La spia (parte 1)

di
genere
tradimenti

Ho installato una telecamera a circuito chiuso. Parte del pacchetto di protezione di un sistema d'allarme, dirige il suo occhio sulla porta d’ingresso.
La giustificazione ufficiale è permettere agli inquirenti in caso di effrazione di risalire all'identità degli intrusi. Ma oltre questo scopo modesto e prosaico, soddisfa la curiosità di scoprire quali segreti si celino dentro i domestici muri inaccessibili al mondo esterno.
È la curiosità del coniuge geloso quando nutre il sospetto dell’infedeltà della moglie. Non so quando sia sorto in me quel dubbio, perché mi assilli, a cosa lo debba attribuire. Forse lo strano luccichio che illumina di una luce diversa il suo sguardo. Forse la constatazione tormentosa che facendo l’amore lei abbia bisogno di spegnere la luce e restare al buio, chiudere gli occhi durante l'orgasmo. Come se cercasse di annullare il mio volto, rendere invisibile la mia presenza.
Il sospetto del tradimento è veleno. Per fugarlo trascorro ore insonni davanti allo schermo vagliando riprese in attesa di scoprire qualcosa. Lei lavora in ufficio nei giorni centrali della settimana, il lunedì e il venerdì si collega da remoto. Sono quelle ore indisturbate che mi inquietano.
Ma l’unica anomalia sono le visite ripetute della migliore amica, che lavora lei pure in assenza. È un bene nel suo caso, perché la solitudine può fare male ad una persona di troppo carattere. Sfortunata in tutte le relazioni. Non vorrei che cadesse in depressione mi ha confidato una volta, e ho colto nel suo sguardo una luce benevola di partecipazione e tristezza, come se condividesse quella disgrazia. Ma quale, se stiamo ancora insieme?
Eppure è tanto distante, troppo. La sento divisa, a volte ostile. Non facciamo l’amore da mesi.

Ho sussultato vedendo entrare un uomo, uno sconosciuto, nel mio regno segreto. Ho tremato come un bambino in un incubo. A velocità reale ho contato il tempo che è rimasto. Ha varcato la porta di casa alle 10:47, se n’è andato alle 10:58. Troppo poco, per fortuna. Troppo poco per consumare un amplesso. Così come si sono incontrati così si sono lasciati. Poi l’ho vista correre in soggiorno, forse per rispondere ad una telefonata di lavoro.
L’amica, di quelle che da ragazze si definiscono «amiche per sempre», è comparsa poco dopo. È una stangona, e anche se ha sette anni più di mia moglie si presenta tonica nel fisico, slanciata, magra di dieta e di fitness. Le ho seguite mentre si abbracciavano, si baciavano, uscivano dall’occhio della spia. Il caffè, le chiacchiere, sedute in soggiorno o in cucina come se non avessero doveri pressanti. Beate loro.

La nostra situazione economica è tale che mia moglie potrebbe smettere di lavorare, finire a libro paga per me e vivere con una rendita maggiore di quella attuale. Ma non vuole. Reclama la propria emancipazione. Esige spazi propri, una vita che non sia completamente dipendente dal marito. E questo lo comprendo. Quante volte una donna è rimasta vittima di violenza attraverso il subdolo ricatto del bisogno. Ma noi non siamo quella orribile versione di un rapporto di coppia – «io» non sono quel genere di uomo.
Ha molti ghiribizzi che le passano per la testa. Progetti di restyling dell’appartamento in cui ogni ambiente viene rivoltato come un calzino due tre anni. Da un momento all’altro mi ritrovo tende cambiate, mobilia spostata, nuovi colori in cucina. Io sovvenziono queste smanie, so che la soddisfano e le tolgono l’inquietudine da cui si fa prendere. Ha paura di qualcosa. Di invecchiare? Sta succedendo, ma io la trovo sempre seducente e affascinante. È sempre mia moglie, anche quando sarà nonna, e il desiderio non si è ancora esaurito. Allora perché abbiamo smesso di fare l’amore?

Qualcosa ferve. Un problema nel bagno ha consigliato di richiedere le prestazioni di un idraulico. La microcamera inquadra il professionista. È giovane non troppo; l’aspetto, energico e sbrigativo. Lui e mia moglie scompaiono. L’orologio della registrazione segna le 9:22. Faccio scorrere x10 le immagini. Alle 11:03 accompagna l’uomo alla porta e lo congeda. Verrò a sapere che il suo intervento non è stato risolutivo e che dovrà ripetere il sopralluogo. Alla mia rimostranza sulla possibile presenza pomeridiana dei ragazzi o alla mia in un congruo orario prestabilito per riceverlo, lei divaga. Afferma che i nostri figli non sono maggiorenni e neppure c’è bisogno di affrettare perché quello è il bagno secondario: ne abbiamo un altro più grande e un terzo di servizio, per la domestica. La domestica non c'è mai di lunedì e di venerdì. La cosa più deprimente è che la storiella tra moglie fedifraga e idraulico è scontata.

Ho riscontrato nuove infrazioni di estranei. Si tratta di operai, di arredatori, di altre figure che non mi sarei aspettato. Uno, di professione architetto, è amico di vecchia data. Architetto di giorno, sciupafemmine nel tempo libero. La sua comparsa mi allarma. Temo che il tempo della pace sia finito e inizi la rivoluzione domestica, quando partiranno i lavori di ristrutturazione ventilati a più riprese dalla viva voce di lei. Non abbiamo bisogno di ristrutturare. La casa è recente, in ordine. Ma temo anche l'ascendente dell’uomo, il suo magnetismo animale, la passione che nutre per la soddisfazione delle proprie pulsioni. Si scoperebbe chiunque, e mia moglie non è chiunque. Che stia manifestando inclinazione per le attenzioni di un uomo diverso dal proprio marito?
Durante queste molteplici visite lei fa gli onori da brava ospite all'ingresso, ma poi come proseguono dove il mio terzo occhio non arriva? Calcolo le tempistiche. A volte c’è spazio per un equo accordo sessuale tra le parti. Ciò mi sconvolge. Cerco di dirottare i pensieri ma più ci provo più ci ritorno sopra e il sonno scompare, le viscere mi si stringono, il respiro si strozza. Sono fantasie, mi dico; assurdità, mi ripeto. Eppure il rovello della gelosia è uguale ad un coltello: lacera i lombi, distrugge virilità e dignità. Immaginare in un masochismo di ansiti e membra allacciate il corpo e l’anima di mia moglie spalancati per accogliere l'altro, per farsi godere e ospitare nel grembo il suo seme, come aspirando ad una nuova vita, ad una realtà alternativa...
Si è stufata di me? E dei suoi figli? Perché non facciamo l’amore da mesi?

Nel trambusto creato dal passaggio di tutti questi uomini attorno alla provocante passività di una donna sola, le visite dettate dall’amicizia si fanno più frequenti e prolungate. Quali argomenti possano toccare due donne per avere così tanto da dirsi, io non lo so. Il resoconto febbrile della solitudine di una, forse. Oppure quello di un amore proibito dell’altra, forse. E se così fosse, quali consigli elargirebbe mai la confidente, succube di innumerevoli storie finite? Dovrei interrogarla a riguardo. Operare una breccia nel muro della reciproca indifferenza per infilarci la mia invocazione di aiuto. Non abbiamo mai veramente stabilito una comunicazione tra noi. Mi accontento del ruolo che recita nella vita di mia moglie, e so quanto lei tenga a tale amicizia.
L'occhio che spia inquadra mia moglie mentre raggiunge la porta, apre all’amica, si scambiano i saluti, se ne vanno oltre la visuale. Una, due, dieci volte. All’ennesima comincio a rincuorami. Se di consigli si tratta, sono animati di buon senso. Mia moglie non si assenta per qualche scappatella. Anzi è fin troppo abitudinaria. Il dovere la chiama e lei risponde all’appello.
Poi un giorno c’è una novità. La figura maschile che irrompe sulla scena non è sconosciuta né negativamente idealizzata dalla sua fama sinistra come quella dell’architetto. Si tratta di mio fratello. Non mi ha avvisato della visita. Non ne fa mai fuori da quelle canoniche delle ricorrenze. I nostri rapporti sono contrassegnati dall’osservanza di uno spiacevole dovere. Se scendessimo il gradino successivo nella scala della confidenza cesserebbe ogni familiarità. Sua cognata lo accoglie tirata a lucido. È stata dal parrucchiere – me ne accorgo soltanto in quel momento. Indossa la gonna, lei che reputa volgare ostentazione mettere a nudo le caviglie. E calza delle scarpe con tacchi alti che non ho mai visto prima. Dopo i convenevoli si dirigono, presumo, verso il soggiorno. Sono le 10:22. La scena rimane vuota. Si nota soltanto il passaggio delle nuvole – quel giorno c’è stata pioggia – che rabbuiano l’ingresso. Sembrano fantasmi nell’oscurità quando tornano. Si salutano. Lo bacia e si stringe forte a lui. Sono le 12:38. È la prima volta che mio fratello compare in casa nostra dopo le feste comandate, quando è un obbligo recarsi in visita a parenti e conoscenti. Non sarà l’ultima. Alle 13:05 arriva l’altra. Cosa darei per poter origliare i loro discorsi. Vorrei essere la tazzina da cui sorseggiano il caffè. Poi, alle 14:17, congeda anche lei.
scritto il
2025-10-12
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