Via dei Bardi - 13 - Quattro bicchieri, quattro corpi

di
genere
saffico

Il corridoio della facoltà era pieno di voci.
Risate, passi, zaini sbattuti a terra, voci che si sovrapponevano in mille racconti di vacanze, treni in ritardo, amori estivi già finiti.

Chiara camminava piano, un raccoglitore sotto braccio, la maglietta di lino che le scivolava sulle spalle, e il viso ancora abbronzato dai giorni in montagna. Era immersa nei suoi pensieri — o forse nei suoi ricordi — quando sentì una voce alle spalle.

«Ehi. Principessa dei silenzi…»

Si voltò.
Tatiana.

Stivali alti, shorts di jeans, canottiera nera attillata. I capelli sciolti, mossi, gli occhi verdi bordati da un trucco impeccabile, e un sorriso che Chiara riconobbe subito: quello delle sere in cui si sa già tutto, ma non si dice niente.

«Edo non è ancora tornato,» disse, avvicinandosi.
«E io mi annoio con le mie coinquiline scandinave. Cena da noi stasera. Veniamo in soccorso l’una dell’altra?»

Chiara esitò per un attimo.
Poi annuì.
«Va bene. Porti tu il vino?»

Tatiana rise.
«Tu porta solo quel tuo modo di arrossire al momento giusto.»

La casa di Tatiana era al secondo piano di un edificio storico, con soffitti alti e finestre enormi.
Le coinquiline erano già lì: Liv, una ragazza bionda, occhi chiarissimi, pelle nordica e sorriso calmo; e Élise, una francese dai capelli corti e l’accento melodioso, che parlava con le mani e rideva con tutta la bocca.

Apparecchiarono con semplicità: pasta fredda, bruschette, formaggi e tanto vino bianco, già fresco nel secchiello improvvisato del lavello.
Chiara si sentiva fuori posto, all’inizio. Ma poi la leggerezza collettiva la trascinò.

Si rideva. Si beveva. Si parlava di ragazzi, ragazze, gaffe internazionali, professori sexy e notti di bagordi.
Poi Tatiana buttò lì la frase.

«A proposito… una di voi ha mai fatto sesso guardata da altri?»

Le risate si placarono un secondo.
Poi Élise: «Volevi solo una scusa per raccontare quella serata, vero?»

Tatiana finse modestia.
Poi guardò Chiara.
«Ok, confesso. La famosa sera da Edo. Quella in cui voi due brave ragazze siete venute a recuperare il caricatore…»

Chiara abbassò lo sguardo, ma non sorrise.
Tatiana continuò.

«Loro due… Edo e Matteo… e due bocche meravigliose. E io… sotto. A guardare. E godere. E forse a godere anche un po’ perché guardavo.»

Ci fu un silenzio strano.
Poi Liv — fino ad allora la più silenziosa — si spostò un po’ più vicino a Chiara.

«Io trovo che ci sia qualcosa di bellissimo nella vulnerabilità del piacere,» disse piano.
«Vedere qualcuno venire è quasi come entrare nel suo cuore. O almeno… tra le sue gambe.»

Chiara rise, nervosa.
Liv la guardava. Ma non in modo sfacciato.
Con dolce interesse.

«E tu?» le chiese Tatiana, versandole altro vino.
«Hai mai goduto guardata?»

Chiara scosse la testa.
«Non davvero. Ma… mi piace l’idea. Mi fa paura. E mi eccita.»

Liv si avvicinò ancora un po’.
Le ginocchia quasi si toccavano.
Il contatto non era casuale.

«Sei molto bella quando parli con le mani,» le disse, quasi sottovoce.

Chiara sorrise.
Poi si voltò.
Il cuore le batteva più forte.

Tatiana alzò un sopracciglio.
«Vi lascio dieci minuti e siete già lì?»

Élise si stese sul divano.
«Io ho un debole per le bionde nordiche che parlano lento.»

Liv ridacchiò.
Poi, senza guardare nessuna delle altre, allungò una mano e la posò sulla coscia di Chiara.
Sopra i jeans.
Un gesto semplice. Caldo. Stabile.

Chiara si irrigidì. Poi rilassò le spalle.

Liv non fece altro.
Solo restò lì.
Con la mano sulla sua gamba.
Come se stesse aspettando un segnale.

Tatiana si alzò.
Andò verso il mobile.
Tirò fuori una scatola.
Tornò verso di loro.

«Che ne dite,» disse, «se mettiamo un po’ di pepe alla serata?
Solo per giocare, ovvio.»

Dentro la scatola, dadi colorati. Carte. Fasce di raso. Un piccolo frustino.
Giochi. Ma non da tavolo.

Chiara guardò Tatiana.
Poi Liv.
Poi il bicchiere.
E sentì la pelle accendersi, piano.

Chiara fissava la scatola aperta sul tavolino come se fosse un altare profano: dadi colorati con simboli di posizioni, carte con frasi in inglese e francese, un frustino piccolo e decorativo, due bende di raso, e una bottiglietta di lubrificante trasparente che scintillava sotto la luce della lampada.

Tatiana si era rimessa comoda sul divano, le gambe accavallate, un gin tonic in mano.
Élise era sdraiata a pancia in giù sul tappeto, i piedi nudi che si muovevano in aria.
Liv era rimasta vicino a Chiara. La mano sulla sua coscia era ancora lì, ferma, calda, ma non invadente.

«Allora?» chiese Tatiana.
«Non ci sono regole vere. Solo rispetto e curiosità.»

Chiara passò la lingua sulle labbra, sentì il cuore battere nelle orecchie.
Era lucida. Ma il corpo la precedeva.

«Ok,» disse, in un filo di voce.
«Ma non prometto niente.»

Tatiana sorrise.
«Nessuno deve promettere. Solo… lasciarsi un po’ andare.»

Liv si chinò verso di lei. Le sussurrò all’orecchio:
«Se vuoi dire no, dillo. Ma se vuoi dire sì… lascialo succedere.»

Chiara rabbrividì.

Si sedettero tutte sul tappeto, in cerchio.

Tatiana lanciò i dadi.
Tre simboli: “bacio”, “collo”, “a scelta”.

«Giulia sei fortunata,» scherzò Élise. «Se fossi qui, ti avremmo fatta arrossire.»

Tatiana guardò Liv.
«Tocca a te.
Bacia Chiara sul collo.
A modo tuo.»

Liv non si mosse subito.
Guardò Chiara negli occhi.
Poi si avvicinò.
E le scostò i capelli.

Le labbra si posarono sotto l’orecchio, appena sopra la linea del collo.
Un bacio lungo. Lento.
Poi un secondo, più in basso.
Poi la lingua.
Solo un accenno.

Chiara chiuse gli occhi.
Il ventre si contrasse.
Le cosce si strinsero.

Liv si staccò.
Le sorrise.
Non disse nulla.

Tatiana distribuì le carte.
Chiara pescò.
Lesse in silenzio.
Poi la porse a Tatiana.

«Vuoi che la legga io?»
Chiara annuì.

Tatiana sorrise.
Poi lesse, con voce bassa:

“Fatti bendare e lascia che una persona a scelta ti accarezzi per due minuti, ovunque tranne il sesso e i capezzoli.”

Liv si mosse.
Prese la benda di raso.
Si avvicinò.
Chiara la guardava con occhi lucidi, ma non si tirò indietro.

Liv le legò la benda con dolcezza.
Poi le sussurrò:
«Hai paura?»

Chiara: «No. Ho… voglia.»

La stanza sembrò trattenere il fiato.
Liv cominciò dalle spalle.
Le mani tiepide, asciutte, morbide. I pollici che scorrevano lungo la curva delle scapole, poi scendevano, si aprivano sui fianchi, accarezzavano i lati del torace.

Chiara respirava a bocca aperta.
Non parlava.
Non si muoveva.
Il suo corpo riceveva. Accettava.

Liv le infilò le mani sotto la maglietta, senza sollevarla.
Sfiorò la pelle dell’addome, disegnò cerchi intorno all’ombelico.
Poi salì. Lentamente.
Sfiorò le costole.
Si fermò sotto i seni.
Le dita aperte. Pronte a salire ancora.
Ma no.
Rispetto del limite.

Tatiana guardava la scena con le labbra socchiuse.
Sorseggiava lentamente.
«La cosa più eccitante è la tensione,» disse.
«Quel momento in cui non sai ancora se succederà o no.»

Liv fece scivolare le mani lungo le cosce di Chiara.
Le aprì un poco.
Le dita all’interno, ma alte.
Mai troppo in basso.

Il pube era a un soffio.
Ma non lo toccava.

Chiara ansimava.
Piano.
Aveva le gambe tese, le mani abbandonate sulle ginocchia.
Le labbra umide.
Un brivido le scosse quando Liv le passò un pollice lungo la linea dell’inguine.

«Un minuto e trenta,» disse Élise con un sorriso.
«Pensa che ti restano ancora trenta secondi per morire di desiderio.»

Liv si chinò.
Appoggiò le labbra sulla pancia di Chiara.
Un bacio lento.
Uno solo.
Sotto l’ombelico.

Chiara emise un suono.
Un gemito appena trattenuto.
La testa si inclinò all’indietro.

Tatiana si mordeva un dito.
«Se fossi Chiara… non so se riuscirei a non toccarmi.
La guardate com’è bagnata?
Lo vedete il contorno delle mutandine sotto la maglietta?»

Liv sollevò lentamente la mano.
Fece scorrere un dito lungo l’elastico dello slip.
Non lo infilò.
Solo sfiorò.

Chiara si contorse.
La gamba tremò.

Poi… silenzio.

Il tempo era finito.

Liv si tirò indietro.
Sciolse la benda.

Chiara aveva gli occhi lucidi.
Il petto che si sollevava in fretta.

«Tocca a te,» disse Tatiana.
«Puoi scegliere se continuare… o fermarti.
O… cambiare le regole.»

Chiara guardò Liv.
Poi il bicchiere.
Poi Tatiana.

E sussurrò:

«Le regole si cambiano solo se ne vale la pena.»

Liv non disse nulla.
Non serviva.
Prese la mano di Chiara. La baciò sul dorso. Poi sul polso. Poi la guidò lentamente a sdraiarsi sul tappeto, tra i cuscini.
Tatiana si spostò per far spazio, le gambe piegate sotto di sé, gli occhi puntati su di loro.
Élise si era tolta il reggiseno, ma senza fare scena: lo aveva sfilato e appoggiato al bracciolo del divano, le braccia incrociate sul petto, un sorriso sulle labbra.

Chiara si stese.
La maglietta le scivolò su un fianco.
Liv si mise sopra di lei. A cavalcioni.
Non per schiacciarla.
Ma per esserci.

Le mani cominciarono a sollevarle la maglia, centimetro dopo centimetro.
Chiara la alzò da sola.
Liv la tolse.
La guardò.

Il reggiseno era sottile, bianco, teso sui seni pieni.
I capezzoli si intravedevano sotto.
Liv li accarezzò con il dorso delle dita.
Poi passò le mani dietro la schiena.
Lo slacciò.

Chiara chiuse gli occhi.
Inspirò.
E lasciò che il reggiseno le venisse tolto.

Ora era nuda sopra.

Liv si chinò.
Sfiorò un capezzolo con la lingua.
Poi lo prese tra le labbra.
Lo succhiò piano.
Lo baciò.

Chiara gemette.
Le mani nei capelli biondi di lei.
Le cosce che si muovevano da sole, lente.

Liv la baciava sul petto, tra i seni, sul collo.
Le passava le mani sulla pancia, tra i fianchi.
Poi cominciò a scendere.

Tatiana si morse il labbro.
«Guardatela… si apre come una rosa.»

Élise si accarezzava un seno con una mano, l’altra tra le cosce, sopra le mutandine.
Ma lo faceva in silenzio. Guardando solo Chiara.

Liv afferrò l’elastico dello slip.
Si fermò.

Chiara annuì.

Liv glielo sfilò.
Piano.
Fino alle ginocchia. Poi via del tutto.

Chiara era completamente nuda.

Il sesso lucido. Aperto. Gonfio.
Il clitoride visibile.
Le labbra morbide, pulsanti.

Liv le baciò l’interno coscia.
Prima a destra. Poi a sinistra.
Poi le posò la lingua tra le labbra.

Chiara si sollevò.
Un gemito profondo.
Una mano tra i capelli.
Le gambe che si aprivano.

Liv la leccava con lentezza, con metodo, con rispetto e fame insieme.
In cerchi larghi.
Poi stretti.
Poi dritta al centro.

Un dito dentro.
Poi due.
Poi il palmo che premeva mentre la lingua restava sul clitoride.

Tatiana gemeva anche lei ora.
Si era slacciata i jeans.
Le dita dentro.

Élise gemeva piano, muovendo il bacino contro il cuscino.

Chiara venne con un sussurro rotto.

«Giulia…»

E nessuna disse nulla.
Solo Liv che la baciò sul ventre, mentre Chiara tremava ancora.

Chiara era stesa sul tappeto.
Nuda.
Il petto che si sollevava ancora a scatti, i fianchi lucidi di piacere.
Le cosce ancora aperte.
Una goccia di sudore che le scendeva dalla tempia.

Liv si era accoccolata accanto a lei, con la testa sul ventre di Chiara.
Una mano poggiata mollemente sul fianco, come se fosse sempre appartenuta lì.

Tatiana era sdraiata di lato, il reggiseno slacciato, le dita che disegnavano cerchi pigri sull’addome.
Gli occhi semichiusi. La bocca appena dischiusa.
Un’espressione di chi ha goduto anche solo guardando.

Élise si era alzata per prima.
Aveva versato dell’acqua, poi era tornata con un bicchiere per ciascuna.
Aveva sorriso.
Poi si era rimessa le mutandine.
Senza fretta.

Il silenzio era pieno.
Denso.
Soddisfatto.

Chiara sentiva ancora la lingua di Liv tra le cosce, il suono umido dei baci, la pressione gentile delle dita, ma anche… la voce dentro di sé.

Giulia.

Aveva sussurrato quel nome nel momento dell’orgasmo.
Non era un errore.
Non era un sogno.
Era la verità del suo corpo.

Liv le accarezzò l’interno del braccio.

«Tutto bene?»
Chiara annuì.
«Sì… È stato… bello.»

«Solo bello?»

Chiara si voltò.
La guardò negli occhi.
«È stato vero. Ma… non so ancora dove portarmi.»

Liv le baciò la spalla.
Poi si sollevò.
Andò a recuperare un telo. Glielo posò addosso, con un gesto gentile. Non possessivo.

Tatiana si alzò.
«Doccia per tutte.
Poi… ognuna con i suoi pensieri.»

Chiara si alzò lentamente.
Si infilò il telo attorno al corpo.
Il sesso ancora pulsava.
Ma dentro, sotto, qualcosa la tirava altrove.

Uscì da casa di Tatiana un’ora dopo.
I capelli ancora umidi.
Le mutandine ancora nello zaino.
Le gambe molli.
Le dita che stringevano il cellulare come se potesse proteggerla da sé stessa.

Camminava a piedi verso casa.
Il cielo era già blu scuro.
L’aria profumava di pane, gelsomino e asfalto caldo.

E lei… pensava a Giulia.

Non a Liv.
Non a Tatiana.
Non a nessuna delle lingue, delle mani, dei gemiti.

Solo a quel modo in cui Giulia la guardava la mattina.
A quando si passavano il barattolo del caffè senza parlare.
A quando si infilavano nel letto dell’altra solo per raccontarsi qualcosa.
A quel secondo di contatto tra le lingue, mesi prima.
A quel messaggio che ancora non aveva risposto.

Entrò in casa.
Aprì la porta piano.
La luce del corridoio era accesa.
La porta della camera di Giulia chiusa.

Appoggiò lo zaino.
Si tolse le scarpe.
Rimase scalza.

E sussurrò:
«Sono qui.»

Ma non lo disse ad alta voce.
Lo disse solo per sé.
E per lei.

scritto il
2025-04-08
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