Via dei Bardi - 14 Pensieri e azioni

di
genere
saffico

Giulia si svegliò prima della sveglia.
La luce entrava a ventagli tra le persiane, tagliava la stanza in geometrie calde e perfette.
Ma il suo corpo era teso.
Non stanco. Non dolente. Solo… elettrico.

Si alzò in silenzio.
Chiara dormiva ancora — o faceva finta.
La porta della sua stanza era chiusa.
Lo era anche la sera prima, quando Giulia era rientrata e l’aveva sentita rientrare mezz’ora dopo di lei.
Nessuna parola.
Solo un “notte” a mezza voce, pronunciato da dietro la porta.

Si vestì in fretta.
Jeans, maglietta chiara, scarpe basse.
Mise i capelli in una coda e uscì.

Aveva bisogno di aria.
E di distrazione.

Ma nessuna delle due sarebbe arrivata.

L’università brulicava di volti stanchi, termos di caffè, risate mal calibrate da chi non era ancora tornato al ritmo di settembre.
Giulia si sedette a metà aula. Taccuino aperto. Penna tra le dita.

La prof parlava.
Ma le parole non scendevano da nessuna parte.

Ogni tanto prendeva appunti a caso, come per tenere le mani occupate.
Ma la testa era altrove.

Cosa sei, Giulia?

Era la domanda che le si muoveva sotto pelle da giorni.
O forse da mesi.

Ti piacciono i ragazzi, sì.
Ti piacciono le loro mani grandi, le braccia, il bacino stretto. Ti piace succhiare. Sentire un cazzo duro tra le labbra, caldo, vivo.

Questo lo sapeva.

Ti piacciono anche i toys.
I dildo, il wand, la pressione contro il clitoride, il gioco del controllo.

Anche questo, sapeva dirlo.

Ma Chiara…
Chiara non entrava in nessuna di queste categorie.

Con lei non era mai stato solo corpo.
Era sottopelle.
Una cosa che le si infilava tra le scapole, che la faceva mordersi il labbro quando la guardava leggere sul divano, che la faceva svegliare sudata se sognava di sfiorarle la schiena.

Desiderio, sì.
Ma non sessuale nel modo in cui conosceva.

Era più intimo.
Più destabilizzante.
Più lento e profondo.
Come se, con Chiara, volesse essere guardata più che toccata.
Come se desiderasse essere scelta.

E questo la spaventava più di qualsiasi sesso occasionale.

Durante la pausa, uscì a prendere un caffè.

Appoggiata al muretto dell’ingresso, tazzina in mano, il sole sul viso.
Chiuse gli occhi.

Se la toccassi… se le aprissi la camicia lentamente…
Se infilassi la lingua tra i suoi seni…
Se le scivolassi tra le cosce mentre la guardo negli occhi…

Potrei farlo?
Potrei godere?

Sì.
Lo sentiva nel corpo.
Le si era irrigidita la punta dei capezzoli solo immaginandolo.

Ma allora perché il dubbio?

Perché non riusciva ancora a capire se volesse Chiara tutta…
o solo il modo in cui Chiara la faceva sentire.

Si passò una mano tra i capelli.
Guardò il cellulare.
Messaggi di gruppo, notifiche inutili.

Nessun messaggio da Chiara.

Forse è successo qualcosa ieri sera.
Forse non me lo vuole dire.
Forse è andata avanti.
Forse non ha più bisogno di me.

Le salì un nodo alla gola.
Imprevisto. Ingiustificato.

Lo mandò giù con il caffè.
Bruciava.
Come ogni volta in cui non sapeva dire cosa prova.

Rientrò in aula.
Si sedette.
Aprì il quaderno.

Scrisse solo una parola, a margine della pagina.
Piccola. In stampatello.

Chiara.

E quel nome, in mezzo a tutti gli appunti, brillava più chiaro di qualsiasi definizione.

Quando Giulia rientrò a casa quel pomeriggio, non si aspettava di trovare Chiara in cucina.
Non perché non ci vivesse — ma perché negli ultimi giorni si erano incrociate come due ombre: una usciva, l’altra rientrava.
Scambiavano parole minime: “hai mangiato?”, “esco un attimo”, “notte”.
Nulla che spiegasse l’aria elettrica che vibrava tra di loro da settimane.

Chiara era in canottiera grigia, capelli raccolti, cucinava qualcosa al volo.
Profumo di aglio e zucchine.
Giulia si fermò sulla soglia.

«Hai comprato le zucchine?»

Chiara si voltò.
«Le ho rubate dal frigo di Tatiana. Credo non se ne accorgerà.»

Un sorriso.
Uno sguardo lungo.
Quel genere di scambio che dice tutto… senza mai dire davvero niente.

«Io… ho invitato un amico a cena,» disse Giulia, posando lo zaino.

Chiara sollevò appena le sopracciglia.
«Un amico? Tipo… amico o amico amico?»

«Solo amico. Marco. Lo conosci di vista. Economia. Abbiamo un esame insieme.»

Silenzio.
Poi:
«Ok. Hai preso il vino almeno?»

«Due bottiglie. Rosso. Sapevo che se portava lui qualcosa, sarebbe stato sbagliato.»

Chiara sorrise.
Ma non rise.

Marco arrivò alle otto.

Jeans, camicia sbottonata sul collo, occhiali.
Era simpatico, educato, e bello nel modo semplice dei ragazzi che non sanno di esserlo.
Salutò Chiara con un bacio sulla guancia.
Lei ricambiò, ma con una distanza sottile che non passò inosservata.

Si sedettero a tavola.
Mangiarono tra racconti dell’università, aneddoti, qualche battuta.

Ma qualcosa non tornava.

Marco lo percepì quasi subito.
Ogni volta che diceva qualcosa, Chiara rispondeva con una battuta che sembrava dire altro.
Giulia lo guardava più spesso di quanto servisse.
E i loro sguardi… si incrociavano sempre due secondi di troppo.

A metà cena, Giulia si versò un altro bicchiere.
Guardò Chiara.

«Ti ricordi quella sera in cui ci siamo dimenticate il pane, ma avevamo solo birra e due cucchiai?»

«E poi abbiamo cenato nude in soggiorno con la scusa del caldo.»

Marco tossì piano.
Chiara lo guardò.
«Tranquillo, era solo sopravvivenza domestica. Non erotismo.
O almeno… non dichiarato.»

Giulia sorrise.
«Certe cose non serve dichiararle.»

Dopo cena, si spostarono sul divano.
La musica era bassa, jazz lento in sottofondo.
Il vino continuava a scendere.
Le parole diventavano più morbide.

Parlavano di relazioni, di sesso, di esperienze strane.

Marco raccontò di una sera a tre, finita male per l’imbarazzo.
Giulia di una notte in spiaggia in cui aveva finto di dormire mentre la leccavano.
Chiara ascoltava.
In silenzio.
Ma il suo silenzio era presenza piena.

Poi Giulia, guardando il bicchiere:
«Tu cosa non hai mai fatto, Chiara?»

Lei ci mise un attimo.
Poi:
«Una cosa fatta davvero solo per me. Senza aspettare nulla in cambio.
Solo per godere.
Senza paura.»

Marco restò zitto.
Per la prima volta, non capì cosa stava succedendo.

Ma Giulia sì.

E si sporse.
Versò l’ultimo goccio nel bicchiere di Chiara.
Le sfiorò la mano.
Solo un istante.

Un contatto breve, ma bruciante.

Marco guardava.
E sentiva di essere fuori da qualcosa che non era suo.

La notte calava.
Le parole diventavano meno frequenti.
E il vino aveva fatto il suo lavoro.

«Vi lascio,» disse Marco, alzandosi.

«Già?»
«Sì. Ho la sensazione che il mio ruolo stasera fosse quello dell’oggetto di distrazione.
E che voi due… non abbiate più bisogno di distrazioni.»

Un sorriso.
Uno sguardo.
Poi uscì.

Chiara e Giulia rimasero lì.
In silenzio.
Il bicchiere mezzo vuoto tra loro.

E il corpo che diceva: parlami, anche se non trovi le parole.
Il silenzio nella casa era spesso.
Solo la musica, ancora bassa, si muoveva tra i muri come un respiro.

Chiara e Giulia erano rimaste sul divano, senza più parlare.
Il vino nel bicchiere era finito.
Le luci soffuse.
La distanza… inesistente.

Giulia stava seduta a gambe incrociate, il ginocchio che toccava quello di Chiara.
La maglietta le era salita durante la serata, lasciando scoperta una striscia di pelle tra l’ombelico e l’elastico dei pantaloncini.
Chiara la guardava da un tempo indefinito.
Non aveva bisogno di altro.

Poi parlò.
Piano.

«Sei bellissima quando sei indecisa.»

Giulia si voltò.
«Perché?»

«Perché si vede che il tuo corpo ha già deciso.
Sono solo le parole che non lo sanno ancora.»

Un brivido le attraversò la schiena.
Giulia abbassò lo sguardo.

Chiara le prese il viso con due dita.
Le sollevò il mento.
I loro occhi si incontrarono.

E poi… il bacio.
Finalmente.

Morbido.
Lento.
Timido, solo all’inizio.

Poi Chiara approfondì.
Aprì la bocca.
La lingua entrò, trovò quella di Giulia, la accarezzò, la provocò.

Giulia gemette piano.
Le mani finirono sui fianchi di Chiara, si aggrapparono alla sua maglietta.

Chiara si sedette sopra di lei, a cavalcioni.
La baciava con fame.
Le mani le infilate sotto la maglia, sui fianchi nudi, la pelle calda.

«Hai idea di quante notti ho sognato di leccarti la figa, Giulia?»
La frase uscì così.
Vera.
Sporca.
Elettrica.

Giulia rimase un attimo sospesa.
Gli occhi grandi. Le labbra lucide.
«Chiara…»
Una supplica? Un freno?
Non importava.

Chiara scese con la bocca.
Sotto il mento.
Sul collo.
Sul petto.

Le sollevò la maglietta.
Niente reggiseno.

I seni nudi, tesi.
I capezzoli duri come pietre.
Li baciò.
Li leccò.
Li prese tra le labbra.
Giulia si arcuò sotto di lei.

«Sei un sogno bagnato che mi porto dietro da mesi,» sussurrò Chiara, mordendole piano un capezzolo.
«E ora voglio svegliarmi solo per leccarti tutta.»

Giulia aprì le gambe.
Non parlava più.
Si offriva.

Chiara la spogliò lentamente.
Le sfilò i pantaloncini, poi le mutandine.
Le baciò le cosce, il ventre, ogni centimetro.

Poi si inginocchiò davanti a lei.
E aprì la bocca.

La lingua di Chiara trovò Giulia gonfia, calda, già bagnata.
Le passò la punta sul clitoride.
Giulia si sollevò di colpo.
Un gemito alto.

«La tua figa mi stava aspettando,» disse Chiara, tra un bacio e l’altro.
«E ora vuole tutto.»

Le dita di Chiara entrarono con decisione.
Uno. Due.
Poi la bocca a coprire il clitoride.
Movimenti profondi. Coordinati.
Il palmo aperto. La lingua rapida.

Giulia venne tremando.
Con la testa all’indietro.
La bocca aperta.
Il nome di Chiara sulle labbra, rotto.

Restarono abbracciate per un attimo.
Giulia respirava ancora forte.
Chiara la guardava, accarezzandole il fianco.

Poi si alzò.
«Non è ancora finita.»

E scomparve in corridoio.

Giulia, nuda sul divano, con la pelle ancora bagnata, non capiva.
Ma il cuore le batteva forte.

Quando Chiara tornò, aveva addosso lo strapon.
Una cintura sottile, aderente.
Il dildo liscio, lungo, teso tra le cosce.

Giulia lo guardò.
Gli occhi spalancati.
Il respiro si spezzò.

«Tu…»

Chiara si avvicinò.
Le prese il mento.
Le sussurrò:

«Adesso voglio vederti mentre ti faccio mia.»

Chiara si avvicinò lentamente.
Il suono dei suoi passi nudi sul parquet sembrava amplificarsi nel silenzio pieno della stanza.
Lo strapon dondolava leggermente tra le sue cosce, lucido, presente, inequivocabile.

Giulia era ancora distesa sul divano, nuda, le gambe leggermente aperte, il corpo tremante di desiderio, di eccitazione, e di un’incredulità che bruciava tra le cosce.

«Non hai mai visto niente del genere, eh?»
La voce di Chiara era bassa.
Grave.
Un rasoio caldo contro la pelle.

Giulia fece cenno di no, gli occhi lucidi.

Chiara salì sul divano, a cavalcioni.
Prese il viso di Giulia tra le mani.
Le sfiorò le labbra con il pollice.

«Guarda quanto sei bagnata,» le sussurrò.
«Non stai più pensando.
Stai solo chiedendo.»

Giulia chiuse gli occhi.
Un respiro rotto.

Chiara si chinò.
Le leccò il collo.
Poi le sussurrò direttamente nell’orecchio:

«Dimmi che vuoi che ti scopo.»

Giulia tremò.

«Chiara… io…»

Chiara la interruppe.
Le mise due dita sulla bocca.

«Zitta. Adesso non si parla.
Adesso… si gode.»

E senza attendere, le aprì le cosce.
Le alzò le ginocchia.
E cominciò a sfregare il dildo contro la sua figa.

Bagnata. Gonfia. Calda.

Giulia gemette forte.
Non più trattenuta.
La punta del sex toy passava tra le labbra, le accarezzava il clitoride, le premeva contro l’ingresso.

Chiara lo muoveva a cerchi.
Poi in avanti.
Poi indietro.

«Guarda come ti si apre, troietta…»
Il tono cambiato. Più basso. Più sporco.

Giulia aprì gli occhi.
Scioccata.
Ma non si tirò indietro.

Chiara la guardò.
«Ti dà fastidio se ti chiamo così?»

Giulia, con un filo di voce:
«No.»

Chiara le baciò la bocca.
Forte.
Umida.

Poi:
«Allora dimmi: cosa sei?»

Giulia arrossì.
Si mordeva il labbro.

«Dillo,» sussurrò Chiara, mentre la punta cominciava a entrare.
«Dillo, o non ti scopo.»

Un respiro.
Un tremito.

E poi, piano:
«Sono la tua troietta.»

Chiara spalancò le cosce.
Entrò.

Il dildo la riempì in un colpo lento ma deciso.
Giulia emise un gemito profondo, quasi un grido.
La testa all’indietro.
Le mani che stringevano i cuscini.

Chiara cominciò a muoversi.
In avanti.
Poi indietro.
Poi più forte.
Poi più forte ancora.

«Ti piace, troia mia?
Guarda come ti apri per me.
Sei nata per essere scopata così.»

Giulia non parlava.
Solo godeva.

I colpi diventavano più profondi.
Chiara si teneva ai fianchi di Giulia.
La scopava come se la volesse dentro.
Come se stesse liberando mesi di desiderio.

Il suono del corpo contro corpo riempiva la stanza.
Le gambe di Giulia tremavano.

E Chiara:
«Ti piace quando ti faccio mia?
Quando ti riempio con questo cazzo che volevi da settimane, eh?
Tutta la tua figa che mi implora…»

Giulia venne.
Forte.
Violenta.
Con un urlo spezzato.

Chiara continuò a muoversi.
Più piano.
Poi si fermò.
La guardò.

Le sussurrò:
«Hai appena capito chi vuoi.»

Il respiro ancora non tornava regolare.
Il cuore batteva scomposto, disordinato, troppo vivo per lasciarle riposare.

Giulia era stesa accanto a Chiara, le guance arrossate, la bocca ancora lucida, le dita bagnate del piacere dell’altra.
Aveva il volto nascosto tra i capelli, ma lo sguardo fisso su di lei.
E dentro di sé, una sensazione nuova: non solo appagamento, ma un bisogno feroce che non si era esaurito.

Chiara era sdraiata sul fianco, i seni nudi, la pelle sudata.
Si stava riprendendo.
Ma i suoi occhi… ridevano.
E quando si voltò a guardare Giulia, la voce fu un sussurro:
«Non credevo saresti diventata così brava. Troietta mia.»

Giulia sussultò.
Il corpo rispose prima della testa.
Le si irrigidirono i capezzoli.
Le si strinse qualcosa in basso, un richiamo viscerale.

«Chiara…»
«Ti piace quando ti chiamo così, eh?»
Un sorriso lento.
«Non dirlo se non lo vuoi,» disse Giulia. Ma non si era tirata indietro.

Chiara la guardò un lungo momento.
Poi si sollevò leggermente, si mise sopra di lei.
Le passò una mano tra le cosce, sfiorò quel punto già caldo, già gonfio, già pronto di nuovo.

«Il tuo corpo vuole più di quello che pensi, lo sai?
Non sei più la ragazza che tremava quando le ho baciato il collo.
Ora sei la mia troietta.
Affamata.
Bagnata.
Pronta a fare tutto.»

Giulia si morse il labbro.
Sentì una scossa attraversarle il ventre.

Poi, come spinta da una forza che non controllava, si sollevò.
Si mise sopra Chiara.
La guardò.
E qualcosa nei suoi occhi cambiò.

Non c’era più solo desiderio.
C’era decisione.

Si chinò.
Prese il viso di Chiara tra le mani.
Le leccò le labbra.
Poi la bocca.
Poi il mento.
Poi scese.
Senza mai fermarsi.

La leccò tra i seni.
Sulla pancia.
E poi si fermò tra le gambe.
Le aprì.

Chiara la guardava dall’alto, sorpresa.
«Giulia… cosa…»

Ma Giulia non rispose.

Appoggiò la lingua.
La passò lentamente tra le labbra dell’ano.
Un gesto che non aveva mai fatto.
Che non aveva mai immaginato di poter fare.

Eppure, lì, in quel momento…
Era come se qualcosa dentro le si fosse aperto.

Chiara si irrigidì.
Poi gemette.
Forte.

«Cristo… ma allora sei proprio la mia troietta.
Mi lecchi anche lì, eh?
Sporca come sei…»

Giulia gemeva senza suono.
Era in trance.
Si muoveva con fame, con istinto, con stupore di sé stessa.

Prese lo strapon dal pavimento.
Lo guardò.
Lo indossò.

Chiara sollevò la testa.
Gli occhi larghi.
Ma non parlò.

Solo si voltò.
Si mise a quattro zampe.
Offerta.

E Giulia, quasi tremando di eccitazione, si avvicinò.
Appoggiò la punta contro l’ano bagnato, rilassato.
Chiara si voltò.
«Scopami. Voglio sentirtelo tutto dentro.
Voglio che mi sfondate la figa e il culo, troietta.
Fallo. Adesso.»

E Giulia obbedì.

Chiara era a quattro zampe sul divano.
Le mani affondate nei cuscini.
Le ginocchia leggermente divaricate.
Il sedere alzato, esposto.
Pronto.

Giulia era dietro di lei.
In piedi sul pavimento, ancora tremante.
Indossava lo strapon come se fosse un’estensione di sé.
Lo stringeva con forza, come se quel gesto potesse tenerla ancorata a qualcosa…
ma in realtà, la stava spingendo sempre più dentro a una parte di sé che non conosceva.

Appoggiò la mano sulla schiena di Chiara.
La sentì calda. Sudata.
Tesa.
Ma desiderosa.

Chiara si voltò appena.
Il viso arrossato, gli occhi persi.

«Penetrami. Voglio che mi scopi nel culo.
Tutto.
Fino in fondo.
Voglio sentirmi tua.
Completamente.»

Giulia trattenne il respiro.

Guidò la punta del dildo verso l’ano di Chiara.
Lo sfiorò.
Chiara si irrigidì un attimo, poi si rilassò.

«Sì. Così. Bagnami. Spingilo piano.
Lo voglio tutto, Giulia. Non lasciarmi a metà.»

Giulia si chinò.
Le leccò ancora una volta quell’anello teso di carne.
Lo inumidì con la lingua, con attenzione.
Poi cominciò a spingere.

La punta entrò.
Chiara ansimò forte.
Il corpo teso.
I muscoli che si adattavano, si aprivano.

Un centimetro.
Poi due.
Poi tutto il primo tratto.

«Brava… brava la mia troietta… Mi stai scopando come una puttana. Non fermarti.»

Giulia cominciò a muoversi.
Lenta.
Poi più sicura.
Il dildo entrava e usciva con un rumore umido e sordo.
Ogni colpo faceva sobbalzare i fianchi di Chiara.

Le mani di Giulia ora stringevano quei fianchi.
Li guidava.
Li usava.

Chiara gemeva senza ritegno.

«Scopami… scopami forte, porca puttana…»
«Fammi urlare, Giulia.Fammi venire nel culo come mai nessuno ci è riuscito.»

Giulia sentì una nuova ondata di calore salirle dalla pancia.
Le gambe tremavano.
Il potere di quel momento…
La bellezza di quel corpo che si apriva completamente…

Era troppo.
E non era abbastanza.

Spinse ancora più forte.
Affondò.
Poi ritmò i colpi.
Uno.
Due.
Tre.

Chiara cominciò a urlare.
Un suono spezzato.
Grezzo.
Vero.

E poi…
Un getto caldo, violento, bagnò il divano, le cosce, il pavimento.
Un’esplosione.
Inarrestabile.

Giulia si bloccò.
Restò lì.
Le mani tremanti.
Gli occhi fissi su quel corpo che veniva come mai aveva visto.

Chiara si accasciò in avanti.
Respirava come dopo una corsa.
Il sedere ancora alzato, aperto.
Le cosce brillanti di umido.

Giulia si inginocchiò dietro di lei.
Le baciò la schiena.
Poi scese.
Le aprì le cosce con le mani.

«Lascia che beva tutto,» sussurrò.

E cominciò a leccarla.
Il sapore salato.
Caldo.
Vivo.

La lingua non si fermava.
Le labbra schiacciate tra le natiche, tra le pieghe, tra tutto quel piacere.

Chiara tremava ancora.
Non parlava più.
Non poteva.

Solo respirava.
E si lasciava divorare.
Giulia aveva ancora la bocca appoggiata all’interno della coscia di Chiara.
Respirava piano.
Le dita accarezzavano quel ventre caldo, ormai stanco di tremare.
Chiara aveva gli occhi chiusi.
Un braccio sul viso.
Il corpo ancora aperto. Umido. Offerto.

Un silenzio che sembrava eterno si adagiò su di loro.
Poi, la voce di Giulia, bassa, spezzata:

«Non so cosa siamo, ma io…
non ho mai desiderato nessuno così.»

Chiara non rispose.
La sua mano raggiunse quella di Giulia.
Le intrecciò le dita.
Le strinse.

E basta.

************

La luce del mattino era brutale.

Chiara si svegliò prima.
Era ancora sul divano.
Nuda.
Con addosso solo una maglietta sbottonata.
Sentiva il corpo appiccicoso.
Le gambe umide.
Il cuscino ancora bagnato.

Si tirò su a fatica.
Guardò davanti a sé.

Lo strapon era sul tappeto.
Abbandonato.
Tra i calzini, una coperta a metà, e il bicchiere vuoto con le labbra stampate sul bordo.

L’odore era… inconfondibile.
Un misto di sudore, pelle, umori, vino, e voglia.

Si alzò.
Aprì le finestre.
L’aria entrò come un giudizio.

Poi andò in bagno.
Si chiuse la porta alle spalle.

Giulia si svegliò pochi minuti dopo.
Seduta, le ginocchia contro il petto, guardava il vuoto.

Il sesso le pulsava ancora piano.
Il cuore, no.
Il cuore era fermo.
O forse nascosto.

Vide lo strapon.
Non lo toccò.
Non lo sfiorò.
Si mise solo la maglietta di Chiara e andò in cucina.

Nessuna parlò.
Né quella mattina. Né le successive.

Si incrociavano in casa come due satelliti in orbita:
vicine, ma senza mai toccarsi.
Ogni sguardo era un ricordo.
Ogni silenzio, una ferita che non faceva male… ma nemmeno guariva.

Chiara studiava in camera.
Giulia usciva di più.
Poi tornava.
E cenavano in silenzio.
Come due sconosciute troppo nude l’una per l’altra.

************
Venerdì sera.

Il cellulare vibrò.

Edo: Ragazze, domani sera cena a casa mia. Finalmente si ricomincia. Portate vino e storie estive.

Chiara lesse il messaggio.
Poi guardò Giulia, seduta sul divano.

I loro occhi si incrociarono.
Per la prima volta dopo giorni.

Chiara: «Voglia di raccontare la tua estate?»

Giulia non sorrise.
Ma nemmeno distolse lo sguardo.

«Solo se ci sei anche tu. Altrimenti… non è una storia che vale.»
scritto il
2025-04-10
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