Halana Gabriela – Porra quente em Salvador
di
Angelo B
genere
bisex
Prefazione
C’è un certo tipo di donna che ti entra in testa e non se ne va più. Non per l’amore, ma per il modo in cui ti scopa.
Halana Gabriela era una di quelle. Un’amica, forse, ma con la figa più affamata che avessi mai visto. A Salvador non c’erano inibizioni, solo corpi sudati, reggaeton nelle orecchie e voglia di godere senza pensarci.
Quella sera, la sua bocca era già un invito. Ma fu la sua figa a farmi perdere la testa.
⸻
Atto Unico – Cruda, Sporca, Reale
Appartamento caldo, umido, muri screpolati, lenzuola impregnate di sesso e di mare. Halana era già pronta. Mi aprì la porta in reggiseno trasparente e un tanga rosa acceso che lasciava metà del culo scoperto.
«Tá com saudade do meu cuzinho?»
Mi prese la mano, me la portò subito dietro di sé. Nessun bacio, nessuna parola tenera. Solo carne calda. Il suo buco era rasato, stretto, e leggermente sudato.
Si girò, si chinò sul tavolo della cucina. Non c’erano nemmeno i saluti. Le abbassai il tanga e mi trovai davanti a due chiappe tonde, aperte, pronte. Le leccai il culo prima ancora di toccarle la figa. Lei si piegò di più e si aprì da sola, spingendo le natiche verso di me.
«Lambe meu cu… isso… mais fundo, porra!»
Spingeva il culo contro la mia faccia mentre la leccavo con la lingua tutta dentro. Sudava già, gemiti rauchi, sporchi, senza freni. Mi inginocchiai, le infilai due dita nella figa: calda, bagnata come una pesca marcia. Colava. Le facevo un culo e figa in contemporanea, e lei si strusciava sul tavolo come una puttana indemoniata.
«Me fode agora… mete esse pau todo…»
Non c’era tempo. Mi tirai giù i pantaloni e glielo misi dentro da dietro, forte, tutto in una volta. Lei urlò. Non di dolore, ma di fame.
Le presi i capelli, glieli tirai all’indietro mentre le sbattevo il bacino contro il culo. Il rumore delle palle che colpivano la sua pelle riempiva la stanza. Slap slap slap. Lei gridava, parlava sporcaccione in portoghese, mi diceva di non fermarmi. La figa le schizzava da quanto godeva.
Mi girò. Si inginocchiò. Me lo prese in bocca così, bagnato del suo stesso sapore. Lo succhiava profondo, lo faceva sparire in gola, mentre si masturbava con tre dita. Si sbatteva le tette sulla pancia mentre mi succhiava il cazzo sporco di lei.
«Quero leite. Na minha boca, no meu cu, na minha cara…»
La sollevai, la misi di nuovo sopra il tavolo, questa volta faccia in su. Le aprii le gambe e glielo infilai di nuovo, guardandola mentre le tremavano le cosce. Le sbattevo dentro senza pietà, mentre le tiravo i capezzoli con le dita e le sputavo in bocca. Lei lo inghiottiva ridendo.
Poi prese l’iniziativa. Si girò, si mise sopra, si infilò il cazzo nel culo da sola, lentamente. Il suo ano si apriva e lo prendeva tutto, fino in fondo. Si mordeva le labbra, si accarezzava la figa mentre mi cavalcava nel culo.
«Me enche de porra… dentro… goza dentro de mim!»
Le chiappe mi sbattevano addosso con forza, il buco stretto mi faceva impazzire. Le afferrai i fianchi e venni con un ruggito. Dentro. Profondo. Le riempii il culo. Lei tremava. Si tolse e lasciò che il mio sperma colasse giù per le sue cosce. Si piegò in avanti, se lo raccolse con le dita e se lo leccò. Tutto.
⸻
Epilogo
Fumava una sigaretta seduta nuda sul lavandino. Gocce di sperma ancora sulla pelle.
«Quer mais amanhã? Eu vou tá aqui… com a buceta molhada.»
E io lo sapevo.
Halana Gabriela non era una donna.
Era una dannazione.
E la volevo di nuovo.
C’è un certo tipo di donna che ti entra in testa e non se ne va più. Non per l’amore, ma per il modo in cui ti scopa.
Halana Gabriela era una di quelle. Un’amica, forse, ma con la figa più affamata che avessi mai visto. A Salvador non c’erano inibizioni, solo corpi sudati, reggaeton nelle orecchie e voglia di godere senza pensarci.
Quella sera, la sua bocca era già un invito. Ma fu la sua figa a farmi perdere la testa.
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Atto Unico – Cruda, Sporca, Reale
Appartamento caldo, umido, muri screpolati, lenzuola impregnate di sesso e di mare. Halana era già pronta. Mi aprì la porta in reggiseno trasparente e un tanga rosa acceso che lasciava metà del culo scoperto.
«Tá com saudade do meu cuzinho?»
Mi prese la mano, me la portò subito dietro di sé. Nessun bacio, nessuna parola tenera. Solo carne calda. Il suo buco era rasato, stretto, e leggermente sudato.
Si girò, si chinò sul tavolo della cucina. Non c’erano nemmeno i saluti. Le abbassai il tanga e mi trovai davanti a due chiappe tonde, aperte, pronte. Le leccai il culo prima ancora di toccarle la figa. Lei si piegò di più e si aprì da sola, spingendo le natiche verso di me.
«Lambe meu cu… isso… mais fundo, porra!»
Spingeva il culo contro la mia faccia mentre la leccavo con la lingua tutta dentro. Sudava già, gemiti rauchi, sporchi, senza freni. Mi inginocchiai, le infilai due dita nella figa: calda, bagnata come una pesca marcia. Colava. Le facevo un culo e figa in contemporanea, e lei si strusciava sul tavolo come una puttana indemoniata.
«Me fode agora… mete esse pau todo…»
Non c’era tempo. Mi tirai giù i pantaloni e glielo misi dentro da dietro, forte, tutto in una volta. Lei urlò. Non di dolore, ma di fame.
Le presi i capelli, glieli tirai all’indietro mentre le sbattevo il bacino contro il culo. Il rumore delle palle che colpivano la sua pelle riempiva la stanza. Slap slap slap. Lei gridava, parlava sporcaccione in portoghese, mi diceva di non fermarmi. La figa le schizzava da quanto godeva.
Mi girò. Si inginocchiò. Me lo prese in bocca così, bagnato del suo stesso sapore. Lo succhiava profondo, lo faceva sparire in gola, mentre si masturbava con tre dita. Si sbatteva le tette sulla pancia mentre mi succhiava il cazzo sporco di lei.
«Quero leite. Na minha boca, no meu cu, na minha cara…»
La sollevai, la misi di nuovo sopra il tavolo, questa volta faccia in su. Le aprii le gambe e glielo infilai di nuovo, guardandola mentre le tremavano le cosce. Le sbattevo dentro senza pietà, mentre le tiravo i capezzoli con le dita e le sputavo in bocca. Lei lo inghiottiva ridendo.
Poi prese l’iniziativa. Si girò, si mise sopra, si infilò il cazzo nel culo da sola, lentamente. Il suo ano si apriva e lo prendeva tutto, fino in fondo. Si mordeva le labbra, si accarezzava la figa mentre mi cavalcava nel culo.
«Me enche de porra… dentro… goza dentro de mim!»
Le chiappe mi sbattevano addosso con forza, il buco stretto mi faceva impazzire. Le afferrai i fianchi e venni con un ruggito. Dentro. Profondo. Le riempii il culo. Lei tremava. Si tolse e lasciò che il mio sperma colasse giù per le sue cosce. Si piegò in avanti, se lo raccolse con le dita e se lo leccò. Tutto.
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Epilogo
Fumava una sigaretta seduta nuda sul lavandino. Gocce di sperma ancora sulla pelle.
«Quer mais amanhã? Eu vou tá aqui… com a buceta molhada.»
E io lo sapevo.
Halana Gabriela non era una donna.
Era una dannazione.
E la volevo di nuovo.
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