Romanzo Saffico (1° Libro)
          
            
              di
Kiray_8100
            
            
              genere
sentimentali
            
          
        
        
          × Capitolo I ×
Valentina camminava scandendo ogni passo, muovendosi su una lastra di ghiaccio che solo lei poteva vedere. Scivolava via dagli occhi giudiziosi e dai problemi che gli altri cercarono di affossarle. Era già occupata ad affrontare i suoi di problemi, che si scaricavano gravi sulla schiena, un poco incurvata come quella di una persona goffa e timida. Il viso fioriva di una mestizia quasi affascinante, di chi conosceva troppo e di quel troppo ne faceva un fardello.
Giulia riusciva a captare in lei lo spirito maturo intrappolato in un corpo ancora troppo giovane per sopportare tutta quella saggezza. La vedeva ogni volta e ogni volta se ne innamorava.
«Domani abbiamo quella riunione con il fornitore di cui ti avevo parlato ieri. Alle nove avevamo fissato l’appuntamento, l’abbiamo posticipato di mezz’ora. Ricordiamoci anche del bouquet, è essenziale il bouquet.»
Il corpo piatto, snello, una piuma che si adagiava sulla cresta del lago. Un sorriso lesto e accennato quando parlava con il barista, pensava che fosse abbastanza per nascondere i suoi tragici occhi.
«La sposa ha voluto pure insistere sulla disposizione dei tavoli. È indisponente, se te lo chiedessi, e molto esigente. Vuole controllare ogni cosa. Forse dovremmo smettere di accettare questo tipo di clienti. Mi stai ascoltando?»
«Come?» Giulia scattò.
«Mi stai ascoltando? No, vero? Senti, mi spiace, è colpa mia. So che stai attraversando un periodo difficile e non dovrei scaricarti così tanto lavoro addosso. Forse dovresti prendere un periodo di pausa.»
Serena parlava vorace e rapida, era sempre di fretta. La sua mente era veloce e attiva, di chi non voleva perdere tempo a spiegarsi. Faceva parlare i fatti non le parole.
«No Serena, io…» Giulia di canto suo aveva la flemma di una poetessa, di chi guardava il mondo come una sinergia di forze lente e non arbitrarie. «Sì, hai ragione, è un periodo difficile, ma non deve ostacolare il nostro lavoro.»
Serena appoggiò la sua mano su quella di Giulia. Fredda, quasi spinta dalla pietà più che dall’empatia.
«Sono la tua socia in affari, ma prima di tutto sono la tua migliore amica.»
Giulia cercava di analizzare la sua faccia: non sorrideva, la confortava come se fosse in dovere di farlo.
«Non ti preoccupare» Giulia non voleva indugiare. «La faccenda con Teo appartiene al passato. Non c’è bisogno di preoccuparsi. A che ora mi devo presentare domani in agenzia?»
«Per le otto va bene. Se venissi un quarto d’ora prima sarebbe meglio» Serena riprese a parlare quanto bastava per riportare Giulia nel suo flusso di pensieri.
Valentina teneva in mano il bicchiere di caffè quando fu in procinto di andarsene. Il suono della campanella mentre aprì la porta accompagnò la sua uscita.
Chissà cosa ci faceva lì. Il circolo Caffè del Consorzio era riservato alle persone che erano titolari di piccole agenzie e startup. Bisognava avere una tessera per farne parte, motivo per cui tutti si conoscevano, anche solo discretamente. Valentina però non aveva l’aria di un’impiegata né tantomeno possedeva quello sguardo austero che contraddistingueva la gente che frequentava il locale. Forse per questo Giulia era così affascinata da lei. Gli anni passati a rincorrere obiettivi lavorativi, abituandosi alla conoscenza di persone che di loro non riuscivano che vantare l’uso del proprio raziocinio. Lei e Serena si erano ridotte come loro: avevano un’agenzia di wedding plan, avevano trasformato il matrimonio in bilanci finanziari e una maniacale cura di dettagli perlopiù superflui. “Rendi la tua passione un lavoro e non lavorerai un giorno della tua vita”, le dicevano i genitori, uno di quegli aforismi plagiati da chissà quale multimilionario. Solo da pochi anni scoprì che non era una frase incoraggiante, più un modo di rendere tutto ciò che possiedi solamente utile per il profitto. La sua anima spiccata per una romantica sensibilità non poteva più sopportarlo e si stava ribellando. Lo avrebbe fatto prendendo come ispirazione Valentina, forse.
23:01. Finalmente a casa. Giulia chiuse la porta dell’appartamento, la folata fredda di aria che proveniva dal corridoio la rinsavì, facendole ricordare che ora era libera dai chiacchiericci aziendali. Si guardò attorno: era libera, vero, ma la sua libertà l’aveva pagata a caro prezzo. Le mura del salotto puzzavano di vecchio e di solitudine: non una solitudine tanto ricercata e agognata, ma una solitudine deprimente e disprezzante. Con Teo aveva coperto il grigio strato delle pareti con una pittura color salmone; doveva servire a dare vita a quel posto, ora serviva solo per ricordarle che non aveva più nessuno accanto. L’amara nostalgia di una relazione che si erano promessi di far funzionare, ma non c’erano riusciti.
Non era stanca, solo spossata ed esausta. Si tolse i tacchi, i piedi doloranti toccavano il freddo pavimento. Si tuffò sul divano, accese la tv, la spense l’attimo dopo. Guardò verso il tavolo, il laptop ancora aperto e spento. Stava scrivendo un libro, ma più che a un romanzo assomigliava ad un confessionario. La storia era un fantasy, la protagonista una ragazza. Aveva scritto fino ad allora ottanta pagine, poi si accorse che nulla di tutto quello era frutto dalla sua fantasia più fervida: la ragazza del libro era lei, in tutto e per tutto; il modo che usava per approcciarsi con le dinamiche fantastiche di quel mondo erano solo una brutta copia della sua riservata personalità. Questa cosa la rattristò e interruppe il lavoro bruscamente. Quella sera però, decise di dare un’occhiata all’opera che aveva ripudiato. Lesse il primo capitolo e rifletté che era una storia poco umana, con uno stile troppo minimalista e poco introspettivo sulla versione dei fatti dei vari personaggi. Abbozzò una storia d’amore tra la protagonista e un ragazzo, che poi divenne una ragazza. Batteva le sue affusolate dita sulla tastiera, concitata, eccitata: la sua opera stava prendendo la forma che tanto voleva. Un flusso di dettagli e di situazioni verosimili che intessevano le lodi di quell’amore fittizio, stava restituendo al libro ciò che chiedeva sin dall’inizio. Poi la rivelazione: non stava fantasticando, stava trascrivendo di nuovo le sue confessioni. La storia d’amore era tra lei e Valentina. Forse non aveva il coraggio creativo di scrivere un romanzo, né tantomeno il talento di una penna narrante. Chiuse il laptop, scocciata e delusa.
 
Per far passare tutto serviva un lungo e caldo bagno. Avrebbe funzionato in altre occasioni, ma quella sera no, per un motivo o per un altro. La finestra del bagno dava su un cielo stellato che da tempo non si poteva vedere in città per colpa dell’illuminazione urbana. Sarebbe stato così bello descrivere la bellezza di quel panorama a qualcuno. A Serena? No, non avrebbe capito, avrebbe pensato che fosse ubriaca. Alla mamma? Da quanto tempo non ci parlava? A…Valentina?
Guardò in basso. Il vapore stava nascondendo il suo seno. Lo sfiorò con una mano, quasi come se non fosse suo e dovesse chiedere il permesso. Era gonfio, sodo, si muoveva indeciso ad ogni minimo spostamento dell’acqua. Le piaceva toccarsi, forse più di quanto non si ricordava. Da quanto tempo aveva smesso di curare la propria intimità, l’unico momento in cui tutto ciò che faceva lo doveva rendere solo a sé stessa? Non aveva tempo ovviamente, gli altri dovevano venire sempre al primo posto tra le sue preoccupazioni. Con Teo aveva sacrificato tutta la sua sfera intima. Non ci pensava proprio che un momento come quello poteva nuovamente accadere.
Appoggiò i piedi sul bordo della vasca, sfregavano tra di loro e si piegavano per cercare una posizione comoda. La mano seguiva la linea longitudinale del suo ventre; si tastò l'inguine, glabro e tumido, le dita bagnate scivolarono da sole per toccare la vulva. Giulia cacciò uno stridulo appena alluso, la mano sinistra che scorreva sui suoi capelli cercava di tenere la testa ferma, tremava dopo essere stata disabituata a quel brivido che partiva da lì sotto per ascendere tutto il corpo. Più che toccarsi sembrava strizzare la pelle attorno, doveva prendere la cosa con calma. Trovare magari un pensiero che poteva aiutarla. Un’idea, una persona: Valentina. La mente di Giulia prese a configurare la faccia della ragazza, improvvisava come un rullino di ricordi ognuno separato da quell’altro; pronunciò il suo nome a voce alta, si era liberata. Le sue dita si impregnarono di un liquido che non fu di certo acqua. Le portò di fronte al naso, staccava l’indice e il medio fra di loro per creare filamenti densi e trasparenti. Il vapore fece il resto per regalarle di nuovo quel senso di pienezza che si era scordata che esistesse.
4:26. Giulia si stropicciava gli occhi. Guardò la sveglia, poteva dormire ancora un altro paio di ore e non ci riusciva. La quiete della camera da letto l’aveva spaventata e svegliata. Non era naturale sentirsi così soli. Andò alla finestra, aprì le tende: un cane randagio passava per il marciapiede e regnava su quella distesa di cemento. Si rimise con la testa sul cuscino. Abbassò la mano sul suo lato sinistro, in uno strano tentativo di cercare un’altra presenza in quel letto che era troppo grande per una sola persona. Ma nel posto dove un tempo c’era Teo ora c’era un cuscino a forma di cuore. Lo abbracciò, cercava di condividere i propri sentimenti con lui; non parlava però, rimaneva fermo a guardarla con quello stupido sorriso cucitogli sopra. Versò una lacrima e il rosso fuoco del tessuto divenne scarlatto.
Alle sei e mezza le sembrò di dormire su un masso di pietra. Il torcicollo la stava seviziando, le gambe le dolevano. Dovette alzarsi dal letto, guardò l’ora e si rifiutò di aprire nuovamente le tende per vedere la città. Si diresse in bagno, fece un tu per tu con il suo riflesso o, sarebbe meglio dire, il riflesso di una sconosciuta. Gli occhi gonfi, incrostati dal pianto; le labbra secche e crepate, i capelli avevano perso il loro colorito. Prese a girare la faccia da lato a lato, sperando ogni volta di notare un nuovo particolare; il trucco non sarebbe servito questa volta per coprire le imperfezioni. Si spogliò dalla camicetta da notte, a petto nudo di fronte a quella donna che non riusciva ad identificare. Notò una mora sotto i seni, delle smagliature bianche che le correvano lungo la pancia; aveva accumulato un po’ di grasso attorno ai fianchi, ma il suo fisico a clessidra reggeva ancora. Si sciacquò la faccia, acqua rigorosamente fredda, in uno strano tentativo di lavare le impurità. Ad occhi chiusi, con le gocce che le scendevano dalla fronte, l’unica faccia che riusciva a vedere era quella di Valentina. Un fremito le passò attraverso le gambe; era seminuda, se avesse voluto avrebbe potuto replicare la serata di ieri.
Qualcuno suonò al campanello. Giulia ebbe uno scossone, di chi sembrava essere stata colta in flagrante nel commettere un atto osceno. Si asciugò celere la faccia e si rivestì, camminando a piedi nudi verso la porta. Poco prima di aprire, il campanello suonò nuovamente e questa cosa la infastidì assai. Era Alessandro, il vicino di casa; smagliante, alto, grandioso, seppur accartocciato in una posa che non vantava nulla se non la modestia: Giulia si chiedeva ogni volta come faceva ad essere così brillante sin dalle sei di mattina.
«Scusami se ti ho svegliato, Giuli.» La sua voce era tiepida, cauta.
«Non ti preoccupare» E quella di Giulia rotta, seppur fievole. «Ero già sveglia.»
«Ero venuto per la perdita di acqua.»
Perdita di acqua? Giulia rinvangò con la mente nei ricordi confusi dei giorni precedenti, era difficile farlo a quell’ora della giornata. Aveva chiamato Alessandro due giorni prima, chiedendogli di presentarsi a casa sua per sistemare quel maledetto tubo. Gli aveva detto di arrivare presto, prima che lei andasse al lavoro: sapeva che Alessandro sarebbe stato disponibile sin dalle prime ore del mattino.
«Sì prego, accomodati.» Giulia lo fece entrare, dandogli piena libertà di muoversi dentro casa. Spesso lo invitava nel suo appartamento, erano amici di lunga data.
«A che ora cominci a lavorare oggi?» La sua voce scompariva nel corridoio oltre il salotto.
«Alle otto» Si corresse poi. «Per le sette e tre quarti, a dire la verità. Ti preparo un caffè?»
«Certo, grazie.»
Giulia prese la moka, l’acqua e il caffè in polvere, che aveva un odore che la inebriava ogni volta.
«Lo vuoi macchiato? Un po’ di zucchero?»
Alessandro non la sentiva più; decise quindi di aspettarlo sul tavolo per chiederglielo.
Nemmeno una mezz’ora e di già il lavoro dell’idraulico era finito. Il suo caffè si era raffreddato, però.
«Bastava mettere solo un dado attorno al tubo» Disse, presentandosi all’entrata del cucinotto. «Grazie per il caffè.»
«È freddo, se vuoi te lo rifaccio.»
«Oh, non importa.»
«Grazie» Pronunciò tardiva Giulia, riferendosi al lavandino rotto.
Alessandro sorrise timido.
«Quanto ti devo?»
«Oh nulla, è compreso nelle spese condominiali.»
Un leggero imbarazzo salì nella stanza, come tra chi non aveva nulla da dirsi.
«Bene, ora è meglio che vada.»
«Aspetta…!» Perché lo aveva detto? «Io…»
Alessandro la guardò incuriosita, un po’ stupito di quella reazione. Da una parte però, aspettava proprio che glielo dicesse.
«Ho del vino. So che non è il massimo di prima mattina, ma è un sauvignon di prima qualità e non so con chi condividerlo. Sarebbe un dispiacere berlo tutto da sola.»
Dopo pochi minuti si trovavano sul divano; due calici mezzi colmi di vino, non abbastanza per rompere il ghiaccio. Chissà perché Giulia pensò che fosse una bell’idea.
«Non dovresti prepararti per il lavoro?» Alessandro era rigido, le mani sulle ginocchia, guardava lo schermo nero della tv aspettando che si accendesse da solo.
«C’è ancora tempo…» Giulia sedeva con la mano che sorreggeva la testa, la gamba rifilata sotto di lei e l’altra sospesa sul pavimento. Lo guardava, sperando che dicesse qualcosa, chiarendo le cose tra di loro. Non lo fece, non aveva il coraggio per farlo.
«Senti, Ale» Era un discorso che Giulia sapeva di dover fare prima o poi. «Quelle…cose successe tra di noi…»
Alessandro cominciò a guardarla negli occhi per la prima volta, messo alle strette come se una giuria stesse per pronunciare un verdetto su di lui.
«Ecco…forse dovremmo smettere di…»
«Tu mi piaci, Giuli» Una confessione adorabile, ma per Giulia era una fitta al cuore. «Non posso far finta che non sia così.»
Giulia non seppe cosa dire per le prime. Lo guardava con le labbra sigillate, i denti stretti in bocca; due occhi che sembravano delle lune, spalancati com’erano. Lo aveva detto veramente, quello che Giulia non avrebbe mai voluto sentirsi dire da parte sua alla fine lo aveva detto.
«Sei sposato, Ale. Non possiamo continuare a…»
«Lo so, lo so. Ogni volta che vengo a casa tua non porto mai la fede, sperando che possa servire per dimenticare la promessa che ho fatto a Federica.»
«Ale, eravamo ubriachi, tra di noi non c’è mai stato nulla di tutto quello. Eravamo solo sbronzi.»
«E allora perché ci penso ancora?»
«Anche io ci penso ancora, ciò non vuol dire che…»
«Ti prego, ascoltami» Alessandro unì le sue mani a quelle di Giulia. «Siamo amici da tanto tempo, possiamo confessare i nostri sentimenti liberamente, o sbaglio?»
Una domanda retorica, che Giulia era tentata di rispondere.
«Fino a due settimane fa tra noi sembrava non esserci nulla, se non l’amicizia che ci ha sempre tenuto uniti. Ho sempre pensato che fossi molto bella, davvero, ma non lo realizzai mai. Mi innamorai di Federica, era una cosa seria. E non so però, sembravo molto inesperto. Ti chiesi tanti consigli, ti assillavo anche per telefono, e tu sapevi sempre come aiutarmi. Ad una certa presi a parlare con Federica fingendo che fossi tu. Poi, quella sera, tu hai allungato il tuo braccio attorno al mio collo e ho sentito qualcosa, qualcosa di vero.»
«No, no…» Giulia negava, pensava che fosse abbastanza per non sentirsi in colpa. «Noi avevamo solo bevuto troppo.»
«E allora perché non ne abbiamo parlato prima? Se era così semplice perché non abbiamo trovato una soluzione prima?»
Giulia era sempre stata pudica a parlare dei suoi veri sentimenti. Forse riconosceva il fatto che tra lei e Alessandro un’intesa c’era, ma era solo una risposta chimica alla rottura con Teo.
«Solo che…» Le frasi di Giulia sembravano non avere mai una fine. «Mi sentivo così…»
“Sola. Da quando Teo è andato via, dopo che avevamo fatto all’amore per un’ultima volta. Mi sono sempre sentita sola in verità, per tutta la mia vita. Le cose non cambieranno mai Ale, tu non puoi aiutarmi in questo. Non prenderti responsabilità che non puoi gestire e, tantomeno, non provarci con me, perché ti farò solo del male. Vai da Federica, lei ti ama.”
Giulia voleva dire questo. Voleva sputargli in faccia la verità, ma Alessandro non c’entrava niente. Quel pensiero pareva solo molto altisonante. Gli occhi di lui erano teneri, vogliosi; l’aveva interrotta ancora, vedeva che muoveva le labbra ma non sentiva il suono, coperto da uno strano strido acuto che aveva cominciato a prorompersi nel suo orecchio. In quel momento erano molto vicini, quasi abbracciati l’uno all’altro. Giulia lo baciò.
Gli portò una mano dietro il collo e lo fece distendere su di lei. Trovò la radice del suo calore quando gli sbottonò di poco la camicia e passò la mano sul petto un poco ricoperto di peli. Lo guardava con gli occhi di chi sembrava dire ‘ti voglio, scusami se non te l’ho detto prima’. Lui la baciava, sul mento, sul collo, un attimo e si trovava già sul suo seno. Gli alzò la camicetta e gli affondò la faccia in mezzo, lambiva con la lingua i suoi turgidi capezzoli. Giulia sentiva una vampata di calore salirle dal cuore fino alla bocca, un blocco alla gola che si sciolse in un breve strepito. Percepiva il suo membro che strusciava tra i suoi pantaloni: duro, impaziente, lo voleva toccare. Gli aprì la zip e prese a massaggiargli la punta. Lo voleva dentro di lei, sentirlo un tutt’uno con il suo corpo. Agì con cautela, come era suo solito fare; lo fece strisciare prima per il tessuto delle mutandine e poi tra gli slip; sentiva come fremeva dalla voglia di trovare un posto in cui entrare e lei che prolungava il suo desiderio facendolo strisciare lungo le labbra. Lui stava per venire, sentiva un filo di liquido tingerle il bassoventre; lo accompagnò per farsi penetrare, delicata e materna. Alessandro sospirò nel suo orecchio, un lungo mugolio di chi anelava nella lussuria. Si stringeva attorno a lui, lo stava guidando come se lo stesse facendo per la prima volta, ma Alessandro si divincolava pensando di saper da solo come procurarle piacere. Ci riuscì, la fece bagnare. Giulia gemette: i loro lamenti li condividevano sempre all’orecchio, sussurri di chi si nascondeva, di chi voleva amare in segreto. Alessandro aspettava ancora, voleva spartirsi quelle note di godimento assieme a lei, arrivare al culmine con Giulia. Penetrò più affondo, lei percepiva i suoi tentativi di insistenza. Si lasciò andare, lo voleva accontentare come meglio poteva e presto il suo seme si unì ai suoi umori. Caldo, invadente, e così esaustivo. Alessandro non voleva staccarsi, era unito a lei per sempre. Ma sul volto di Giulia comparì di nuovo quella strana assortita di nostalgia e avvilimento: non stava facendo la cosa giusta, né per sé stessa né per lui, che di sicuro non si accorgeva del male che si stava procurando. Alessandro sprofondò con il volto erubescente tra i suoi capelli, mentre lei continuava a massaggiargli la nuca; si stava ancora muovendo dentro di lei, ma Giulia strisciò fuori come in allerta. Non voleva farlo ancora, non poteva farlo.
Guardò alla sua sinistra: i calici erano ancora riempiti di vino. Questa volta non poteva dare la colpa all’alcool.
«Ti prego, vattene» Giulia sapeva di ferirlo. «Vattene via.»
Alessandro continuava a riposarsi tra le sue ciocche di capelli. Era come assopito, di sicuro appagato e illuso di aver trovato un nuovo amore.
«Ale, devi andare via. Ti prego.»
Alessandro alzò la testa. Le diede un conciso bacio sulla guancia: ardeva come l’acciaio stridente di una lama.
«No…no» Giulia era stata messa in una situazione drastica. «Smettila, ti supplico.»
Alessandro non voleva crederci. Si stagliò davanti a lei, sorretto sulle proprie ginocchia. Il pene che gli penzolava davanti, ancora umido di brama.
«Perché mi dici così?» Parlava come se fosse stato appena abbandonato, come un bambino viziato e capriccioso.
«Perché non è giusto.» Parole troppo dolorose, sembrava che non fosse Giulia a parlare.
«È successo. Non eravamo ubriachi questa volta.»
«Lo so, lo so. Per questo te lo dico. Non accadrà come le scorse volte, che ci svegliamo con il mal di testa e facciamo finta che nulla sia successo solo perché stiamo troppo male per parlarne. Questa volta è finita, sul serio.»
Alessandro non sapeva controbattere. Non sapeva, Giulia era troppo potente e troppo onesta. Ad una certa sembrava che gli occhi gli si gonfiassero per piangere, ma la sua mente si rifiutava di comportarsi come se avesse avuto il diritto di difendersi. Doveva smettere di storpiare la realtà a suo piacimento.
Si riallacciò i pantaloni, aiutò Giulia a sistemarsi e poi si abbracciarono. Non un abbraccio d’amore, ma l’abbraccio di due amici, due buoni amici.
8:17. Giulia stava tardando al lavoro di oltre mezz’ora. Si era raccolta seduta contro la porta, sentiva ancora i passi di Alessandro fuori dall’entrata. Era una pessima persona, pensò. Ora sperava solo che le cose tra lei e lui tornassero come prima.
Andò in bagno, prese il cellulare e telefonò Serena inventando una scusa. Si guardò allo specchio: il suo volto sembrava un po’ più radioso di quando si era svegliata, sicuramente meno consunto e logoro dalla stanchezza. Si sarebbe aspettata di peggio. Si lavò alla svelta, le sue gambe tremavano ancora un poco. Si truccò usando soprattutto la cipria per rinvigorire in apparenza la pelle. La sua uniforme di donna in carriera la rendeva splendida, una ragazza nuovamente concentrata solo sul suo lavoro, quell’occupazione che odiava ma che ora sembrava l’unico metodo per dimenticare la mattinata.
Guardò fuori dalla finestra, là dove prima si rifiutò di vedere perché trovava solo desolazione. Le persone camminavano con il solito ritmo che contraddistingueva la città; le saracinesche dei negozi vennero alzate e le macchine sfrecciavano per evitare il traffico di prima mattina. Il cielo era terso, blu, il sole aveva ancora velature di rosso. Era una bella giornata.
× Capitolo II ×
L’agenzia dava sulla strada dell’incrocio che portava al centro storico della città, schiacciata dall’immensa banca e il più modesto fioraio. “Un’ubicazione perfetta per farsi notare”, pensava Serena col volto di chi ha appena sbancato alla lotteria. Capitava spesso che qualche turista entrasse dentro incuriosito da cosa potesse vendere quel “negozio”. In effetti il design esterno della struttura dava da ridire sul servizio che le due proprietarie offrivano. “Sembra un negozio di souvenir”, criticava ogni volta Giulia, ma a Serena interessava poco la cosa e, tantomeno, non avrebbero avuto i soldi per ristrutturare, spesi per la maggior parte in campagne pubblicitarie.
Giulia guardava la facciata dell’agenzia: si permetteva spesso di prendere due minuti del suo tempo ad osservare l’opera che creò con la sua migliore amica e ogni volta pensava quanto sarebbe stato divertente bruciare quel posto. Lo odiava, il suo volto si corrugava solo alla vista di quell’oscuro atrio di scartoffie e pratiche, ma non poteva deludere Serena che, appena la vedeva sul ciglio della porta, le sorrideva dalla vetrina, il sorriso di chi non vede l’ora di tornare a casa dopo una sfiancante ma esaustiva giornata lavorativa. Probabilmente a Serena piaceva torturarsi in quel modo, sicuramente era cambiata dalla ragazza festaiola e con una sfrenata passione per il tabagismo che Giulia aveva conosciuto all’università.
«Sei in ritardo.» Lo ripeteva con un’accennata ironia, pensando che ogni volta potesse servirle da lezione.
«Lo so, ho avuto un contrattempo.» A Giulia oramai importava poco del suo rendimento lavorativo.
«Come sempre. Pensi che questa agenzia vada avanti da sola?»
«No, ci sei tu.» Il sarcasmo le ritornava sempre utile per districarsi da affronti mordaci come quelli che spesso aveva con Serena.
«Sono seria.»
«Lo so. Quella tuta ti sta da Dio.»
«Pensi di distrarmi con l’adulazione?»
«Fino ad ora ha funzionato.»
Giulia si rifugiò nel bagno. Si sedette sulla tavolozza del water rilasciando un sospiro di sollievo. Si tolse i pantaloni e poi gli slip, così da allargare le gambe ed alzarle per appoggiarsi con i piedi sul lavandino e il manico dell’asciugamano. La sua mano tremava ogni volta prima di toccarsi, pensando al fatto che Serena era a meno di una parete di distanza da lei; le sarebbe servito aprire la porta per vedere la sua migliore amica con la faccia avvolta da un velo di piacere. Giulia non usava mai la chiave per chiudersi lì dentro, sapeva che Serena non sarebbe mai entrata e, anche se fosse stato così, la cosa non avrebbe avuto importanza per lei. Avrebbe fatto di tutto per profanare quel luogo che tanto odiava, visto che non poteva distruggerlo o licenziarsi. Inoltre, la masturbazione era diventata il suo unico modo per superare la giornata lavorativa. Lo faceva spesso, fino a quattro volte durante l’orario di lavoro. Trovava conforto nella delicata maestria delle sue dita che massaggiavano il bassoventre, sempre caute e ponderate; e lei fingeva che fossero le mani di un’altra persona, magari quelle di Valentina. Era metodica nel suo lavoro, quasi zelante. Massaggiava l’interno coscia, lo spremeva spinta da una morbosa voglia di possedere. Il pube pallido e stretto fremeva al tocco delle unghie ma il clitoride era la sua parte preferita, per cui riservava sempre la maggior parte del tempo prima di infilare l’indice e il medio dentro. Le bastava poco per venire, i nervi la ingannavano ogni volta e le mani rimanevano sempre impregnate dei suoi liquidi. Spesso però decideva di continuare, voleva abbandonarsi a quello stato di appagamento che avrebbe desiderato prolungare per sempre.
Quella volta rimase lì dentro per quindici minuti. Pensava che appena uscita Serena avrebbe avuto qualcosa da ridire, ma per la prima volta durante quel mese avevano dei clienti. Un uomo, alto, belloccio, l’ispida barba le ricordava quella di Alessandro; una ragazza, capelli biondi striati e una faccia stretta, che rinchiudeva tutta la carne sulle rosse guance. La guardarono appena sentirono il manico della porta abbassarsi, mentre Serena rimase con il suo sguardo serioso fisso sui due clienti: come al suo solito più che organizzare un matrimonio sembrava che stesse organizzando un meeting aziendale. Giulia li salutò e si accostò alla sua amica per ascoltare i dettagli della richiesta.
«Bell’idea quella di fare un matrimonio sulla spiaggia in piena estate.» Giulia faticava a nascondere il suo tono sardonico. Guardava i due sposini attraversare la strada, diretti verso la loro Mercedes-Benz, felici di aver appena concluso la pianificazione del giorno più importante della loro vita.
«Non ci hanno mai dato così tanti soldi prima di adesso. Dobbiamo fare tante cose, non possiamo deluderli.»
«Cominciando dal vedere le previsioni del tempo. Tra tre settimane non aveva messo il temporale?»
«Fa la seria per una volta.» Serena la guardava circospetta, voleva forse alludere ad altro. «Non ti ho mai vista così scherzosa da un sacco di tempo.»
«Che ti devo dire? Sto finalmente mettendo apposto le cose. Finalmente Teo sta diventando solo un mero ricordo…»
Lo stava diventando veramente?
«Sono contenta per te. Sarebbe meglio però investire le tue forze anche nel tuo lavoro.»
«Mi prometti che useremo parte di quei soldi per ristrutturare questo posto?»
«Ci tieni così tanto?»
«In teoria anche tu dovresti pensarci, è la prima cosa che i clienti notano.»
«Va bene. Faremo come dici tu, per una volta.»
Giulia aveva vinto.
«Bene, allora mi metto al lavoro.»
Arrivata a casa, Giulia non accese sin da subito le luci: qualcuno si trovava dentro il suo appartamento. La luce calda del bagno illuminava tutto il corridoio che portava alla camera da letto, strane e danzanti ombre presero a muoversi in quel mantello giallo che illuminava il blu serale che colorava la casa. Giulia si tolse i tacchi, prese a camminare sulla punta dei piedi per incontrare l’intruso. Arrivata all’entrata dell’andito si nascose dietro il muro e, ferma se non decisa, afferrò la scopa lì vicino. Il cuore palpitava concitato nel suo petto, poteva sentire come il suo rumore sovrastava i suoni metallici provenienti dal bagno. Decise di farsi coraggio e si palesò con uno scatto di fronte alla stanza. Cacciò un urlo intimidatorio e il “ladro” sbatté la testa contro il lavandino, accasciandosi per terra. Non era un criminale, bensì Alessandro che, dolorante, si accartocciava su sé stesso al suolo. Realizzando chi fosse, Giulia corse in suo soccorso, implorando scuse. Ancora una volta si era dimenticata che lo aveva chiamato per sistemare quello stupido lavandino.
Si sedettero attorno al tavolo della cucina, lui con una borsa del ghiaccio in testa, lei incapace di tenere fisso lo sguardo su di lui per non provare imbarazzo.
«Scusa…» La sua voce andava a perdersi.
«Ah, fa nulla» Alessandro si tolse la borsa dalla testa. «È solo un bernoccolo.»
Bevvero il caffè in religioso silenzio, sul tavolo che era ricolmo di piatti sporchi e stoviglie da lavare.
«Scusami per il disordine» Giulia non riusciva a non sentirsi in colpa, per qualsiasi cosa. «Di recente non ho avuto molto tempo per pulire.»
Alessandro scosse la testa.
«Come…sta Federica?»
«Bene» Il tono di Alessandro tramutò. «Stiamo aspettando un bambino.»
Giulia esternò tutta la sua meraviglia in faccia, un caleidoscopio di emozioni cambiarono la sua espressione per decine di volte in pochi attimi.
«Wow! Non pensavo che…»
«Avremmo mai voluto un bambino? Già, ci avevo perso le speranze, però alla fine si è convinta.»
Giulia si avvinghiò a lui e lo strinse in un caldo e affettuoso abbraccio.
«Sono così contenta per voi.»
Qualcosa sembrava non convincerla. Era passato così poco da quando ebbero fatto l’amore per un’ultima volta, poco più di quattro mesi prima, e nonostante avessero chiarito le cose la sua mente insisteva per avere altre delucidazioni. Lei aveva mosso il primo passo per sistemare le cose, lo aveva fatto per l’amore di due suoi amici, ma ancora sentiva una strana sensazione di vuoto.
«Da quando lo sapete?»
«Da circa un mese.»
«Non me lo hai mai detto prima.»
«Be’, non ci siamo più visti da tre mesi.»
Non aveva tutti i torti.
«Perché non festeggiamo? Ho un’altra bottiglia di sauvignon. La stappo e mi racconti tutti i particolari.»
«No, meglio di no» Per la prima volta Alessandro rifiutò i suoi inviti. «Data l’ora è meglio se ritorno da Federica. Grazie per il caffè.»
Alessandro stava per dileguarsi dall’appartamento e Giulia lo guardava appoggiata allo stipite del cucinotto. In quel momento sembrava vedere attorno a lui una strana aura, come se fosse maturato e cambiato: un nuovo Alessandro stava per uscire da quella porta.
«Ale.» Alessandro sobbalzò; rispetto alle scorse volte non si aspettava che lo chiamasse. «Sono contenta per voi.»
Era la cosa giusta da dire, ed era quello che pensava veramente.
Alessandro le sorrise e poi la lasciò sola, in un silenzio assordante.
Verso l’orizzonte del mare minacciose e oscure nubi presero a muoversi verso la spiaggia.
«Te l’avevo detto che ci sarebbe stato un temporale.» Non importava mai il motivo della questione, per Giulia un trionfo era un trionfo.
«Gli sposi hanno insistito che avvenisse oggi la cerimonia.» Serena appoggiava i gomiti sul muretto, guardando il tendone del gazebo raggrinzirsi sotto il violento vento che avrebbe portato un acquazzone. «Comunque la pioggia rende tutto più romantico.»
«Una pioggia normale, certo, non un temporale. Inoltre a te non interessa manco se un matrimonio sia romantico o no.»
«No infatti, ma agli invitati sì.»
A Giulia invece interessava. Certo, avrebbe continuato a discutere ancora a lungo sulle previsioni del meteo, ma lo avrebbe fatto solo per orgoglio. Vedere il grigio delle nuvole frastagliarsi con l’azzurro del cielo e il verde del mare scatenava in lei una sorta di pace interiore. Gli amanti erano felici, gli invitati pure a vedere la sposa che entrava nel corteo con la Marcia Nuziale suonata al piano. Quel matrimonio sembrava averle dato di nuovo un motivo per continuare a fare quel lavoro.
«È…molto bello, comunque.» Voleva complimentarsi con la sua amica, per la prima volta dopo tante settimane, ma Serena era scomparsa chissà dove.
Giulia indossava un peplo rosato, con la spalletta bianca: sembrava essere più damigella lei delle damigelle stesse. In testa aveva un fermaglio a forma di tulipano bianco e, nonostante non si addicesse al suo stile, portava pure gioielli e bracciali. Un vestito sontuoso, indossato sicuramente da chi non badava a troppe spese, ma Giulia non aveva sicuramente quei propositi né tantomeno esasperare così tanta ricchezza. Ma mai negò che quegli abiti risaltavano la sua bellezza in una maniera quasi poetica, esattamente come si sarebbe descritta se fosse stata la protagonista di una fiaba. Durante il matrimonio più di un uomo l’adocchiò e, per quanto cercò di essere il più cortese possibile, la cosa cominciava ad irritarla. Non nascose a sé stessa che, nonostante si stava divertendo, non vedeva l’ora di andarsene.
Alla sua destra un click risvegliò il suo sguardo perso. Il volto di una ragazza dai capelli bruni era nascosto dietro una fotocamera.
«Posso farti altre foto?»
Giulia cercò di trovare un qualcosa di familiare dietro quella faccia imbellettata di cipria e mascara. Era Valentina, la ragazza del Caffè del Consorzio, ora la fotografa del matrimonio. Si sarebbe aspettata di trovare chiunque lì, meno che lei.
Giulia rimase attonita da quell’inaspettata visita, Valentina era arrivata da lei quasi per caso.
«Quindi?» Valentina sorrise a vedere il volto distratto della sua innamorata. «Posso farti altre foto sì o no?»
«Certo.» Giulia bloccò il balbettio per non fare figuracce.
D’improvviso il suo corpo seppe da solo come muoversi per fare da modella. Appoggiò la mano sul dorso del muretto, l’altra la piegò per formare un angolo retto e aggrapparsi ai capelli. Girò la testa di profilo, una ciocca di cappelli nascondeva parzialmente la sua faccia. La bocca schiusa, provocante, le sopracciglia inarcate e le palpebre che nascondevano quasi svogliate il blu dei suoi occhi.
Si sentirono quattro click provenire dalla fotocamera, Valentina sembrava abbastanza soddisfatta del risultato.
«Sono perfette.» Giulia nascose un sorriso timido dietro leste dita. «Ti ho già vista da qualche parte, giusto? Una ragazza così bella come te non passa sicuramente inosservata.»
«Sì» Giulia sembrò percepire un certo tono civettuolo dietro l’affermazione di Valentina. «Il Caffè del Consorzio.»
«Ah, giusto. Eri sempre con quella ragazza con gli occhiali. Anche lei è qui al matrimonio.»
«È la mia migliore amica…collega. Abbiamo organizzato la cerimonia.»
«Capito. È meraviglioso. Complimenti.» Valentina tentennò. «Specialmente il buffet.»
Intuendo l’invito velato, Giulia seguì Valentina al buffet nel gazebo. La ragazza timida e introversa che aveva intravisto per la prima volta al Caffè sembrava ora splendere di una nuova apparenza. Spigliata, schiena dritta e risoluta, lo sguardo di chi voleva sapere tutto del suo interlocutore. Le sue guance erano bianche e, insieme al suo mento, davano al suo volto quell’effetto di allungato. Valentina guardava Giulia dal basso verso l’alto, provocante e per nulla reticente a mostrare le sue vere intenzioni.
Nell’aria cominciò a farsi sentire l’odore acre della pioggia. Una sfilata di persone in agitazione corse sotto il tendone bianco, ridendo e applaudendo gli sposi. L’atmosfera dentro la sala cominciò a farsi calda, umida; sia Valentina che Giulia percepirono di essere soffocate.
«Andiamo da un’altra parte.»
«Non vorrei bagnarmi.» Giulia si lagnava come se l’acqua fosse davvero un problema.
«Dai, non ti preoccupare.»
Valentina prese ad ispezionare il suo volto con un sorriso malandrino; si accostò alla sua faccia e la baciò. Giulia la richiamò a sé e ripeté il gesto, però più caldo, più avvolgente.
«Allora? Ti ho convinta?»
Giulia non resistette e, nascosti dal furore di persone concentrate unicamente sugli sposi, corsero via.
Lo stanzino del bagnino aveva un solo posto a sedere. Valentina lo usò come motivazione per sedersi sopra Giulia, mentre la riempiva di avidi e ghiotti baci. La loro pelle si univa, il bagnato creava degli umidi rumori, i loro fiati immersero l’atmosfera del cubicolo in una coltre di passione repressa.
«Voglio sentirti dentro di me.» Valentina voleva dettare le regole.
Condusse dolce la mano di Giulia sotto la sua gonna. Passò le sue dita tra la corona del suo buchino e poi dentro il suo nido di passioni. Il pollice che le massaggiava il clitoride, l’indice e il medio che annaspavano dentro quell’umido atrio. Valentina orgasmò, un orgasmo potente che si frappose al rumore della pioggia. Si calò la scollatura e due seni avvolti dalla penombra agguantarono la faccia di Giulia, che si perse in quello spacco di goduria.
«Infila…infila tutta la mano dentro.» Un ordine, una richiesta disperata.
Giulia era intimorita dal farle male, ma la sua perversione non poteva che esaudire i desideri della sua amata. Chiuse le dita a mo’ di becco e cercò di penetrare più affondo, permettendo a Valentina di esplodere in una pozza di umori ed estasi.
Valentina sfilò la mano di Giulia dal bassoventre. La guardò, fradicia e sudata, per poi succhiarne le dita una per una. Non fece in tempo a finire che l’altra mano stava spogliando Giulia dalla gonna, vogliosa, timorosa, ma irrazionale.
Intrecciò le dita della mano con quelle di lei quando si trovò a meno di due centimetri dalla sua vagina, in cui l’acqua della pioggia si mischiava al sudore. Due mani che si strinsero forti tra di loro, specialmente una, quella di chi voleva solo sentire quella lingua dentro di sé.
Valentina partì all’attacco, Giulia gemette e scoppiò in un canto orgiastico. Le labbra che baciavano a ripetizione la pelle attorno, sfiorando il clitoride che veniva massaggiato da un vellutato pollice. La bocca di Valentina sapeva compiere miracoli, la sua lingua era in fremito per sentire i sapori della sua amata. Voleva farla godere, quasi come a ricordarle che solo lei poteva procurarle quel piacere così selvaggio.
Giulia appoggiò le gambe sulle spalle di Valentina, le strizzò il seno, caldo, viscido, sentendo un fantomatico latte scorrere tra quei capezzoli. Le massaggiò i capelli, spinse la sua faccia più in giù, il naso che aveva cominciato ad entrarle tra le labbra della vagina.
«Ecco…sto per venire…» Parole tremanti, secche, precederono due schizzi di un liquido rovente e limpido che riempirono la bocca che possedeva quella lingua così magica.
Valentina si leccò le labbra, rumoreggiando come meglio poteva. Voleva che un immaginario spione venisse a conoscenza di ciò che riusciva a fare solo con la sua lingua.
In seguito si mise a sedere sulla panca singola al posto di Giulia, che la guardava stizzita e in piedi, toccandosi per non indebolire la carica d’amore. Ora Valentina aveva addosso solo il pezzo superiore dell’abito, le gambe che si divaricavano e venivano levigate da gocce di umori che cadevano al suolo prorompendo in laconici picchietti. Guardava la sua amante, passando due dita lungo l’organo della sua carnalità.
«È il tuo turno.» La voce di Valentina tremava ancora.
Giulia si prostrò di fronte a lei, si fece strada con le mani massaggiandole le cosce. Valentina non poteva aspettare, afferrò la testa dell'inginocchiata e la infilò in mezzo alle sue gambe. Orgasmò, di nuovo, più forte. Giulia sentì una scarica di sapori frapporsi tra di loro nella sua piccola bocca; la sua lingua si muoveva per raccogliere gli umori di Valentina e le sue dita graffiavano sulla pelle delle gambe per tenere a bada i suoi istinti. Dei baci, le sue labbra si univano a quelle della vulva di Valentina; sentiva come tremava, le sue paure e il suo orgoglio. Spinse più forte la lingua, cercò di muoverla più repentina e Valentina ringraziò con un altro potente gemito, mentre lasciò fluire tutti i suoi liquidi attorno alle labbra della sua amata. Giulia fu sorpresa del sapore dolce di quel nettare. Lo assaggiava, schioccando la lingua a più riprese, mentre si riposava nel grembo di Valentina.
«Dove eri finita?»
Il temporale era terminato, la sabbia bagnata creava rumori ruvidi mentre gli invitati ci camminavano sopra. Giulia cercò di sistemarsi come meglio poteva, ma non riuscì ad evitare le mani di Serena che si mossero per pettinarle i capelli, senza chiedere nulla, come se sapesse. Non era passato molto tempo da quando lei e Valentina ebbero finito, forse poco più di quindici minuti, forse troppo per assentarsi dalla cerimonia.
«Hanno deciso di anticipare il taglio della torta.» Serena faticava a scandire le parole, forse per l’ansia. «Dobbiamo essere lì in tempo.»
Serena si affrettò a raggiungere il gazebo, sperando che la sua amica la seguisse di pari passo. Ma Giulia era troppo concentrata a guardare Valentina, che uscì dallo stanzino dopo di lei per non destare sospetti: in fatto di acconciatura sembrava messa peggio.
Valentina diede occhiate guardinghe attorno, voleva non farsi notare mentre si accostava a Giulia. Le diede un bacio sulla guancia, lieve, tenero, e poi nascose un pezzetto di carta dentro la sua tasca.
«Chiamami.» Disse, mentre prese a scorrere le foto nella galleria della sua fotocamera, dileguandosi tra la calca di persone.
× Capitolo III ×
“Toccarla. Toccarla. Sentire che lei esiste accanto a te, come qualcosa di inevitabile”.
Avevano appena finito di farlo e tremavano ancora di orgoglio e di desiderio. Valentina massaggiava la spalla di Giulia, mentre leggeva lo “zibaldone” di poesie che teneva gelosamente nella sua libreria.
I loro corpi nudi si cingevano tra di loro, le loro pelli odoravano di una stanchezza esaustiva, totale.
«Questo è quanto.» Affermò, rinchiudendo il voluminoso libro. «Sei così bella.»
Giulia non riusciva più ad imbarazzarsi ormai. Glielo ripeteva così tante volte e ogni volta suonava sempre diverso. Il suo sorriso sembrava oramai una parte di lei.
Valentina si alzò dal divano, si stiracchiò allungandosi verso l’alto; appoggiò il libro sul ripiano vicino a loro e Giulia la guardava come se si fosse ridestata da un lungo sogno.
«Ho bisogno di lavarmi.» Strizzò l’occhio, voleva che Giulia l’accompagnasse. I loro inviti erano sempre impliciti, segreti, l’intesa era quella che contava nel loro rapporto.
L’attico in cui Valentina viveva era enorme, adornato con decine di opere d’arte, sculture, diorami e fiori, molti fiori. Le finestrate alte il quadruplo della loro altezza davano su un ampio grattacielo dall’altra parte della strada, dove le sue luci stavano via via spegnendosi, lasciandole sole su un panorama buio e placido.
Valentina aprì il getto della doccia, entrò nella vasca e richiamò con uno strattone l’amata al suo seno, dove le solleticò con le labbra il collo. Scese lenta, ma inesorabile, verso il sesso di Giulia, che fu nuovamente invasa da quella presenza dentro di lei, lasciandola abbandonata ad un lungo sospiro, allo scroscio dell’acqua che si confondeva dietro le note dei suoi sussulti. Alla fine fu un altro crescendo di umori che sgorgarono nella bocca dell’inginocchiata. Volevano altro ancora, sarebbero state in grado di continuare per molto.
Si incrociarono le braccia attorno ai colli, rigidi nonostante il vapore e l’acqua calda, nonostante la sensazione di appagamento. Giulia girò Valentina di schiena, cingendole i fianchi, e le carezzò il nido d’amore. Annaspava tra le sue cosce, la sua carne era soffice, vellutata, priva di impurità e levigata. Le sue parole, i suoi monosillabi, arrivavano alle sue orecchie smorzati, indecisi, quasi lamentosi. Ma Valentina fu appagata, riversò bollenti liquidi lungo le dita di Giulia e continuava a stringersi, a rinchiudersi in sé stessa, un tremito che la scuoteva e altre parole pronunciate sottotono all’orecchio.
«Resta ancora con me.» L’odore di vaniglia, le sue mani che sapevano sempre dove dirigersi. «Un altro minuto.»
Valentina appoggiava i suoi capelli ancora bagnati sul grembo di Giulia. Gli occhi semichiusi, le labbra che esalavano respiri come se dormisse profondamente. Invece Giulia sondava le pagine del libro con le dita, il suo sguardo si perdeva tra le parole, nell’inchiostro nero come la pece che la lasciava intontita. Non poteva concentrarsi, non con lei affianco.
Grattò con le unghie la fronte di Valentina, senza farle male, cercando di vedere come avrebbe reagito. Ma la sua espressione scendeva sempre di più verso uno stato soporifero. Vedere la sua bocca conciarsi per rilassarsi, le sue palpebre chiudersi per rivedere il mondo due ore più tardi, un tenero bacio posto sulle labbra l’avrebbe aiutata a rinsavire.
«Sai che non potrà durare per sempre.»
Dopo quello che successe con Alessandro aveva deciso di essere sempre onesta, per un motivo o per un altro.
«Perché?»
Fu stupita da quella domanda. Forse la stava provocando.
«Per tuo marito.»
«Lui non è mai qui» il riflesso allo specchio sembrava distorcere la faccia di Valentina vista dalla prospettiva in cui Giulia vedeva l’intera scena. «E non mi dà quello che mi dai tu.»
Non poteva cedere a certe lusinghe. Doveva resistere. Con Alessandro era stato difficile rompere: le motivazioni erano le stesse, non poteva permettere che Federica rimanesse ferita. Ma il marito di Valentina non lo conosceva, perché ora si comportava come se fosse stata provvista di una morale superiore che le permetteva di comportarsi sempre bene? “Perché era la cosa giusta da fare”.
«Non prendermi in giro.»
Valentina si voltò di scatto verso Giulia. Pensò di averla offesa e cercò di rassicurarla con un prolisso abbraccio.
«Stiamo così bene assieme, perché mai dovremmo rovinare tutto per lui?»
«Non ti interessa di lui?»
«Lui non è interessato a me.»
Regalò a Giulia un avvolgente bacio sulla guancia e la lasciò lì dov’era per andarsi a cambiare i vestiti, dacché aveva appena finito di truccarsi.
Arrivò nell’armadio della sua stanza e fece cadere le spallette della canottiera di fronte ad esso. Guardava l’interno del guardaroba spalancando le sue ante il più possibile.
Giulia si ripresentò di nuovo accanto a lei.
«Ci rivedremo?»
«Certo che sì.»
«Non vieni più al Caffè.»
«Se potessi stare con te ci rimarrei, ma non appartengo a quel tipo di luoghi. Ci andavo solo perché avevo la tessera di mio marito. Dov’è finito il tailleur?»
«Hai una mostra d’arte?»
«No, ma mi devo recare fuori città per valutare il valore di una tela. È stata trovata nella soffitta di una villa costruita a fine ottocento. Secondo i nuovi proprietari vale molto.»
«Quando?»
«Cosa?»
«Quando ci rivedremo?»
Valentina smise con la sua ricerca. Fissò Giulia in punta di piedi, nuda, braccia incrociate e un volto che non auspicava a nulla di buono.
«Ti chiamerò stasera stessa.»
Il volto di Giulia scomparve sotto una lesta insofferenza che era inutile nascondere.
«L’ultima volta ho dovuto aspettare un mese per rivederti. Ti ho chiamata diverse volte, ma non hai mai risposto.»
«Che ti devo dire? Sono molto impegnata, lo sai. Ti lascio una copia delle chiavi dell’attico? Puoi rimanere a dormire qui stanotte se non vuoi tornare a casa.»
«No.» Giulia odiava la solitudine, avrebbe ancora di più detestato dormire da sola in un luogo così grande.
«Come vuoi tu allora.»
Valentina si vestì con la giacca del tailleur e un pantalone largo sotto le ginocchia; i tacchi che rumoreggiavano ad ogni battito sul pavimento.
«Come sto?»
«Bene.»
Giulia indispettì Valentina.
«È orrendo, vero? È passato oramai di moda dalla scorsa stagione.»
«No, stai bene. Sul serio.»
Valentina sondò il volto di Giulia con fare indagatorio.
«Non so se te l’ho mai detto, ma per quanto ci provi non capisco mai che cosa vuoi veramente. Sembra che nulla ti convinca.»
Era vero? Giulia faticava a crederci. Si era oramai distaccata dalla ragazza che era un tempo, pensava che ora potesse essere in grado di prendere decisioni migliori di quelle che prese una volta.
«Senti, ti lascio lo stesso le chiavi. Sei libera di venire quando vuoi qui, fino a quando mio marito non ritornerà dal suo viaggio di lavoro.»
Valentina si accostò a lei, le regalò un lungo bacio, un sorriso, e poi la lasciò sola con i suoi pensieri.
Giulia vagò per le strade della città, fermandosi di tanto in tanto a vedere le vetrine dei negozi, fingendo interesse quando in verità stava solo pensando. Superò una piccola zona residenziale posta in alto nella città, si sporse dal muretto della via in cui si trovava e si incantava a guardare il mare. Più in là vide la spiaggia dove mesi prima era stato consumato il matrimonio che le aveva permesso di conoscere Valentina.
Fece cadere lo sguardo ai suoi piedi e tornò a passeggiare.
Arrivata ad un incrocio udì dei forti battiti provenire da un palazzo lì vicino. Luci viola, gialle e verdi si dipanarono dalle finestre dell’edificio. Una discoteca che aveva aperto da poco, libera a tutti, senza biglietto. Giulia fece la fila per entrarvici e una volta dentro si fiondò al bancone bar, dove bevve tre gin tonic, un bloody mary e due vodka lemon. Qualcuno si fermò a parlare con lei al bancone: una giovane coppia, un viscido che ci provò con lei e tre ragazze che le chiesero di scattare una foto. Arrivò poi un giovane ragazzo, vestito con una corona di alloro, che aveva in compagnia con sé una comitiva di quelli che sembrarono dei neolaureati. Chiesero al barista tredici bicchieri di vodka e si avventurarono poi nella pista da ballo.
Giulia ebbe un fremito. Bevve l’ultimo sorso del suo bloody mary e si diresse verso il centro della sala. Il suo obiettivo era lui, il ragazzo con la corona d’alloro. Si mise a ballare tra la gente, ogni tanto approcciando qualcuno per danzare assieme, ma era solo un modo che usava per raggiungere il ragazzo decisamente più giovane di lei.
Alla fine arrivò al suo cospetto: era con una ragazza che Giulia scansò via, in un modo talmente rude che l’altra manco fece in tempo a realizzare che le stavano portando via il fidanzato. Giulia ballò con lui, comandava i passi del ragazzo, lo incitava a crearsi spazio tra la calca di persone e, infine, mise le sue braccia attorno al suo collo e lo baciò.
Giulia sentì qualcosa di nuovo: farsela con qualcuno che aveva molti anni in meno di lei, ricercando un senso di giovinezza in quel bacio, come un incantesimo che avrebbe spezzato le responsabilità di avere una ragazza che tradiva il marito, il ricordo di Leo che affiorava di continuo nella sua mente, il suo migliore amico che avrebbe avuto un bambino, una di quelle cose che lei non avrebbe mai vissuto, e Serena che l’assillava con il lavoro. Per quella notte poteva essere chiunque e lei scelse di essere una sconosciuta.
Senza scomodarsi di tornare a casa, che stava dall’altra parte della città, Giulia portò il ragazzo nell’attico di Valentina. Ubriaca, dovette farsi aiutare dal giovane per aprire la porta. Una volta dentro sbatté più di una volta contro il muro, dove a fatica riusciva ad usare la parete per rimettersi in piedi. Afferrò la cravatta del suo spasimante, usandola come appoggio per non fare un altro capitombolo al suolo, ma fu inutile e stramazzarono assieme sul pavimento.
«Non mi hai detto come ti chiami.» Giulia prese la corona d’alloro e se la mise in testa con fare giocondo.
«Marco. E tu?»
«Giulia. Non dispiacerà mica ai tuoi amici se stanotte la passi con me?»
Marco scosse le spalle.
«Quanti anni hai?»
«Ventitré.»
«Sei giovane…e così bello.»
Giulia non aveva più controllo di quello che diceva.
«Tu, invece?»
«Oh, ma non si chiede l’età ad una ragazza.» Giulia lo ammutolì dandogli un altro bacio sulle labbra, mentre prese a snodargli la cravatta.
«Dai, dimmelo. Sono curioso.»
«Se te lo dicessi faresti lo stesso sesso con me?»
«Mi piacciono le ragazze più grandi di me.»
Giulia tentennò.
«Trentadue.» Rise sguaiatamente.
«Ne dimostri di meno.»
«Ah, non è vero.» Finse imbarazzo.
«Lo giuro.»
Risero.
Giulia riuscì a mettersi in piedi. Tolse i tacchi e li gettò da un lato, mentre fece strada a Marco verso il talamo.
Si gettò sul letto, la gamba piegata per addurre il ragazzo verso di lei.
«Riesco a vederlo sotto i pantaloni» Giulia si morse il labbro inferiore. «Perché non lo fai uscire?»
Marco prese a giocare, nascondendo la patta dietro le proprie mani. Giulia lo chiamò a sé. Gli aprì la zip mentre continuava a fissarlo negli occhi e presto si ritrovò il suo membro di fronte al naso.
«È…enorme.» Lo toccava impressionata, mentre si sbottonò la camicetta per far uscire i seni. «Ora toccami tu Marco.»
Giulia sentì le sue ruvide dita spremerle i capezzoli. Fredde, maniacali, sapevano come muoversi. Marco desiderava palparli di più, ma Giulia preferì che fosse lui ad avere il primo piacere e protese la sua lingua verso il suo sesso.
«Dio…» Esalò Marco, mentre spingeva la testa di lei a sé.
Giulia dovette stringersi forte al ragazzo per riuscire ad ingoiarlo tutto e trasalì con il volto vergato da due lacrime.
Si ridistese poi sul letto, chinata supina, aspettando che anche solo una folata di vento le alzasse la gonna.
Marco cercava ancora di tastare il terreno: doveva capire se era lui o lei a dominare. Camminò a gattoni su Giulia, la virilità che aveva tra le gambe in escandescenze, le mani di lei che mossero gli indici per sedurlo.
Il suo membro si ritrovava a muoverle di poco il tessuto della gonna, la spostava per cercare le parti più recondite di lei.
«Fai piano.» Con quelle parole, Giulia abbandonò il suo stato di supremazia e si lasciò alla discrezione di lui.
Marco capì subito quale tipo di ragazza aveva davanti. La girò dall’altra parte, con la pancia rivolta verso il basso e le mani incrociate in fondo alla schiena. Le abbassò di poco la gonna, sentendo con il naso il profumo di cacao e mandorle che contraddistingueva Giulia. L’unico strato rimasto erano le calze, attraverso il quale Marco prese a baciare la pelle di lei, creandosi una scorciatoia tra le fenditure.
«Voglio sentirti dentro di me.» Altre parole che resero Giulia ancora più inerme.
Marco le sfilò le calze, osservando le dune di quella pelle muliebre, quella pelle che aspettava lui.
Entrò dentro di lei, prima con la punta, per assicurarle di non farle male, poi con tutto sé stesso.
Giulia cacciò uno stridulo: breve, sentito, prima che il dolore svanisse nel piacere totale; nell’idea di lui che si muoveva dentro di lei, nell’idea di aver conquistato un ragazzo più giovane di lei, nel mondo che aveva creato quella sera, dove era libera dai suoi errori.
Marco si aggrappava alle mani di lei. Giulia sentiva che aveva avuto altre esperienze prima, ma mai con una donna come lei, e lo percepiva da come si muoveva, delicato, troppo delicato.
La montava con una precisione tipica di chi sta commettendo il suo primo sbaglio.
«Marco…» Bisbigliò.
«Sì?» Il suono di lui, ondulatorio ai movimenti che faceva.
«Sto per venire.»
E Marco capì che era il momento di aumentare il ritmo. La spinse, ancora più affondo nella cunetta che avevano creato nel letto. Lei che affondò la faccia nel cuscino, soffocando le proprie espressioni di goduria nella faretra e scandendo il tutto nel focoso rilascio di nettari d’amore che ebbe in mezzo alle gambe.
Marco boccheggiava, resistendo mentre lei veniva sul suo membro.
«Puoi farlo» Giulia riprese il fiato. «Vienimi dentro.»
E lui ringraziò con potenti schizzi, cui ognuno portava un’emozione a sé stante che Giulia faticava a concepire.
Lui rimase dentro di lei per molto tempo, tutto quel tempo che bastò a Giulia per riprendersi almeno un attimo dalla sbronza e razionalizzare il tutto. Marco non era tanto diverso da Alessandro, quei momenti li stava vivendo esattamente come quella volta a casa sua. Ma questa volta decise di non intervenire, di lasciare Marco sognare: presto si sarebbero dimenticati di tutto.
Il ragazzo si sdraiò accanto a lei, sprofondando in una serie di respiri affannosi. Giulia lo guardava con mezza faccia affondata nel cuscino. Nessuna carezza, nessun bacio, nessuna parola: era stato solo sesso.
Chiuse gli occhi, in fretta, per dimenticare. Chiuse gli occhi sperando che l’alcol avrebbe preso il sopravvento sulle proprie memorie.
Giulia odiava svegliarsi con un raggio di sole che puntava dritto sulla propria faccia. Era fastidioso, specialmente quando attimi prima regnava il buio.
Si passò una mano in mezzo alle gambe: era ancora madida, un poco rigida.
Di fianco a lei il ragazzo era scomparso. La prima cosa che fece era ricordarsi il nome di lui, solo dopo realizzò che non si trovava a casa sua.
Si mise addosso un pantalone grigio che trovò in una sedia nella stanza, di Valentina probabilmente.
Accese il cellulare: quattro telefonate perse da Valentina, una da Serena.
Quanto era durata ieri notte? Gli attimi passati tra la discoteca e l’arrivo all’attico sembrarono essere stati così frenetici.
Si diresse in cucina, camminando furtiva come se si fosse infiltrata in un posto dove non doveva stare.
Marco era lì, che mangiava una tazza di latte con i cereali, impassibile, muto nell’adempimento di quell’azione quotidiana.
«Buongiorno.» Era sempre lei a fare il primo passo.
Marco salutò con un cenno della mano, senza mostrare emozioni, poi il cellulare gli squillò e fece una videochiamata con i suoi amici. Chissà cosa avrebbero pensato di lui dopo quella nottata? Per Giulia non era rimasto nulla, ma per un ragazzo come Marco era stata una scappatella di cui avrebbe parlato e si sarebbe vantato per sempre. Lei era stata solo il suo trofeo. Le dispiaceva ora per la fidanzata che lui aveva snobbato sulla pista da ballo, forse non se lo meritava.
Giulia si distese sul divano, accese la tv e si mise a guardare il telegiornale locale.
Aspettò che Marco se ne andò prima di riprendere il cellulare e telefonare Valentina.
Passò tutto appena sentì un “pronto?” provenire dall’altra parte del telefono.
        
        
        Valentina camminava scandendo ogni passo, muovendosi su una lastra di ghiaccio che solo lei poteva vedere. Scivolava via dagli occhi giudiziosi e dai problemi che gli altri cercarono di affossarle. Era già occupata ad affrontare i suoi di problemi, che si scaricavano gravi sulla schiena, un poco incurvata come quella di una persona goffa e timida. Il viso fioriva di una mestizia quasi affascinante, di chi conosceva troppo e di quel troppo ne faceva un fardello.
Giulia riusciva a captare in lei lo spirito maturo intrappolato in un corpo ancora troppo giovane per sopportare tutta quella saggezza. La vedeva ogni volta e ogni volta se ne innamorava.
«Domani abbiamo quella riunione con il fornitore di cui ti avevo parlato ieri. Alle nove avevamo fissato l’appuntamento, l’abbiamo posticipato di mezz’ora. Ricordiamoci anche del bouquet, è essenziale il bouquet.»
Il corpo piatto, snello, una piuma che si adagiava sulla cresta del lago. Un sorriso lesto e accennato quando parlava con il barista, pensava che fosse abbastanza per nascondere i suoi tragici occhi.
«La sposa ha voluto pure insistere sulla disposizione dei tavoli. È indisponente, se te lo chiedessi, e molto esigente. Vuole controllare ogni cosa. Forse dovremmo smettere di accettare questo tipo di clienti. Mi stai ascoltando?»
«Come?» Giulia scattò.
«Mi stai ascoltando? No, vero? Senti, mi spiace, è colpa mia. So che stai attraversando un periodo difficile e non dovrei scaricarti così tanto lavoro addosso. Forse dovresti prendere un periodo di pausa.»
Serena parlava vorace e rapida, era sempre di fretta. La sua mente era veloce e attiva, di chi non voleva perdere tempo a spiegarsi. Faceva parlare i fatti non le parole.
«No Serena, io…» Giulia di canto suo aveva la flemma di una poetessa, di chi guardava il mondo come una sinergia di forze lente e non arbitrarie. «Sì, hai ragione, è un periodo difficile, ma non deve ostacolare il nostro lavoro.»
Serena appoggiò la sua mano su quella di Giulia. Fredda, quasi spinta dalla pietà più che dall’empatia.
«Sono la tua socia in affari, ma prima di tutto sono la tua migliore amica.»
Giulia cercava di analizzare la sua faccia: non sorrideva, la confortava come se fosse in dovere di farlo.
«Non ti preoccupare» Giulia non voleva indugiare. «La faccenda con Teo appartiene al passato. Non c’è bisogno di preoccuparsi. A che ora mi devo presentare domani in agenzia?»
«Per le otto va bene. Se venissi un quarto d’ora prima sarebbe meglio» Serena riprese a parlare quanto bastava per riportare Giulia nel suo flusso di pensieri.
Valentina teneva in mano il bicchiere di caffè quando fu in procinto di andarsene. Il suono della campanella mentre aprì la porta accompagnò la sua uscita.
Chissà cosa ci faceva lì. Il circolo Caffè del Consorzio era riservato alle persone che erano titolari di piccole agenzie e startup. Bisognava avere una tessera per farne parte, motivo per cui tutti si conoscevano, anche solo discretamente. Valentina però non aveva l’aria di un’impiegata né tantomeno possedeva quello sguardo austero che contraddistingueva la gente che frequentava il locale. Forse per questo Giulia era così affascinata da lei. Gli anni passati a rincorrere obiettivi lavorativi, abituandosi alla conoscenza di persone che di loro non riuscivano che vantare l’uso del proprio raziocinio. Lei e Serena si erano ridotte come loro: avevano un’agenzia di wedding plan, avevano trasformato il matrimonio in bilanci finanziari e una maniacale cura di dettagli perlopiù superflui. “Rendi la tua passione un lavoro e non lavorerai un giorno della tua vita”, le dicevano i genitori, uno di quegli aforismi plagiati da chissà quale multimilionario. Solo da pochi anni scoprì che non era una frase incoraggiante, più un modo di rendere tutto ciò che possiedi solamente utile per il profitto. La sua anima spiccata per una romantica sensibilità non poteva più sopportarlo e si stava ribellando. Lo avrebbe fatto prendendo come ispirazione Valentina, forse.
23:01. Finalmente a casa. Giulia chiuse la porta dell’appartamento, la folata fredda di aria che proveniva dal corridoio la rinsavì, facendole ricordare che ora era libera dai chiacchiericci aziendali. Si guardò attorno: era libera, vero, ma la sua libertà l’aveva pagata a caro prezzo. Le mura del salotto puzzavano di vecchio e di solitudine: non una solitudine tanto ricercata e agognata, ma una solitudine deprimente e disprezzante. Con Teo aveva coperto il grigio strato delle pareti con una pittura color salmone; doveva servire a dare vita a quel posto, ora serviva solo per ricordarle che non aveva più nessuno accanto. L’amara nostalgia di una relazione che si erano promessi di far funzionare, ma non c’erano riusciti.
Non era stanca, solo spossata ed esausta. Si tolse i tacchi, i piedi doloranti toccavano il freddo pavimento. Si tuffò sul divano, accese la tv, la spense l’attimo dopo. Guardò verso il tavolo, il laptop ancora aperto e spento. Stava scrivendo un libro, ma più che a un romanzo assomigliava ad un confessionario. La storia era un fantasy, la protagonista una ragazza. Aveva scritto fino ad allora ottanta pagine, poi si accorse che nulla di tutto quello era frutto dalla sua fantasia più fervida: la ragazza del libro era lei, in tutto e per tutto; il modo che usava per approcciarsi con le dinamiche fantastiche di quel mondo erano solo una brutta copia della sua riservata personalità. Questa cosa la rattristò e interruppe il lavoro bruscamente. Quella sera però, decise di dare un’occhiata all’opera che aveva ripudiato. Lesse il primo capitolo e rifletté che era una storia poco umana, con uno stile troppo minimalista e poco introspettivo sulla versione dei fatti dei vari personaggi. Abbozzò una storia d’amore tra la protagonista e un ragazzo, che poi divenne una ragazza. Batteva le sue affusolate dita sulla tastiera, concitata, eccitata: la sua opera stava prendendo la forma che tanto voleva. Un flusso di dettagli e di situazioni verosimili che intessevano le lodi di quell’amore fittizio, stava restituendo al libro ciò che chiedeva sin dall’inizio. Poi la rivelazione: non stava fantasticando, stava trascrivendo di nuovo le sue confessioni. La storia d’amore era tra lei e Valentina. Forse non aveva il coraggio creativo di scrivere un romanzo, né tantomeno il talento di una penna narrante. Chiuse il laptop, scocciata e delusa.
Per far passare tutto serviva un lungo e caldo bagno. Avrebbe funzionato in altre occasioni, ma quella sera no, per un motivo o per un altro. La finestra del bagno dava su un cielo stellato che da tempo non si poteva vedere in città per colpa dell’illuminazione urbana. Sarebbe stato così bello descrivere la bellezza di quel panorama a qualcuno. A Serena? No, non avrebbe capito, avrebbe pensato che fosse ubriaca. Alla mamma? Da quanto tempo non ci parlava? A…Valentina?
Guardò in basso. Il vapore stava nascondendo il suo seno. Lo sfiorò con una mano, quasi come se non fosse suo e dovesse chiedere il permesso. Era gonfio, sodo, si muoveva indeciso ad ogni minimo spostamento dell’acqua. Le piaceva toccarsi, forse più di quanto non si ricordava. Da quanto tempo aveva smesso di curare la propria intimità, l’unico momento in cui tutto ciò che faceva lo doveva rendere solo a sé stessa? Non aveva tempo ovviamente, gli altri dovevano venire sempre al primo posto tra le sue preoccupazioni. Con Teo aveva sacrificato tutta la sua sfera intima. Non ci pensava proprio che un momento come quello poteva nuovamente accadere.
Appoggiò i piedi sul bordo della vasca, sfregavano tra di loro e si piegavano per cercare una posizione comoda. La mano seguiva la linea longitudinale del suo ventre; si tastò l'inguine, glabro e tumido, le dita bagnate scivolarono da sole per toccare la vulva. Giulia cacciò uno stridulo appena alluso, la mano sinistra che scorreva sui suoi capelli cercava di tenere la testa ferma, tremava dopo essere stata disabituata a quel brivido che partiva da lì sotto per ascendere tutto il corpo. Più che toccarsi sembrava strizzare la pelle attorno, doveva prendere la cosa con calma. Trovare magari un pensiero che poteva aiutarla. Un’idea, una persona: Valentina. La mente di Giulia prese a configurare la faccia della ragazza, improvvisava come un rullino di ricordi ognuno separato da quell’altro; pronunciò il suo nome a voce alta, si era liberata. Le sue dita si impregnarono di un liquido che non fu di certo acqua. Le portò di fronte al naso, staccava l’indice e il medio fra di loro per creare filamenti densi e trasparenti. Il vapore fece il resto per regalarle di nuovo quel senso di pienezza che si era scordata che esistesse.
4:26. Giulia si stropicciava gli occhi. Guardò la sveglia, poteva dormire ancora un altro paio di ore e non ci riusciva. La quiete della camera da letto l’aveva spaventata e svegliata. Non era naturale sentirsi così soli. Andò alla finestra, aprì le tende: un cane randagio passava per il marciapiede e regnava su quella distesa di cemento. Si rimise con la testa sul cuscino. Abbassò la mano sul suo lato sinistro, in uno strano tentativo di cercare un’altra presenza in quel letto che era troppo grande per una sola persona. Ma nel posto dove un tempo c’era Teo ora c’era un cuscino a forma di cuore. Lo abbracciò, cercava di condividere i propri sentimenti con lui; non parlava però, rimaneva fermo a guardarla con quello stupido sorriso cucitogli sopra. Versò una lacrima e il rosso fuoco del tessuto divenne scarlatto.
Alle sei e mezza le sembrò di dormire su un masso di pietra. Il torcicollo la stava seviziando, le gambe le dolevano. Dovette alzarsi dal letto, guardò l’ora e si rifiutò di aprire nuovamente le tende per vedere la città. Si diresse in bagno, fece un tu per tu con il suo riflesso o, sarebbe meglio dire, il riflesso di una sconosciuta. Gli occhi gonfi, incrostati dal pianto; le labbra secche e crepate, i capelli avevano perso il loro colorito. Prese a girare la faccia da lato a lato, sperando ogni volta di notare un nuovo particolare; il trucco non sarebbe servito questa volta per coprire le imperfezioni. Si spogliò dalla camicetta da notte, a petto nudo di fronte a quella donna che non riusciva ad identificare. Notò una mora sotto i seni, delle smagliature bianche che le correvano lungo la pancia; aveva accumulato un po’ di grasso attorno ai fianchi, ma il suo fisico a clessidra reggeva ancora. Si sciacquò la faccia, acqua rigorosamente fredda, in uno strano tentativo di lavare le impurità. Ad occhi chiusi, con le gocce che le scendevano dalla fronte, l’unica faccia che riusciva a vedere era quella di Valentina. Un fremito le passò attraverso le gambe; era seminuda, se avesse voluto avrebbe potuto replicare la serata di ieri.
Qualcuno suonò al campanello. Giulia ebbe uno scossone, di chi sembrava essere stata colta in flagrante nel commettere un atto osceno. Si asciugò celere la faccia e si rivestì, camminando a piedi nudi verso la porta. Poco prima di aprire, il campanello suonò nuovamente e questa cosa la infastidì assai. Era Alessandro, il vicino di casa; smagliante, alto, grandioso, seppur accartocciato in una posa che non vantava nulla se non la modestia: Giulia si chiedeva ogni volta come faceva ad essere così brillante sin dalle sei di mattina.
«Scusami se ti ho svegliato, Giuli.» La sua voce era tiepida, cauta.
«Non ti preoccupare» E quella di Giulia rotta, seppur fievole. «Ero già sveglia.»
«Ero venuto per la perdita di acqua.»
Perdita di acqua? Giulia rinvangò con la mente nei ricordi confusi dei giorni precedenti, era difficile farlo a quell’ora della giornata. Aveva chiamato Alessandro due giorni prima, chiedendogli di presentarsi a casa sua per sistemare quel maledetto tubo. Gli aveva detto di arrivare presto, prima che lei andasse al lavoro: sapeva che Alessandro sarebbe stato disponibile sin dalle prime ore del mattino.
«Sì prego, accomodati.» Giulia lo fece entrare, dandogli piena libertà di muoversi dentro casa. Spesso lo invitava nel suo appartamento, erano amici di lunga data.
«A che ora cominci a lavorare oggi?» La sua voce scompariva nel corridoio oltre il salotto.
«Alle otto» Si corresse poi. «Per le sette e tre quarti, a dire la verità. Ti preparo un caffè?»
«Certo, grazie.»
Giulia prese la moka, l’acqua e il caffè in polvere, che aveva un odore che la inebriava ogni volta.
«Lo vuoi macchiato? Un po’ di zucchero?»
Alessandro non la sentiva più; decise quindi di aspettarlo sul tavolo per chiederglielo.
Nemmeno una mezz’ora e di già il lavoro dell’idraulico era finito. Il suo caffè si era raffreddato, però.
«Bastava mettere solo un dado attorno al tubo» Disse, presentandosi all’entrata del cucinotto. «Grazie per il caffè.»
«È freddo, se vuoi te lo rifaccio.»
«Oh, non importa.»
«Grazie» Pronunciò tardiva Giulia, riferendosi al lavandino rotto.
Alessandro sorrise timido.
«Quanto ti devo?»
«Oh nulla, è compreso nelle spese condominiali.»
Un leggero imbarazzo salì nella stanza, come tra chi non aveva nulla da dirsi.
«Bene, ora è meglio che vada.»
«Aspetta…!» Perché lo aveva detto? «Io…»
Alessandro la guardò incuriosita, un po’ stupito di quella reazione. Da una parte però, aspettava proprio che glielo dicesse.
«Ho del vino. So che non è il massimo di prima mattina, ma è un sauvignon di prima qualità e non so con chi condividerlo. Sarebbe un dispiacere berlo tutto da sola.»
Dopo pochi minuti si trovavano sul divano; due calici mezzi colmi di vino, non abbastanza per rompere il ghiaccio. Chissà perché Giulia pensò che fosse una bell’idea.
«Non dovresti prepararti per il lavoro?» Alessandro era rigido, le mani sulle ginocchia, guardava lo schermo nero della tv aspettando che si accendesse da solo.
«C’è ancora tempo…» Giulia sedeva con la mano che sorreggeva la testa, la gamba rifilata sotto di lei e l’altra sospesa sul pavimento. Lo guardava, sperando che dicesse qualcosa, chiarendo le cose tra di loro. Non lo fece, non aveva il coraggio per farlo.
«Senti, Ale» Era un discorso che Giulia sapeva di dover fare prima o poi. «Quelle…cose successe tra di noi…»
Alessandro cominciò a guardarla negli occhi per la prima volta, messo alle strette come se una giuria stesse per pronunciare un verdetto su di lui.
«Ecco…forse dovremmo smettere di…»
«Tu mi piaci, Giuli» Una confessione adorabile, ma per Giulia era una fitta al cuore. «Non posso far finta che non sia così.»
Giulia non seppe cosa dire per le prime. Lo guardava con le labbra sigillate, i denti stretti in bocca; due occhi che sembravano delle lune, spalancati com’erano. Lo aveva detto veramente, quello che Giulia non avrebbe mai voluto sentirsi dire da parte sua alla fine lo aveva detto.
«Sei sposato, Ale. Non possiamo continuare a…»
«Lo so, lo so. Ogni volta che vengo a casa tua non porto mai la fede, sperando che possa servire per dimenticare la promessa che ho fatto a Federica.»
«Ale, eravamo ubriachi, tra di noi non c’è mai stato nulla di tutto quello. Eravamo solo sbronzi.»
«E allora perché ci penso ancora?»
«Anche io ci penso ancora, ciò non vuol dire che…»
«Ti prego, ascoltami» Alessandro unì le sue mani a quelle di Giulia. «Siamo amici da tanto tempo, possiamo confessare i nostri sentimenti liberamente, o sbaglio?»
Una domanda retorica, che Giulia era tentata di rispondere.
«Fino a due settimane fa tra noi sembrava non esserci nulla, se non l’amicizia che ci ha sempre tenuto uniti. Ho sempre pensato che fossi molto bella, davvero, ma non lo realizzai mai. Mi innamorai di Federica, era una cosa seria. E non so però, sembravo molto inesperto. Ti chiesi tanti consigli, ti assillavo anche per telefono, e tu sapevi sempre come aiutarmi. Ad una certa presi a parlare con Federica fingendo che fossi tu. Poi, quella sera, tu hai allungato il tuo braccio attorno al mio collo e ho sentito qualcosa, qualcosa di vero.»
«No, no…» Giulia negava, pensava che fosse abbastanza per non sentirsi in colpa. «Noi avevamo solo bevuto troppo.»
«E allora perché non ne abbiamo parlato prima? Se era così semplice perché non abbiamo trovato una soluzione prima?»
Giulia era sempre stata pudica a parlare dei suoi veri sentimenti. Forse riconosceva il fatto che tra lei e Alessandro un’intesa c’era, ma era solo una risposta chimica alla rottura con Teo.
«Solo che…» Le frasi di Giulia sembravano non avere mai una fine. «Mi sentivo così…»
“Sola. Da quando Teo è andato via, dopo che avevamo fatto all’amore per un’ultima volta. Mi sono sempre sentita sola in verità, per tutta la mia vita. Le cose non cambieranno mai Ale, tu non puoi aiutarmi in questo. Non prenderti responsabilità che non puoi gestire e, tantomeno, non provarci con me, perché ti farò solo del male. Vai da Federica, lei ti ama.”
Giulia voleva dire questo. Voleva sputargli in faccia la verità, ma Alessandro non c’entrava niente. Quel pensiero pareva solo molto altisonante. Gli occhi di lui erano teneri, vogliosi; l’aveva interrotta ancora, vedeva che muoveva le labbra ma non sentiva il suono, coperto da uno strano strido acuto che aveva cominciato a prorompersi nel suo orecchio. In quel momento erano molto vicini, quasi abbracciati l’uno all’altro. Giulia lo baciò.
Gli portò una mano dietro il collo e lo fece distendere su di lei. Trovò la radice del suo calore quando gli sbottonò di poco la camicia e passò la mano sul petto un poco ricoperto di peli. Lo guardava con gli occhi di chi sembrava dire ‘ti voglio, scusami se non te l’ho detto prima’. Lui la baciava, sul mento, sul collo, un attimo e si trovava già sul suo seno. Gli alzò la camicetta e gli affondò la faccia in mezzo, lambiva con la lingua i suoi turgidi capezzoli. Giulia sentiva una vampata di calore salirle dal cuore fino alla bocca, un blocco alla gola che si sciolse in un breve strepito. Percepiva il suo membro che strusciava tra i suoi pantaloni: duro, impaziente, lo voleva toccare. Gli aprì la zip e prese a massaggiargli la punta. Lo voleva dentro di lei, sentirlo un tutt’uno con il suo corpo. Agì con cautela, come era suo solito fare; lo fece strisciare prima per il tessuto delle mutandine e poi tra gli slip; sentiva come fremeva dalla voglia di trovare un posto in cui entrare e lei che prolungava il suo desiderio facendolo strisciare lungo le labbra. Lui stava per venire, sentiva un filo di liquido tingerle il bassoventre; lo accompagnò per farsi penetrare, delicata e materna. Alessandro sospirò nel suo orecchio, un lungo mugolio di chi anelava nella lussuria. Si stringeva attorno a lui, lo stava guidando come se lo stesse facendo per la prima volta, ma Alessandro si divincolava pensando di saper da solo come procurarle piacere. Ci riuscì, la fece bagnare. Giulia gemette: i loro lamenti li condividevano sempre all’orecchio, sussurri di chi si nascondeva, di chi voleva amare in segreto. Alessandro aspettava ancora, voleva spartirsi quelle note di godimento assieme a lei, arrivare al culmine con Giulia. Penetrò più affondo, lei percepiva i suoi tentativi di insistenza. Si lasciò andare, lo voleva accontentare come meglio poteva e presto il suo seme si unì ai suoi umori. Caldo, invadente, e così esaustivo. Alessandro non voleva staccarsi, era unito a lei per sempre. Ma sul volto di Giulia comparì di nuovo quella strana assortita di nostalgia e avvilimento: non stava facendo la cosa giusta, né per sé stessa né per lui, che di sicuro non si accorgeva del male che si stava procurando. Alessandro sprofondò con il volto erubescente tra i suoi capelli, mentre lei continuava a massaggiargli la nuca; si stava ancora muovendo dentro di lei, ma Giulia strisciò fuori come in allerta. Non voleva farlo ancora, non poteva farlo.
Guardò alla sua sinistra: i calici erano ancora riempiti di vino. Questa volta non poteva dare la colpa all’alcool.
«Ti prego, vattene» Giulia sapeva di ferirlo. «Vattene via.»
Alessandro continuava a riposarsi tra le sue ciocche di capelli. Era come assopito, di sicuro appagato e illuso di aver trovato un nuovo amore.
«Ale, devi andare via. Ti prego.»
Alessandro alzò la testa. Le diede un conciso bacio sulla guancia: ardeva come l’acciaio stridente di una lama.
«No…no» Giulia era stata messa in una situazione drastica. «Smettila, ti supplico.»
Alessandro non voleva crederci. Si stagliò davanti a lei, sorretto sulle proprie ginocchia. Il pene che gli penzolava davanti, ancora umido di brama.
«Perché mi dici così?» Parlava come se fosse stato appena abbandonato, come un bambino viziato e capriccioso.
«Perché non è giusto.» Parole troppo dolorose, sembrava che non fosse Giulia a parlare.
«È successo. Non eravamo ubriachi questa volta.»
«Lo so, lo so. Per questo te lo dico. Non accadrà come le scorse volte, che ci svegliamo con il mal di testa e facciamo finta che nulla sia successo solo perché stiamo troppo male per parlarne. Questa volta è finita, sul serio.»
Alessandro non sapeva controbattere. Non sapeva, Giulia era troppo potente e troppo onesta. Ad una certa sembrava che gli occhi gli si gonfiassero per piangere, ma la sua mente si rifiutava di comportarsi come se avesse avuto il diritto di difendersi. Doveva smettere di storpiare la realtà a suo piacimento.
Si riallacciò i pantaloni, aiutò Giulia a sistemarsi e poi si abbracciarono. Non un abbraccio d’amore, ma l’abbraccio di due amici, due buoni amici.
8:17. Giulia stava tardando al lavoro di oltre mezz’ora. Si era raccolta seduta contro la porta, sentiva ancora i passi di Alessandro fuori dall’entrata. Era una pessima persona, pensò. Ora sperava solo che le cose tra lei e lui tornassero come prima.
Andò in bagno, prese il cellulare e telefonò Serena inventando una scusa. Si guardò allo specchio: il suo volto sembrava un po’ più radioso di quando si era svegliata, sicuramente meno consunto e logoro dalla stanchezza. Si sarebbe aspettata di peggio. Si lavò alla svelta, le sue gambe tremavano ancora un poco. Si truccò usando soprattutto la cipria per rinvigorire in apparenza la pelle. La sua uniforme di donna in carriera la rendeva splendida, una ragazza nuovamente concentrata solo sul suo lavoro, quell’occupazione che odiava ma che ora sembrava l’unico metodo per dimenticare la mattinata.
Guardò fuori dalla finestra, là dove prima si rifiutò di vedere perché trovava solo desolazione. Le persone camminavano con il solito ritmo che contraddistingueva la città; le saracinesche dei negozi vennero alzate e le macchine sfrecciavano per evitare il traffico di prima mattina. Il cielo era terso, blu, il sole aveva ancora velature di rosso. Era una bella giornata.
× Capitolo II ×
L’agenzia dava sulla strada dell’incrocio che portava al centro storico della città, schiacciata dall’immensa banca e il più modesto fioraio. “Un’ubicazione perfetta per farsi notare”, pensava Serena col volto di chi ha appena sbancato alla lotteria. Capitava spesso che qualche turista entrasse dentro incuriosito da cosa potesse vendere quel “negozio”. In effetti il design esterno della struttura dava da ridire sul servizio che le due proprietarie offrivano. “Sembra un negozio di souvenir”, criticava ogni volta Giulia, ma a Serena interessava poco la cosa e, tantomeno, non avrebbero avuto i soldi per ristrutturare, spesi per la maggior parte in campagne pubblicitarie.
Giulia guardava la facciata dell’agenzia: si permetteva spesso di prendere due minuti del suo tempo ad osservare l’opera che creò con la sua migliore amica e ogni volta pensava quanto sarebbe stato divertente bruciare quel posto. Lo odiava, il suo volto si corrugava solo alla vista di quell’oscuro atrio di scartoffie e pratiche, ma non poteva deludere Serena che, appena la vedeva sul ciglio della porta, le sorrideva dalla vetrina, il sorriso di chi non vede l’ora di tornare a casa dopo una sfiancante ma esaustiva giornata lavorativa. Probabilmente a Serena piaceva torturarsi in quel modo, sicuramente era cambiata dalla ragazza festaiola e con una sfrenata passione per il tabagismo che Giulia aveva conosciuto all’università.
«Sei in ritardo.» Lo ripeteva con un’accennata ironia, pensando che ogni volta potesse servirle da lezione.
«Lo so, ho avuto un contrattempo.» A Giulia oramai importava poco del suo rendimento lavorativo.
«Come sempre. Pensi che questa agenzia vada avanti da sola?»
«No, ci sei tu.» Il sarcasmo le ritornava sempre utile per districarsi da affronti mordaci come quelli che spesso aveva con Serena.
«Sono seria.»
«Lo so. Quella tuta ti sta da Dio.»
«Pensi di distrarmi con l’adulazione?»
«Fino ad ora ha funzionato.»
Giulia si rifugiò nel bagno. Si sedette sulla tavolozza del water rilasciando un sospiro di sollievo. Si tolse i pantaloni e poi gli slip, così da allargare le gambe ed alzarle per appoggiarsi con i piedi sul lavandino e il manico dell’asciugamano. La sua mano tremava ogni volta prima di toccarsi, pensando al fatto che Serena era a meno di una parete di distanza da lei; le sarebbe servito aprire la porta per vedere la sua migliore amica con la faccia avvolta da un velo di piacere. Giulia non usava mai la chiave per chiudersi lì dentro, sapeva che Serena non sarebbe mai entrata e, anche se fosse stato così, la cosa non avrebbe avuto importanza per lei. Avrebbe fatto di tutto per profanare quel luogo che tanto odiava, visto che non poteva distruggerlo o licenziarsi. Inoltre, la masturbazione era diventata il suo unico modo per superare la giornata lavorativa. Lo faceva spesso, fino a quattro volte durante l’orario di lavoro. Trovava conforto nella delicata maestria delle sue dita che massaggiavano il bassoventre, sempre caute e ponderate; e lei fingeva che fossero le mani di un’altra persona, magari quelle di Valentina. Era metodica nel suo lavoro, quasi zelante. Massaggiava l’interno coscia, lo spremeva spinta da una morbosa voglia di possedere. Il pube pallido e stretto fremeva al tocco delle unghie ma il clitoride era la sua parte preferita, per cui riservava sempre la maggior parte del tempo prima di infilare l’indice e il medio dentro. Le bastava poco per venire, i nervi la ingannavano ogni volta e le mani rimanevano sempre impregnate dei suoi liquidi. Spesso però decideva di continuare, voleva abbandonarsi a quello stato di appagamento che avrebbe desiderato prolungare per sempre.
Quella volta rimase lì dentro per quindici minuti. Pensava che appena uscita Serena avrebbe avuto qualcosa da ridire, ma per la prima volta durante quel mese avevano dei clienti. Un uomo, alto, belloccio, l’ispida barba le ricordava quella di Alessandro; una ragazza, capelli biondi striati e una faccia stretta, che rinchiudeva tutta la carne sulle rosse guance. La guardarono appena sentirono il manico della porta abbassarsi, mentre Serena rimase con il suo sguardo serioso fisso sui due clienti: come al suo solito più che organizzare un matrimonio sembrava che stesse organizzando un meeting aziendale. Giulia li salutò e si accostò alla sua amica per ascoltare i dettagli della richiesta.
«Bell’idea quella di fare un matrimonio sulla spiaggia in piena estate.» Giulia faticava a nascondere il suo tono sardonico. Guardava i due sposini attraversare la strada, diretti verso la loro Mercedes-Benz, felici di aver appena concluso la pianificazione del giorno più importante della loro vita.
«Non ci hanno mai dato così tanti soldi prima di adesso. Dobbiamo fare tante cose, non possiamo deluderli.»
«Cominciando dal vedere le previsioni del tempo. Tra tre settimane non aveva messo il temporale?»
«Fa la seria per una volta.» Serena la guardava circospetta, voleva forse alludere ad altro. «Non ti ho mai vista così scherzosa da un sacco di tempo.»
«Che ti devo dire? Sto finalmente mettendo apposto le cose. Finalmente Teo sta diventando solo un mero ricordo…»
Lo stava diventando veramente?
«Sono contenta per te. Sarebbe meglio però investire le tue forze anche nel tuo lavoro.»
«Mi prometti che useremo parte di quei soldi per ristrutturare questo posto?»
«Ci tieni così tanto?»
«In teoria anche tu dovresti pensarci, è la prima cosa che i clienti notano.»
«Va bene. Faremo come dici tu, per una volta.»
Giulia aveva vinto.
«Bene, allora mi metto al lavoro.»
Arrivata a casa, Giulia non accese sin da subito le luci: qualcuno si trovava dentro il suo appartamento. La luce calda del bagno illuminava tutto il corridoio che portava alla camera da letto, strane e danzanti ombre presero a muoversi in quel mantello giallo che illuminava il blu serale che colorava la casa. Giulia si tolse i tacchi, prese a camminare sulla punta dei piedi per incontrare l’intruso. Arrivata all’entrata dell’andito si nascose dietro il muro e, ferma se non decisa, afferrò la scopa lì vicino. Il cuore palpitava concitato nel suo petto, poteva sentire come il suo rumore sovrastava i suoni metallici provenienti dal bagno. Decise di farsi coraggio e si palesò con uno scatto di fronte alla stanza. Cacciò un urlo intimidatorio e il “ladro” sbatté la testa contro il lavandino, accasciandosi per terra. Non era un criminale, bensì Alessandro che, dolorante, si accartocciava su sé stesso al suolo. Realizzando chi fosse, Giulia corse in suo soccorso, implorando scuse. Ancora una volta si era dimenticata che lo aveva chiamato per sistemare quello stupido lavandino.
Si sedettero attorno al tavolo della cucina, lui con una borsa del ghiaccio in testa, lei incapace di tenere fisso lo sguardo su di lui per non provare imbarazzo.
«Scusa…» La sua voce andava a perdersi.
«Ah, fa nulla» Alessandro si tolse la borsa dalla testa. «È solo un bernoccolo.»
Bevvero il caffè in religioso silenzio, sul tavolo che era ricolmo di piatti sporchi e stoviglie da lavare.
«Scusami per il disordine» Giulia non riusciva a non sentirsi in colpa, per qualsiasi cosa. «Di recente non ho avuto molto tempo per pulire.»
Alessandro scosse la testa.
«Come…sta Federica?»
«Bene» Il tono di Alessandro tramutò. «Stiamo aspettando un bambino.»
Giulia esternò tutta la sua meraviglia in faccia, un caleidoscopio di emozioni cambiarono la sua espressione per decine di volte in pochi attimi.
«Wow! Non pensavo che…»
«Avremmo mai voluto un bambino? Già, ci avevo perso le speranze, però alla fine si è convinta.»
Giulia si avvinghiò a lui e lo strinse in un caldo e affettuoso abbraccio.
«Sono così contenta per voi.»
Qualcosa sembrava non convincerla. Era passato così poco da quando ebbero fatto l’amore per un’ultima volta, poco più di quattro mesi prima, e nonostante avessero chiarito le cose la sua mente insisteva per avere altre delucidazioni. Lei aveva mosso il primo passo per sistemare le cose, lo aveva fatto per l’amore di due suoi amici, ma ancora sentiva una strana sensazione di vuoto.
«Da quando lo sapete?»
«Da circa un mese.»
«Non me lo hai mai detto prima.»
«Be’, non ci siamo più visti da tre mesi.»
Non aveva tutti i torti.
«Perché non festeggiamo? Ho un’altra bottiglia di sauvignon. La stappo e mi racconti tutti i particolari.»
«No, meglio di no» Per la prima volta Alessandro rifiutò i suoi inviti. «Data l’ora è meglio se ritorno da Federica. Grazie per il caffè.»
Alessandro stava per dileguarsi dall’appartamento e Giulia lo guardava appoggiata allo stipite del cucinotto. In quel momento sembrava vedere attorno a lui una strana aura, come se fosse maturato e cambiato: un nuovo Alessandro stava per uscire da quella porta.
«Ale.» Alessandro sobbalzò; rispetto alle scorse volte non si aspettava che lo chiamasse. «Sono contenta per voi.»
Era la cosa giusta da dire, ed era quello che pensava veramente.
Alessandro le sorrise e poi la lasciò sola, in un silenzio assordante.
Verso l’orizzonte del mare minacciose e oscure nubi presero a muoversi verso la spiaggia.
«Te l’avevo detto che ci sarebbe stato un temporale.» Non importava mai il motivo della questione, per Giulia un trionfo era un trionfo.
«Gli sposi hanno insistito che avvenisse oggi la cerimonia.» Serena appoggiava i gomiti sul muretto, guardando il tendone del gazebo raggrinzirsi sotto il violento vento che avrebbe portato un acquazzone. «Comunque la pioggia rende tutto più romantico.»
«Una pioggia normale, certo, non un temporale. Inoltre a te non interessa manco se un matrimonio sia romantico o no.»
«No infatti, ma agli invitati sì.»
A Giulia invece interessava. Certo, avrebbe continuato a discutere ancora a lungo sulle previsioni del meteo, ma lo avrebbe fatto solo per orgoglio. Vedere il grigio delle nuvole frastagliarsi con l’azzurro del cielo e il verde del mare scatenava in lei una sorta di pace interiore. Gli amanti erano felici, gli invitati pure a vedere la sposa che entrava nel corteo con la Marcia Nuziale suonata al piano. Quel matrimonio sembrava averle dato di nuovo un motivo per continuare a fare quel lavoro.
«È…molto bello, comunque.» Voleva complimentarsi con la sua amica, per la prima volta dopo tante settimane, ma Serena era scomparsa chissà dove.
Giulia indossava un peplo rosato, con la spalletta bianca: sembrava essere più damigella lei delle damigelle stesse. In testa aveva un fermaglio a forma di tulipano bianco e, nonostante non si addicesse al suo stile, portava pure gioielli e bracciali. Un vestito sontuoso, indossato sicuramente da chi non badava a troppe spese, ma Giulia non aveva sicuramente quei propositi né tantomeno esasperare così tanta ricchezza. Ma mai negò che quegli abiti risaltavano la sua bellezza in una maniera quasi poetica, esattamente come si sarebbe descritta se fosse stata la protagonista di una fiaba. Durante il matrimonio più di un uomo l’adocchiò e, per quanto cercò di essere il più cortese possibile, la cosa cominciava ad irritarla. Non nascose a sé stessa che, nonostante si stava divertendo, non vedeva l’ora di andarsene.
Alla sua destra un click risvegliò il suo sguardo perso. Il volto di una ragazza dai capelli bruni era nascosto dietro una fotocamera.
«Posso farti altre foto?»
Giulia cercò di trovare un qualcosa di familiare dietro quella faccia imbellettata di cipria e mascara. Era Valentina, la ragazza del Caffè del Consorzio, ora la fotografa del matrimonio. Si sarebbe aspettata di trovare chiunque lì, meno che lei.
Giulia rimase attonita da quell’inaspettata visita, Valentina era arrivata da lei quasi per caso.
«Quindi?» Valentina sorrise a vedere il volto distratto della sua innamorata. «Posso farti altre foto sì o no?»
«Certo.» Giulia bloccò il balbettio per non fare figuracce.
D’improvviso il suo corpo seppe da solo come muoversi per fare da modella. Appoggiò la mano sul dorso del muretto, l’altra la piegò per formare un angolo retto e aggrapparsi ai capelli. Girò la testa di profilo, una ciocca di cappelli nascondeva parzialmente la sua faccia. La bocca schiusa, provocante, le sopracciglia inarcate e le palpebre che nascondevano quasi svogliate il blu dei suoi occhi.
Si sentirono quattro click provenire dalla fotocamera, Valentina sembrava abbastanza soddisfatta del risultato.
«Sono perfette.» Giulia nascose un sorriso timido dietro leste dita. «Ti ho già vista da qualche parte, giusto? Una ragazza così bella come te non passa sicuramente inosservata.»
«Sì» Giulia sembrò percepire un certo tono civettuolo dietro l’affermazione di Valentina. «Il Caffè del Consorzio.»
«Ah, giusto. Eri sempre con quella ragazza con gli occhiali. Anche lei è qui al matrimonio.»
«È la mia migliore amica…collega. Abbiamo organizzato la cerimonia.»
«Capito. È meraviglioso. Complimenti.» Valentina tentennò. «Specialmente il buffet.»
Intuendo l’invito velato, Giulia seguì Valentina al buffet nel gazebo. La ragazza timida e introversa che aveva intravisto per la prima volta al Caffè sembrava ora splendere di una nuova apparenza. Spigliata, schiena dritta e risoluta, lo sguardo di chi voleva sapere tutto del suo interlocutore. Le sue guance erano bianche e, insieme al suo mento, davano al suo volto quell’effetto di allungato. Valentina guardava Giulia dal basso verso l’alto, provocante e per nulla reticente a mostrare le sue vere intenzioni.
Nell’aria cominciò a farsi sentire l’odore acre della pioggia. Una sfilata di persone in agitazione corse sotto il tendone bianco, ridendo e applaudendo gli sposi. L’atmosfera dentro la sala cominciò a farsi calda, umida; sia Valentina che Giulia percepirono di essere soffocate.
«Andiamo da un’altra parte.»
«Non vorrei bagnarmi.» Giulia si lagnava come se l’acqua fosse davvero un problema.
«Dai, non ti preoccupare.»
Valentina prese ad ispezionare il suo volto con un sorriso malandrino; si accostò alla sua faccia e la baciò. Giulia la richiamò a sé e ripeté il gesto, però più caldo, più avvolgente.
«Allora? Ti ho convinta?»
Giulia non resistette e, nascosti dal furore di persone concentrate unicamente sugli sposi, corsero via.
Lo stanzino del bagnino aveva un solo posto a sedere. Valentina lo usò come motivazione per sedersi sopra Giulia, mentre la riempiva di avidi e ghiotti baci. La loro pelle si univa, il bagnato creava degli umidi rumori, i loro fiati immersero l’atmosfera del cubicolo in una coltre di passione repressa.
«Voglio sentirti dentro di me.» Valentina voleva dettare le regole.
Condusse dolce la mano di Giulia sotto la sua gonna. Passò le sue dita tra la corona del suo buchino e poi dentro il suo nido di passioni. Il pollice che le massaggiava il clitoride, l’indice e il medio che annaspavano dentro quell’umido atrio. Valentina orgasmò, un orgasmo potente che si frappose al rumore della pioggia. Si calò la scollatura e due seni avvolti dalla penombra agguantarono la faccia di Giulia, che si perse in quello spacco di goduria.
«Infila…infila tutta la mano dentro.» Un ordine, una richiesta disperata.
Giulia era intimorita dal farle male, ma la sua perversione non poteva che esaudire i desideri della sua amata. Chiuse le dita a mo’ di becco e cercò di penetrare più affondo, permettendo a Valentina di esplodere in una pozza di umori ed estasi.
Valentina sfilò la mano di Giulia dal bassoventre. La guardò, fradicia e sudata, per poi succhiarne le dita una per una. Non fece in tempo a finire che l’altra mano stava spogliando Giulia dalla gonna, vogliosa, timorosa, ma irrazionale.
Intrecciò le dita della mano con quelle di lei quando si trovò a meno di due centimetri dalla sua vagina, in cui l’acqua della pioggia si mischiava al sudore. Due mani che si strinsero forti tra di loro, specialmente una, quella di chi voleva solo sentire quella lingua dentro di sé.
Valentina partì all’attacco, Giulia gemette e scoppiò in un canto orgiastico. Le labbra che baciavano a ripetizione la pelle attorno, sfiorando il clitoride che veniva massaggiato da un vellutato pollice. La bocca di Valentina sapeva compiere miracoli, la sua lingua era in fremito per sentire i sapori della sua amata. Voleva farla godere, quasi come a ricordarle che solo lei poteva procurarle quel piacere così selvaggio.
Giulia appoggiò le gambe sulle spalle di Valentina, le strizzò il seno, caldo, viscido, sentendo un fantomatico latte scorrere tra quei capezzoli. Le massaggiò i capelli, spinse la sua faccia più in giù, il naso che aveva cominciato ad entrarle tra le labbra della vagina.
«Ecco…sto per venire…» Parole tremanti, secche, precederono due schizzi di un liquido rovente e limpido che riempirono la bocca che possedeva quella lingua così magica.
Valentina si leccò le labbra, rumoreggiando come meglio poteva. Voleva che un immaginario spione venisse a conoscenza di ciò che riusciva a fare solo con la sua lingua.
In seguito si mise a sedere sulla panca singola al posto di Giulia, che la guardava stizzita e in piedi, toccandosi per non indebolire la carica d’amore. Ora Valentina aveva addosso solo il pezzo superiore dell’abito, le gambe che si divaricavano e venivano levigate da gocce di umori che cadevano al suolo prorompendo in laconici picchietti. Guardava la sua amante, passando due dita lungo l’organo della sua carnalità.
«È il tuo turno.» La voce di Valentina tremava ancora.
Giulia si prostrò di fronte a lei, si fece strada con le mani massaggiandole le cosce. Valentina non poteva aspettare, afferrò la testa dell'inginocchiata e la infilò in mezzo alle sue gambe. Orgasmò, di nuovo, più forte. Giulia sentì una scarica di sapori frapporsi tra di loro nella sua piccola bocca; la sua lingua si muoveva per raccogliere gli umori di Valentina e le sue dita graffiavano sulla pelle delle gambe per tenere a bada i suoi istinti. Dei baci, le sue labbra si univano a quelle della vulva di Valentina; sentiva come tremava, le sue paure e il suo orgoglio. Spinse più forte la lingua, cercò di muoverla più repentina e Valentina ringraziò con un altro potente gemito, mentre lasciò fluire tutti i suoi liquidi attorno alle labbra della sua amata. Giulia fu sorpresa del sapore dolce di quel nettare. Lo assaggiava, schioccando la lingua a più riprese, mentre si riposava nel grembo di Valentina.
«Dove eri finita?»
Il temporale era terminato, la sabbia bagnata creava rumori ruvidi mentre gli invitati ci camminavano sopra. Giulia cercò di sistemarsi come meglio poteva, ma non riuscì ad evitare le mani di Serena che si mossero per pettinarle i capelli, senza chiedere nulla, come se sapesse. Non era passato molto tempo da quando lei e Valentina ebbero finito, forse poco più di quindici minuti, forse troppo per assentarsi dalla cerimonia.
«Hanno deciso di anticipare il taglio della torta.» Serena faticava a scandire le parole, forse per l’ansia. «Dobbiamo essere lì in tempo.»
Serena si affrettò a raggiungere il gazebo, sperando che la sua amica la seguisse di pari passo. Ma Giulia era troppo concentrata a guardare Valentina, che uscì dallo stanzino dopo di lei per non destare sospetti: in fatto di acconciatura sembrava messa peggio.
Valentina diede occhiate guardinghe attorno, voleva non farsi notare mentre si accostava a Giulia. Le diede un bacio sulla guancia, lieve, tenero, e poi nascose un pezzetto di carta dentro la sua tasca.
«Chiamami.» Disse, mentre prese a scorrere le foto nella galleria della sua fotocamera, dileguandosi tra la calca di persone.
× Capitolo III ×
“Toccarla. Toccarla. Sentire che lei esiste accanto a te, come qualcosa di inevitabile”.
Avevano appena finito di farlo e tremavano ancora di orgoglio e di desiderio. Valentina massaggiava la spalla di Giulia, mentre leggeva lo “zibaldone” di poesie che teneva gelosamente nella sua libreria.
I loro corpi nudi si cingevano tra di loro, le loro pelli odoravano di una stanchezza esaustiva, totale.
«Questo è quanto.» Affermò, rinchiudendo il voluminoso libro. «Sei così bella.»
Giulia non riusciva più ad imbarazzarsi ormai. Glielo ripeteva così tante volte e ogni volta suonava sempre diverso. Il suo sorriso sembrava oramai una parte di lei.
Valentina si alzò dal divano, si stiracchiò allungandosi verso l’alto; appoggiò il libro sul ripiano vicino a loro e Giulia la guardava come se si fosse ridestata da un lungo sogno.
«Ho bisogno di lavarmi.» Strizzò l’occhio, voleva che Giulia l’accompagnasse. I loro inviti erano sempre impliciti, segreti, l’intesa era quella che contava nel loro rapporto.
L’attico in cui Valentina viveva era enorme, adornato con decine di opere d’arte, sculture, diorami e fiori, molti fiori. Le finestrate alte il quadruplo della loro altezza davano su un ampio grattacielo dall’altra parte della strada, dove le sue luci stavano via via spegnendosi, lasciandole sole su un panorama buio e placido.
Valentina aprì il getto della doccia, entrò nella vasca e richiamò con uno strattone l’amata al suo seno, dove le solleticò con le labbra il collo. Scese lenta, ma inesorabile, verso il sesso di Giulia, che fu nuovamente invasa da quella presenza dentro di lei, lasciandola abbandonata ad un lungo sospiro, allo scroscio dell’acqua che si confondeva dietro le note dei suoi sussulti. Alla fine fu un altro crescendo di umori che sgorgarono nella bocca dell’inginocchiata. Volevano altro ancora, sarebbero state in grado di continuare per molto.
Si incrociarono le braccia attorno ai colli, rigidi nonostante il vapore e l’acqua calda, nonostante la sensazione di appagamento. Giulia girò Valentina di schiena, cingendole i fianchi, e le carezzò il nido d’amore. Annaspava tra le sue cosce, la sua carne era soffice, vellutata, priva di impurità e levigata. Le sue parole, i suoi monosillabi, arrivavano alle sue orecchie smorzati, indecisi, quasi lamentosi. Ma Valentina fu appagata, riversò bollenti liquidi lungo le dita di Giulia e continuava a stringersi, a rinchiudersi in sé stessa, un tremito che la scuoteva e altre parole pronunciate sottotono all’orecchio.
«Resta ancora con me.» L’odore di vaniglia, le sue mani che sapevano sempre dove dirigersi. «Un altro minuto.»
Valentina appoggiava i suoi capelli ancora bagnati sul grembo di Giulia. Gli occhi semichiusi, le labbra che esalavano respiri come se dormisse profondamente. Invece Giulia sondava le pagine del libro con le dita, il suo sguardo si perdeva tra le parole, nell’inchiostro nero come la pece che la lasciava intontita. Non poteva concentrarsi, non con lei affianco.
Grattò con le unghie la fronte di Valentina, senza farle male, cercando di vedere come avrebbe reagito. Ma la sua espressione scendeva sempre di più verso uno stato soporifero. Vedere la sua bocca conciarsi per rilassarsi, le sue palpebre chiudersi per rivedere il mondo due ore più tardi, un tenero bacio posto sulle labbra l’avrebbe aiutata a rinsavire.
«Sai che non potrà durare per sempre.»
Dopo quello che successe con Alessandro aveva deciso di essere sempre onesta, per un motivo o per un altro.
«Perché?»
Fu stupita da quella domanda. Forse la stava provocando.
«Per tuo marito.»
«Lui non è mai qui» il riflesso allo specchio sembrava distorcere la faccia di Valentina vista dalla prospettiva in cui Giulia vedeva l’intera scena. «E non mi dà quello che mi dai tu.»
Non poteva cedere a certe lusinghe. Doveva resistere. Con Alessandro era stato difficile rompere: le motivazioni erano le stesse, non poteva permettere che Federica rimanesse ferita. Ma il marito di Valentina non lo conosceva, perché ora si comportava come se fosse stata provvista di una morale superiore che le permetteva di comportarsi sempre bene? “Perché era la cosa giusta da fare”.
«Non prendermi in giro.»
Valentina si voltò di scatto verso Giulia. Pensò di averla offesa e cercò di rassicurarla con un prolisso abbraccio.
«Stiamo così bene assieme, perché mai dovremmo rovinare tutto per lui?»
«Non ti interessa di lui?»
«Lui non è interessato a me.»
Regalò a Giulia un avvolgente bacio sulla guancia e la lasciò lì dov’era per andarsi a cambiare i vestiti, dacché aveva appena finito di truccarsi.
Arrivò nell’armadio della sua stanza e fece cadere le spallette della canottiera di fronte ad esso. Guardava l’interno del guardaroba spalancando le sue ante il più possibile.
Giulia si ripresentò di nuovo accanto a lei.
«Ci rivedremo?»
«Certo che sì.»
«Non vieni più al Caffè.»
«Se potessi stare con te ci rimarrei, ma non appartengo a quel tipo di luoghi. Ci andavo solo perché avevo la tessera di mio marito. Dov’è finito il tailleur?»
«Hai una mostra d’arte?»
«No, ma mi devo recare fuori città per valutare il valore di una tela. È stata trovata nella soffitta di una villa costruita a fine ottocento. Secondo i nuovi proprietari vale molto.»
«Quando?»
«Cosa?»
«Quando ci rivedremo?»
Valentina smise con la sua ricerca. Fissò Giulia in punta di piedi, nuda, braccia incrociate e un volto che non auspicava a nulla di buono.
«Ti chiamerò stasera stessa.»
Il volto di Giulia scomparve sotto una lesta insofferenza che era inutile nascondere.
«L’ultima volta ho dovuto aspettare un mese per rivederti. Ti ho chiamata diverse volte, ma non hai mai risposto.»
«Che ti devo dire? Sono molto impegnata, lo sai. Ti lascio una copia delle chiavi dell’attico? Puoi rimanere a dormire qui stanotte se non vuoi tornare a casa.»
«No.» Giulia odiava la solitudine, avrebbe ancora di più detestato dormire da sola in un luogo così grande.
«Come vuoi tu allora.»
Valentina si vestì con la giacca del tailleur e un pantalone largo sotto le ginocchia; i tacchi che rumoreggiavano ad ogni battito sul pavimento.
«Come sto?»
«Bene.»
Giulia indispettì Valentina.
«È orrendo, vero? È passato oramai di moda dalla scorsa stagione.»
«No, stai bene. Sul serio.»
Valentina sondò il volto di Giulia con fare indagatorio.
«Non so se te l’ho mai detto, ma per quanto ci provi non capisco mai che cosa vuoi veramente. Sembra che nulla ti convinca.»
Era vero? Giulia faticava a crederci. Si era oramai distaccata dalla ragazza che era un tempo, pensava che ora potesse essere in grado di prendere decisioni migliori di quelle che prese una volta.
«Senti, ti lascio lo stesso le chiavi. Sei libera di venire quando vuoi qui, fino a quando mio marito non ritornerà dal suo viaggio di lavoro.»
Valentina si accostò a lei, le regalò un lungo bacio, un sorriso, e poi la lasciò sola con i suoi pensieri.
Giulia vagò per le strade della città, fermandosi di tanto in tanto a vedere le vetrine dei negozi, fingendo interesse quando in verità stava solo pensando. Superò una piccola zona residenziale posta in alto nella città, si sporse dal muretto della via in cui si trovava e si incantava a guardare il mare. Più in là vide la spiaggia dove mesi prima era stato consumato il matrimonio che le aveva permesso di conoscere Valentina.
Fece cadere lo sguardo ai suoi piedi e tornò a passeggiare.
Arrivata ad un incrocio udì dei forti battiti provenire da un palazzo lì vicino. Luci viola, gialle e verdi si dipanarono dalle finestre dell’edificio. Una discoteca che aveva aperto da poco, libera a tutti, senza biglietto. Giulia fece la fila per entrarvici e una volta dentro si fiondò al bancone bar, dove bevve tre gin tonic, un bloody mary e due vodka lemon. Qualcuno si fermò a parlare con lei al bancone: una giovane coppia, un viscido che ci provò con lei e tre ragazze che le chiesero di scattare una foto. Arrivò poi un giovane ragazzo, vestito con una corona di alloro, che aveva in compagnia con sé una comitiva di quelli che sembrarono dei neolaureati. Chiesero al barista tredici bicchieri di vodka e si avventurarono poi nella pista da ballo.
Giulia ebbe un fremito. Bevve l’ultimo sorso del suo bloody mary e si diresse verso il centro della sala. Il suo obiettivo era lui, il ragazzo con la corona d’alloro. Si mise a ballare tra la gente, ogni tanto approcciando qualcuno per danzare assieme, ma era solo un modo che usava per raggiungere il ragazzo decisamente più giovane di lei.
Alla fine arrivò al suo cospetto: era con una ragazza che Giulia scansò via, in un modo talmente rude che l’altra manco fece in tempo a realizzare che le stavano portando via il fidanzato. Giulia ballò con lui, comandava i passi del ragazzo, lo incitava a crearsi spazio tra la calca di persone e, infine, mise le sue braccia attorno al suo collo e lo baciò.
Giulia sentì qualcosa di nuovo: farsela con qualcuno che aveva molti anni in meno di lei, ricercando un senso di giovinezza in quel bacio, come un incantesimo che avrebbe spezzato le responsabilità di avere una ragazza che tradiva il marito, il ricordo di Leo che affiorava di continuo nella sua mente, il suo migliore amico che avrebbe avuto un bambino, una di quelle cose che lei non avrebbe mai vissuto, e Serena che l’assillava con il lavoro. Per quella notte poteva essere chiunque e lei scelse di essere una sconosciuta.
Senza scomodarsi di tornare a casa, che stava dall’altra parte della città, Giulia portò il ragazzo nell’attico di Valentina. Ubriaca, dovette farsi aiutare dal giovane per aprire la porta. Una volta dentro sbatté più di una volta contro il muro, dove a fatica riusciva ad usare la parete per rimettersi in piedi. Afferrò la cravatta del suo spasimante, usandola come appoggio per non fare un altro capitombolo al suolo, ma fu inutile e stramazzarono assieme sul pavimento.
«Non mi hai detto come ti chiami.» Giulia prese la corona d’alloro e se la mise in testa con fare giocondo.
«Marco. E tu?»
«Giulia. Non dispiacerà mica ai tuoi amici se stanotte la passi con me?»
Marco scosse le spalle.
«Quanti anni hai?»
«Ventitré.»
«Sei giovane…e così bello.»
Giulia non aveva più controllo di quello che diceva.
«Tu, invece?»
«Oh, ma non si chiede l’età ad una ragazza.» Giulia lo ammutolì dandogli un altro bacio sulle labbra, mentre prese a snodargli la cravatta.
«Dai, dimmelo. Sono curioso.»
«Se te lo dicessi faresti lo stesso sesso con me?»
«Mi piacciono le ragazze più grandi di me.»
Giulia tentennò.
«Trentadue.» Rise sguaiatamente.
«Ne dimostri di meno.»
«Ah, non è vero.» Finse imbarazzo.
«Lo giuro.»
Risero.
Giulia riuscì a mettersi in piedi. Tolse i tacchi e li gettò da un lato, mentre fece strada a Marco verso il talamo.
Si gettò sul letto, la gamba piegata per addurre il ragazzo verso di lei.
«Riesco a vederlo sotto i pantaloni» Giulia si morse il labbro inferiore. «Perché non lo fai uscire?»
Marco prese a giocare, nascondendo la patta dietro le proprie mani. Giulia lo chiamò a sé. Gli aprì la zip mentre continuava a fissarlo negli occhi e presto si ritrovò il suo membro di fronte al naso.
«È…enorme.» Lo toccava impressionata, mentre si sbottonò la camicetta per far uscire i seni. «Ora toccami tu Marco.»
Giulia sentì le sue ruvide dita spremerle i capezzoli. Fredde, maniacali, sapevano come muoversi. Marco desiderava palparli di più, ma Giulia preferì che fosse lui ad avere il primo piacere e protese la sua lingua verso il suo sesso.
«Dio…» Esalò Marco, mentre spingeva la testa di lei a sé.
Giulia dovette stringersi forte al ragazzo per riuscire ad ingoiarlo tutto e trasalì con il volto vergato da due lacrime.
Si ridistese poi sul letto, chinata supina, aspettando che anche solo una folata di vento le alzasse la gonna.
Marco cercava ancora di tastare il terreno: doveva capire se era lui o lei a dominare. Camminò a gattoni su Giulia, la virilità che aveva tra le gambe in escandescenze, le mani di lei che mossero gli indici per sedurlo.
Il suo membro si ritrovava a muoverle di poco il tessuto della gonna, la spostava per cercare le parti più recondite di lei.
«Fai piano.» Con quelle parole, Giulia abbandonò il suo stato di supremazia e si lasciò alla discrezione di lui.
Marco capì subito quale tipo di ragazza aveva davanti. La girò dall’altra parte, con la pancia rivolta verso il basso e le mani incrociate in fondo alla schiena. Le abbassò di poco la gonna, sentendo con il naso il profumo di cacao e mandorle che contraddistingueva Giulia. L’unico strato rimasto erano le calze, attraverso il quale Marco prese a baciare la pelle di lei, creandosi una scorciatoia tra le fenditure.
«Voglio sentirti dentro di me.» Altre parole che resero Giulia ancora più inerme.
Marco le sfilò le calze, osservando le dune di quella pelle muliebre, quella pelle che aspettava lui.
Entrò dentro di lei, prima con la punta, per assicurarle di non farle male, poi con tutto sé stesso.
Giulia cacciò uno stridulo: breve, sentito, prima che il dolore svanisse nel piacere totale; nell’idea di lui che si muoveva dentro di lei, nell’idea di aver conquistato un ragazzo più giovane di lei, nel mondo che aveva creato quella sera, dove era libera dai suoi errori.
Marco si aggrappava alle mani di lei. Giulia sentiva che aveva avuto altre esperienze prima, ma mai con una donna come lei, e lo percepiva da come si muoveva, delicato, troppo delicato.
La montava con una precisione tipica di chi sta commettendo il suo primo sbaglio.
«Marco…» Bisbigliò.
«Sì?» Il suono di lui, ondulatorio ai movimenti che faceva.
«Sto per venire.»
E Marco capì che era il momento di aumentare il ritmo. La spinse, ancora più affondo nella cunetta che avevano creato nel letto. Lei che affondò la faccia nel cuscino, soffocando le proprie espressioni di goduria nella faretra e scandendo il tutto nel focoso rilascio di nettari d’amore che ebbe in mezzo alle gambe.
Marco boccheggiava, resistendo mentre lei veniva sul suo membro.
«Puoi farlo» Giulia riprese il fiato. «Vienimi dentro.»
E lui ringraziò con potenti schizzi, cui ognuno portava un’emozione a sé stante che Giulia faticava a concepire.
Lui rimase dentro di lei per molto tempo, tutto quel tempo che bastò a Giulia per riprendersi almeno un attimo dalla sbronza e razionalizzare il tutto. Marco non era tanto diverso da Alessandro, quei momenti li stava vivendo esattamente come quella volta a casa sua. Ma questa volta decise di non intervenire, di lasciare Marco sognare: presto si sarebbero dimenticati di tutto.
Il ragazzo si sdraiò accanto a lei, sprofondando in una serie di respiri affannosi. Giulia lo guardava con mezza faccia affondata nel cuscino. Nessuna carezza, nessun bacio, nessuna parola: era stato solo sesso.
Chiuse gli occhi, in fretta, per dimenticare. Chiuse gli occhi sperando che l’alcol avrebbe preso il sopravvento sulle proprie memorie.
Giulia odiava svegliarsi con un raggio di sole che puntava dritto sulla propria faccia. Era fastidioso, specialmente quando attimi prima regnava il buio.
Si passò una mano in mezzo alle gambe: era ancora madida, un poco rigida.
Di fianco a lei il ragazzo era scomparso. La prima cosa che fece era ricordarsi il nome di lui, solo dopo realizzò che non si trovava a casa sua.
Si mise addosso un pantalone grigio che trovò in una sedia nella stanza, di Valentina probabilmente.
Accese il cellulare: quattro telefonate perse da Valentina, una da Serena.
Quanto era durata ieri notte? Gli attimi passati tra la discoteca e l’arrivo all’attico sembrarono essere stati così frenetici.
Si diresse in cucina, camminando furtiva come se si fosse infiltrata in un posto dove non doveva stare.
Marco era lì, che mangiava una tazza di latte con i cereali, impassibile, muto nell’adempimento di quell’azione quotidiana.
«Buongiorno.» Era sempre lei a fare il primo passo.
Marco salutò con un cenno della mano, senza mostrare emozioni, poi il cellulare gli squillò e fece una videochiamata con i suoi amici. Chissà cosa avrebbero pensato di lui dopo quella nottata? Per Giulia non era rimasto nulla, ma per un ragazzo come Marco era stata una scappatella di cui avrebbe parlato e si sarebbe vantato per sempre. Lei era stata solo il suo trofeo. Le dispiaceva ora per la fidanzata che lui aveva snobbato sulla pista da ballo, forse non se lo meritava.
Giulia si distese sul divano, accese la tv e si mise a guardare il telegiornale locale.
Aspettò che Marco se ne andò prima di riprendere il cellulare e telefonare Valentina.
Passò tutto appena sentì un “pronto?” provenire dall’altra parte del telefono.
            
            
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