Una passeggiata nel bosco

di
genere
etero

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È una calda sera di giugno, sto scrivendo dalla mansarda dove tengo il pianoforte e altri strumenti.
Anche se il piano non è il mio strumento preferito ogni tanto mi piace perdermi fra i tasti, inseguire una melodia, sfiorare le note.
Stavo finendo di sistemare una corda ma fa davvero caldo e sono stanca, così mi sono seduta su una poltrona e ho cominciato a scrivere. Ultimamente scrivo poco, è vero, ma prima ho attraversato un periodo burrascoso, ora sono molto presa con il lavoro, il tempo è poco e la sera spesso crollo. Inoltre, come chi mi legge da un po’ sa, racconto solo esperienze reali, perciò, finché non succede qualcosa di degno di nota non ha senso pubblicare.
Metto su un disco, uno che ascoltavano spesso i miei genitori quando ero piccola, dolce, triste, pieno di amarezza e speranza.

It's like rain on your wedding day
It's a free ride when you've already paid
It's the good advice that you just didn't take
And who would've thought? It figures

Per una volta non è niente di oscuro e misterioso nulla di inciso in quattro copie in qualche buia cantina, se non conoscete questa non avete scuse.
Passiamo però a qualcosa che invece potrebbe catturare la vostra attenzione. Lo scorso weekend siamo stati per monti, mia figlia era con la zia quindi abbiamo fatto una giornata fuori porta, in macchina fino ad un paesino sperduto sull’Appennino e poi una lunga camminata su un sentiero in mezzo al bosco.
Ora, se non avete dimestichezza con l’entroterra ligure capisco che possa essere difficile rappresentare l’isolamento, i boschi infiniti e impervi e i pochi borghi ancora abitati in maniera considerevole. Lasciate stare le immagini delle cinque terre a cui potete essere abituati, qua non ci sono manco abitanti, figuriamoci turisti. Per capirci, la Liguria è la regione più boscosa d’Italia, circa il 75% del territorio è bosco disabitato. Eppure spesso luoghi così solitari sono una benedizione per riposare e riflettere, estraniarsi dalla realtà quotidiana…così dopo mezz’ora eravamo in mezzo alla foresta senza anima viva attorno.
Immaginate le solite cose bucoliche, alberi, ruscelli, uccellini, mio marito che litiga con i caprioli, finché finalmente arriviamo ad una radura dove fermarsi un po’. Faceva molto caldo, io avevo addosso dei pantaloni larghi leggeri e una camicetta senza maniche, ma nonostante quello e l’altitudine si sudava. Io poi non sopporto il caldo, quindi faccio davvero fatica in certi momenti. Mi siedo su una grossa pietra coperta di muschio, mi tolgo le scarpe e immergo i piedi in un ruscelletto gelido, e in quel momento mi sembra la cosa più bella del mondo. Slaccio un bottone della camicetta per cercare di prendere appieno la poca brezza che si solleva ogni tanto, ma invece attiro solo mio marito. Ogni tanto sono davvero una povera ingenua. Dopo mezzo minuto mi aveva tirato fuori le tette, abbassato il reggiseno, e stava succhiando i capezzoli. Normalmente non sono per le cose all’aperto, un po’ per la paura di essere vista un po’ perché per certe cose mi piace stare comoda, ma qui non c’era davvero nessuno nel raggio di chilometri…così ho deciso di lasciar fare. E poi, onestamente, non mi dispiaceva, la sensazione della sua lingua sul capezzolo, sentirlo mordicchiare, leccare, tirare…mi piaceva. Mi piaceva anche quando con la mano toccava quella che non stava succhiando, la palpava, la sollevava e la impastava…in brava i miei piedi non erano più l’unica cosa bagnata.
Ho allungato la mano in mezzo alle sue gambe, tocxandolo da sopra i pantaloni, sentendo il cazzo grande, turgido, caldo, afferrandolo e apprezzando come mi riempiva la mano, muovendomi lentamente lungo l’asta, per poi slacciare i pantaloni e tirarlo fuori.
Era bello, grande, pulsante, umido. Mi sono inginocchiata nell’erba e ho cominciato a succhiarlo, le tette che ondeggiavano ritmicamente all’unisono con la mia bocca che andava su e giù, piena di quel grosso cazzo che conoscevo così bene ma che ogni volta mi trasformava in una puttana. Lui mi teneva la testa, dettando il ritmo, sentivo la sua mano tra i miei capelli, volevo che lo facesse, volevo che mi scopasse la bocca. Quando mi sono accorta che le pulsazioni aumentavano mi sono staccata e alzata, mi sono girata appoggiandomi alla roccia, piegata a novanta, fremente. Non ho tirato giù i pantaloni, volevo che lo facesse lui, volevo che prendesse quello che desiderava, lì in mazzo al bosco.
Ha abbassato l’elastico e ho i sentito i pantaloni scendere alle caviglie, ha spostato le mutandine, senza toglierle, e mi ha penetrato la fica con forza, velocemente.
“Scopami, si scopami come una puttana, fammi sentire il cazzo” ho sussurrato con un filo di voce rotta e incerta.
“Sentilo tutto troia, prendi il cazzo, godi come una cagna”
E godevo, e come se godevo, gli orgasmi ti ripetevano, era una serie di sensazioni, l’acqua fredda, l’erba, il cazzo che mi sfondava, le tette che ondeggiavano…ovviamente non aveva perso tempo ad aprirmi la camicetta ed ero praticamente nuda. E mi piaceva, mi sentivo esposta, libera, ma in una situazione controllata, in sicurezza. È stato strano ma bello.
Dopo non so bene quanti orgasmi, quando tutto era confuso in una nebbia di piacere, lo sento uscire, penso stia per venire, ma invece no, lo solleva solo di qualche centimetro lo sento appoggiarsi contro lo sfintere, e spingere lentamente. Cazzo, non potevo chiedere altro, lo voglio, voglio sentirlo allargarmi, voglio che mi entri nelle viscere. E ci ha messo poco a farlo, qualche spinta delicata ma decisa e l’ho sentito dentro, dilatarmi, scoparmi. “Dai rompimi il culo, prenditi il mio culo, usalo” “sì cazzo te lo riempio di sborra, prendila tutta da brava, fatti inculare, fatti sborrare nel culo” e così è stato, una serie di fiotti caldi mi colpiva l’intestino, mi allagava.
Ero sudatissima, seminuda, gocciolavo sborra dal culo, ma ero appagata.
I vestiti erano bagnati e sporchi di fango, ma insomma, si sa, sono cose capitano durante le passeggiate in campagna.
scritto il
2025-06-23
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