La chiave

di
genere
trio

Il rumore delle chiavi risuonò nella camera e ci sorprese mentre le accarezzavo i fianchi. Restammo appesi, inermi, storditi da da quel suono che mutava, si avvicinava e diventava passi familiari.
La stanza, illuminata dal sole che attraversava la tenda turchese, era il luogo ideale per rilassarsi. I pochi e semplici arredi le davano un’atmosfera zen.
Già raccolse la gonna, la maglietta minuscola, il perizoma che sembrava un mucchietto di fili e cominciò a vestirsi convulsamente.
Indossai i boxer aderenti e, con la mente vuota, guardai la porta aprirsi e il suo sguardo prima su Già e poi su di me. Mari aveva gli occhi grandi, verdi, sgranati, il viso contratto, le mani strette cime chi sta per sferrare un cazzotto o sta per urlare.
Già col viso abbassato raccoglieva la borsa di stoffa rossa dal pavimento. Adesso avrebbe potuto congedarsi ma per uscire dalla camera doveva scavalcare o far spostare Mari.
Rimanemmo immobile per qualche istante, un tempo che sembrò lunghissimo. La situazione era così evidente che sarebbe stato assurdo cercare una scusa. Io, Già e Mari coperti dal silenzio prima dell’esplosione.
Chi è questa troia? Mi fate schifo, urlo a denti stretti Mari. Ci hai colto di sorpresa ma ti aspettavamo, dissi, guadando Già che alzò leggermente la testa sorpresa dalle mie parole.
Già non poteva saper che avevamo avuto alcune esperienze, poche ma intese, in cui non eravamo soli e che dopo averle immaginate eravamo riusciti a realizzarle.
A Mari piacevano i giochi a tre ma voleva essere sempre al centro delle carezze. Le esperienze che ricordava e sui fantasticavamo erano menage in cui lei veniva penetrata e leccata.
Mi avvicinai e cominciai a baciarle il collo rigido, era teso, irrigidito dalla sorpresa e dalla curiosità. Le sussurrai all’orecchio che Già non vedeva l’ora di gustare il suo sapore con il mio. Mari alzò la testa, rilassò i muscoli delle spalle e scoprì l’orecchio sinistro. Chiuse gli occhi e cercò con le mai il mio viso mentre continuavo a baciarla e ad accarezzarle il seno. Già era basita, osservava incredula, eccitata. Sentii alle mie spalle il suo alito, la sua lingua sul mio collo e le sue mani cercare il mio sesso.
Rivoli di sudore scendevano nel solco tra i seni di Mari e il suo odore era come incenso.
Le sfilai la camicia, i suoi capezzoli erano irti e infuocati. Insieme a Già le accarezzavamo i seni e baciavamo il suo corpo mentre sbottonava i pantaloni e li spingeva in basso mostrando il suo corpo glabro. Le mie dita affondavano con facilità nella sua intimità di donna.

La feci sdraiare supina sul letto che, sebbene non fosse un futon, poteva essere utilizzato come un discreto lettino per massaggi. La camera era illuminata da un abatjour coperto da una sciarpa semitrasparente, che emanava una luce calda, poco intensa e confortevole. Indossava biancheria intima nera di pizzo che lasciava intravedere le areole dei capezzoli e la rada peluria sul monte di venere.
Le avevo offerto un trattamento energetico e aveva accettato con i suoi modi un po’ distaccati e, apparentemente, indifferenti che potevano essere interpretati anche come semplice gentilezza mista a lieve curiosità.
Cominciai col sentirle l’addome e continuai sulle cosce e gambe sino ai piedi. Osservavo i suoi mutamente e le sensazioni che trasmetteva. Era rilassata e non sembrava vogliosa di provare altro. Quando completai il percorso sugli arti e mi ritrovai dietro il suo viso, le accarezzai le tempie, il collo e le guance. Con una mano sull’addome ascoltavo gli echi della sua energia e sentii vibrare il suo corpo in un modo che suonava come eccitazione, voglia di possedere. Sfiorai i suoi capezzoli e liberati dal reggiseno li baciai e leccai, succhiandoli e mordicchiandoli. Sentii che sussurrava: cominciavo a pensare che volessi farmi solo un massaggio. Mi liberai della maglietta e avvicinandomi al suo ventre le baciai l’addome, leccai l’ombelico e spostata la biancheria sentii il suo odore e il suo sapore. Riuscii a sfilarmi i pantaloni quasi senza smettere di leccarla e, senza ostacoli, avvicinai la mia turgida verga sul suo viso. Sentivo il suo alito, la mano stringermi la sua lingua e la bocca accogliermi.
Muoveva il bacino per assecondare il ravanare nei frutti succosi ed io cercavo di aiutarla nella stupenda fellatio. Il sudore scivolava sui suoi seni e dai fianchi sulle candide lenzuola. Grondavo perché la posizione mi costringeva a contrarre i muscoli per restare in equilibrio e non schiacciarla. Scesi dal letto e la tirai verso di me, portando le sue gambe sulle mie spalle e penetrai il fiore dai petali schiusi che avevo leccato sino a pochi istanti prima.
Guardarla in viso, sentirla ansimare e mordersi le labbra mentre mi muovevo per la sua e la mia voglia era la quintessenza dell’eccitazione.
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2025-10-24
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