Una giornata pigra - parte 1
di
Rebecca pallida
genere
masturbazione
È la prima volta che scrivo un racconto diviso in due parti, probabilmente ciascuna sarà piuttosto breve ma mi sembrava più sensato visto che sono abbastanza diverse, anche se avvenute nella stessa giornata.
Come sempre tutto quello che leggerete è realmente accaduto e per contattarmi rebeccapallida@libero.it
Un’altra calda giornata di agosto, mio marito era già rientrato a lavorare, mia figlie era ancora con i nonni.
Sonnecchiavo sul divano, con addosso una canottiera e delle mutandine, cercando quel poco d’aria fresca che poteva entrare dalla finestra aperta.
In sottofondo le note del concerto per pianoforte no.2 di Richmanoff si diffondevano per la stanza, basse, quasi timide.
Con gli occhi chiusi sposto una mano lungo il fianco, sfioro le costole, sento le unghie sulla pelle, fino alla gamba nuda e distesa. Un momento di pausa, la sensazione che sfuma via, leggera, effimera. Un respiro appena più profondo, come un’immagine che compare in sogno per essere dimenticata poco dopo, e sposto la mano sulla coscia, sento la pelle liscia appena accaldata, accarezzo leggermente, distrattamente, fino a sfiorare il bordo delle mutandine bianche, sentire l’incavo dell’inguine, la pelle sottile e tesa. Esito un attimo, so bene cosa sta per succedere, ma vuol dire risvegliarmi dal quel languore accogliente, e non sono sicura di volerlo. Sto lasciando cadere la mano, sconfitta dalla pigrizia, quando mi torna in mente un’immagine, forte e avvolgente, che mi fa cambiare idea. Passo le dita sulle grandi labbra, poi sul clitoride, più forte, più decisa, attraverso la stoffa sento che mi sto bagnando. Premo, sfioro, scendo fino all’entrata, appoggiando leggermente le dita ma senza entrare davvero, scostando la stoffa, sentendo i miei umori che mi inzuppano la mano. Con l’altra salgo verso il seno, lo trovo teso e gonfio, pesante ma morbido, gioco con il capezzolo, un pizzico, una carezza.
Tutto comincia ad essere abbastanza da meritare più attenzione, così mi alzo e scalza vado in camera, dove a colpo sicuro trovo quello che mi serve. Tolgo il poco che avevo addosso, mi sdraio sulle lenzuola fresche, piego leggermente il bacino per consentire alle dita di scendere, frugare, prima davanti, poi dietro. Il respiro si fa più profondo, ritmico, le labbra socchiuse, umide.
Non mi basta, così ho un idea. Una foto veloce, nella penombra, si vede poco, parte del seno, il ventre, una gamba. La invio a mio marito. Poco dopo mi arriva la risposta. Un’altra foto, in questa si vede il seno, chiaro, pieno, le dita smaltate di nero attorno al capezzolo rosa. So che basterà, la invio, ma ho in mente di più. Visualizza, risponde con poche parole, ma scelte accuratamente. Continuo a toccarmi e registro un vocale, breve, sospiri, gemiti.
Risponde, capisco che è molto, molto eccitato, forse quanto me.
Allargo le gambe, un altro scatto, si vede poco, più che altro si intuisce, ma va benissimo così.
Da lui poche parole “piccola puttanella, fammi vedere davvero quanta voglia hai”
Rispondo con un vocale, la voce bassa, lenta “vuoi davvero vedere quanto posso essere sgualdrina?”
La risposta è una foto, in bagno, il cazzo perfettamente eretto, turgido, massiccio.
Prendo a fianco a me il dildo che avevo tirato fuori prima, un oggetto un po’ particolare, adesivo, doppio. Lo attacco alla testiera del letto, gli faccio una foto, la invio.
“Brava la mia vacca, scopati come una puttana”
Ed era esattamente quello che volevo fare.
Mi sono messa a pecora, ancora una foto veloce, il seno che pende, si vede poco altro.
Comincio ad appoggiarmi al muro, spingo piano, sento il contatto con il dildo. Un messaggio veloce “rispondi, ascolta, ma non parlare”.
Faccio partire la chiamata vocale, appena risponde faccio penetrare il dildo nella mia vagina fradicia, calda pulsante, gemo, respiro, lo sento, e lui sente me. Affondo un pochino e sento il secondo dildo che preme sul culo, solo questa sensazione mi eccita da morire. Mugolo tra un gemito e l’altro “li sento entrambi, ne ho due dentro, mi allargano, mi riempiono” e mi muovo avanti e indietro, a volte leggermente in cerchio, li faccio entrare, uscire, lascio abituare i muscoli a quella presenza ingombrante e poi di nuovo in fondo, sempre di più, sempre più veloce.
“Godo godo, sono piena, sono la tua vacca piena di cazzo, ti voglio, voglio che mi scopi così”
Sento l’orgasmo salire, onde calde che si diffondono, i muscoli che si contraggono, un crescendo lento ma inesorabile che esplode di colpo “vengo, vengo, sentimi godere, ascolta mentre godo”.
Scemato il momento resto sul letto, il respiro che rallenta, le gambe che si distendono, una sola frase da lui.
“Non crede che stasera non la pagherai”.
Una sola risposta da parte mia
“Vediamo se sarai abbastanza”
Come sempre tutto quello che leggerete è realmente accaduto e per contattarmi rebeccapallida@libero.it
Un’altra calda giornata di agosto, mio marito era già rientrato a lavorare, mia figlie era ancora con i nonni.
Sonnecchiavo sul divano, con addosso una canottiera e delle mutandine, cercando quel poco d’aria fresca che poteva entrare dalla finestra aperta.
In sottofondo le note del concerto per pianoforte no.2 di Richmanoff si diffondevano per la stanza, basse, quasi timide.
Con gli occhi chiusi sposto una mano lungo il fianco, sfioro le costole, sento le unghie sulla pelle, fino alla gamba nuda e distesa. Un momento di pausa, la sensazione che sfuma via, leggera, effimera. Un respiro appena più profondo, come un’immagine che compare in sogno per essere dimenticata poco dopo, e sposto la mano sulla coscia, sento la pelle liscia appena accaldata, accarezzo leggermente, distrattamente, fino a sfiorare il bordo delle mutandine bianche, sentire l’incavo dell’inguine, la pelle sottile e tesa. Esito un attimo, so bene cosa sta per succedere, ma vuol dire risvegliarmi dal quel languore accogliente, e non sono sicura di volerlo. Sto lasciando cadere la mano, sconfitta dalla pigrizia, quando mi torna in mente un’immagine, forte e avvolgente, che mi fa cambiare idea. Passo le dita sulle grandi labbra, poi sul clitoride, più forte, più decisa, attraverso la stoffa sento che mi sto bagnando. Premo, sfioro, scendo fino all’entrata, appoggiando leggermente le dita ma senza entrare davvero, scostando la stoffa, sentendo i miei umori che mi inzuppano la mano. Con l’altra salgo verso il seno, lo trovo teso e gonfio, pesante ma morbido, gioco con il capezzolo, un pizzico, una carezza.
Tutto comincia ad essere abbastanza da meritare più attenzione, così mi alzo e scalza vado in camera, dove a colpo sicuro trovo quello che mi serve. Tolgo il poco che avevo addosso, mi sdraio sulle lenzuola fresche, piego leggermente il bacino per consentire alle dita di scendere, frugare, prima davanti, poi dietro. Il respiro si fa più profondo, ritmico, le labbra socchiuse, umide.
Non mi basta, così ho un idea. Una foto veloce, nella penombra, si vede poco, parte del seno, il ventre, una gamba. La invio a mio marito. Poco dopo mi arriva la risposta. Un’altra foto, in questa si vede il seno, chiaro, pieno, le dita smaltate di nero attorno al capezzolo rosa. So che basterà, la invio, ma ho in mente di più. Visualizza, risponde con poche parole, ma scelte accuratamente. Continuo a toccarmi e registro un vocale, breve, sospiri, gemiti.
Risponde, capisco che è molto, molto eccitato, forse quanto me.
Allargo le gambe, un altro scatto, si vede poco, più che altro si intuisce, ma va benissimo così.
Da lui poche parole “piccola puttanella, fammi vedere davvero quanta voglia hai”
Rispondo con un vocale, la voce bassa, lenta “vuoi davvero vedere quanto posso essere sgualdrina?”
La risposta è una foto, in bagno, il cazzo perfettamente eretto, turgido, massiccio.
Prendo a fianco a me il dildo che avevo tirato fuori prima, un oggetto un po’ particolare, adesivo, doppio. Lo attacco alla testiera del letto, gli faccio una foto, la invio.
“Brava la mia vacca, scopati come una puttana”
Ed era esattamente quello che volevo fare.
Mi sono messa a pecora, ancora una foto veloce, il seno che pende, si vede poco altro.
Comincio ad appoggiarmi al muro, spingo piano, sento il contatto con il dildo. Un messaggio veloce “rispondi, ascolta, ma non parlare”.
Faccio partire la chiamata vocale, appena risponde faccio penetrare il dildo nella mia vagina fradicia, calda pulsante, gemo, respiro, lo sento, e lui sente me. Affondo un pochino e sento il secondo dildo che preme sul culo, solo questa sensazione mi eccita da morire. Mugolo tra un gemito e l’altro “li sento entrambi, ne ho due dentro, mi allargano, mi riempiono” e mi muovo avanti e indietro, a volte leggermente in cerchio, li faccio entrare, uscire, lascio abituare i muscoli a quella presenza ingombrante e poi di nuovo in fondo, sempre di più, sempre più veloce.
“Godo godo, sono piena, sono la tua vacca piena di cazzo, ti voglio, voglio che mi scopi così”
Sento l’orgasmo salire, onde calde che si diffondono, i muscoli che si contraggono, un crescendo lento ma inesorabile che esplode di colpo “vengo, vengo, sentimi godere, ascolta mentre godo”.
Scemato il momento resto sul letto, il respiro che rallenta, le gambe che si distendono, una sola frase da lui.
“Non crede che stasera non la pagherai”.
Una sola risposta da parte mia
“Vediamo se sarai abbastanza”
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