Sploshing Party (Capitolo I) - Pizza A Domicilio

di
genere
feticismo

Era stata una dura giornata e vedere il volto di una donna bisbetica di mezza età che mi guardava con fare cagnesco mi fece salire un tale bollore di rabbia da farmi desiderare di avventarmi contro la porta e sfondarla a suon di calci.
«Dieci minuti di ritardo.» Guardava l’orologio con la superiorità che contraddistingueva quel suo volto così aguzzo e austero. «Non ti dovrei manco pagare.»
Mi porse un euro sulla mano e mi sbatté la porta in faccia, lasciandomi di fronte al ciglio dell’entrata completamente esterrefatto.
«Signora, signora» Bussai alla porta. «La pizza costava cinque euro. Manca il resto.»
Nessuna risposta.
«Signora, la prego…»
La porta scricchiolò e mi ritrovai di nuovo il suo volto accigliato fissarmi nel profondo.
«Per l’amor di Dio, ecco il resto. Ora vattene.»
Mi porse un’altra moneta da un euro e si dileguò di nuovo. Non era ancora abbastanza.
Percorsi l’atrio strascinando i miei piedi per terra. Rimuginai pensando che la mia vita era caduta a rotoli, sin da quando rifiutai quella offerta di lavoro nell’azienda del padre della mia ex ragazza.
“Mi sono sempre comportato bene.” Cercavo di rassicurarmi.

La sera rincasai portandomi dietro la solita sgridata del capo e il cane della vicina che ancora una volta aveva deciso di scannarsi contro di me. Mi feci una breve doccia e mi misi di fronte al computer a guardare un porno. Avevo bisogno di lenire i sensi, cercare un minimo di conforto nella mia intimità.
Mentre scorrevo nella barra di ricerca trovai un video che mi colpì: uno scenario simulato, dove un fattorino venne invitato in casa dalla cliente e, dopo averlo fatto, lui decise di venire sopra il cibo che le aveva portato, guardando deliziato lei che assaporava il pasto.
C’era gente a cui piaceva quella roba, c’ero io che ebbi l’idea brillante di vendicarmi.

Dopo tre giorni, la signora chiamò per avere una pizza rucola e stracchino a casa sua. Prendeva sempre la stessa pizza, il quale dati gli ingredienti faceva al caso mio per nascondere il mio seme a prima vista.
Mentre mi diressi con il motorino di fronte al complesso dove abitava, slacciai il cartone della pizza dalla cinghia e lo portai insieme a me in un vicolo lì vicino, dove lo scoperchiai e odorai l’intenso odore che usciva caldo dall’impasto. La rucola si adagiava delicata sullo stracchino, la crosta era bruciacchiata, ma non troppo, quanto bastava per renderla buona. La appoggiai sopra un bidone della spazzatura e, con il mio organo della passione già in tiro per l’eccitamento, mi slacciai la patta dei pantaloni e presi a masturbarmi, mentre venivo inebriato dal calore della pizza che ascendeva fino alle mie narici. Un sorriso si creava nella mia faccia al pensare che reazione avrebbe avuto la signora di fronte a quell’orgia di ingredienti.
Appoggiai la punta del pisello sopra una chiazza di stracchino e presi a strusciarmi sopra, sentendo già un liquido uscire fuori e fondersi con il latticino. Il pomodoro si sciolse attorno all’asta del mio pene, deliziandomi con il suo tepore. Sembrava quasi che stessi avendo un rapporto completo con una ragazza.
La mia mente banchettò nel piacere e presto riempì la pizza di tutta la sostanza che conservavo per la mia vendetta. Una dozzina di strisce bianche coprirono l’intera area fatta di stracchino e pomodoro, rendendo il pasto ancora più caldo di quello che era.
Rimasi a fissare il componimento orgiastico e banchettale che avevo creato. Un capolavoro da convivio greco. Mi pulì con le salviette e richiusi il coperchio del cartone, per poi dirigermi verso il mio bersaglio.
La signora si presentò questa volta in tuta da jogging. Il suo volto pareva più radioso, sicuramente più rilassato e tenue. Mi sorrise, stranamente mi sorrise.
«Grazie!» Mi regalò la sua prima forma di educazione. «Quanto ti devo?»
Vedendo il suo cambiamento di personalità così repentino ebbi colpa per ciò che feci.
«Cinque euro.»
La signora prese il suo borsellino e mi porse una banconota e tre euro.
«Questi sono per la scorsa volta. Scusami se sono stata così rude.»
Il rimorso mi stava attanagliando.
La signora ebbe resistenza quando cercò di prendere la pizza. Alla fine lasciai la morsa e lei mi salutò con un altro sorriso. Come l’ultima volta rimasi pietrificato di fronte all’entrata.
Che cosa avevo fatto? La cosa mi spaventava ora, e mi eccitava.
Chissà perché avrei tanto voluto vederla mangiare le mie squisitezze, quando prima mi bastava solamente vendicarmi.
Quando ero fuori dal complesso avevo visto una rampa di scale d’emergenza. Pensai che da lì poteva esserci una finestra che dava direttamente all’interno dell’appartamento della signora. Era sbagliato, certo, ma finora tutto quello che avevo fatto fino a lì era stato un terribile errore. L’importante era che la situazione mi stava piacendo.
Mi affrettai ad uscire dal complesso e percorrere la scala d’emergenza. Corsi cinque rampe di scale prima di scorgere la finestra del suo appartamento, che dava direttamente sul tavolo della cucina, dove vi era abbandonata la pizza. Prima di mangiarla, la signora doveva essere appena uscita dalla doccia. Teneva un asciugamano stretto al busto, mentre vagava a cerchio attorno alla stanza e telefonava qualcuno al cellulare. Aveva lo sguardo perso, poco concentrato su ciò che la circondava, tant’è che quando si sedette per mangiare la sua cena e aprire il coperchio della pizza non si accorse dell’opera che avevo dipinto. Prese uno spicchio di pizza, rimanendo con lo sguardo vagante in aria, e ne addentò la punta, da dove una goccia di sperma le stava per colare sull’asciugamano. Si fermò: le sue guance divennero rosse, i suoi occhi si sgranarono e le sue sopracciglia si alzarono in un’espressione di puro piacere. Ne morse un altro boccone, un altro e un altro ancora; leccò la crosta dove una riga di seme si era depositata, per poi divorarla per intero. Gettò il cellulare da una parte e si abbuffò sulla pizza. La sua bocca che si sporcava ora di pomodoro ora di sperma, la rucola che tingeva la mia sostanza come un’edera su un bacino di acqua.
Mi sentì lusingato a vedere quanto una persona adorasse la mia cucina. Lusingato e infervorato.
Mi massaggiai il bassoventre, facendo movimenti calcolati per renderlo duro.
La signora mangiò il secondo, il terzo e il quarto trancio di pizza sporcandosi tutto il mento e lambendo con la lingua tutti gli avanzi che le erano rimasti attorno alle labbra. Non stava mangiando, stava facendo l’amore con il cibo.
Quando arrivò all’ultimo trancio lo divorò in due bocconi, raccogliendo con la crosta le macchie di stracchino e sperma che erano rimaste sul fondo del cartone.
Si abbandonò sullo schienale della sedia, le braccia che penzolavano ai suoi fianchi e la faccia ammantata dal piacere gastronomico. Chiuse il cartone della pizza, si pulì con un tovagliolo e sgattaiolò dietro lo stipite della porta.
Il banchetto terminò quando ritornai in sella al mio motorino. Diedi un filo di gas e mi dileguai in fondo alla strada.
Abbozzai un sorriso pensando a quante altre pizze avrei potuto farcire con il mio seme. Avrei pure potuto aiutare la pizzeria ad accrescere gli affari.
Mentre aspettavo il semaforo diventare verde, il cellulare prese a squillarmi.
«Abbiamo un altro ordine. Trenta pizze per una festa.»
Trenta pizze? Come avrei fatto a condirle tutte?
scritto il
2025-10-25
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