La Zucca

di
genere
dominazione

La giornata di Halloween era la festa preferita di Clarissa. Di solito amava sempre le feste e faceva di tutto pur di renderle immemorabili. Quando eravamo al college era l’anima della festa, ma l’età non guarda in faccia a nessuno e lei sapeva che non si sarebbe più potuta divertire come una volta. Ciò non la fermò mai dal trovare sempre delle maniere per riottenere ciò che il tempo le portò via, anche usando tecniche poco convenzionali.
«Quest’anno ci divertiremo.» Mi diceva, mentre preparava i suoi biscotti di pan di zenzero. Adoravo quel suo lato così giocoso, che si presentava spesso, ma specialmente in quelle occasioni. E, inoltre, la rendeva ancora più affascinante. Si faceva più arguta, quasi meschina quando si trattava di divertirsi. Ora che il suo ragazzo non era lì sarei stato io il bersaglio delle sue velenose intenzioni.
L’unico ricordo nitido che avevo prima che accadesse il peggio era lei che spremeva la saccapoche riempita di glassa sui biscotti, vestita con un grembiule da cucina arancione e nero, chinata quanto bastava per vedere lo strappo in mezzo alla tuta. Mi diede una fugace occhiata quando mi avvicinai a lei da dietro; uno sguardo torbido, quasi mefistofelico.
«Posso assaggiarne uno?» Chiesi, volendo allungare la mano su uno di quei invitanti biscotti.
«Sono ancora caldi.»
«Che differenza fa? Sono sicuro che sono già buonissimi così.»
Ne afferrai uno, quello con la faccia da Ghostface; ne addentai un ampio boccone e sentì come la glassa di zucchero si scioglieva deliziosa nella mia bocca, smorzata dal gusto piccantino dello zenzero. Al secondo boccone non potei non notare una specie di retrogusto amarognolo, sicuramente non spiacevole, che mi costrinse a volerne ancora.
«Dio, sono buonissimi.»
Mi fece un cenno con la mano verso la teiera, invitandomi a mangiarne ancora. Mi abbuffai come se avessi digiunato da giorni. Avrei dato l’impressione di un bambino che avrebbe tanto voluto conservare le caramelle di Halloween per gustarle più avanti e che avrebbe poi finito per mangiarle tutte in pochi minuti. Nessuno avrebbe potuto resistere a quel sapore così afrodisiaco, forse troppo afrodisiaco.
La mia testa sembrava sul punto di esplodere dopo aver inghiottito oltre metà teiera. Le luci della stanza parevano allungarsi in strisce di colore e le linee dei mobili si facevano sempre più confuse. Il mondo attorno barcollava, ma Clarissa rimaneva una figura stabile e stagliante di fianco a me, con un sorriso canzonatorio che era in perfetta armonia con il suo volto incipriato e il suo rossetto nero. Scoppiai in una fragorosa risata.
«Clarissa…che mi sta succedendo?»
«Oh, nulla di che. Ti ho solo drogato.»
Tirò fuori dalla tasca del grembiule una boccetta con una etichetta che mi era impossibile da leggere in quel momento.
«GHB. A basse dosi ha effetti simili all’alcol, ma te ne ho dato quanto basta per farti rilassare, inibire la tua volontà e farti divertire per almeno due ore.»
Risi, di nuovo, involontariamente.
«Posso…posso mangiare ancora i tuoi biscotti?»
«Ti piacciono, eh? Mancherebbe ancora un ingrediente per renderli più buoni. Se mi lasci finire di cucinare poi te ne farò mangiare altri ancora.»
Feci un cenno con la testa, per poi cercare di baciarla.
«Sei…così bella, Clarissa.»
Non sembrava ascoltarmi. I suoi occhi puntavano alla mia cintura. Mentre cercava di non farmi cadere, mi slacciò i pantaloni e impugnò la mia virilità, che era rimasta eretta sin da quando la vidi piegata sul davanzale della cucina.
«Oh…»
La sua presa era decisa e stretta. Mi passò l’indice sulla punta, per poi cominciare a segarmi.
Rise, spingendo la mia verga verso la teiera. Guardava verso il mio ventre, desiderando gustarlo anche con la bocca, ma preferiva frenare la propria golosità pur di terminare la ricetta dei biscotti.
«Ti piace, vero?»
Le sue parole rimbombavano nelle mie orecchie come mille sibili, quasi facevano male.
Aumentò il ritmo, mi piegai sulle gambe per cercare di resistere al piacere. E poi esplosi in sette fiotti di sperma, che glassarono i biscotti con l’ultimo ingrediente che serviva per renderli impeccabili.
«Dio…è stato incredibile.»
A quel complimento Clarissa sembrava farsi rossa in volta, una ragazza così disinvolta come lei che si imbarazza per così poco.
«Non è ancora finita. Ma prima devo recuperare le forze.»
Prese un biscotto dalla teiera, zuppo delle mie sostanze, e lo mangiò a piccoli bocconi racimolando con le dita lo sperma che attorno alle sue labbra ogni tanto sbavava.
«Davvero buoni. Ne vuoi altri?» Chiese, sarcastica.
Ero troppo confuso per risponderle. Preferì rimanere a fissarla mentre mangiava il mio liquido.
«Ora che abbiamo il cibo la festa può cominciare.»


Mi trovavo nel salotto, mentre ballavo al suono di una canzone R&B. Anche senza Clarissa, sembravo divertirmi a modo mio. Il mondo appariva sotto sfumature che mai prima di allora avevo visto. Dalla finestra degli occhi sembravano guardarmi, vogliosi anche loro di partecipare alla festa. Mi sedetti poi sul divano, sfiancato, mentre presi a parlare da solo. Sudavo e avevo il cuore in gola, la mia libidine non aveva smesso di giocarmi brutti scherzi. Sentivo che volevo ancora un pezzo di Clarissa, magari vederla sopra di me mentre mi sbeffeggiava per il suo trionfo. La mia mano lentamente scendeva nella mia zona del piacere, dove la protuberanza non aveva mai desistito.
Le allucinazioni ora sembravano apparire sotto forma di una donna che si muoveva a passo cadenzato verso la mia direzione. Il soggolo tratteneva i suoi boccoli e plasmava la sua faccia a forma di diamante. Un costume nero su cui erano ricamate le miniature di pipistrelli e streghe si stringevano al suo busto formoso, mentre le retine rosse sembravano che stessero per frantumarsi a furia di trattenere quelle cosce così morbide e succose. Sotto la gonna a ruota nera, si poteva vedere come sul sedere ci aveva dipinto una zucca arancione che mi guardava tremando al suono della canzone. Una mano dalle unghia blu si avvinghiò al mio collo e la ragazza si sedette sopra di me, massaggiandomi con la sua carne la protuberanza.
«È questo che vuoi?» Accompagnò le mie mani sulla zucca. «Voglio sentirtelo dire.»
Si accostò con l’orecchio alla mia bocca e io esalai un breve: “lo voglio”.
Ci guardammo negli occhi, le sue pupille si dilatavano ad ogni respiro, e poi ci baciammo.
Le sue mani cercavano calore, la sua bocca voleva assaporare una parte di me. Strisciò lungo il mio corpo e si inginocchiò di fronte a me, lambendo con la lingua il tessuto che tratteneva il mio piacere. Sfilò la cintura e la mia virilità sbatté contro le sue tenere guance, creando un secco schiocco. Passò le sue labbra lungo l’asta, sporcandola un poco con il rossetto, e poi inghiottì, facendomi urlare. Avrei voluto fumarmi una sigaretta in quel momento, ad ogni esalata guardare gli occhi curiosi alla finestra con aria compiaciuta, facendogli capire che quel ben di Dio sarebbe stato mio e solo mio. Afferrai la testa della ragazza con tutta la forza in corpo, mentre mi spingevo ancora più affondo nella sua bocca, che venne riempita dalle mie sostanze. La ragazza trasalì, con la faccia rigata da lacrime sporche, saliva e lo sperma che creava un effetto fosforescente sulle sua labbra nere.
«Sono sazia per questa sera.» La sua voce sembra assumere un certo colore nella mia mente. «Che ne dici se passiamo alla torta?»
Si alzò sulle gambe e la osservai insicuro di ciò che sarebbe accaduto. Si girò dall’altra parte e il suo corpo si scuoteva e tremava: ballava al ritmo della musica, il suo sedere rendeva il sorriso della zucca così ampio e malefico. Ballò sul mio cazzo, il suono di un’acuta risata che sembrava sfottermi.
E poi, incapace di resistere, l’afferrai per i bacini e ruppi le retine, affondando la mia faccia nella zucca, che di risposta palpitò sentendo le mie labbra lambire le sue.
La ragazza allungò la mano verso la mia testa. Sembrava che volesse massaggiarmi i capelli, invece voleva che la mia lingua si avventurasse ancora più a fondo, sempre di più, fino a farla venire. La mia faccia riemerse non solo imbrattata di vernice, ma anche di umori femminili.
«Apri questa zucca ora.» Accennò la ragazza, mentre affondò con il sedere sulle mie palle, senza prendersi pause.
Ero dentro la zucca. La sua bocca non era fredda e riempita di polpa, ma calda, accogliente, umidiccia, un piacere ad ogni movimento. Un torpore salì lungo il mio corpo, la ragazza continuava a ballare mentre gemeva: io la facevo gemere. Le sue unghie si stringevano attorno alle mie cosce, cattive e violente. La zucca cercava di inghiottirmi, mi divorava senza farmi intravedere cosa stava succedendo sotto di me, ma sentivo tutto, sentivo il suo calore, sentivo i suoi orgasmi, e gli occhi alla finestra che profilavano sopra lingue che sbavavano di fronte a quella selvaggia scopata.
«Riempi la zucca.» La ragazza mi risvegliò dal mio stato di estasi e io eseguì i suoi ordini.
Le labbra della zucca vennero inondate da rivoli di sperma, ghermivano ogni goccia che usciva dalla mia virilità. Caddi contro lo schienale del divano, lasciando le emozioni rimpiazzare la passione.
La ragazza si sfilò da me. Alzò il suo sedere con le dita, per farmi vedere cosa avevo creato. Un volto sbaffato, il sorriso della zucca sembrava essere diventato ora un broncio che trasecolava per la quantità di rigagnoli biancastri che l’avevano sporcata.
Il mio pene, finalmente, poteva riposare. Mi accesi quella sigaretta che tanto volevo fumare prima, mentre la ragazza si dileguò dietro la coltre di fumo che creai, e io mi addormentai vedendo il mondo scomparire e cadere attorno a me.

Mi risvegliai nella mia camera da letto, in tuta da pigiama. Nella mia testa una banda sembrava suonare, le mie gambe a fatica riuscivano a sorreggere il peso del mio corpo mentre mi dirigevo alla finestra. Sul viottolo di casa vi era parcheggiata la Station Wagon di Angelo.
Scesi giù in cucina, cercando di non inciampare per le scale.
«Oh, guarda!» Angelo ridacchiava. «Ieri sera anche qualcun altro si è divertito a quanto pare.»
Mi stropicciai gli occhi, così da vedere chi vi fosse dall’altra parte del tavolo: niente di meno che Clarissa, che beveva la sua usuale tazza di tè fumante.
«Ti sembra questa l’ora di alzarsi?»
«Ah, non rompere!»
Lo ignorai e mi diressi verso il frigo. Rimasi cinque minuti a fissare la luce bianca dell’interno, rinvangando con la memoria gli avvenimenti della giornata precedente. Era stato tutto un sogno?
«Buoni questi biscotti, amore.»
Un brivido mi salì lungo la schiena. Angelo stava mangiando i biscotti di Clarissa! Come faceva a non essersi accorto dell’ingrediente speciale? Ma certo, non era successo nulla la sera prima. Era stato tutto un sogno.
Mentre preparai la colazione, Clarissa e Angelo uscirono di casa per passare una giornata assieme.
Risi tra me e me, risi per il sogno assurdo che feci. Scopare Clarissa? Già, un sogno.
Mentre tenevo lo sguardo fisso sul telefono, totalmente inebetito, allungai la mano verso la teiera dei biscotti e le mie dita vennero impregnate da uno strano liquido. Glassa? Impossibile, dovrebbe essere stata più solida. No, era più viscoso, quasi appiccicoso. Mentre da una parte cercai di non guardare cosa stava sporcando le mie mani, dall’altra mi costrinsi a muovere lo sguardo dallo schermo alle mie dita, e la rivelazione: era sperma, il mio sperma.
scritto il
2025-10-24
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