Via dei Bardi - 18 Natale

di
genere
etero

Firenze si era vestita di Natale.
Non con troppa convinzione – come solo le città italiane sanno fare – ma abbastanza da far sembrare tutto più dolce, più nostalgico, più pieno.
Le luci bianche tra i vicoli, le decorazioni appese ai balconi, i bar con il panettone tagliato a fette e il vin brûlé nei bicchieri di carta.
E poi i gruppi di studenti in giro per l’ultimo aperitivo prima di tornare a casa, gli abbracci davanti alle stazioni, le valigie piccole ai piedi, i messaggi urlati con gli occhi lucidi:
“ci sentiamo dai, appena torno ci vediamo, dai scrivimi, mi raccomando.”

In quella cornice, la casa di Chiara e Giulia sembrava ancora più piena di assenza.
E più piena di cose non dette.

**

Era da giorni che Giulia si stava preparando.

Non solo al viaggio.
Non solo all’Erasmus.
Ma alla separazione.
Da Firenze. Da Chiara.
Da qualcosa che non aveva ancora capito del tutto.

Aveva detto a tutti che sarebbe partita a gennaio.
Ma prima di Helsinki, c’era il ritorno a casa.
Un Natale al paese, nella sua camera di sempre, tra genitori premurosi, amici di vecchia data, tombolate, e cene infinite.

Aveva già comprato il biglietto.
Aveva già riempito mezza valigia.

Ma continuava a rimandare.
Ogni gesto diventava una scusa per guardare Chiara mentre non la guardava.
Ogni calzino piegato un modo per sentirla ancora dentro la casa.

**

Chiara, dal canto suo, aveva smesso di fare domande.
Ascoltava.
Aiutava con la lista delle cose da portare.
Rideva quando Giulia si lamentava dei -20 di Helsinki.
Ma dentro di sé, si contraeva piano.

Come un muscolo che si prepara alla mancanza.
Come la gola quando deglutisce senza appetito.

**

Quella mattina, Giulia era rimasta sola in camera.
Aveva spalancato l’armadio.
Il letto era un campo di battaglia:
pile di vestiti, scarponcini, berretti, collant invernali, magliette troppo leggere che non aveva il coraggio di lasciare a casa.
E poi, in un angolo, il cassetto dell’intimo.

Non lo apriva da giorni.
Forse per pudore.
Forse per paura.

Ci affondò dentro le mani.
Ne tirò fuori uno a uno i pezzi più provocanti.
Le brasiliane color carne, i perizomi di pizzo, il reggiseno trasparente che aveva comprato per ridere e mai indossato davvero.

Li posò tutti sul letto.
Li guardò.
E pensò a Chiara.

Pensò alla sera dei vestiti, quando avevano scherzato su cosa sarebbe stato utile a Helsinki e cosa no.
Pensò al modo in cui l’aveva guardata, come si guarda qualcosa che non si può avere due volte.

E poi, senza dire nulla, si alzò.
Aprì il cassetto più in basso.
Prese una scatolina nera.
La aprì.

Dentro c’era il plug anale.
Morbido. Piccolo. Di silicone scuro, con una base larga.
Lo prese tra le dita.
Lo guardò come si guarda una promessa fatta a metà.

Poi prese un paio di slip.
Neri.
Sottili.
Ancora umidi di lei.

Li piegò.
Li mise accanto al plug.

Chiuse la scatola.
Avvolse tutto in una sciarpa.
E nascose il pacchetto tra i maglioni nell’armadio di Chiara.
Non sotto.
Non in fondo.
Ma nel punto in cui – forse – l’avrebbe trovato quando Giulia fosse già lontana.

Nessun biglietto.
Nessun messaggio.
Nessuna parola.

Perché a volte, non serve dire.

**

La giornata scorse tranquilla.
Si incontrarono solo a pranzo.
Un piatto di pasta veloce, una chiacchiera sulle prenotazioni, una battuta sul volo Ryanair.
Nulla che potesse spostare l’asse.

Solo, ogni tanto, gli occhi di Chiara scivolavano su Giulia e restavano fermi un attimo di troppo.

Giulia, invece, sembrava più leggera.
Più sorridente.
Più presente.

Ma era solo un modo per trattenere la malinconia.
Per tenerla sotto il respiro.

**

La sera, le due ragazze cenarono insieme.
Avevano preparato una zuppa.
Semplice. Calda.
Una cena d’inverno. Da chiusura di qualcosa.

Dopo, si sedettero sul divano.
Guardarono un film con la coperta sulle ginocchia.
Nessuna cercò l’altra.
Nessuna si avvicinò troppo.

Ma il corpo… voleva parlare.
E non osava.

**

Quando fu ora di andare a dormire, Giulia si fermò davanti alla porta della propria camera.
Chiara era già nel corridoio, spazzolino in mano.

«Notte,» disse piano.

«Notte,» rispose Chiara.

E le loro stanze si chiusero.

**

Nella sua camera, Giulia si stese sul letto e si coprì fino al naso.
Aveva il cuore stretto.
Ma il respiro calmo.

Sapeva di aver fatto la cosa giusta.
Aveva lasciato qualcosa.
Aveva detto senza dire.

Chiara, nella sua stanza, aprì l’armadio per prendere un maglione per la notte.
Non vide nulla.
Non ancora.

Ma sentì un odore vago di qualcosa di diverso.
Una traccia.

E si addormentò chiedendosi cosa si stava preparando ad accadere.

*************

Il cielo sopra il paese era lattiginoso.
Una di quelle giornate d’inverno in cui la luce non arriva mai davvero, e sembra che il mondo stia trattenendo il fiato sotto la neve.
Chiara arrivò la mattina presto, ancora intorpidita dal viaggio. Sua madre la aspettava con il caffè pronto e una fetta di pandoro già spolverata di zucchero.

«Hai le occhiaie, amore. Hai bisogno di dormire, non di un Natale.»

Chiara sorrise.
«Ho bisogno di silenzio. E di camminare. Magari nella neve.»

La casa era esattamente come l’aveva lasciata.
Il letto da una piazza e mezza con il piumone leggero.
I suoi vecchi libri ordinati nella libreria bassa.
I biglietti dei concerti attaccati con lo scotch secco all’anta dell’armadio.

Eppure nulla era davvero uguale.
Chiara non era più la ragazza che aveva lasciato quelle pareti.

Dormì il primo pomeriggio come non dormiva da settimane.
Poi uscì, con il cappotto chiaro e la sciarpa di lana grezza.
Il paese era addobbato, ma senza esagerare: qualche luce tra i vicoli, le ghirlande fatte a mano ai balconi, la neve smossa solo al centro delle strade.

Camminava senza meta, quando la vide.

«Chiara?»

Si voltò.

Martina era ferma davanti alla pasticceria.
Aveva in mano un sacchetto con i biscotti al burro.
Stivali alti, jeans, un maglione nero con il collo largo che le lasciava scoperta una spalla.
I capelli biondi raccolti alla buona, il viso pulito, lo sguardo… nuovo.

Ci fu un attimo di silenzio, poi le due si abbracciarono.
Non un abbraccio di circostanza.
Uno vero.
Lungo.
Forse troppo.

«Che cazzo ci fai qua?»
«È Natale, non ricordi? Gli alberi, la neve, le madri iperprotettive?»

Risero.

Martina la guardò con attenzione.
«Sei cambiata. Non solo nei capelli. Proprio negli occhi.»

«Tu invece sei diventata… una milanese col profilo da illustratrice. Ti manca solo la bicicletta e un labrador con nome scemo.»

Martina sorrise.
«Lo tengo per l’estate.»

Si misero a camminare insieme, lentamente, con la neve che scricchiolava sotto gli scarponi.
Parlavano come se non si fossero mai lasciate.
Ma a tratti emergeva qualcosa di nuovo: una distanza da colmare, un rispetto da ricalibrare.

«A Firenze com’è?» chiese Martina.

«Complesso. Bello. Faticoso. Troppe persone, pochi momenti veri.
Però… anche cose che non so spiegare.»

«Tipo?»

Chiara esitò.
Poi scrollò le spalle.

«Scoperte. Dentro e fuori.»

Martina annuì piano.
Non forzò la mano.

«Io invece ho smesso di scoprire cose nuove.
Le faccio accadere, adesso.
Un po’ per volta.»

Chiara la guardò, incuriosita.
«Tipo che fai? Yoga nuda, o ti sei data all’apicoltura?»

«Quasi.
Scrivo, leggo, lavoro online.
E vivo con Lorenzo.»

«Il tuo compagno?»

Martina annuì.
Poi si aggiustò la sciarpa.

«Siamo insieme da un po’. Ma in modo… nostro.
Non il classico rapporto.
Cioè… siamo felici. Ma anche molto liberi.»

Chiara si girò verso di lei.
Il tono era neutro.
Ma un filo di curiosità passò tra le ciglia.

Martina non aggiunse nulla.
Ma il seme era stato piantato.

Si fermarono a bere un tè in una sala da tè improvvisata sotto i portici del centro.

Sedute l’una di fronte all’altra, si raccontarono le cose importanti.
Chiara parlò del trasferimento, della convivenza con Giulia, degli esami.
Accennò a qualcosa di vago, “una notte confusa, intensa”, senza spiegare.

Martina la ascoltava con la testa inclinata.
Ogni tanto le mordicchiava l’unghia del pollice.
Un gesto che Chiara ricordava dai tempi del liceo.

«E tu?» chiese a un certo punto.
«Come stai davvero?»

Martina si prese un respiro.

«Sto… bene. Ma è un bene diverso da quello che pensavo.
Non cerco più conferme.
Non voglio più essere scelta.
Mi basta sentirmi libera di scegliere.»

Chiara sorrise.

«Sei cambiata.
E in meglio, direi.»

Martina non rispose.
Le tenne lo sguardo addosso un secondo in più.

Quando uscirono, il cielo si stava schiarendo.

«Domani andiamo a sciare. Io e Lorenzo. Veniamo su con la macchina, e ci fermiamo in baita.
Ti va?»

Chiara esitò.
«Non so nemmeno se ho ancora i pantaloni termici.»

«Ti presto i miei.
Vieni, dai.
Ti farà bene.
E così conosci lui.
Credo che vi piacerete.»

Chiara sorrise.
«Va bene. Ma solo se in baita c’è la cioccolata calda.»

Martina rise.
«Anche di più.»

Quella sera, nella sua stanza, Chiara si spogliò piano.
Si guardò allo specchio.
Si osservò le cosce, i fianchi, i capezzoli appena induriti dal freddo.
Si accarezzò le spalle, lentamente.
E pensò a Martina.
Non solo al suo viso, ma al tono della sua voce.
Alla cura con cui evitava di dire troppo, eppure… diceva tutto.

Si infilò sotto le coperte.
Spense la luce.
E per la prima volta, dopo giorni, si toccò non per ricordare, ma per curiosità.

Per chiedersi, dentro, dove potesse portare quella nuova voce che aveva appena ritrovato.

Il cielo era bianco come farina.
Uno di quei bianchi che sembrano assorbire tutto: luce, rumori, pensieri.
Chiara si svegliò presto, ancora prima della sveglia.
Si infilò i leggings termici, una maglia a maniche lunghe, poi il pile, i guanti, lo scaldacollo, la giacca a vento.
Il suo corpo si trasformava lentamente in una forma pronta alla neve, ma dentro si sentiva nuda e curiosa.

Martina arrivò puntuale.
Guidava lei, come ai tempi.
Lorenzo era già seduto accanto, col cappello in pile, un sorriso rilassato e una tazza di caffè da viaggio in mano.

Quando Chiara aprì la portiera, lui si voltò.
«Finalmente la famosa Chiara.»

La voce era calda, maschile, gentile.

«E tu devi essere il famigerato Lorenzo.»

Martina rise.
Lui allungò la mano da sopra la console centrale.
«Piacere. Sarà una bella giornata, secondo me.»

Non sembrava una battuta.
Solo un’osservazione serena.

Durante il viaggio, parlarono di tutto.
Chiara e Martina ripresero la loro complicità con naturalezza.
Parlavano di vecchi amici, delle vacanze passate, di cosa avrebbero fatto dopo le feste.
Lorenzo interveniva di tanto in tanto, con poche parole ma ben piazzate.
Aveva un modo essenziale di stare nel mondo, come se ogni cosa che faceva fosse giusta in sé, senza dover essere spiegata.

Eppure, sotto la sua calma, Chiara sentiva qualcosa.
Non un’ansia.
Non un’attrazione diretta.
Ma una vibrazione.
Come se lui già sapesse qualcosa che lei non aveva ancora deciso.

Arrivarono agli impianti di risalita.
Le piste erano morbide, battute nella notte.
Pochi sciatori, la maggior parte già nei rifugi.

Chiara scese dalla macchina e si sistemò gli scarponi.
Il freddo le entrava dalle caviglie.
Si sentiva viva.

Martina la raggiunse.
Si sistemò il casco, poi la guardò.

«Ci sei ancora, sotto tutta quella lana?»

«Più di quanto pensi.»

«Bene.»

Si sorrisero.
Quel sorriso conteneva molto più di quanto sembrasse.

Le discese si susseguirono leggere.
Lorenzo sciava bene.
Martina era più prudente.
Chiara si scoprì a ridere mentre prendeva velocità, mentre sbagliava una curva, mentre si lasciava cadere nella neve fresca.

Ogni tanto Lorenzo la aspettava più avanti.
Le porgeva la mano per aiutarla a rialzarsi.
Lo faceva con delicatezza.
Con assenza di fretta.

Chiara notò che non la toccava mai più del necessario.
Ma il gesto era intimo, contenuto.

Un modo di esserci.
Senza peso.
Ma con presenza.

A mezzogiorno si fermarono alla baita.
Un piatto di canederli, vino rosso, risate leggere.
Martina raccontava episodi del passato con dettagli imbarazzanti.
Chiara la ascoltava con gratitudine: era bello vedersi riflessa negli occhi di qualcuno che l’aveva conosciuta prima di tutto.

Lorenzo stava in ascolto.
Ogni tanto beveva, annuiva, rideva piano.
Quando parlava, lo faceva guardandola.
Non in modo invadente.
Ma come chi aspetta qualcosa.
O riconosce qualcosa.

Nel pomeriggio fecero altre discese.
Più lente, più stanche.
Poi si ritirarono.

L’appartamento in affitto che Martina e Lorenzo avevano preso era a venti minuti dalle piste.
Piccolo, accogliente, con travi in legno, una stufa in ghisa, e due divani.

«Resti a cena?» chiese Martina mentre si toglieva la tuta.

Chiara esitò.
Poi annuì.
«Volentieri. Ma non ho nulla da mettermi.»

«Non ti preoccupare, ti presto io qualcosa.
Facciamo una doccia veloce, poi cerchiamo nel cassetto delle meraviglie.»

Risero.
Martina prese un asciugamano per sé, ne allungò uno a Chiara.
«Puoi andare prima tu, se vuoi.»

Chiara si spogliò nel bagno, il vapore si alzava piano, lo specchio si appannava.
Sentiva l’acqua calda sciogliere la stanchezza dalle gambe.
Si lavò lentamente, con cura.
Era la prima volta che il suo corpo, bagnato, pensava a due persone insieme.

Quando uscì, avvolta nell’asciugamano, Martina le passò accanto.

«Vado io! Apri pure il primo cassetto a sinistra del letto, lì ci sono le magliette. E qualcosa da metterti sotto.»

Chiara aprì.
T-shirt morbide, qualche felpa.
E poi…
Intimo.
Mutandine in pizzo, reggiseni senza coppa, body, e…
due sex toys.
Uno rosa, piccolo, vibrante.
Uno più scuro, elegante, sagomato.

Chiara sorrise.

Non era turbata.
Non era sorpresa.

Solo…
le tornò in mente il cassetto di Giulia.

Quel momento in cui aveva trovato la scatola con i toys, e aveva capito qualcosa.
Qualcosa che non aveva ancora parole.
Ma che adesso sapeva riconoscere.

Scegliette una maglietta morbida e lunga, color senape.
E delle culotte nere, eleganti.

Quando Martina tornò, trovò Chiara in salotto, davanti alla stufa.
I capelli bagnati raccolti.
Il viso sereno.

Non dissero nulla.
Ma qualcosa era già cambiato.

Lorenzo cucinò.
Non pizza.
Polenta morbida, funghi trifolati e arrosto.
Lo servì con una naturalezza domestica che sembrava affettuosa.
Versò del vino rosso in tre bicchieri.
Si sedettero al tavolo.

Parlarono di viaggi.
Di fantasie.
Di amicizie finite.

Poi Martina raccontò di una cena a Barcellona.
Un ristorante dove le coppie potevano cenare nude.

Chiara rise.

«E voi? Nudi anche lì?»

Martina sorseggiò.
«Solo io. Lui guardava.»

Lorenzo non intervenne.
Ma le lanciò un’occhiata.
Non a Martina.
A Chiara.

Un attimo.
Basta per farle vibrare lo stomaco.

«Hai mai provato a fare qualcosa fuori da ogni copione?»
La domanda arrivò morbida, tra un sorso e l’altro.

Chiara ci pensò.
Poi rispose piano.

«Sì. Ma solo una volta.
E mi ha cambiato tutto.
Anche se non so ancora se in meglio.»

Martina la osservava.
Lorenzo pure.

Nessuno commentò.

Ma da quel momento, il silenzio si caricò.

Chiara si stese sul divano con un bicchiere in mano.
Martina le si sedette accanto.
Lorenzo rimase in piedi, appoggiato allo stipite della cucina, con lo sguardo fermo.

La stufa crepitava.
Il vino finiva.

E qualcosa, lentamente, cominciava a non essere più soltanto un gioco tra amici.

Era ancora tutto innocente.
Ma l’innocenza stava per finire.

La cena era finita da un pezzo.
I piatti erano ancora sul tavolo, i bicchieri vuoti, l’ultimo residuo di vino nel fondo della bottiglia.
La stufa in ghisa scaldava la stanza con un crepitio regolare, e la neve fuori si era fatta compatta, silenziosa, come se stesse aspettando qualcosa anche lei.

Chiara sedeva sul divano, le gambe raccolte, le mani attorno al bicchiere ormai tiepido.
Martina era accanto a lei, stesa di lato, i piedi nudi infilati sotto la coperta.
Lorenzo si era seduto sulla poltrona, poco più in là, e li osservava in silenzio.

Nessuno parlava.
Ma non era imbarazzo.

Era attesa.

Martina fu la prima a spezzarlo.
Un gesto semplice.
Si sporse verso Chiara, le prese il bicchiere dalle mani e lo posò sul tavolino.
Poi tornò a guardarla, ma da più vicino.
Con uno sguardo pieno, che non chiedeva permesso.
Solo verità.

«Va tutto bene?» chiese piano.

Chiara annuì.
Ma non sorrise.

«Hai caldo?»

«Un po’.»

Martina tirò indietro la coperta.
Le dita sfiorarono il ginocchio nudo di Chiara.
Un contatto leggerissimo, ma pieno di elettricità.

Chiara non si mosse.
Ma dentro, sentì qualcosa cambiare direzione.

«Ti va se ti tocco?»
La voce di Martina era bassa, ma non esitante.
Non forzava.
Non supplicava.
Solo… proponeva.

Chiara inspirò.
Guardò prima Martina.
Poi, senza volerlo, cercò lo sguardo di Lorenzo.

Lui era lì.
Seduto, fermo.
Le mani sulle ginocchia.
Gli occhi su di loro.
Nessun giudizio.
Solo attenzione piena.

Chiara tornò a Martina.
Annuì.

Martina si avvicinò.
Con lentezza.
Come se ogni millimetro di pelle meritasse tempo.

Le dita le sfiorarono l’avambraccio.
Poi la spalla.
Poi la guancia.

Chiara non si era mai sentita così guardata mentre veniva toccata.

Martina si avvicinò ancora.
Labbra sulle labbra.
Un bacio lungo, caldo, ma senza invadenza.
La bocca aperta il minimo necessario per far capire che quel bacio poteva diventare molte cose.

Chiara rispose.
Prima con incertezza.
Poi con fame.

Lorenzo rimase immobile.
Ma si era appoggiato meglio alla poltrona.
Respirava più lentamente.

Quando Martina si staccò, tenne gli occhi chiusi ancora un secondo.
Poi li aprì.
Guardò Chiara.

«Ti va che venga anche lui?»

Chiara sentì le parole scivolarle dentro, come dita sotto la pelle.

Lo guardò.
Non c’era voglia di spettacolo nei suoi occhi.
Solo rispetto.

E desiderio.

Annuì di nuovo.
E quando Lorenzo si alzò, non fu paura quella che sentì.
Fu un senso di apertura.
Come spalancare una finestra dopo giorni di chiuso.

Lorenzo si avvicinò senza parole.
Camminava lento, come se ogni passo fosse un invito.
Chiara non riusciva a guardarlo negli occhi, ma sentiva la sua presenza avvolgente, calda, quasi tattile.

Martina le prese la mano e la guidò piano, facendola alzare dal divano.
«Vieni. Ci mettiamo qui. Sulla coperta. Comoda.»

Si spostarono sul grande tappeto davanti alla stufa, che ormai scaldava l’aria come un abbraccio.
Martina si mise dietro Chiara, le accarezzò le spalle nude sotto la maglietta, le sistemò i capelli da un lato.
«Tutto bene?»
La voce era bassa, rassicurante.
Chiara annuì.
Non servivano più parole.

Lorenzo si sedette di fronte a lei.
Non la toccò subito.
Solo la guardava.
Come se volesse memorizzare ogni poro della sua pelle.

Martina le baciò il collo.
Un bacio lento, aperto, caldo.
Poi un altro, più sotto.
Le mani le scivolarono sui fianchi.

«Posso toglierla?» chiese, riferendosi alla maglietta.

Chiara annuì.
Le braccia si alzarono da sole.
Martina le sfilò il tessuto con dolcezza, lasciandole il seno nudo, teso, visibile sotto la luce tremolante della stufa.

Lorenzo la guardava come si guarda qualcosa di sacro.
Le si avvicinò.
Con una sola mano le sfiorò la coscia, poi l’anca.
Non saliva.
Aspettava.

Martina si abbassò sul tappeto, baciando la spina dorsale di Chiara dal collo fino ai lombi.
La sua lingua era umida, lenta, precisa.
Ogni tocco la faceva rabbrividire con voluttà.

Poi le mani di Lorenzo salirono, una sul ventre, una sul seno sinistro.
Lo accarezzò con rispetto, con desiderio trattenuto ma presente.
Il pollice le circondava il capezzolo senza premerlo, solo avvolgendolo.

«Sei bellissima così,» mormorò.

Chiara chiuse gli occhi.
Respirava a bocca aperta.
Sentiva il sangue correre ovunque.

Martina ora era sdraiata dietro di lei.
Le mani sulle sue cosce.
Ogni tanto un bacio tra le scapole, poi la bocca aperta sul fianco.

Lorenzo la baciò.
Finalmente.
Ma non sulla bocca.
Sull’osso del bacino.

Poi sul basso ventre.

Le mani si sfiorarono.

E Chiara si sentì completamente al centro.

Martina le sfilò lentamente le culotte.
Chiara si lasciò fare.
Senza pudore.
Solo con un senso di nudità vera, accettata, quasi sacra.

Quando rimase completamente nuda, nessuno parlò.

Martina si abbassò tra le sue gambe e le baciò l’interno coscia.
Piano.
Paziente.

Le dita le accarezzavano le labbra esterne con la lentezza di chi non vuole aprire, ma accompagnare.

Lorenzo intanto si era liberato solo della camicia.
Il suo torace era asciutto, caldo.
Si avvicinò e prese la mano di Chiara, portandola sul proprio petto.

Lei strinse.

Le dita si cercarono.

Martina, sotto, cominciò a usare la lingua.

Chiara ansimò.
Il primo suono, vero, fuori controllo.

Non era un piacere che chiedeva qualcosa.
Era uno spazio che si apriva.
Un varco.
Un sì.
Il piacere le montava dentro lento, largo, morbido.
Martina la leccava come si lecca una fragilità che sboccia, senza affrettare, senza esplorare tutto, solo rimanendo lì, su un punto preciso, finché Chiara non cominciò a tremare.

Lorenzo le teneva la mano.
Poi si spostò.
Le si avvicinò al collo.
Cominciò a baciarle la mandibola, la guancia, senza mai superare la soglia della bocca.

Chiara si voltò.
Lo baciò lei.
Lo cercò.

Un bacio profondo, caldo di saliva e desiderio.

Le mani di Lorenzo la accarezzavano dappertutto.
Dietro le ginocchia, sotto il seno, lungo la schiena.

Poi Martina si fermò.
Sollevò il volto, lucido.
«Voglio vederti da sopra.»

Chiara non capì subito.
Martina la stese con dolcezza sul tappeto.
Le salì a cavalcioni, completamente nuda.

I seni sopra i suoi, il ventre che le sfiorava il basso ventre, la bocca a un centimetro dalla sua.

E quando si baciarono —
questa volta veramente —
fu un bacio che sapeva di sé.

Martina le passò due dita tra le cosce.
Lorenzo le baciava l’addome.
Le gambe.
Tutto.

Era toccata da ogni lato, ma mai presa.

Solo scoperta.

Lorenzo, ora, era nudo.
Chiara lo guardò solo un secondo.
Bello, presente, virile ma senza ostentazione.

«Ti va di provarlo?»
Martina lo chiese quasi sussurrando.
Chiara non rispose.
Fece solo un cenno con gli occhi.

E Lorenzo la toccò.
Con il sesso, con la mano, con la bocca.

Martina le guidava il respiro, le prendeva la mano, le baciava il petto.

E Chiara venne.
A lungo.
Profondo.
Con il corpo aperto e senza paura.

Restarono lì, i tre, nudi sulla coperta, pieni di calore e silenzio.
Solo respiri.

Chiara non parlava.
Martina le baciava la fronte.
Lorenzo si era sdraiato accanto.

Era successo tutto.
Ma senza mai perdere il centro.

Perché Chiara era stata toccata, sì.
Ma soprattutto:
era stata scelta.
Accolta.
Amata.

La stufa ardeva ancora piano, un crepitio sommesso che sembrava scandire i respiri lenti, profondi, dei tre corpi stesi sul tappeto.
Le ombre danzavano sul soffitto. Nessuno parlava.
Solo le dita si muovevano, leggere, senza fretta.
Lorenzo carezzava il fianco nudo di Chiara, sdraiata tra lui e Martina.
Martina le accarezzava i capelli, le labbra ancora brillanti di baci.

Chiara non pensava.
Non ragionava.
Sentiva.

Il proprio corpo ancora umido.
La pelle accesa.
Il petto che si sollevava lentamente, come se ogni respiro fosse l’ultimo prima di una nuova nascita.

Si voltò, piano.
Martina la guardava.
Le pupille dilatate, un sorriso tenero.

Chiara la baciò.

Stavolta non fu un bacio timido.
Né lento.
Fu pieno.

Le lingue si cercarono, si riconobbero.
Martina la prese per il viso, come si tiene tra le mani qualcosa di prezioso.
Chiara la stringeva per i fianchi.

Poi, senza ragionare, si voltò verso Lorenzo.
Lo baciò anche lui.
Senza alcuna esitazione.

Le bocche si incontrarono con una fame nuova, matura.
Il sapore di lui diverso, ma caldo, maschile, rassicurante.
La sua mano scivolava dietro la nuca di Chiara, ferma, sicura.
Un gesto pieno di cura.

Quando si staccarono, Chiara rimase immobile.
Tra i due.
Gli occhi socchiusi.
Il respiro corto.

Fu Martina a rompere il silenzio.

Le prese la mano.
La guidò, con lentezza, verso il ventre di Lorenzo.
Sotto la coperta.
Sulla pelle calda.

Chiara capì.
E non tirò indietro la mano.
Anzi, lo cercò.

Lui era già duro.
Forte.
Presente.

Le dita lo circondarono.
Un gesto così semplice. Così antico. Così vero.

Martina si accostò a lei.
«Vuoi?» sussurrò all’orecchio.

Chiara la guardò.
La voce non serviva.

Sì.
Si misero a quattro zampe, affiancate, sul tappeto morbido.
Chiara sentiva le ginocchia affondare nel tessuto spesso, la pelle delle cosce che sfiorava quella di Martina.
Il fianco nudo dell’amica era lì, a un respiro di distanza.
Il profumo del suo corpo si mescolava al proprio.
Due corpi aperti.
Due respiri che si incrociavano.
Due desideri paralleli.

Lorenzo li osservava.
Aveva negli occhi una calma carica di bellezza.
Come chi non ha bisogno di correre, perché ha già tutto davanti.

Li accarezzò con lo sguardo.
Poi con le mani.
Passò le dita lungo le schiene arcuate.
Sul solco tra le scapole.
Sui fianchi morbidi.

Si inginocchiò dietro di loro.
E guardò.
Due corpi piegati.
Due seni sospesi.
Due vulve pulsanti.

La visione era quasi troppo.

Martina fu la prima a offrirsi.
Si voltò leggermente.
«Voglio che inizi da lei.»

Chiara sentì il brivido prima ancora del contatto.

Le mani di Lorenzo le tennero i fianchi.
La aprirono lentamente.
Con rispetto.
Come si apre un libro già letto ma mai davvero capito.

La penetrò con calma.
Un solo movimento.
Caldo.
Lento.
Profondo.

Chiara gemette.
Non forte.
Ma vero.

Martina la teneva per la mano.
Intrecciata.
Come a dirle sei qui, con me. Non sei sola.

I colpi erano lenti, lunghi, avvolgenti.

Martina si abbassò, le baciò la spalla.
Poi, lentamente, la baciò sulla schiena.
E ancora più giù.

Le accarezzò l’ano con la punta della lingua, con dolcezza.
Poi prese qualcosa dalla tasca della giacca accanto.
Un lubrificante.

«Posso?»
Chiara annuì, appena.

Martina fece scivolare un dito, lubrificato, con estrema cura.

Chiara si sentì piena.
Completamente.
Ovunque.

Il corpo le tremava.

Un urlo le salì in gola.
Ma uscì come un rantolo profondo.
Caldo.
Bagnato.

E venne.
Forte.
Liquida.
Abbattendo ogni barriera.

Il tappeto sotto di lei si impregnò.
Non se ne curò.

Martina le baciava le scapole.
Lorenzo era ancora dentro, immobile, come in ascolto.

Chiara si girò.
Li guardò entrambi.

E capì che non aveva bisogno di capire.
Solo di sentire.
Ancora.
Il tempo non esisteva più.

Non era chiaro quanto avessero dormito, né se davvero avessero chiuso gli occhi. La stufa ardeva ancora, bassa, e la luce che filtrava dalla finestra era quella rarefatta di una notte piena di neve. I respiri si erano fatti lenti, profondi, ma non c’era nulla di concluso. Solo una tregua — di quelle che il corpo chiama, quando è saturo e felice, ma non ancora sazio.

Chiara aprì gli occhi prima degli altri. Aveva la testa poggiata sull’addome nudo di Martina, e sentiva il suo respiro che sollevava piano il petto, regolare come un’onda. Lorenzo era disteso dall’altro lato, una mano appoggiata sul fianco di Chiara, il viso girato verso la stufa.

Per un attimo rimase immobile. Poi, senza sapere da dove arrivasse quel gesto, baciò la pelle di Martina, poco sotto l’ombelico. Un bacio casto, quasi distratto. Ma bastò quello per risvegliare il corpo che aveva accanto.

Martina si mosse piano, le passò le dita tra i capelli. Non parlò. Ma voltò il viso verso di lei, e sorrise. Quel sorriso non era complice: era un invito. Lento, caldo, consapevole.

Chiara si tirò su, strusciandosi contro la coperta, e tornò a cercare le labbra di Martina. Questa volta il bacio fu più lungo, più denso. Si aprì piano, come se ogni secondo fosse un respiro che diventava profondo, carnale, pieno.

Lorenzo aprì gli occhi nel silenzio, e le vide. Non parlò nemmeno lui. Ma si alzò a sedere, e le osservò con quello sguardo quieto che aveva avuto sin dall’inizio: non era voglia di guardare, era il desiderio di essere incluso. Di esserci. Di non perdere nulla.

Chiara si girò verso di lui e lo baciò a sua volta, quasi con tenerezza. Poi tornò a Martina, e questa volta il bacio fu a tre. Le lingue si sfiorarono, si alternarono, si intrecciarono per qualche istante. Fu una carezza collettiva, e un brivido.

Poi Chiara scese con la bocca lungo il collo di Martina, seguendo la linea morbida fino alle clavicole, e ancora giù, verso i seni. Le mani li conoscevano già, ma ora era la lingua a volerli. Le prese un capezzolo tra le labbra, lo succhiò con lentezza, con quella fame che arriva solo quando si è già sazi.

Martina si arcuò sotto di lei, socchiuse gli occhi, e le passò una mano dietro la nuca, per tenerla lì. Lorenzo si era avvicinato, inginocchiato dietro di loro, e carezzava entrambe lungo i fianchi, come per tenerle ancorate a terra, per non farle sfuggire in quella nuova marea.

Chiara, all’improvviso, fu colpita da un’immagine: la serata a casa di Edo, il divano, la musica troppo alta, Giulia accanto a lei. E quel momento così assurdo, così eccitante, in cui avevano preso in bocca lo stesso ragazzo, alternandosi. Le labbra che si sfioravano, le mani che si incrociavano, il respiro condiviso tra saliva e calore.

E ora… ora era simile. Ma non era la stessa cosa. Perché qui non c’era esibizione, non c’era provocazione. C’era una dolcezza che sconvolgeva.

Chiara tornò a leccare i capezzoli di Martina con più desiderio, e intanto Lorenzo si era avvicinato al corpo della compagna con la lentezza di chi sa aspettare. Quando la penetrò, fu in silenzio, con il volto vicino alla sua schiena, baciandole le spalle.

E Chiara, questa volta, rimase.
Non si tirò indietro.
Non arretrò.

Rimase lì, accanto a Martina, a toccarla, a guardarla godere, a desiderarla insieme a lui.
Martina si lasciava andare con grazia, il corpo aperto, abbandonato a ogni gesto di Lorenzo, che la prendeva con una lentezza decisa, come se ogni affondo fosse un atto di ascolto, un modo per confermarle: sono qui, ti sento, sei mia.
E accanto, accovacciata a fianco, Chiara non poteva distogliere lo sguardo.

Ma non era solo eccitazione.
Era uno stupore profondo.
Vedere un corpo femminile che godeva così apertamente, così pienamente, le provocava una vertigine che non aveva nulla a che vedere con la gelosia, né con l’invidia.
Era una voglia antica di appartenere, di entrare in quel cerchio fatto di gemiti, umidità, pelle e verità.

Si avvicinò al viso di Martina, le prese la mano e la baciò sul dorso, con rispetto.
Poi le accarezzò i capelli.
E infine tornò a baciarsi con lei mentre Lorenzo continuava a muoversi dentro di lei con ritmo crescente.

Chiara si chinò, scivolò lungo il corpo dell’amica, e ricominciò a succhiarle i seni con una fame che non era più timidezza ma sete.
Sotto la lingua sentiva il cuore accelerato di Martina, il respiro spezzato, la pelle tesa.
Ogni gemito le passava dalla bocca alle viscere.
Ogni contrazione diventava anche sua.

Lorenzo alzò appena lo sguardo.
I suoi occhi incrociarono quelli di Chiara per un istante.
Non c’era sorpresa.
C’era gratitudine.
Un silenzioso: resta lì.

Martina gemette più forte, affondò le unghie nella coperta, e si inarcò contro di lui.
E quando venne, lo fece come se si liberasse da qualcosa.

Chiara non si mosse.
La baciò sul ventre mentre Lorenzo la teneva ancora stretta, ancora dentro.

Il silenzio che seguì fu pieno.

Poi Martina si voltò, le accarezzò la guancia.

«Adesso… voglio guardare voi.»

Fu Lorenzo a chinarsi verso Chiara.
Le passò la mano sulla schiena, la baciò sulla nuca.
«Posso?» chiese, con la voce roca ma dolce.

Chiara si voltò verso di lui.
Il suo corpo era pronto.
Ma soprattutto, lo era il suo sguardo.
Fu una resa silenziosa, quella di Chiara.
Non fatta di parole o gesti teatrali, ma di un corpo che non aveva più bisogno di trattenersi.
La guardò — prima Martina, poi Lorenzo — con gli occhi pieni, senza difese.
E fu come dire: sono qui.
Fate di me un luogo in cui restare.

Martina la prese per mano e la guidò a stendersi supina sul tappeto, la schiena calda della lana ruvida, il petto che si alzava a ogni respiro più in fretta.
Si inginocchiò accanto a lei, e con un tocco lento cominciò ad accarezzarle il ventre, le costole, il seno.
Non per eccitarla.
Ma per sentirla viva.

Lorenzo, ancora nudo, si inginocchiò tra le sue gambe aperte.
Le mani le passarono lungo i fianchi, poi si posarono appena sopra le ginocchia, tenendola ferma ma libera.
Il suo sguardo era profondo, calmo, caldo.

Martina si chinò su Chiara e cominciò a baciarle il petto, il collo, la mandibola.
Le sussurrava parole che lei non afferrava, ma che le entravano dentro come vibrazioni.

Poi le prese un seno tra le mani e cominciò a leccarlo piano, alternando la punta della lingua a lunghi baci aperti.
Chiara sentiva il sangue correre ovunque, il respiro farsi più disordinato.

Quando Lorenzo cominciò a penetrarla, lo fece senza fretta.
Un solo affondo lento, profondo, come se volesse posarsi in lei, non solo entrarci.
Chiara lanciò un gemito breve, quasi sorpreso.
Martina le baciò la fronte.

Le mani si intrecciarono.
I fianchi si sollevarono.
Il corpo di Chiara tremava senza paura.

Ogni movimento di Lorenzo era accompagnato da un bacio di Martina.
Ogni affondo, da una carezza.
E Chiara non era più un corpo solo.
Era l’incrocio di due desideri che la volevano intera.

Il piacere salì dentro di lei come un’onda che non voleva schiantarsi.
Si gonfiava, si allargava, si dilatava.

Poi Martina prese dell’olio profumato — quello che usavano per la schiena — e con un dito bagnato cominciò a passarglielo tra le pieghe più intime.
Chiara spalancò gli occhi.
Lorenzo continuava, senza fermarsi.

La penetrazione si fece più profonda.
Il calore aumentava.
Martina, con delicatezza, le accarezzò anche il punto più segreto.

Chiara si sentì invasa, riempita, accolta, desiderata.
Piena. Ovunque.

E quando venne, non fu un orgasmo.
Fu un’apertura.
Una cascata.
Un lasciarsi andare.

Sentì il corpo inumidirsi, inondarsi.
Squirtare.
Bagnare il tappeto, le dita, le cosce.

Martina le baciò il ventre.
Lorenzo rimase dentro ancora un attimo.
Poi uscì piano, come si esce da un luogo che non si vuole violare.

Il silenzio che seguì fu sacro.
scritto il
2025-04-14
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