Giorno 22 Lontano da casa

Scritto da , il 2016-10-12, genere sentimentali

Quando la macchina finalmente si è fermata, mi sono accorta di non aver aspettato altro nelle ultime due ore passate con lui. Ho desiderato la fine di tutto, anche quella di un folle amore, che già da mesi era diventato solo il mio. Il suo si era perso. C'era, forse, ma girava su se stesso senza mai venire verso di me. Un amore di parole sempre meno frequenti, di incontri sempre meno ravvicinati, di sesso sempre meno desiderato.
Non ho pianto nelle due ore in cui l'ho osservato, allontanandomi da lui inseguendo la mia logicità, abbandonando il suo irrazionale delirio di ansie e paure che mi avrebbe ingabbiato in un sordo dolore inconsolabile. È lui che ha abbandonato me, eppure io mi sento la parte forte, quella che ce la farà, che non starà ad aspettare le sue mosse, quella che sa ciò che vuole.
Non una lacrima, non un addio, non una frase di commiato.
"Non odiarmi".
"Spero di iniziare a farlo presto". Ma ormai non lo guardo più. Ormai si è staccato da me, io raccolgo le mie cose e senza voltarmi gli dico "ciao". Non so se mi stia guardando, se la sua macchina sia ripartita, non mi interessa più.

Ancora nessuna lacrima.
Una telefonata da parte sua, e la rabbia inizia a montare.
"Cosa vuoi?".
Vuole sapere dove sono. "Non lo so dove sono, ho bisogno di camminare”.
Mi dice che non mi sono persa nulla. "Lo so", rispondo. E la sua ultima telefonata termina così.
Mi ha lasciato in mezzo ad una strada in una città che non conosco, dove non mi trovo per lavoro o per causalità, né per altra necessità che non sia il mio sentimento per lui. Io non riesco a piangere. Prendo lo smartphone e mi metto ad ascoltare la musica più incazzata che conosco. Quasi corro. Devo arrivare a casa, devo fare in fretta, so che tra poco crollerò. Affretto il passo, ora la musica è diversa, ora è triste. Entro in un minimarket sotto casa gestito da un ragazzo pachistano. Prendo tre birre doppio malto, perché proprio non ho voglia di restar lucida, ed una bottiglia d'acqua dal frigo. Il ragazzo, prima di farmi il conto, mi dice che se prendo l'acqua a temperatura ambiente costa meno. Non so perché me lo dica, credo sia per effettiva gentilezza, ma a me basta che lui mi rivolga la parola per scoppiare in un pianto da bambina della scuola materna. Inizio a singhiozzare e nemmeno riesco a parlare, e la cosa è davvero grottesca perché più piango, più quel povero ragazzo si preoccupa, e meno io riesco a rispondere alla sua domanda circa il motivo della mia tangibile disperazione. Così ci rinuncio, cambio la bottiglia d'acqua e mentre pago cerco tutte le forze che mi sono rimaste per regalargli un sorriso tra le lacrime che ancora scendono sul mio viso.

Entro nell'appartamento, il b&b dove alloggio, e mi accorgo di non essermi ancora calmata. Apro una birra, inizio a bere ma non so cosa fare, così chiamo Davide. Lo faccio senza riflettere e mentre il telefono squilla respiro profondamente e cerco di tranquillizzarmi. La cosa funziona solo sino al momento in cui lui mi dice "Ciao bellissima!". A quel punto un nuovo pianto esplode senza preavviso e a Davide non rimane altro che aspettare, dicendomi carinerie molto dolci come a volte sa fare. Alla fine il dolore si disperde nel calore di un suo abbraccio fatto di parole, attraverso il telefono, e si spezza in un sorriso.
Ci conosciamo da circa due anni ma è come se ci conoscessimo da sempre. Abbiamo lo stesso sguardo io e lui. Forse anche lo stesso destino. E così mi ritrovo a parlare di amore a Davide. Un amore di cui non fa parte, in cui l'ho tagliato fuori. Eppure lui non commenta, ed io mi sento perfettamente a mio agio a dire ciò che sto raccontando all'uomo che ha fatto impazzire la mia vita due inverni fa.
Fatico a ragionare, ma quello che sento è un senso di calore che si impossessa di me, e mi permette di crogiolarmi un po' tra la malinconia dei nostri discorsi. E così passa un'ora senza che nessuno dei due se ne accorga. È la prima volta che Davide non parla di sesso. Capisce che sono troppo vulnerabile in questo momento, ma nonostante il nostro commiato sia dolcissimo, per un secondo mi chiedo se lui sia eccitato.
Seguono sms d'amore, non quello tra uomo e donna, ma quello tra due stranieri in terra nemica, tra due pazzi al manicomio, tra due anime dannate che si cercano quando sono lontane.

Sono alla fine della seconda bottiglia di birra. Nonostante il sole stia calando io non voglio piangere adesso. Rivivo quelle maledette ultime due ore dell'amore in cui ho creduto di più al mondo, ed ora non riesco a ritrovarlo più. Non in un ricordo, non in uno sguardo, non in un gesto. Di quell'amore sembra se ne sia cancellata ogni traccia. Rimane un vuoto a testimoniarne la passata presenza, ma senza che se ne rammenti l'iridescente splendore.

Sto aspettando la telefonata delle mie amiche per accordarci sulla serata, ormai sanno tutto, le ho avvertite con un sms. Una lacrima, poi due, ed io decido che non ce ne sarà una terza. Mi metto ad ascoltare musica e mi infilo sotto la doccia. Ogni mio gesto è pesante, lento, ed io sento il suono della porta della macchina che si richiude alle mie spalle. Lo sento dentro, si rinnova continuamente, alimentato dalla mia incredula tristezza di cui non riesco a liberarmi.
Non sfuggo con la mente al mio destino, perché l’anima rimarrebbe esattamente dove si trova ora, e mi ricorderebbe in ogni istante ciò che la mia mente cerca di dimenticare.
Non so come faccia il mio cuore a non andare in mille pezzi, dovrei prendermene cura, invece pur di farlo ridere come solo un bambino saprebbe fare, a volte vago troppo alla ricerca dell'oggetto dei suoi desideri, e lo lascio solo a soffrire, soltanto perché io possa vedere gli angoli della sua bocca iniziare a sollevarsi, soltanto perché io possa egoisticamente goderne, lo abbandono nella sua malinconia.

Sotto la doccia immagino che le mie lacrime silenziose attraversino il mio corpo insieme alle gocce d'acqua. Abbasso le mani e le porto entrambe al mio sesso. Le tengo unite tra di loro stringendole tra le cosce con le dita distese. Sembrano giunte in preghiera, e la mia lo è. Chiudo gli occhi e sotto il calore del getto d'acqua, avvolta in un vapore biancastro alla fioca luce che filtra dal corridoio, il mio corpo sta pregando affinché io avverta il suo bisogno, mentre il mio bacino comincia ad ondeggiare sui miei polsi ed io sento scorrere il sangue al ritmo delle pulsazioni del clitoride. Il mio respiro, il mio battito, ne seguono l’incedere. La gabbia toracica si allarga, la pelle ne disegna i contorni ed io avrei voglia di leccarla, seguendo con la lingua il suo movimento, scivolando da una costola all'altra. Immagino che qualcuno lo faccia per me e lavi via tutto il buio che sta inghiottendo il mio amore. In realtà non c’è nessuna presenza salvifica a sollevarmi ora: sono sola.
Le mani si lasciano, una entra nella mia carne, l'altra nella mia bocca. Succhio le dita e lascio che mi accarezzino le labbra. Stringo il seno sino ad avvertire dolore e muovo le dita nella figa.
Per un attimo penso ad Eva, ai suoi occhi delusi quando le racconterò che è tutto finito, e in quello stesso attimo vorrei fosse qui nella doccia con me, vorrei fossimo strette nello stesso abbraccio, nel bacio che ci scambieremmo per consolarci entrambe da qualche dolore.
Quel breve pensiero in un istante mi bagna le dita, e mentre le tolgo dal mio sesso per portarle nuovamente alla bocca, ricami di piacere si allungano a disegnarmi le cosce.
La mente si fa cullare da quella sensazione di godevole calore che inebria la carne e sfuma i pensieri. Inconsciamente rifuggo dal mio cuore malato e ancora una volta lo lascio solo, perché io voglio Eva.
Ora lei è con me, ci stiamo baciando e i nostri seni si stanno stringendo tra i nostri corpi. Le mie dita entrano in lei e la mia bocca si nutre delle sue intimità. Sento l'acqua scorrere sulla mia pelle e far scivolare via il sapone. Apro gli occhi ed Eva in un istante scompare. Mi rimane per contro l'immagine del suo sesso nella mente, lasciandomi addosso quel travolgente desiderio di godere con lei.
Sono eccitata quando esco dalla doccia, non riesco a smettere di desiderarla, vorrei giocare con lei e mi viene in mente di stuzzicarla mandandole un video. Gocce d'acqua sfuggono dai capelli bagnati, mi sono solo sommariamente asciugata, lascio cadere l'asciugamano in terra e vado in sala a cercare il mio telefonino. Un sorriso illumina il mio volto trovando le parole di Davide "ti abbraccio forte".

Appoggio lo smarthpone per terra, mi metto in ginocchio e allargo le gambe, immagino che i miei occhi siano quelli di Eva, e che quello che sto guardando io nello schermo sotto di me, sia esattamente ciò che sta guardando lei.
Vedo il mio clitoride gonfio uscire dalle labbra inumidite, con le mani le allargo e sottili fili di piacere si spezzano al passaggio delle dita bagnate. Le unghie con lo smalto rosso, lucide, mi fanno venire voglia di succhiarle. Tengo una mano appoggiata al pavimento, l'altra non riesco ad allontanarla dal mio sesso. Quello che vedo mi eccita tantissimo, mi picchia in testa. Non affondo le dita nella mia carne, continuo a muoverle sul clitoride che aumenta le sue dimensioni e mi si offre per donarmi piacere. Esce liquido dalla mia vagina, trasparente e scivoloso, si mescola ai movimenti della mia mano, che diventano sempre più veloci, mentre rilasciano un suono bagnato ed un odore inebriante. Le dita disegnano cerchi sempre più piccoli ed io ansimo a bocca aperta godendo della vista delle mie intimità. Quando sento arrivare l'orgasmo il liquido tra le dita si fa schiumoso e biancastro, al sopraggiungere delle travolgenti contrazioni di piacere, gocce dense e scure escono dalla mia figa e ricadono lungo le cosce.
Fermo il video, mi siedo per terra e ancora tremante lo condivido con Eva via WhatsApp. Mi sdraio sul pavimento, aspetto che il mio corpo si calmi e poi inizio a prepararmi per uscire.
Stasera mi portano a mangiare la pizza. Scelgo il vestito nero, una giacchetta bianca con i bordi neri, sandali bianchi e neri di pelle, tacco dodici, che si chiudono con un nastro di raso alla caviglia. Una collana di sasso bianca e nera legata da una corda marrone scuro, orecchini neri e anello bianco. Mi trucco, mi stiro i capelli e mi vesto. Quando arrivo ad infilarmi le scarpe la mia anima si riscalda. I tacchi hanno un potere ammaliante su di me, sono la mia arma di seduzione, che colpisce prima di tutti me stessa. Mi fanno sentire bene, mi danno potere, uscire senza sarebbe come muovermi nuda tra la gente. Indossando le mie scarpe smetto di essere vulnerabile, e stasera sento di averne un estremo bisogno.
Spengo le luci e mi lascio la porta alle spalle. Mi sforzo di non controllare le notifiche sul telefono, perchè l’unico messaggio che leggerei, è quello mancante di lui.
Per raggiungere la via principale devo percorrere un piccolo vicolo in discesa. La strada è costituita da un ciottolato che mi rende difficile mantenere l’equilibrio sui tacchi a spillo. Non mi interessa, prendo un bel respiro e inizio a camminare con leggerezza, sfiorando con le dita il muro delle case alla mia destra. Questo mio incedere fluido, anche se a tratti dal ritmo incostante, mi dà una dignità che non credevo di possedere. Sola in una città che non conosco, dove ora dovrei essere con lui, io cammino in silenzio, sentendo la forza del mio animo come fosse un demone di fumo nero che muove i passi accanto a me. Ci diamo la mano e ci allontaniamo dal buio per raggiungere la luce, in quel momento troverà rifugio in me, dove lo riparerò dai bagliori della città e dalle altre anime vaganti, sino a quando riconoscerà quella giusta a cui darmi in pasto.
Quando raggiungo la via principale smetto di camminare in punta di piedi, il mio passo si fa deciso ed assordante, ed io respiro forza e allontano le mie ombre.
All’incontro con le amiche seguono abbracci fatti di lacrime e sincerità. Racconto ciò che ho provato io in quel tragitto in macchina in cui i miei occhi hanno smesso di vedere il mio uomo, la cui immagine si è sfaldata chilometro dopo chilometro. Accanto a me uno sconosciuto in preda al panico, che non riusciva a tenere il mio sguardo, che non aveva la forza di elaborare nessun logico pensiero, ma che nel momento più drammatico della nostra storia ha comunque trovato la forza di dirmi addio. “Noi due non ci vedremo mai più. Io ho commesso troppo errori, ho fatto esattamente tutto quello che non avrei dovuto fare”. Voglio smettere di ascoltare. Nel tempo di un sms ricevuto, dalla droga di cui non si può fare a meno, sono diventata uno sbaglio. E non avrò alcuna possibilità di cambiare le cose. Mi sono sentita quel nulla nella sua vita che ha smesso anche di voler essere. Questa amara considerazione mi ha portata dritta verso una scintilla di rabbia, pronta ad ardere scaldandomi lo spirito.
Le mie amiche mi guardano negli occhi e non riescono a leggerci nemmeno un granello di disperazione, perché il mio sguardo è colmo solo di delusione.
Nel tavolo accanto a noi mangiano tre ragazzi. In qualche occasione i miei occhi incrociano quelli di uno di loro e tutte le volte che accade ci regaliamo entrambi un sorriso. Quando usciamo dal locale mi sento chiamare, mi volto e vedo il ragazzo della pizzeria attraversare la strada e venirmi incontro. Vorrebbe uscire con me. Io lo guardo e penso che mai nessuno mi ha rincorso all’uscita di un locale. Ha delle labbra meravigliose, carnose e sicuramente calde. La sua voce è quasi timida e il suo sguardo sembra sincero. Tutto questo mi sembra sufficiente per accettare la sua amicizia su Facebook. Ci scambiamo qualche frase e ci salutiamo con un bacio che sorprende entrambi. Le mie amiche nel frattempo mi aspettano in macchina. “E allora?”, mi chiedono. “E allora voleva passare del tempo con me, domani parte. Stasera è di turno in pronto soccorso, è un infermiere.”
Mi chiedono cosa diavolo io ci stia facendo ancora in macchina con loro. “Io sono uscita con voi stasera!” Mi fanno notare che non è affatto male, ed io sorrido perché proprio non potrei farne a meno.
Mentre siamo in auto in attesa di raggiungere un locale in cui bere qualcosa, inizio a scambiare qualche parola tramite Messenger con Andrea, il ragazzo appena conosciuto. Arriviamo rapidamente a scambiarci i numeri e da lì a darci appuntamento per l’ora successiva al parcheggio del pronto soccorso.
La conversazione tra noi è leggera, piacevole e stuzzicante, ed io stasera ho bisogno di questo. Non ho mai avuto un primo appuntamento al piazzale di un ospedale! Eppure è proprio lì che sto andando. Andrea mi spiega che deve prendere le consegne del turno precedente, con la promessa di potersi assentare un paio d’ore, alla condizione di rimanere reperibile. Gli do l’indirizzo del mio b&b e ci salutiamo con un sorriso spensierato, ed un bacio che promette un nuovo incontro.

Continuiamo a tenerci in contatto. Sorrido ripercorrendo il vicolo ora in salita e penso a quanto sappia essere inaspettata la vita. Tutto avrebbe dovuto essere diverso. Io ora dovrei essere tra le sue braccia. Quando arrivo al mio appartamento e mi richiudo la porta alle spalle, realizzo che sto per aprire ad uno sconosciuto la stessa porta attraverso la quale stamattina è entrato ed è uscito il mio amore, per non tornare mai più.

Un nuovo sms: “Ti trovo vestita come ti ho lasciata?”. Ed io inizio a vagare per casa non sapendo bene cosa stia cercando di fare. Mi distraggono le parole di Andrea, ed io mi lascio cullare da queste dolci onde che mi stringono in un rassicurante abbraccio. Per la prima volta dopo mesi mi ritrovo sul divano a fare zapping davanti alla televisione. È un esercizio a cui non sono più abituata e di cui mi stanco velocemente. Mi avverte che sta per partire e che sarà da me tra mezz’ora. All’una di notte sento il suo motorino fermarsi sotto la mia finestra. Mi affaccio sul terrazzino e saluto Andrea dall’alto. Quando scompare nel portone mi affretto ad andare ad aprire la porta, mentre sento i suoi passi avvicinarsi sulle scale.
Ci sorridiamo e quasi timidamente ci avviciniamo in un bacio che mi regala tutta la morbidezza delle sue labbra. So di essere al sicuro, lo sento, e quindi mi lascio andare. Ci accarezziamo spogliandoci dei nostri indumenti. Mi toglie tutto, ma le scarpe resteranno ai miei piedi. Mentre lo libero dei suoi vestiti la mia lingua ne ricerca il sapore della pelle. È con la bocca che io vivo il sesso. La mia bocca diventa il mio sguardo, si trasforma nelle mie mani, percepisce i suoni dell’altrui voluttà.
“Voi donne non mi state molto simpatiche in questo periodo!”
“Nemmeno voi uomini a me, credimi.”
Mentre lo scopro mi accorgo che è un bel ragazzo, e ci accarezziamo qualche istante stando in piedi in mezzo alla sala.
Quando mi siedo sul divano mi apre le gambe e inizia a leccarmi. Mi stendo mentre le sue mani calde si appoggiano sul mio ventre. La sua lingua entra ad assaggiare la mia carne e le sue labbra si cibano di me. La sua eccitazione rivela quanto gli piaccia il mio sapore. Sento il bisogno di prenderglielo in bocca. Ho la necessità di mischiare la mia saliva al suo odore, godo nel sentirmi soffocare dalla sua passione. Mentre lo ingoio, e lo lecco, ne succhio la carne. Mi bagno nel percepire il suo piacere.
Saliamo al piano superiore e sul letto mi ritrovo sopra di lui. In quel cielo di lenzuola blu scuro senza stelle il mio amore è entrato oggi, iniziando a sfuggirmi di mano senza che io realizzassi il significato di alcuni dettagli. Il distacco è iniziato qui. Nel momento in cui, improvvisamente, ha smesso di desiderare il mio corpo. Io l’ho baciato, perché non mi stanco mai di farlo, e gli ho detto che l’amo. Nel silenzio che la sua bocca mi ha riservato, è stato inghiottito il mio cuore senza che io me ne accorgessi.
In quel mare di lenzuola blu apro gli occhi e vedo Andrea sotto di me, sento di volergli bene perché mi sta afferrando per non farmi cadere, e nemmeno lo sa.
Danzo su quel corpo così ben fatto e alzo gli occhi per vedermi riflessa nello specchio di cui sono fatte le ante dell’armadio. Il mio sguardo non è più carico d’amore, ma è pieno di gratitudine. Anche Andrea volta lo sguardo. Insieme ci osserviamo attraverso la nostra immagine riflessa, ed entrambi ne godiamo.
Ci scambiamo qualche frase, ci sorridiamo e ci troviamo entrambi in ginocchio sul letto. Mi volto e osservo il mio volto mentre lo sento entrare nella mia carne. Gli offro me stessa abbassando le spalle verso il materasso e rannicchiando le braccia sotto il mio petto. Allungo una mano sul mio clitoride e smetto di guardare. Cerco il mio piacere, lo rincorro, giochiamo insieme, ma non riesco ad afferrarlo. Andrea chiama il mio nome, e viene. L’eccitazione è ancora alta. Insieme scendiamo e cominciamo a parlare. Le sue parole hanno un suono piacevole, delicato e gentile. Parliamo di sesso, vorremmo continuare ma lui deve rientrare. Deve lasciarmi ma io lo tengo incollato al divano. Mi guarda come se non ce la facesse a rinunciare alle mie premure. Le mie mani afferrano il suo sesso ed io lo bacio ancora. Gli lecco i testicoli e la mia bocca continua a desiderarlo sino al momento in cui viene di nuovo. Quando ci salutiamo ci teniamo in contatto per una mezz'oretta in chat. La conversazione è più spinta e giocosa rispetto a prima.

Mi ritrovo sola nello stesso letto. Sul comodino è ancora appoggiato il vibratore che ho usato stamattina. Sto colando desiderio e quando lo accendo, tenendolo dritto sotto di me, lo vedo sparire e ne godo intimamente. Il clitoride gonfio e bagnato desidera quel piccolo coniglietto vibrante e lo sente avvicinarsi lentamente. Pochi affondi ed il mio orgasmo si libera nel silenzio dei miei pensieri, mentre a sopraggiungere è finalmente il sonno.

Quando il treno parte, mi rendo conto che sono passati due lunghissimi giorni nei quali il suo silenzio ha sancito una sentenza. Tornando a casa desidero allontanarmi e non tornare mai più in questa città.

Interrompe il gelo tra noi con qualche messaggio:
“C’è una parte di te che rimane mia e che tu non puoi negarmi col silenzio, questo lo so io e lo sai bene anche tu.”

“Io lo so, ma non tu, altrimenti saresti già venuto a riprendertela, senza alcuna necessità di ottenere il mio consenso.”

La risposta è ancora nei draft, non l’ho mai inviata. Il giorno in cui lo farò il silenzio ormai ci avrà inghiottiti.
Anche un amore come il nostro può perdersi nel vuoto se nessuno se ne prende cura.

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