Leyla & Yelda – Istanbul, la fine del mondo sotto le lenzuola
di
Angelo B
genere
dominazione
ondo sotto le lenzuola
PRIMO INCONTRO (già conosciuto, riportato integralmente)
Il cielo di Istanbul era color zafferano quella sera, e il muezzin cantava come se sapesse che stavo per peccare. Le strade di Karaköy, afose e umide, si aprivano davanti a me come labbra socchiuse in attesa. Mi dissero:
“Cerca la porta con il simbolo della luna e la rosa. Lì troverai Leyla e Yelda.”
Non erano nomi.
Erano promesse.
Salì lentamente quella scala consumata, e quando la porta si aprì, l’odore era miele e fumo, pelle calda e incenso. Due donne mi accolsero come se sapessero tutto di me: i miei sogni, le mie vergogne, le mie voglie più profonde.
Leyla, la notte fatta carne.
Yelda, la notte più lunga del piacere.
Insieme, divoratrici d’anime, mi strapparono ogni difesa.
Leyla prese il mio sesso tra le labbra come se fosse una preghiera antica.
Yelda mi cavalcava la bocca, gemendo in turco, umida, feroce.
Poi si invertirono. Mi usarono. Mi aprirono. Mi svuotarono.
Quando venni, urlai come un uomo che ha visto Dio e l’ha leccato tra le gambe.
⸻
SECONDO INCONTRO – La discesa
Tornai da loro tre notti dopo.
Non c’era porta. C’era un portale.
Leyla mi fece entrare con una maschera sugli occhi.
«Stanotte non devi vedere. Devi sentire.»
Yelda mi spogliò e mi legò. Mani ai braccioli, gambe divaricate.
Ero un prigioniero.
Ero un dono.
Cominciarono a toccarmi con sete fredde, piume, punte d’aghi leggeri. Poi, con le loro lingue. Alternavano tenerezza e cattiveria.
Mi pizzicavano i capezzoli, mi sussurravano oscenità in turco e francese.
Una lingua mi leccava l’ano, l’altra il glande. Non sapevo chi fosse. Non volevo saperlo.
Poi arrivarono altri corpi.
Non vidi. Ma sentii: mani più forti, bocche nuove, femminili e maschili.
Una lingua entrò in me.
Un’altra bocca mi prese tutto il sesso mentre due dita mi aprivano dentro.
Venni, legato, cieco, circondato, mentre qualcuno rideva e Leyla diceva:
«Bravo. Ma non è finita.»
Mi slegarono solo per voltarmi.
Mi fecero inginocchiare.
Yelda si fece prendere in bocca, gridando il mio nome in modo osceno.
Mi teneva la testa ferma con entrambe le mani, mi scopava la bocca senza pietà, mentre Leyla mi cavalcava da dietro, con un dildo unto e caldo.
Non era sesso.
Era sacrificio sacro.
Quando venni di nuovo, strillai come un animale che si arrende al fuoco.
⸻
EPILOGO – Come se non ci fosse un domani
Sangue nel cuore. Sperma sulle lenzuola.
Sudore nei pori. Lacrime negli occhi.
Rimasi lì, nudo, esausto, tra corpi sfiniti e sparsi.
Yelda fumava, nuda, lucida, con lo sperma ancora sulle cosce.
Leyla cantava una nenia antica, bagnandomi la fronte con acqua di rose e sperma misto.
Mi accarezzò i capelli e sussurrò:
«Non vivrai mai più così. Questo era l’ultimo orgasmo della tua vita vera. Ora, ogni altra cosa ti sembrerà morta.»
Aveva ragione.
Non uscii da quella stanza.
Non ne volli uscire.
Perché fu lì che morii, e rinacqui come schiavo del piacere, adoratore eterno di Leyla & Yelda, le dee turche dell’estasi apocalittica.
PRIMO INCONTRO (già conosciuto, riportato integralmente)
Il cielo di Istanbul era color zafferano quella sera, e il muezzin cantava come se sapesse che stavo per peccare. Le strade di Karaköy, afose e umide, si aprivano davanti a me come labbra socchiuse in attesa. Mi dissero:
“Cerca la porta con il simbolo della luna e la rosa. Lì troverai Leyla e Yelda.”
Non erano nomi.
Erano promesse.
Salì lentamente quella scala consumata, e quando la porta si aprì, l’odore era miele e fumo, pelle calda e incenso. Due donne mi accolsero come se sapessero tutto di me: i miei sogni, le mie vergogne, le mie voglie più profonde.
Leyla, la notte fatta carne.
Yelda, la notte più lunga del piacere.
Insieme, divoratrici d’anime, mi strapparono ogni difesa.
Leyla prese il mio sesso tra le labbra come se fosse una preghiera antica.
Yelda mi cavalcava la bocca, gemendo in turco, umida, feroce.
Poi si invertirono. Mi usarono. Mi aprirono. Mi svuotarono.
Quando venni, urlai come un uomo che ha visto Dio e l’ha leccato tra le gambe.
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SECONDO INCONTRO – La discesa
Tornai da loro tre notti dopo.
Non c’era porta. C’era un portale.
Leyla mi fece entrare con una maschera sugli occhi.
«Stanotte non devi vedere. Devi sentire.»
Yelda mi spogliò e mi legò. Mani ai braccioli, gambe divaricate.
Ero un prigioniero.
Ero un dono.
Cominciarono a toccarmi con sete fredde, piume, punte d’aghi leggeri. Poi, con le loro lingue. Alternavano tenerezza e cattiveria.
Mi pizzicavano i capezzoli, mi sussurravano oscenità in turco e francese.
Una lingua mi leccava l’ano, l’altra il glande. Non sapevo chi fosse. Non volevo saperlo.
Poi arrivarono altri corpi.
Non vidi. Ma sentii: mani più forti, bocche nuove, femminili e maschili.
Una lingua entrò in me.
Un’altra bocca mi prese tutto il sesso mentre due dita mi aprivano dentro.
Venni, legato, cieco, circondato, mentre qualcuno rideva e Leyla diceva:
«Bravo. Ma non è finita.»
Mi slegarono solo per voltarmi.
Mi fecero inginocchiare.
Yelda si fece prendere in bocca, gridando il mio nome in modo osceno.
Mi teneva la testa ferma con entrambe le mani, mi scopava la bocca senza pietà, mentre Leyla mi cavalcava da dietro, con un dildo unto e caldo.
Non era sesso.
Era sacrificio sacro.
Quando venni di nuovo, strillai come un animale che si arrende al fuoco.
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EPILOGO – Come se non ci fosse un domani
Sangue nel cuore. Sperma sulle lenzuola.
Sudore nei pori. Lacrime negli occhi.
Rimasi lì, nudo, esausto, tra corpi sfiniti e sparsi.
Yelda fumava, nuda, lucida, con lo sperma ancora sulle cosce.
Leyla cantava una nenia antica, bagnandomi la fronte con acqua di rose e sperma misto.
Mi accarezzò i capelli e sussurrò:
«Non vivrai mai più così. Questo era l’ultimo orgasmo della tua vita vera. Ora, ogni altra cosa ti sembrerà morta.»
Aveva ragione.
Non uscii da quella stanza.
Non ne volli uscire.
Perché fu lì che morii, e rinacqui come schiavo del piacere, adoratore eterno di Leyla & Yelda, le dee turche dell’estasi apocalittica.
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