alberi nella foresta erano coperti da un rampicante azzurro, i suoi fiori sbocciavano ovunque. Quando mi ero svegliata lui era già in piedi, lo sentivo muoversi per la stanza. L’acqua del rubinetto scorreva nel lavandino del bagno. Aveva messo un vecchio pezzo di Phil Collins nello stereo, On the air Tonight. La luce del giorno si stava spegnendo, oltre i vetri della finestra, vedevo il sole scendere lungo i grattacieli lasciandosi alle spalle una lunga ombra proiettata sulla città. Avevo richiuso gli occhi. C. A. si era appena seduto sul bordo del letto per accarezzarmi il viso.
“Quanto durerà?”
“Un paio di settimane”
“Tu sai che cos’è?”
“La visita di un’amica, un’amica di Lucy”
“Effetti collaterali?”
“Distorsioni del tempo, visioni. Sogni”
“Poco fa…”
“Lo so”
“Cosa?”.
“Hai volato”.
Gli avevo messo una mano tra le gambe ed ero rimasta a guardare il riflesso blu delle luci in strada sullo smalto delle mie unghie.
“Tenerezza di donna, ardore d’amore”
“Sei un fissato”.


REEL THREE, JUNGLE BOOGIE


Prima che riprendessi i sensi il film del gabbiano è stato interrotto da un conto alla rovescia. Subito dopo è cominciato un vero incubo, il video di We are The World, la cosa peggiore è che C. A. cantava in mezzo alle star della musica. Sono passati in rassegna tutti i pezzi grossi del pop anni ’80, lui aveva il duetto insieme a Stevie Wonder, al posto di Bruce Springsteen. Sono rimasta sorpresa dalla sua voce profonda, in testa si era messo un cerchietto rosso con le corna da diavolo. Lo spartito in mano e il solito giubbotto di pelle. Quando però era lui a dover ripetere il ritornello: “Let’s start giving", diceva "Let’s start taking" al suo posto. Dopo mi sono svegliata, era lì di fronte a me a fissarmi. Mi stava accarezzando le sopracciglia dolcemente, come al solito. È stato in quel momento che ho capito di amarlo più di ogni altra cosa al mondo. Mi ha soltanto detto: “Riposati, devi essere esausta. Stavo per impazzire dal dolore quando ho creduto di averti persa”. Ho fatto come diceva lui e ho subito ripreso sonno. Un sonno profondo e accogliente. Nel cinema mi aspettava Lucy. Il film dei due musicisti era ricominciato.
“Che cosa c’è in questo film che ti commuove tanto?”
“I loro sentimenti, è la storia più romantica che abbia mai visto”
“Vorresti che la tua storia con lui fosse così?”
“Forse. Non riesco a capire quello che provo. Tutti i miei pensieri svaniscono quando siamo insieme. Riesco a pensarci solo quando siamo distanti”
Lucy continuava a parlarmi senza distogliere lo sguardo dallo schermo. La luce del cinema si rifletteva sul suo corpo nudo perfetto e sensuale. La tigre gigantesca seduta ai suoi piedi ha aperto gli occhi al suono della sua voce, poi li ha richiusi appoggiando la testa sulle zampe, non appena la sua mano è passata sul suo pelo lucente.
“Cosa ti impedisce di conquistarlo?”
“Non lo so. Paura forse”
“Hai paura che ti respinga?”
“Ho paura di perdermi, di svanire dentro di lui”
“Non credi che sia proprio questa paura di superare i confini della tua coscienza a definirla?”
“Cosa resterebbe di me se mi lasciassi andare?”
“Nulla. D’altra parte, l’unico modo per capire quale sia la natura delle cose è definirne i confini”
“Forse sono cambiata”.
Il film stava continuando, i due musicisti viaggiavano a bordo della loro auto malandata lungo la costa. Prima che riaprissi gli occhi si è di nuovo interrotto. C. A. camminava lungo il corridoio di uno zoo, aprendo le gabbie per liberare gli animali custoditi al suo interno.
Gli occhi di Lucy mi hanno fatta volare sulla savana, il battito della tigre stava esplodendo nel mio petto.

BONUS TRACK, LUCK OF THE DEVIL

Una statale interminabile attraverso un deserto sconfinato. Il mio amato Patrol, i miei sigari alla menta. E un gatto. Non poteva andarmi meglio. Qualcosa mi diceva che dietro a quel batuffolo morbido c’era lo zampino di Marina. La cosa strana era un'altra. Da quando avevo cominciato il viaggio per la consegna insieme al mio nuovo amico felino, la radio del Patrol aveva cominciato a trasmettere soltanto musica anni ’50. Avevo cercato più volte la mia stazione anni ’80, il display mi aveva seccamente risposto mostrandomi un’unica frequenza: MgZ 666, It’s Only Rock N Roll. Il clipper a gas ondeggiava nel portaoggetti, la rosa rossa al centro del ferro di cavallo sembrava volermi dare un suggerimento con la sua scritta Luck Of The Devil. Ho cercato di parlarne a Loosh Lush, ma lui mi ha risposto sbadigliando, poi si è infilato la testa sotto le zampe.
“Fortuna un cazzo. Amico mio non ti sembra un po’ strana questa storia del Rock N Roll?”.
Proprio in quel momento Little Richard ha cominciato a cantare Tutti i Frutti. Subito dopo il Patrol ha imboccato un tratto di Route 66 che non avevo mai percorso prima. Un lungo rettilineo arroventato dal sole al centro di una sconfinata pianura di sabbia. Siamo passati in mezzo ad una fila di ragazze nude con gli occhi bendati, ognuna di loro stringeva tra le mani un cartello con sopra scritto un nome di donna, due labbra rosso fuoco stampate in un angolo, come un bacio lasciato dal rossetto.
“Cazzo. Meglio di Dave Lee Roth in California Girls”. Al fondo della strada però abbiamo avuto una brutta sorpresa. La strada era sbarrata da Pasticcina Jenny. Aspettava immobile al centro della carreggiata con le mani sui fianchi. Completamente nuda.
“Lo sapevo che c’era la fregatura”.
Loosh Lush Si è alzato dal sedile e si è messo a fissarmi con le zampe infilate sotto la pancia.
“Lo so che capisci benissimo quello che dico, avanti spara”.
Lui ha guardato il finestrino, poi ha detto: “Miao”.
L’ho abbassato e mi sono sporto fuori appoggiando il gomito. Jenny è venuta verso di me camminando lentamente, ha infilato la testa nella cabina aggrappandosi con i gomiti allo sportello. Sulla faccia aveva un mezzo sorriso idiota, come se volesse provocarmi.
“Che accidenti ci fai nuda in mezzo alla Route 66?”.
Lei ha continuato a fare la spaccona.
“Davvero non lo sai? Non sai proprio niente”
“Allora dimmelo tu. Ti decidi o no”.
A quel punto il suo sorriso è sparito.
“Ma che cazzo non lo so. Pensavo lo sapessi tu”
“Cosa? Ma questo è fantastico!”
“Non ti arrabbiare!”.
L’ho spinta indietro per scendere, avevo tremendamente bisogno di fumare. Appena sono sceso le ragazze lungo la strada hanno detto; “Ohhh!” tutte insieme e si sono nascoste dietro il cartello.
“Che cazzo significa tutta questa messa in scena?”. Mi sono accesso un sigaro alla menta e ho soffiato il fumo verso l’alto. Il caldo del deserto era davvero soffocante.
“Non ti arrabbiare ti ho detto! Non lo so cosa ci faccio qui. Come se tu sapessi sempre tutto. E tu come ci sei finito sulla Route 66, lo sai?”
In quel momento Loosh Lush è saltato giù ed è andato a strusciarsi con la schiena sulle gambe di Jenny. Poi ha puntato dritto verso la sabbia e si è messo a scavare come un forsennato. Stava alzando un polverone.
“Questo è davvero fantastico!”
“Che c’è di strano, è normale con tutta questa sabbia”.
Lui però ha continuato a scavare fino a scomparire nella buca, la coda è sparita per ultima con uno sbuffo di polvere.
“Ecco questo è strano”.
Quando io e Jenny ci siamo avvicinati per guardare dentro il buco, è riemerso. La testa è venuta fuori all’improvviso dalla sabbia. Si è scrollato dopo essere saltato fuori e ha ricominciato a strusciarsi contro Jenny facendo le fusa. Lei mi ha guardato senza capirci niente.
“E’ davvero la cosa più strana che abbia mai visto. Che cavolo è questa roba?”.
Quando abbiamo sbirciato dentro la buca ci siamo accorti dell’acqua che stava lentamente salendo dal fondo.
“E’ un rabdomante”.
Lui ci ha squadrati soddisfatto, poi ha di nuovo aggiunto: “Miao”.

REEL FOUR, CAN YOU FEEL THE FORCE?

C. A. non faceva che grattarsi in continuazione. Ha cominciato con la testa, poi è passato ad una gamba. Alla fine, si è infilato una mano sotto il giubbotto di pelle e ha cominciato a grattarsi furiosamente la schiena. Quando ha smesso ha emesso un: “Ahhh!”, compiaciuto.
“Beh? Che hai da guardare? Hai dormito per tre giorni, pensavamo fossi in coma”
“Ho fatto uno strano sogno. Non è possibile che abbia dormito così a lungo”
“Invece si bella mia”
“E adesso? Non ci hanno trovato i soccorsi? Come cavolo facciamo ad uscire da questa situazione? Moriremo di fame”
“No questo non credo succederà”.
Il cuoco siciliano che avevamo visto insieme alle orche ha raggiunto una delle lamiere accartocciate, sommerse per metà dal mare. Sottobraccio teneva una cesta di vimini. Quando è arrivato al limite dei rottami piegati, DiDi ha improvvisamente messo la testa fuori dall’acqua, emergendo fino alle pinne per appoggiarsi sulla lamiera con il corpo. Pensavo lo avrebbe divorato, come se la ritrovata libertà l’avesse riportata al suo stato naturale di predatore. Invece ha rovesciato ai suoi piedi un mucchio di pesce appena pescato. Ne avremmo avuto abbastanza per un pezzo. Lui ha riempito la cesta, alcuni saltellavano ancora in un ultimo guizzo di vitalità. Dopo le ha accarezzato il muso lanciandogliene un paio. Lei ha fatto uno strano verso alzandosi sulla pinna posteriore, sembrava stesse ridendo.
C. A. aveva ricominciato a grattarsi.
“Forse di noia, cazzo questo prurito mi sta uccidendo”
“Quel tizio…hai visto?”.
Il cuoco si è rivolto a lui gesticolando con una mano.
“Vieni ad aiutarmi a pulirli, compare”
“Col cazzo. Di nuovo questa storia? Non sono tagliato per la cucina. Preferisco occuparmi del vino”.
Il tizio che avevo visto insieme alla ragazza vestita di giallo era rimasto in canottiera. Alle scemenze di C. A. ha reagito tirandosi in piedi per andare ad aiutare il cuoco al posto suo. Prima di allontanarsi ha detto soltanto: “Ciao!”.
C. A. ha infilato una mano in una specie di barile di metallo pieno d’acqua e ha tirato fuori una bottiglia.
“Dom Pérignon, le ho trovate in una delle cabine sommerse. Vuoi assaggiare?”
“E tutto quel pesce? Ci basterà per giorni”
“Non ci siamo solo noi, dentro ci sono un’altra trentina di superstiti. Gli altri sono rimasti sull’altro lato della nave, non riusciamo a raggiungerli, dovremmo saltare da una torre all’altra, non c’è modo di arrivarci sono troppo distanti. Qualcuno ha provato a nuoto, ma non è stato molto fortunato. Le orche comunque stanno aiutando anche loro”
“Quel tizio. Somiglia al tipo che c’era nel sogno che ho fatto. Soltanto era molto più giovane”
“Davvero? Forse è una coincidenza”
“Anche la ragazza, lei però era leggermente più matura di così. Non sono sicura si trattasse proprio di lei. Però diciamo che le somiglia come una goccia d’acqua, è solo più giovane. La tizia che ho sognato io era sulla trentina, quella potrebbe avere al massimo quindici anni”
“Sedici. Si chiama Banana. Andiamo, DiDi è piuttosto brava a pescare, e il tizio è piuttosto bravo a cucinare. Ci sono altri viveri, hai bisogno di rimetterti in forze, ma non sperare di trovare quelle tue cazzo di arance”
“Che fine ha fatto il nostro amico?”
“Qualunque fine abbia fatto, non è niente in confronto a quella che gli faccio fare appena lo ritrovo. Se la nave è affondata possiamo dire grazie a quello sgorbio. Banana è un’investigatrice. Ci stavano dietro dalla Colombia”
“E che cazzo vogliono da noi?”
“Media-elektron”
“Speravano che li portassimo da quelli?”
“Speravano di beccare quel rifiuto umano che ci siamo portati dietro nel baule”.
Mentre seguivo C. A. all’interno della nave è successa una cosa strana, ho avuto l’impressione di vedere una ragazza nuda in piedi su una delle torri. Uno stormo di gabbiani la circondava volando intorno a lei. Ha teso un braccio verso di me, indicandomi con l’indice. Poi i gabbiani hanno cominciato a scendere uno dopo l’altro per sfiorarla. L’ho fissata intensamente e ho avuto l’impressione di poterla vedere come se mi fossi trovata a pochi metri da lei. Un’onda gigantesca si è alzata alle sue spalle, prima che la travolgesse completamente ha sillabato una parola con le labbra: “Dis-tò-pia”. Subito dopo l’allucinazione è svanita.
“Allora? Che ti prende? Vieni o no?”
“Sì, quella botta in testa mi fa ancora male. Mi sento confusa”
“Forza. Ce la caveremo, vedrai”.
L’investigatrice Banana era di poche parole, si stava abbronzando in top-less su una delle vetrate delle cabine. La fiancata inclinata della nave aveva creato questa specie di immenso pavimento di vetro. Ad una delle sue estremità si apriva una grossa voragine, un salto nel vuoto di almeno venti metri in cui si insinuavano le onde del mare. Dall’altro lato c’era il secondo gruppo di superstiti. Almeno una trentina di persone radunate intorno a ripari di fortuna costruiti con i rottami, per proteggersi dal sole. Quando mi sono avvicinata si è girata a pancia sotto. Gli altri due dovevano essere all’interno di una delle cabine a pulire il pesce.
“Cazzo ti ho detto mille volte di non venire qui quando mi sto abbronzando, razza di pervertito”.
C. A. non ci ha fatto caso, si è avvicinato al suo lettino ridacchiando per mettersi seduto a gambe incrociate vicino a lei.
“Si è ripresa completamente. Ora possiamo cercare quel bastardo”
“Ancora non so se di voi ci si possa fidare. In fondo le granate con cui è stata fatta saltare la sala macchine erano vostre”
“Te l’ho detto mille volte, servivano solo come precauzione”
Stavo per dare manforte a C. A., ma lei mi ha fermata lanciandomi un flacone di olio abbronzante alla frutta. Per un riflesso incondizionato l’ho afferrato al volo. Poi ha indicato la schiena con il pollice e ha detto: “Senti, ti spiace?”.
Non ho avuto il tempo di pensare ho balbettato: “O..Ok..”. C. A. non credeva ai suoi occhi. Ha stretto le palpebre fino ad una sottile fessura, da un lato della bocca socchiusa pendeva un sigaro a metà. Ha disteso le gambe e si è appoggiato sui gomiti.
“Se sta per abbattersi un’altra tempesta su questa nave, spero solo che non arrivi adesso”.
Sono salita a cavalcioni sulla schiena di Banana, quando ho cominciato a versarle l’olio sulla pelle accaldata, C. A. ha aspirato una boccata interminabile dal sigaro, pensavo che sarebbe arrivato al filtro con un solo tiro. Dopo ha disteso una gamba e ha fatto scendere il tallone su una vecchia radio appoggiata vicino al lettino. Il riff di chitarra di Johnny B. Good ha spezzato il silenzio dell’Oceano. Ovviamente aveva la pelle morbida e vellutata, ero come in una specie di trance. Lei ha piegato la testa da un lato appoggiandola alle braccia incrociate. Non faceva minimamente caso alle chiacchere di C. A.
“Senti, mi ci vorrebbe proprio un massaggio. Ti spiace?”. Sulla faccia di C. A. l’allerta è passata improvvisamente da arancione a rosso, la sicura si è alzata sui missili intercontinentali. Due minuti a mezzanotte. Quando però sono scesa con le mani sui fianchi e le ho abbassato leggermente gli slip gialli del costume, per spremerle la pelle con i pollici lungo la spina dorsale, ha sputato il sigaro e ha detto “Cazzo. Come vorrei una Brewdog in questo momento”. Una gocciolina di sudore gli è scivolata lungo la gola.

HIDDEN SONG, COUNTRYMAN

“Long Tall Sally”.
“Il titolo della canzone. È a questo che stavi pensando vero?”. Ancora fingeva di non capire. Si è leccato i baffi, poi si è alzato in piedi sul sedile, è rimasto per un po’ a traballare per le vibrazioni del Patrol, ed è tornato nella stessa posizione, dopo aver cercato di acciambellarsi.
“Amico mio, ora che siamo di nuovo soli, puoi anche dirmelo. Quella cosa che hai fatto nella sabbia. Sei un rabdomante, ho indovinato? Voglio dire, sei in grado di scovare l’acqua anche in questo inferno rovente, giusto?”. Lui ha fatto finta di niente. Ha allungato il collo verso il portaoggetti e si è strusciato con il muso sul tappo di una Brewdog avanzata.
“Ho detto l’acqua”.

Continua...
scritto il
2024-03-07
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