Via dei Bardi - 07 La notte dei giochi

di
genere
trio

La notte dei giochi

L’ultimo esame finì a mezzogiorno in punto, sotto il sole di una Firenze rovente, con i sanpietrini che sembravano vibrare sotto le scarpe e l’aria spessa di città che cuoceva i pensieri. Chiara uscì dalla facoltà con lo zaino sulle spalle e la camicia già appiccicata alla schiena. Gli occhi ancora pieni di formule e la testa leggera come non succedeva da mesi.

Fu fuori, davanti al portone, che vide Giulia. Camicia oversize, shorts di jeans, occhiali da sole giganti e una birra in mano, già stappata.

«Trenta e lode, stronza?» chiese Giulia.

Chiara rise. «Trenta secco. Ma sticazzi.»

Si abbracciarono. Un abbraccio sudato, stretto, sentito.

Da lì partì tutto.

Un gruppo di amici si formò per caso: compagni di corso, amiche di amici, tipi visti una volta in biblioteca e subito arruolati. Senza piano. Solo la voglia di brindare alla libertà. Prima una birra in piazza Sant’Ambrogio, seduti sui gradini, poi un altro locale in Borgo la Croce, poi shot di tequila in un baraccio con luci blu e bagno senza carta igienica. Risate forti, bicchieri che si toccavano, storie sgangherate di notti d’esame e professori bastardi.

Chiara e Giulia erano sempre vicine. Non per scelta consapevole. Per attrazione gravitazionale.

Si toccavano spesso: un braccio che sfiorava una schiena, una mano che si appoggiava su una coscia per ridere, capelli sistemati dall’altra come scusa per un contatto. L’alcol rendeva tutto più naturale. Più fluido. Più vero.

Alle otto di sera, erano tutti già mezzi ubriachi.

Finirono a casa di Edo, uno studente di architettura che viveva in un bilocale pieno di quadri appesi storti e bottiglie vuote sulle mensole. La cena fu improvvisata: pasta fredda con quel che c’era, focaccia avanzata, patatine in sacchetto. Seduti per terra, sulle sedie, sul letto sfatto.

Giulia si accese una canna mentre rideva con un’amica, e Chiara la osservava mentre le labbra si chiudevano intorno alla cartina. Il fumo che usciva dalle narici. Le dita sottili. L’espressione rilassata. Quel gesto la fece bagnare. Semplice, automatico, ma carico di una sensualità devastante.

Il tempo cominciò a deformarsi.

Le risate erano più lente, più viscose. La musica rimbombava dalle casse portatili — vecchio funk, un po’ di elettronica minimale — e ogni tanto qualcuno si alzava a ballare da solo, come in un sogno.

Fu Edo a tirare fuori il gioco.

«Facciamo Obbligo o verità. Ma versione bastarda.»

Tutti applaudirono. Le regole: si pescava una carta da un mazzo creato da una delle ragazze (psicopatica geniale), e si doveva fare quello che c’era scritto, oppure bere due shot e rispondere a una domanda a caso scelta dagli altri. Nessuno poteva passare.

Chiara e Giulia si sedettero vicine sul divano. Le gambe nude, le cosce che si toccavano. I bicchieri colmi. Il corpo rilassato, la mente su di giri.

La prima carta fu innocua. “Simula un orgasmo”.

Una ragazza lo fece, tra le risate di tutti, gemendo teatralmente con la faccia nel cuscino. Poi una carta più spinta: “Racconta la tua fantasia più vergognosa”. Un ragazzo parlò di un sogno con due gemelle e una giostra.

Poi toccò a Chiara.

Pescò. “Siediti sulle ginocchia di qualcuno del tuo stesso sesso per un minuto e guarda se riesci a non bagnarti.”

Risero tutti. Chiara guardò Giulia.

«Posso scegliere?»

Giulia sollevò un sopracciglio. «Prego.»

Chiara si alzò, si mise a cavalcioni su di lei. Le loro corpi a contatto. Le mani di Giulia sulle sue anche. I seni sfioravano la camicia dell’altra. Gli occhi si fissavano.

Sessanta secondi così. Lunghi. Lenti.

Un paio di ragazzi facevano battute. Ma le due non ridevano.

Quando il minuto finì, Chiara si alzò. Le cosce brillavano leggermente. Le mutandine — stavolta, sì, le aveva — erano umide.

Giulia lo notò. Non disse nulla. Ma le pupille si dilatarono.

Il gioco continuò. Altre domande. Altri obblighi. Ma il livello salì.

Una ragazza dovette baciare il collo del tipo accanto fino a lasciargli un segno. Un altro leccò la birra dalla pancia di un’amica stesa sul tavolo.

Poi toccò a Giulia.

“Fatti toccare sotto la maglietta da una persona del gruppo per trenta secondi. Devi scegliere tu chi.”

Non esitò.

Scelse Chiara.

Si tolse la camicia, restando in reggiseno, e si sedette a gambe incrociate. Chiara, ancora un po’ brilla, si avvicinò. Lentamente infilò le mani sotto il reggiseno e la maglietta. Le dita sui fianchi, poi sui seni. Li accarezzò. Dolcemente. Le dita sui capezzoli, che si indurirono immediatamente.

Il silenzio calò nella stanza.

Trenta secondi lunghissimi. In cui tutti guardavano. Ma loro due non guardavano nessuno.

Solo sé stesse.

Quando finì, Chiara si morse il labbro. Giulia si aggiustò la maglietta, ma le mani tremavano.

Non dissero niente.

Non fecero altro.

Ma quella notte, tornando a casa, in silenzio, fianco a fianco nel taxi con l’alito che sapeva di birra e menta, capirono.

Il prossimo passo era vicinissimo.
E quando sarebbe arrivato, non ci sarebbe stato più modo di tornare indietro.

Era quasi mezzanotte quando Chiara si accorse di aver dimenticato il caricabatterie del telefono da Edo. Stava già struccandosi davanti allo specchio del bagno, i capelli raccolti in un nodo disordinato e la maglietta che portava solo per dormire: larga, scolorita, senza mutandine sotto. Giulia era stesa sul letto con un libro aperto a metà e lo sguardo perso da un’altra parte.

«Merda…» sussurrò Chiara.

«Che c’è?»

«Il caricatore. Lo avevo infilato nella ciabatta sotto il divano.»

Giulia si alzò, sbuffando. «Dai, andiamo a prenderlo. Se lo lasci lì, domani sparisce.»

Chiara fece spallucce. «Facciamoci una passeggiata. Almeno digeriamo.»

Uscirono così, in shorts e magliette, senza troppa voglia di rimettersi in tiro. L’aria notturna era tiepida, la città quasi silenziosa, e la strada per casa di Edo sembrava più breve del solito. Ridevano ancora per qualche battuta della serata, con quella leggerezza stanca e luminosa che arriva solo dopo un lungo periodo di stress.

Ma non appena salirono le scale del palazzo di Edo, qualcosa cambiò.

La porta era socchiusa.

Chiara la spinse piano. «Edo?»

Silenzio. O quasi.

Un sussurro. Una risata bassa. Poi il suono inconfondibile di un bacio lungo, bagnato.
E un gemito femminile. Morbido, profondo. Sensuale.

Entrarono piano, i passi leggeri sul pavimento di legno. Il soggiorno era in penombra, illuminato solo da una lampada da terra e dal bagliore dello schermo della TV, acceso senza audio.

Sul divano c’erano Edo e Tatiana, stretti in un bacio viscerale. Lei seduta a cavalcioni su di lui, le mani tra i suoi capelli, il seno abbondante che strabordava da una canottiera troppo stretta. Si muoveva piano, con un’onda del bacino che diceva già tutto.

A pochi passi, seduto sul bracciolo del divano, Matteo — una birra in mano, lo sguardo divertito, la maglietta stropicciata, e un’espressione da spettatore soddisfatto.

Appena le vide, sorrise. «Oh, ma guarda chi torna… Le due perle della serata.»

Edo si voltò appena, senza smettere di baciare Tatiana. «Entrate pure. Lo spettacolo è gratuito ma intenso.»

Tatiana rise. Una risata bassa, sensuale, e si girò. Il reggiseno era slacciato. Il seno nudo, pesante, scuro sul capezzolo, oscillava appena.

«Sorpresa...» disse. «Volete una birra?»

Chiara e Giulia si guardarono. Una frazione di secondo.
Poi Chiara parlò. «Siamo venute a riprendere il mio caricatore. Ma... possiamo fermarci un secondo, se non disturbiamo.»

«Disturbate?» rise Matteo. «State solo... alzando la temperatura.»

Giulia si appoggiò al mobile, le braccia incrociate, la maglietta che lasciava intravedere l’assenza di reggiseno. «Beh, in effetti fa caldo qui dentro.»

Edo e Tatiana avevano ripreso a baciarsi. Le mani di lui le stringevano il culo sotto i pantaloncini, mentre le labbra di lei scivolavano sul collo, sul petto. Tatiana lo stuzzicava, si muoveva contro di lui, lenta, ritmica. Il gemito che uscì dalla sua bocca fu reale. Umido.

Matteo si alzò e si avvicinò a Chiara. «Siamo in fase di esperimenti… vuoi partecipare?»

Lo disse con tono ironico, ma negli occhi c’era una proposta. Vera.
Chiara rise. Ma non si scostò.

«Mi accontento di guardare per ora. O magari... di commentare.»

«Oh, quindi sei di quelle che amano guardare?» sussurrò lui.

Giulia si era avvicinata al tavolo, aveva preso una birra e se l’era aperta con calma. Il collo della bottiglia tra le labbra, gli occhi fissi su Tatiana, che ora si era alzata la maglietta fino al mento.

Edo le stava leccando i capezzoli con lentezza, le mani che si muovevano sui fianchi, dentro i pantaloncini, che ora erano completamente sbottonati. Lei ansimava. Forte.

«Dio, che tette...» mormorò Matteo, osservando la scena. «Sembrano fatte per essere adorate.»

Chiara bevve un sorso. «Edo sembra molto devoto.»

Giulia ridacchiò. «Tatiana è praticamente un tempio.»

Tatiana si voltò. «Venite più vicine, no? Non fate le timide. O vi eccita guardare da lontano?»

Matteo si sedette di nuovo, stavolta sulla poltrona. «Io mi eccito solo se so che qualcuno si eccita guardandomi.»

Chiara e Giulia si avvicinarono di qualche passo, lentamente. Erano lì, in piedi, vicinissime al divano, mentre Edo spogliava Tatiana. Le mutandine scivolarono giù per le gambe. I peli del pube scuri, il sesso bagnato, nudo. Edo le baciava l’interno coscia con attenzione, con fame.

Chiara aveva le guance in fiamme. Ma non distolse lo sguardo.

Giulia era immobile. Solo la sua lingua che passava sulle labbra tradiva l'eccitazione.

Tatiana aprì le gambe, sfacciata. Si sdraiò sul divano, e si accarezzò da sola, con lentezza.

«Se volete unirvi… fate pure. O restate a guardare. Ma a me piace quando gli occhi mi divorano.»

Edo la penetrò con due dita, poi con la bocca. Il rumore bagnato riempì il silenzio.

Matteo si avvicinò a Giulia. Le sussurrò qualcosa all’orecchio. Lei rise. Poi si voltò verso Chiara.

I loro occhi si incrociarono.

E lì, in mezzo a quella scena carnale, indecente, rumorosa…
le uniche che non si erano ancora toccate si desideravano più di chiunque altro nella stanza.



scritto il
2025-04-06
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