Romanzo Saffico - Capitolo II

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L’agenzia dava sulla strada dell’incrocio che portava al centro storico della città, schiacciata dall’immensa banca e il più modesto fioraio. “Un’ubicazione perfetta per farsi notare”, pensava Serena col volto di chi ha appena sbancato alla lotteria. Capitava spesso che qualche turista entrasse dentro incuriosito da cosa potesse vendere quel “negozio”. In effetti il design esterno della struttura dava da ridire sul servizio che le due proprietarie offrivano. “Sembra un negozio di souvenir”, criticava ogni volta Giulia, ma a Serena interessava poco la cosa e, tantomeno, non avrebbero avuto i soldi per ristrutturare, spesi per la maggior parte in campagne pubblicitarie.
Giulia guardava la facciata dell’agenzia: si permetteva spesso di prendere due minuti del suo tempo ad osservare l’opera che creò con la sua migliore amica e ogni volta pensava quanto sarebbe stato divertente bruciare quel posto. Lo odiava, il suo volto si corrugava solo alla vista di quell’oscuro atrio di scartoffie e pratiche, ma non poteva deludere Serena che, appena la vedeva sul ciglio della porta, le sorrideva dalla vetrina, il sorriso di chi non vede l’ora di tornare a casa dopo una sfiancante ma esaustiva giornata lavorativa. Probabilmente a Serena piaceva torturarsi in quel modo, sicuramente era cambiata dalla ragazza festaiola e con una sfrenata passione per il tabagismo che Giulia aveva conosciuto all’università.
«Sei in ritardo.» Lo ripeteva con un’accennata ironia, pensando che ogni volta potesse servirle da lezione.
«Lo so, ho avuto un contrattempo.» A Giulia oramai importava poco del suo rendimento lavorativo.
«Come sempre. Pensi che questa agenzia vada avanti da sola?»
«No, ci sei tu.» Il sarcasmo le ritornava sempre utile per districarsi da affronti mordaci come quelli che spesso aveva con Serena.
«Sono seria.»
«Lo so. Quella tuta ti sta da Dio.»
«Pensi di distrarmi con l’adulazione?»
«Fino ad ora ha funzionato.»
Giulia si rifugiò nel bagno. Si sedette sulla tavolozza del water rilasciando un sospiro di sollievo. Si tolse i pantaloni e poi gli slip, così da allargare le gambe ed alzarle per appoggiarsi con i piedi sul lavandino e il manico dell’asciugamano. La sua mano tremava ogni volta prima di toccarsi, pensando al fatto che Serena era a meno di una parete di distanza da lei; le sarebbe servito aprire la porta per vedere la sua migliore amica con la faccia avvolta da un velo di piacere. Giulia non usava mai la chiave per chiudersi lì dentro, sapeva che Serena non sarebbe mai entrata e, anche se fosse stato così, la cosa non avrebbe avuto importanza per lei. Avrebbe fatto di tutto per profanare quel luogo che tanto odiava, visto che non poteva distruggerlo o licenziarsi. Inoltre, la masturbazione era diventata il suo unico modo per superare la giornata lavorativa. Lo faceva spesso, fino a quattro volte durante l’orario di lavoro. Trovava conforto nella delicata maestria delle sue dita che massaggiavano il bassoventre, sempre caute e ponderate; e lei fingeva che fossero le mani di un’altra persona, magari quelle di Valentina. Era metodica nel suo lavoro, quasi zelante. Massaggiava l’interno coscia, lo spremeva spinta da una morbosa voglia di possedere. Il pube pallido e stretto fremeva al tocco delle unghie ma il clitoride era la sua parte preferita, per cui riservava sempre la maggior parte del tempo prima di infilare l’indice e il medio dentro. Le bastava poco per venire, i nervi la ingannavano ogni volta e le mani rimanevano sempre impregnate dei suoi liquidi. Spesso però decideva di continuare, voleva abbandonarsi a quello stato di appagamento che avrebbe desiderato prolungare per sempre.

Quella volta rimase lì dentro per quindici minuti. Pensava che appena uscita Serena avrebbe avuto qualcosa da ridire, ma per la prima volta durante quel mese avevano dei clienti. Un uomo, alto, belloccio, l’ispida barba le ricordava quella di Alessandro; una ragazza, capelli biondi striati e una faccia stretta, che rinchiudeva tutta la carne sulle rosse guance. La guardarono appena sentirono il manico della porta abbassarsi, mentre Serena rimase con il suo sguardo serioso fisso sui due clienti: come al suo solito più che organizzare un matrimonio sembrava che stesse organizzando un meeting aziendale. Giulia li salutò e si accostò alla sua amica per ascoltare i dettagli della richiesta.
«Bell’idea quella di fare un matrimonio sulla spiaggia in piena estate.» Giulia faticava a nascondere il suo tono sardonico. Guardava i due sposini attraversare la strada, diretti verso la loro Mercedes-Benz, felici di aver appena concluso la pianificazione del giorno più importante della loro vita.
«Non ci hanno mai dato così tanti soldi prima di adesso. Dobbiamo fare tante cose, non possiamo deluderli.»
«Cominciando dal vedere le previsioni del tempo. Tra tre settimane non aveva messo il temporale?»
«Fa la seria per una volta.» Serena la guardava circospetta, voleva forse alludere ad altro. «Non ti ho mai vista così scherzosa da un sacco di tempo.»
«Che ti devo dire? Sto finalmente mettendo apposto le cose. Finalmente Teo sta diventando solo un mero ricordo…»
Lo stava diventando veramente?
«Sono contenta per te. Sarebbe meglio però investire le tue forze anche nel tuo lavoro.»
«Mi prometti che useremo parte di quei soldi per ristrutturare questo posto?»
«Ci tieni così tanto?»
«In teoria anche tu dovresti pensarci, è la prima cosa che i clienti notano.»
«Va bene. Faremo come dici tu, per una volta.»
Giulia aveva vinto.
«Bene, allora mi metto al lavoro.»

Arrivata a casa, Giulia non accese sin da subito le luci: qualcuno si trovava dentro il suo appartamento. La luce calda del bagno illuminava tutto il corridoio che portava alla camera da letto, strane e danzanti ombre presero a muoversi in quel mantello giallo che illuminava il blu serale che colorava la casa. Giulia si tolse i tacchi, prese a camminare sulla punta dei piedi per incontrare l’intruso. Arrivata all’entrata dell’andito si nascose dietro il muro e, ferma se non decisa, afferrò la scopa lì vicino. Il cuore palpitava concitato nel suo petto, poteva sentire come il suo rumore sovrastava i suoni metallici provenienti dal bagno. Decise di farsi coraggio e si palesò con uno scatto di fronte alla stanza. Cacciò un urlo intimidatorio e il “ladro” sbatté la testa contro il lavandino, accasciandosi per terra. Non era un criminale, bensì Alessandro che, dolorante, si accartocciava su sé stesso al suolo. Realizzando chi fosse, Giulia corse in suo soccorso, implorando scuse. Ancora una volta si era dimenticata che lo aveva chiamato per sistemare quello stupido lavandino.
Si sedettero attorno al tavolo della cucina, lui con una borsa del ghiaccio in testa, lei incapace di tenere fisso lo sguardo su di lui per non provare imbarazzo.
«Scusa…» La sua voce andava a perdersi.
«Ah, fa nulla» Alessandro si tolse la borsa dalla testa. «È solo un bernoccolo.»
Bevvero il caffè in religioso silenzio, sul tavolo che era ricolmo di piatti sporchi e stoviglie da lavare.
«Scusami per il disordine» Giulia non riusciva a non sentirsi in colpa, per qualsiasi cosa. «Di recente non ho avuto molto tempo per pulire.»
Alessandro scosse la testa.
«Come…sta Federica?»
«Bene» Il tono di Alessandro tramutò. «Stiamo aspettando un bambino.»
Giulia esternò tutta la sua meraviglia in faccia, un caleidoscopio di emozioni cambiarono la sua espressione per decine di volte in pochi attimi.
«Wow! Non pensavo che…»
«Avremmo mai voluto un bambino? Già, ci avevo perso le speranze, però alla fine si è convinta.»
Giulia si avvinghiò a lui e lo strinse in un caldo e affettuoso abbraccio.
«Sono così contenta per voi.»
Qualcosa sembrava non convincerla. Era passato così poco da quando ebbero fatto l’amore per un’ultima volta, poco più di quattro mesi prima, e nonostante avessero chiarito le cose la sua mente insisteva per avere altre delucidazioni. Lei aveva mosso il primo passo per sistemare le cose, lo aveva fatto per l’amore di due suoi amici, ma ancora sentiva una strana sensazione di vuoto.
«Da quando lo sapete?»
«Da circa un mese.»
«Non me lo hai mai detto prima.»
«Be’, non ci siamo più visti da tre mesi.»
Non aveva tutti i torti.
«Perché non festeggiamo? Ho un’altra bottiglia di sauvignon. La stappo e mi racconti tutti i particolari.»
«No, meglio di no» Per la prima volta Alessandro rifiutò i suoi inviti. «Data l’ora è meglio se ritorno da Federica. Grazie per il caffè.»
Alessandro stava per dileguarsi dall’appartamento e Giulia lo guardava appoggiata allo stipite del cucinotto. In quel momento sembrava vedere attorno a lui una strana aura, come se fosse maturato e cambiato: un nuovo Alessandro stava per uscire da quella porta.
«Ale.» Alessandro sobbalzò; rispetto alle scorse volte non si aspettava che lo chiamasse. «Sono contenta per voi.»
Era la cosa giusta da dire, ed era quello che pensava veramente.
Alessandro le sorrise e poi la lasciò sola, in un silenzio assordante.

Verso l’orizzonte del mare minacciose e oscure nubi presero a muoversi verso la spiaggia.
«Te l’avevo detto che ci sarebbe stato un temporale.» Non importava mai il motivo della questione, per Giulia un trionfo era un trionfo.
«Gli sposi hanno insistito che avvenisse oggi la cerimonia.» Serena appoggiava i gomiti sul muretto, guardando il tendone del gazebo raggrinzirsi sotto il violento vento che avrebbe portato un acquazzone. «Comunque la pioggia rende tutto più romantico.»
«Una pioggia normale, certo, non un temporale. Inoltre a te non interessa manco se un matrimonio sia romantico o no.»
«No infatti, ma agli invitati sì.»
A Giulia invece interessava. Certo, avrebbe continuato a discutere ancora a lungo sulle previsioni del meteo, ma lo avrebbe fatto solo per orgoglio. Vedere il grigio delle nuvole frastagliarsi con l’azzurro del cielo e il verde del mare scatenava in lei una sorta di pace interiore. Gli amanti erano felici, gli invitati pure a vedere la sposa che entrava nel corteo con la Marcia Nuziale suonata al piano. Quel matrimonio sembrava averle dato di nuovo un motivo per continuare a fare quel lavoro.
«È…molto bello, comunque.» Voleva complimentarsi con la sua amica, per la prima volta dopo tante settimane, ma Serena era scomparsa chissà dove.
Giulia indossava un peplo rosato, con la spalletta bianca: sembrava essere più damigella lei delle damigelle stesse. In testa aveva un fermaglio a forma di tulipano bianco e, nonostante non si addicesse al suo stile, portava pure gioielli e bracciali. Un vestito sontuoso, indossato sicuramente da chi non badava a troppe spese, ma Giulia non aveva sicuramente quei propositi né tantomeno esasperare così tanta ricchezza. Ma mai negò che quegli abiti risaltavano la sua bellezza in una maniera quasi poetica, esattamente come si sarebbe descritta se fosse stata la protagonista di una fiaba. Durante il matrimonio più di un uomo l’adocchiò e, per quanto cercò di essere il più cortese possibile, la cosa cominciava ad irritarla. Non nascose a sé stessa che, nonostante si stava divertendo, non vedeva l’ora di andarsene.
Alla sua destra un click risvegliò il suo sguardo perso. Il volto di una ragazza dai capelli bruni era nascosto dietro una fotocamera.
«Posso farti altre foto?»
Giulia cercò di trovare un qualcosa di familiare dietro quella faccia imbellettata di cipria e mascara. Era Valentina, la ragazza del Caffè del Consorzio, ora la fotografa del matrimonio. Si sarebbe aspettata di trovare chiunque lì, meno che lei.
Giulia rimase attonita da quell’inaspettata visita, Valentina era arrivata da lei quasi per caso.
«Quindi?» Valentina sorrise a vedere il volto distratto della sua innamorata. «Posso farti altre foto sì o no?»
«Certo.» Giulia bloccò il balbettio per non fare figuracce.
D’improvviso il suo corpo seppe da solo come muoversi per fare da modella. Appoggiò la mano sul dorso del muretto, l’altra la piegò per formare un angolo retto e aggrapparsi ai capelli. Girò la testa di profilo, una ciocca di cappelli nascondeva parzialmente la sua faccia. La bocca schiusa, provocante, le sopracciglia inarcate e le palpebre che nascondevano quasi svogliate il blu dei suoi occhi.
Si sentirono quattro click provenire dalla fotocamera, Valentina sembrava abbastanza soddisfatta del risultato.
«Sono perfette.» Giulia nascose un sorriso timido dietro leste dita. «Ti ho già vista da qualche parte, giusto? Una ragazza così bella come te non passa sicuramente inosservata.»
«Sì» Giulia sembrò percepire un certo tono civettuolo dietro l’affermazione di Valentina. «Il Caffè del Consorzio.»
«Ah, giusto. Eri sempre con quella ragazza con gli occhiali. Anche lei è qui al matrimonio.»
«È la mia migliore amica…collega. Abbiamo organizzato la cerimonia.»
«Capito. È meraviglioso. Complimenti.» Valentina tentennò. «Specialmente il buffet.»
Intuendo l’invito velato, Giulia seguì Valentina al buffet nel gazebo. La ragazza timida e introversa che aveva intravisto per la prima volta al Caffè sembrava ora splendere di una nuova apparenza. Spigliata, schiena dritta e risoluta, lo sguardo di chi voleva sapere tutto del suo interlocutore. Le sue guance erano bianche e, insieme al suo mento, davano al suo volto quell’effetto di allungato. Valentina guardava Giulia dal basso verso l’alto, provocante e per nulla reticente a mostrare le sue vere intenzioni.
Nell’aria cominciò a farsi sentire l’odore acre della pioggia. Una sfilata di persone in agitazione corse sotto il tendone bianco, ridendo e applaudendo gli sposi. L’atmosfera dentro la sala cominciò a farsi calda, umida; sia Valentina che Giulia percepirono di essere soffocate.
«Andiamo da un’altra parte.»
«Non vorrei bagnarmi.» Giulia si lagnava come se l’acqua fosse davvero un problema.
«Dai, non ti preoccupare.»
Valentina prese ad ispezionare il suo volto con un sorriso malandrino; si accostò alla sua faccia e la baciò. Giulia la richiamò a sé e ripeté il gesto, però più caldo, più avvolgente.
«Allora? Ti ho convinta?»
Giulia non resistette e, nascosti dal furore di persone concentrate unicamente sugli sposi, corsero via.

Lo stanzino del bagnino aveva un solo posto a sedere. Valentina lo usò come motivazione per sedersi sopra Giulia, mentre la riempiva di avidi e ghiotti baci. La loro pelle si univa, il bagnato creava degli umidi rumori, i loro fiati immersero l’atmosfera del cubicolo in una coltre di passione repressa.
«Voglio sentirti dentro di me.» Valentina voleva dettare le regole.
Condusse dolce la mano di Giulia sotto la sua gonna. Passò le sue dita tra la corona del suo buchino e poi dentro il suo nido di passioni. Il pollice che le massaggiava il clitoride, l’indice e il medio che annaspavano dentro quell’umido atrio. Valentina orgasmò, un orgasmo potente che si frappose al rumore della pioggia. Si calò la scollatura e due seni avvolti dalla penombra agguantarono la faccia di Giulia, che si perse in quello spacco di goduria.
«Infila…infila tutta la mano dentro.» Un ordine, una richiesta disperata.
Giulia era intimorita dal farle male, ma la sua perversione non poteva che esaudire i desideri della sua amata. Chiuse le dita a mo’ di becco e cercò di penetrare più affondo, permettendo a Valentina di esplodere in una pozza di umori ed estasi.
Valentina sfilò la mano di Giulia dal bassoventre. La guardò, fradicia e sudata, per poi succhiarne le dita una per una. Non fece in tempo a finire che l’altra mano stava spogliando Giulia dalla gonna, vogliosa, timorosa, ma irrazionale.
Intrecciò le dita della mano con quelle di lei quando si trovò a meno di due centimetri dalla sua vagina, in cui l’acqua della pioggia si mischiava al sudore. Due mani che si strinsero forti tra di loro, specialmente una, quella di chi voleva solo sentire quella lingua dentro di sé.
Valentina partì all’attacco, Giulia gemette e scoppiò in un canto orgiastico. Le labbra che baciavano a ripetizione la pelle attorno, sfiorando il clitoride che veniva massaggiato da un vellutato pollice. La bocca di Valentina sapeva compiere miracoli, la sua lingua era in fremito per sentire i sapori della sua amata. Voleva farla godere, quasi come a ricordarle che solo lei poteva procurarle quel piacere così selvaggio.
Giulia appoggiò le gambe sulle spalle di Valentina, le strizzò il seno, caldo, viscido, sentendo un fantomatico latte scorrere tra quei capezzoli. Le massaggiò i capelli, spinse la sua faccia più in giù, il naso che aveva cominciato ad entrarle tra le labbra della vagina.
«Ecco…sto per venire…» Parole tremanti, secche, precederono due schizzi di un liquido rovente e limpido che riempirono la bocca che possedeva quella lingua così magica.
Valentina si leccò le labbra, rumoreggiando come meglio poteva. Voleva che un immaginario spione venisse a conoscenza di ciò che riusciva a fare solo con la sua lingua.
In seguito si mise a sedere sulla panca singola al posto di Giulia, che la guardava stizzita e in piedi, toccandosi per non indebolire la carica d’amore. Ora Valentina aveva addosso solo il pezzo superiore dell’abito, le gambe che si divaricavano e venivano levigate da gocce di umori che cadevano al suolo prorompendo in laconici picchietti. Guardava la sua amante, passando due dita lungo l’organo della sua carnalità.
«È il tuo turno.» La voce di Valentina tremava ancora.
Giulia si prostrò di fronte a lei, si fece strada con le mani massaggiandole le cosce. Valentina non poteva aspettare, afferrò la testa dell'inginocchiata e la infilò in mezzo alle sue gambe. Orgasmò, di nuovo, più forte. Giulia sentì una scarica di sapori frapporsi tra di loro nella sua piccola bocca; la sua lingua si muoveva per raccogliere gli umori di Valentina e le sue dita graffiavano sulla pelle delle gambe per tenere a bada i suoi istinti. Dei baci, le sue labbra si univano a quelle della vulva di Valentina; sentiva come tremava, le sue paure e il suo orgoglio. Spinse più forte la lingua, cercò di muoverla più repentina e Valentina ringraziò con un altro potente gemito, mentre lasciò fluire tutti i suoi liquidi attorno alle labbra della sua amata. Giulia fu sorpresa del sapore dolce di quel nettare. Lo assaggiava, schioccando la lingua a più riprese, mentre si riposava nel grembo di Valentina.

«Dove eri finita?»
Il temporale era terminato, la sabbia bagnata creava rumori ruvidi mentre gli invitati ci camminavano sopra. Giulia cercò di sistemarsi come meglio poteva, ma non riuscì ad evitare le mani di Serena che si mossero per pettinarle i capelli, senza chiedere nulla, come se sapesse. Non era passato molto tempo da quando lei e Valentina ebbero finito, forse poco più di quindici minuti, forse troppo per assentarsi dalla cerimonia.
«Hanno deciso di anticipare il taglio della torta.» Serena faticava a scandire le parole, forse per l’ansia. «Dobbiamo essere lì in tempo.»
Serena si affrettò a raggiungere il gazebo, sperando che la sua amica la seguisse di pari passo. Ma Giulia era troppo concentrata a guardare Valentina, che uscì dallo stanzino dopo di lei per non destare sospetti: in fatto di acconciatura sembrava messa peggio.
Valentina diede occhiate guardinghe attorno, voleva non farsi notare mentre si accostava a Giulia. Le diede un bacio sulla guancia, lieve, tenero, e poi nascose un pezzetto di carta dentro la sua tasca.
«Chiamami.» Disse, mentre prese a scorrere le foto nella galleria della sua fotocamera, dileguandosi tra la calca di persone.
scritto il
2025-08-17
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