Via dei Bardi - 16
di
EssEmmE
genere
saffico
La luce entrava dalle persiane socchiuse, filtrando nella stanza come una promessa che non si sarebbe mantenuta.
Giulia aprì gli occhi piano.
La testa leggera. Il corpo pesante.
Il lenzuolo aggrovigliato attorno alla gamba destra, una mano che non era la sua poggiata sul fianco.
Luca dormiva ancora.
Respirava piano, il viso rilassato.
Uno di quei sorrisi post-sesso che sembrano innocenti solo a chi non ha vissuto la notte prima.
Lei si alzò piano.
I piedi nudi sul parquet.
La schiena nuda, segnata da morsi leggeri.
Le cosce ancora appiccicose.
Camminò in silenzio fino al bagno.
Chiuse la porta senza far rumore.
Davanti allo specchio, si osservò.
Occhiaie leggere.
Labbra screpolate.
Collo arrossato.
E negli occhi… niente.
Avevano fatto sesso.
Due volte.
Una prima volta lenta, una seconda più violenta.
Luca era stato premuroso. Educato. Desideroso.
Eppure…
qualcosa non era successo.
Non il vuoto.
Non il disgusto.
Ma l’assenza.
Come se il corpo avesse recitato un copione già scritto.
Ma il cuore fosse rimasto in platea. A guardare.
In silenzio.
Senza battere le mani.
Si lavò il viso.
Poi si chinò.
Si passò una mano tra le gambe.
Umida. Dolorante. Sazia.
Ma non accesa.
Il sesso c’era stato.
Ma non lei.
Luca si svegliò quando lei stava infilando le mutandine.
La guardò con un mezzo sorriso.
«Già sveglia?»
«Già.»
«Tutto bene?»
Giulia si voltò.
Gli sorrise.
Ma era un gesto meccanico.
«Sì. Solo… mi sento un po’ svuotata.»
Lui rise.
«Beh, ci sta. Abbiamo fatto ginnastica, direi.»
Lei sorrise di nuovo.
Ma stavolta, un po’ si spezzò.
Uscì da casa sua un’ora dopo.
Vestita.
I capelli raccolti.
Un caffè al volo.
Un bacio sulle labbra.
«Ci sentiamo, vero?»
«Certo.»
Ma non avrebbe risposto.
Lo sapeva già.
Camminava per strada.
Il sole in faccia.
Firenze che si svegliava.
Chiara le tornava addosso come un vento.
Non per gelosia.
Non per senso di colpa.
Ma perché…
era mancata.
Era Chiara il pensiero durante l’orgasmo.
Era Chiara il desiderio non soddisfatto.
Era Chiara la voce che mancava nelle orecchie mentre si spogliava.
E ora…
le mancava tutto.
Anche il silenzio tra loro due.
Arrivò sotto casa.
Rimase cinque minuti davanti al portone.
Poi salì.
Aprì la porta.
Chiara era in cucina.
Una maglia larga.
Un libro davanti.
Lo sguardo fermo.
Si guardarono.
Nessuna disse nulla.
Ma qualcosa, stavolta…
stava per cominciare.
***********
Firenze aveva una luce strana quella sera, come se l’autunno stesse trattenendo il respiro.
Le vie del centro erano meno affollate, ma ancora vive, e l’aria portava con sé un odore di foglie, vino e camicie aperte appena troppo sul petto.
Chiara era arrivata al locale con qualche minuto di anticipo.
Scelse un tavolo d’angolo, tra una pianta alta e una lampada dal paralume in stoffa rossa.
Aveva scelto il posto quasi d’istinto, come se sapesse che quella sera avrebbe avuto bisogno di un po’ di protezione dal mondo.
Quando Tatiana entrò, la vide subito: cappotto lungo color cammello, capelli raccolti, orecchini piccoli.
Niente trucco forte. Solo occhi lucidi, come sempre.
Si sedette di fronte a lei con un mezzo sorriso.
«Pensavo avresti trovato una scusa per non venire.»
Chiara sollevò il bicchiere che aveva già ordinato.
«Ci ho pensato. Poi ho pensato che no. Che stavolta no.»
Tatiana annuì.
Tolse il cappotto.
Poi, per qualche secondo, restarono in silenzio.
Non era imbarazzo.
Era concentrazione.
Come se avessero bisogno di lasciar passare il rumore di fondo prima di poter iniziare.
«Sai,» cominciò Tatiana, «a volte ho l’impressione che tutto il mio rapporto con il sesso sia nato storto.
Come un albero che cresce inclinato.
Ci sono foglie, ci sono frutti… ma le radici non hanno scelto il terreno giusto.»
Chiara la guardò.
Non sorrise.
Aspettò.
Tatiana prese un sorso di vino.
Appoggiò il bicchiere con calma.
«Le prime cose che ho provato… non erano cose da provare con chi hai vicino di sangue.
Ma ero giovane.
Curiosa.
E… accadeva tutto con naturalezza.
Troppa, forse.»
Fece una pausa.
«Un’estate dai nonni. Il mio cugino più grande. Niente di traumatico, giuro.
Un film, un cuscino, le mani che si avvicinano…
La sua sulla mia. La mia… sotto la mia gonna.
Non ci sono stati traumi.
Ma è come se da lì in poi, tutto fosse stato guidato da una fame.
Non una fame d’amore.
Una fame di capire.
Di sentire il limite.
E poi romperlo.»
Chiara non distolse lo sguardo.
«Hai mai pensato che fosse una reazione?
Non alla persona. Ma al fatto che nessuno, da allora, ti abbia mai guardata con rispetto?»
Tatiana sorrise.
Ma era un sorriso amaro.
«Sai che non me lo chiede mai nessuno?
Tutti pensano che io mi senta forte perché ho le tette grandi e il culo giusto.
Ma sai una cosa, Chiara?
Essere desiderata… non significa essere vista.
E io, a volte, mi sento desiderata solo a pezzi.
Come se fossi un puzzle erotico da scomporre.
Ma mai da ricomporre.»
Chiara abbassò lo sguardo.
«Io… invece ho fatto fatica a vedermi tutta.
A volermi intera.
Mi sono odiata per anni.
Il corpo, il seno troppo morbido, il modo in cui le cosce si toccano, i fianchi larghi…
E poi il sesso.
La masturbazione sempre nascosta.
Mai con la luce accesa.
Mai allo specchio.
Solo io, sotto le lenzuola, e un’idea vaga di piacere.
Mai esplorato davvero.
Mai fino in fondo.»
Si fermò un attimo.
Il cameriere passò a versare dell’acqua.
Un sorriso rapido.
Un accenno di sguardo.
Tatiana lo seguì con gli occhi.
Poi tornò su Chiara.
«E poi?»
Chiara si passò una mano tra i capelli.
«E poi è arrivata Giulia.
Ed è successo tutto.
In una notte.
Come se qualcosa si fosse rotto dentro di me.
O aperto, non lo so.»
Abbassò la voce.
«L’ho leccata. Mi ha leccata. L’ho scopata con lo strapon.
Le ho baciato il culo.
Mi ha leccata fino a farmi squirtare.
E tutto questo… in trance.
Come se non fossi io.
O forse… come se per la prima volta lo fossi.»
Tatiana sgranò gli occhi.
Non per shock.
Ma per rispetto.
«E poi?»
«E poi non ne abbiamo parlato.
E io… non so nemmeno se mi piacciono davvero le donne.
O se mi piace solo lei.
Ma ogni volta che ci penso… mi si stringe lo stomaco.
E mi bagna la figa.
E mi viene da piangere.
Tutto insieme.»
Silenzio.
Il cameriere passò di nuovo.
Stavolta si avvicinò con meno discrezione.
Tatiana si avvicinò al bicchiere di Chiara.
Lo sollevò.
Fece un gesto con gli occhi, verso il ragazzo.
«Ci sta ascoltando.
Da almeno dieci minuti.
E si sta eccitando parecchio.»
Chiara arrossì.
Poi rise.
Un riso vero. Lento. Caldo.
Tatiana appoggiò il bicchiere.
«Ti propongo un gioco.
Una sfida.
Solo per rompere l’incanto.»
Chiara la guardò.
«Chi se lo porta a casa, vince.»
Chiara rise ancora.
Poi scosse la testa.
«E se nessuna se lo porta a casa?»
Tatiana alzò le spalle.
«Vince lo stesso.
Perché almeno ci siamo guardate davvero.
E Dio solo sa quanto serviva.**
Uscirono più tardi.
Camminarono piano.
Non si toccarono.
Ma si sentivano.
E tra i lampioni e i vicoli,
si era creata una nuova alleanza tra donne:
fatta di silenzi che non fanno male,
e parole che fanno bene.
Anche quando bruciano.
Giulia aprì gli occhi piano.
La testa leggera. Il corpo pesante.
Il lenzuolo aggrovigliato attorno alla gamba destra, una mano che non era la sua poggiata sul fianco.
Luca dormiva ancora.
Respirava piano, il viso rilassato.
Uno di quei sorrisi post-sesso che sembrano innocenti solo a chi non ha vissuto la notte prima.
Lei si alzò piano.
I piedi nudi sul parquet.
La schiena nuda, segnata da morsi leggeri.
Le cosce ancora appiccicose.
Camminò in silenzio fino al bagno.
Chiuse la porta senza far rumore.
Davanti allo specchio, si osservò.
Occhiaie leggere.
Labbra screpolate.
Collo arrossato.
E negli occhi… niente.
Avevano fatto sesso.
Due volte.
Una prima volta lenta, una seconda più violenta.
Luca era stato premuroso. Educato. Desideroso.
Eppure…
qualcosa non era successo.
Non il vuoto.
Non il disgusto.
Ma l’assenza.
Come se il corpo avesse recitato un copione già scritto.
Ma il cuore fosse rimasto in platea. A guardare.
In silenzio.
Senza battere le mani.
Si lavò il viso.
Poi si chinò.
Si passò una mano tra le gambe.
Umida. Dolorante. Sazia.
Ma non accesa.
Il sesso c’era stato.
Ma non lei.
Luca si svegliò quando lei stava infilando le mutandine.
La guardò con un mezzo sorriso.
«Già sveglia?»
«Già.»
«Tutto bene?»
Giulia si voltò.
Gli sorrise.
Ma era un gesto meccanico.
«Sì. Solo… mi sento un po’ svuotata.»
Lui rise.
«Beh, ci sta. Abbiamo fatto ginnastica, direi.»
Lei sorrise di nuovo.
Ma stavolta, un po’ si spezzò.
Uscì da casa sua un’ora dopo.
Vestita.
I capelli raccolti.
Un caffè al volo.
Un bacio sulle labbra.
«Ci sentiamo, vero?»
«Certo.»
Ma non avrebbe risposto.
Lo sapeva già.
Camminava per strada.
Il sole in faccia.
Firenze che si svegliava.
Chiara le tornava addosso come un vento.
Non per gelosia.
Non per senso di colpa.
Ma perché…
era mancata.
Era Chiara il pensiero durante l’orgasmo.
Era Chiara il desiderio non soddisfatto.
Era Chiara la voce che mancava nelle orecchie mentre si spogliava.
E ora…
le mancava tutto.
Anche il silenzio tra loro due.
Arrivò sotto casa.
Rimase cinque minuti davanti al portone.
Poi salì.
Aprì la porta.
Chiara era in cucina.
Una maglia larga.
Un libro davanti.
Lo sguardo fermo.
Si guardarono.
Nessuna disse nulla.
Ma qualcosa, stavolta…
stava per cominciare.
***********
Firenze aveva una luce strana quella sera, come se l’autunno stesse trattenendo il respiro.
Le vie del centro erano meno affollate, ma ancora vive, e l’aria portava con sé un odore di foglie, vino e camicie aperte appena troppo sul petto.
Chiara era arrivata al locale con qualche minuto di anticipo.
Scelse un tavolo d’angolo, tra una pianta alta e una lampada dal paralume in stoffa rossa.
Aveva scelto il posto quasi d’istinto, come se sapesse che quella sera avrebbe avuto bisogno di un po’ di protezione dal mondo.
Quando Tatiana entrò, la vide subito: cappotto lungo color cammello, capelli raccolti, orecchini piccoli.
Niente trucco forte. Solo occhi lucidi, come sempre.
Si sedette di fronte a lei con un mezzo sorriso.
«Pensavo avresti trovato una scusa per non venire.»
Chiara sollevò il bicchiere che aveva già ordinato.
«Ci ho pensato. Poi ho pensato che no. Che stavolta no.»
Tatiana annuì.
Tolse il cappotto.
Poi, per qualche secondo, restarono in silenzio.
Non era imbarazzo.
Era concentrazione.
Come se avessero bisogno di lasciar passare il rumore di fondo prima di poter iniziare.
«Sai,» cominciò Tatiana, «a volte ho l’impressione che tutto il mio rapporto con il sesso sia nato storto.
Come un albero che cresce inclinato.
Ci sono foglie, ci sono frutti… ma le radici non hanno scelto il terreno giusto.»
Chiara la guardò.
Non sorrise.
Aspettò.
Tatiana prese un sorso di vino.
Appoggiò il bicchiere con calma.
«Le prime cose che ho provato… non erano cose da provare con chi hai vicino di sangue.
Ma ero giovane.
Curiosa.
E… accadeva tutto con naturalezza.
Troppa, forse.»
Fece una pausa.
«Un’estate dai nonni. Il mio cugino più grande. Niente di traumatico, giuro.
Un film, un cuscino, le mani che si avvicinano…
La sua sulla mia. La mia… sotto la mia gonna.
Non ci sono stati traumi.
Ma è come se da lì in poi, tutto fosse stato guidato da una fame.
Non una fame d’amore.
Una fame di capire.
Di sentire il limite.
E poi romperlo.»
Chiara non distolse lo sguardo.
«Hai mai pensato che fosse una reazione?
Non alla persona. Ma al fatto che nessuno, da allora, ti abbia mai guardata con rispetto?»
Tatiana sorrise.
Ma era un sorriso amaro.
«Sai che non me lo chiede mai nessuno?
Tutti pensano che io mi senta forte perché ho le tette grandi e il culo giusto.
Ma sai una cosa, Chiara?
Essere desiderata… non significa essere vista.
E io, a volte, mi sento desiderata solo a pezzi.
Come se fossi un puzzle erotico da scomporre.
Ma mai da ricomporre.»
Chiara abbassò lo sguardo.
«Io… invece ho fatto fatica a vedermi tutta.
A volermi intera.
Mi sono odiata per anni.
Il corpo, il seno troppo morbido, il modo in cui le cosce si toccano, i fianchi larghi…
E poi il sesso.
La masturbazione sempre nascosta.
Mai con la luce accesa.
Mai allo specchio.
Solo io, sotto le lenzuola, e un’idea vaga di piacere.
Mai esplorato davvero.
Mai fino in fondo.»
Si fermò un attimo.
Il cameriere passò a versare dell’acqua.
Un sorriso rapido.
Un accenno di sguardo.
Tatiana lo seguì con gli occhi.
Poi tornò su Chiara.
«E poi?»
Chiara si passò una mano tra i capelli.
«E poi è arrivata Giulia.
Ed è successo tutto.
In una notte.
Come se qualcosa si fosse rotto dentro di me.
O aperto, non lo so.»
Abbassò la voce.
«L’ho leccata. Mi ha leccata. L’ho scopata con lo strapon.
Le ho baciato il culo.
Mi ha leccata fino a farmi squirtare.
E tutto questo… in trance.
Come se non fossi io.
O forse… come se per la prima volta lo fossi.»
Tatiana sgranò gli occhi.
Non per shock.
Ma per rispetto.
«E poi?»
«E poi non ne abbiamo parlato.
E io… non so nemmeno se mi piacciono davvero le donne.
O se mi piace solo lei.
Ma ogni volta che ci penso… mi si stringe lo stomaco.
E mi bagna la figa.
E mi viene da piangere.
Tutto insieme.»
Silenzio.
Il cameriere passò di nuovo.
Stavolta si avvicinò con meno discrezione.
Tatiana si avvicinò al bicchiere di Chiara.
Lo sollevò.
Fece un gesto con gli occhi, verso il ragazzo.
«Ci sta ascoltando.
Da almeno dieci minuti.
E si sta eccitando parecchio.»
Chiara arrossì.
Poi rise.
Un riso vero. Lento. Caldo.
Tatiana appoggiò il bicchiere.
«Ti propongo un gioco.
Una sfida.
Solo per rompere l’incanto.»
Chiara la guardò.
«Chi se lo porta a casa, vince.»
Chiara rise ancora.
Poi scosse la testa.
«E se nessuna se lo porta a casa?»
Tatiana alzò le spalle.
«Vince lo stesso.
Perché almeno ci siamo guardate davvero.
E Dio solo sa quanto serviva.**
Uscirono più tardi.
Camminarono piano.
Non si toccarono.
Ma si sentivano.
E tra i lampioni e i vicoli,
si era creata una nuova alleanza tra donne:
fatta di silenzi che non fanno male,
e parole che fanno bene.
Anche quando bruciano.
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