Karin, Uli & Claudia cap. 01 — il Casale

di
genere
etero

Prima ed unica prefazione.
Ho pubblicato questo racconto nel genere etero perché, purtroppo, E.R. non da la possibilità della scelta multipla; non mi piace mettere limiti con la scelta di un particolare genere ma non c’è altra possibilità.
Quindi, anche gli altri capitoli saranno posti in una categoria che sicuramente non sarà totalmente rappresentativa del tema del racconto. Poco male.
Comunque, vi prego, abbiate pietà!
Non sono uno scrittore, cerco di esprimere parole con un minimo di senso sperando di non sbagliare troppo sintassi, verbi e punteggiatura.
In teoria dovrei aver scritto questo e gli altri capitoli in Italiano e non in ItaGGGGGliano come ultimamente accade, vieppiù spesso, di leggere su questa piattaforma o almeno lo spero, ditemi voi.
Ci saranno capitoli solamente descrittivi ed altri con contenuto sessuale più o meno spinto.
Ho cercato di limitarne la lunghezza dei capitoli (principalmente relativi al 1978 che fu l’anno delle svolte nelle nostre vite) entro le 3000/3500 parole ma non sempre è stato possibile, .
So che questo limite è ben oltre la media della lunghezza dei racconti su questa piattaforma e so anche che per alcuni possono sembrare molto, troppo lunghi ma non sono bravo ad esprimere concetti e sensazioni in poche parole.
Graditi commenti positivi o negativi, consigli (migliorare è sempre un bene), quindi critiche costruttive e distruttive; se si vuole crescere bisogna farlo anche per la via dolorosa.
Provo a pubblicare i primi tre capitoli, vediamo se trovano lettori interessati, sennò amici come prima.
Buona lettura.

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2324 parole

Sono italo-austriaco, mi chiamo Ulderisch … si si, non un italianizzato Ulderico (che già sarebbe stato una badilata sui denti) od un più normale, che so, Enrico ... no, io sono proprio Ulderisch; alla tedesca! È lo scotto di provenire da una famiglia paterna con forti tradizioni nel passato, il mio nome è quello del tris nonno, ufficiale nell’esercito Asburgico nel 1885. Dal XVII secolo era consuetudine che, almeno un componente della famiglia, facesse il suo dovere verso l’imperatore ed alcuni ci lasciarono pure la pelle nelle varie guerre. Per cui le tradizioni erano tradizione (perdonate il gioco di parole). Fui l’incubo degli insegnanti di elementari e medie Italiani quando dovevano scrivere il mio nome e cognome (adeguatamente e complicatamente teutonico pure quello) sul registro di classe o quando mi chiamavano per interrogarmi. Ma non basta! Avevo pure il peggior diminutivo possibile e cioè Uli; una sola “L” e pure senza “Y” finale che magari poteva fare figo … giuro che avrei preferito solo l’iniziale U.


Sono nato a Linz l’11 giugno del 1960, nel giorno del 18° compleanno di mia madre; lei dice che fui il più bel regalo mai ricevuto. Lei è la parte Italiana del mio sangue; conobbe mio padre 9 mesi prima, ad agosto del ’59, si incontrarono in campo neutrale, in Svizzera a Zurigo dove lei passava una vacanza studio lavoro presso lo Zürcher Yacht Club. Era lì allo scopo di conservare e migliorare il suo tedesco che aveva studiato alle medie e di cui non voleva perderne la padronanza; alle superiori in Italia stava studiando l’inglese al liceo scientifico.

Mio padre aveva 20 anni e studiava ingegneria a Politecnico Federale di Zurigo. Si incontrarono dove mia madre lavorava, lei mi diceva sempre che “Quando vidi entrare dalla porta quel gigante biondo di due metri bello come il sole ebbi un colpo al cuore. Seppi da subito che se mi avesse chiesto di essere sua non mi sarei negata. Ero sua, me ne innamorai a prima vista”. Lo stesso capitò a lui vedendo questa Valchiria di un metro e settantacinque, dai biondi capelli lunghi fino alle reni raccolti in una coda di cavallo alta che le lasciava scoperto il lungo e flessuoso collo. Quegli occhi blu profondo che vide lo stregarono e quel culo a mandolino stampato dai pantaloni alla Audrey Hepburn era una calamita per le mani.

Si piacquero e si amarono immediatamente, per mia madre quello era l’ultimo giorno di lavoro lì, si sarebbe trattenuta solo un’altra settimana a Zurigo per fare un poco di vacanza vera. La passarono insieme, nel letto della camera in affitto di mio padre a fare l’amore; il loro mondo fu confinato in 20 metri quadrati per quei 7 giorni. Mia madre gli donò tutte le sue verginità, lo fece coscientemente, per amore; quando si lasciarono si promisero amore eterno ben sapendo che sarebbe stato difficile se non impossibile. Io ero già dentro di lei, fui il dono del loro amore, se mio padre fosse andato allo yacht club il giorno dopo io non sarei nato.

Si tennero in contatto epistolare, si scrivevano anche due volte al giorno finché mia madre scoprì che ero in lei. Decise di non scrivergli più non voleva mettergli il peso di una paternità magari non voluta dopo solo una settimana d’amore.

Mia madre ha due sorelle, all’epoca già maggiorenni e sposate, sono nate a distanza di poco più di un anno l’una dall’altra. Sono figlie di tre padri diversi. Si, la nonna si era data parecchio da fare a fine anni ’30 inizio ’40. Fu lo scandalo del paesino dell’entroterra ferrarese dove risiedeva, tanto che dovette emigrare a Bologna quando sospette somiglianze delle figlie con personaggi notabili della zona divennero palesi; specialmente con mia madre, l’ultima arrivata, che a quattro anni era spiccicata al giovane ed aitante flavo parroco del paese. Probabilmente, data l’origine di questa paternità, la nonna la battezzò col nome di Benedetta, aveva un senso dell’umorismo tutto suo …

La nonna da sola allevò con amore e dedizione le tre figlie spaccandosi la schiena per assicurare loro una vita decente; riuscì a farlo ma ne venne fuori col fisico demolito. Non la conobbi mai; morì un anno prima che io nascessi. Fatto che rese mia madre una minore emancipata.

Mia madre voleva seguire le tracce della nonna ed allevarmi da sola. Le sorelle, per evitarle di fare una cagata madornale, scrissero di nascosto a mio padre; avrebbero capito dalla sua risposta se Dietrich fosse un uomo od una merda d’uomo. La risposta non arrivò mai. Arrivò mio padre che si portò a Linz il suo amore, felice del fatto che quelle notti d’amore avessero dato frutti. Sposò mia madre appena furono pronti gli incartamenti italiani (vi lascio immaginare la celerità) e quelli austriaci. Le sue sorelle furono felicissime erano molto legate tra loro per i trascorsi di vita; hanno sempre vissuto dipendenti una dall’altra. Erano loro “la famiglia”!

Mia madre fu accolta dalla famiglia di mio padre come una regina, forse perché fisicamente non era una tipica “Italienisch” come le sorelle. Mio nonno volle che mia madre terminasse gli studi e lo fece in Austria anche se dovette studiare come una matta facendo 2 anni in uno, il nonno l’amava come una figlia e le fece fare un corso con diploma come assistente legale di 3 anni che le fu utile per la sua futura vita lavorativa. Passammo i primi 4 anni della mia vita tra Austria ed Italia per le ferie, poi mio padre laureatosi, cercò ed ottenne un lavoro in un prestigioso studio ingegneristico a Bologna e ci portò a casa. Mia madre aveva insegnato l’italiano oltre che a me anche a mio padre e questo fu utile per il suo nuovo lavoro. Mia madre, grazie al diploma di assistente legale, che mio nonno le aveva fatto prendere, trovò lavoro in uno affermato studio notarile di Bologna e potè iscriversi a giurisprudenza per completare il suo percorso didattico. I nonni e la famiglia Austriaca la frequentammo quanto più possibile ma i miei nonni ne soffrirono a non avermi tutto per loro.

Le sorelle di mia madre avevano da subito imposto il concetto di grande famiglia ai loro mariti. Per cui vacanze assieme, abitazioni dapprima vicine e poi, quando si liberò un grande Casale nella campagna, contigue con pertinenze comuni. Ci accolsero, qui, al Casale, dove io conobbi a fondo e non solo per le ferie le mie cugine Rebecca, figlia di Roberta e Guido, di 7 mesi più giovane di me e Ludovica, figlia di Patrizia e Luca, di circa un anno più giovane. Le sorelle avevano ricomposto la famiglia. Vivere a così stretto contatto permise, a noi ragazzi, di vivere indistintamente a casa di chiunque dei nostri. Questo tipo di vita porta ad avere un’intimità quasi fraterna tra i cugini e difatti così fu. Da subito facemmo il bagnetto assieme; le nostre madri ci hanno abituati ai nostri corpi nudi senza provare pudore. Erano gli anni 60 e non era cosa comune, credo. Ad aggiungere divertimento ci pensò la sorte imponendomi un intervento di circoncisione che suscitò ilarità nelle due streghette per la condizione di quello che loro definirono “Coso Spuntato” e tale nomignolo sarebbe poi rimasto il mio nome di gioco quando, nel nostro immaginario, ero il perfido e selvaggio indiano del West che rapiva le due belle figlie del cowboy per torturarle a suon di solletico.

Al Casale, che era circondato da alte siepi di Cipresso di Leyland, noi piccoli individuammo e creammo un nostro “rifugio segreto” che altri non era che un locale dapprima adibito a ricovero utensili che noi avevamo forzatamente occupato e liberato (con disappunto dei nostri padri) ed arredato con un divanetto, un tavolino ed alcune poltroncine requisite dal giardino (con disappunto delle nostre madri) acclamandolo come esclusivamente nostro ed addirittura riuscendo a chiuderlo a chiave di cui eravamo unici possessori noi tre cugini. Noi piccoli sguazzavamo tranquillamente nudi nella piscina, che mio padre aveva progettato e fatto costruire, nell’intimità che conferivano le alte siepi e la posizione, decisamente isolata, del Casale rispetto alla “civiltà”.

Anche le nostre madri appena la stagione lo permetteva, stimolate dall’assoluta privacy di cui godevamo, cominciarono a girare prima in topless poi anche in nudo integrale coi tipici “boschetti intimi anni 70” ai quattro venti, cosa impossibile a farsi in quei tempi in spiaggia se non in quelle rarissime dove il nudismo era consentito. Allora avevo 10/11 anni e, per quanto avessi sempre visto mia madre e le mie cugine nude, vedere le mie zie come nonna le aveva fatte mi faceva uno strano effetto. Piacevole certo ma a volte mi faceva sentire in preda ad uno stato di frenesia che non riuscivo capire e con il mio “Coso Spuntato” che a volte cambiava di stato diventando molto meno “cosino” tra l’ilarità di quelle streghette delle mie cugine. Anche i nostri padri, viste le mogli così disinibite tra loro, cominciarono a seguire i nuovi dettami sull’abbigliamento del Casale. Insomma in breve ci trasformammo in una piccola colonia nudista. Anche ai nostri padri capitava spessissimo che i loro attributi al vento prendessero una forma differente e con le mie cugine ne ridevamo tra noi.

Un giorno dei tanti, in cui il resto della parentela era a godersi il sole in costume adamitico e noi bambini eravamo appartati a giocare nel nostro rifugio segreto, Rebecca richiamò l’attenzione di Ludovica e la mia su una cosa che stava accadendo fuori dal nostro mondo privato. Osservando da una finestrella che avevamo come areazione del locale, vedemmo i nostri padri in condizioni di “attenti” che stavano scherzando con le nostre madri. Solo che era più un gioco tutti contro tutti piuttosto che papà contro rispettiva consorte … Vedemmo chiaramente che c’era uno scambio di spinte, rincorse, giochi che comportavano contatti fisici tra le parti, il tutto in un clima di gioiosa ilarità. Erano tutti genitori giovani, come era solito allora, andavano da poco meno di 30 ai 35 anni le madri e poco di più i padri. Rebecca, sembrava guardare con molto interesse le erezioni maschili; ci raccontò che la notte prima fu svegliata da rumori strani, come dei sospiri e gemiti trattenuti. Si alzò dal letto, raggiunse la camera dei genitori da dove provenivano i rumori e vide suo padre con il suo “coso” (come lo chiamavamo allora) duro e lungo; era in piedi vicino al letto e sua madre in ginocchio di fronte a lui che glielo baciava e leccava.

Curiosi chiedemmo di raccontarci cosa successe dopo e Rebecca ci disse che la madre lo aveva perfino ingoiato tutto quel “coso”! Ci confessò che aveva temuto che la madre si soffocasse dati i gemiti che produceva la sua bocca occupata da quel paletto di carne ma che dopo poco se lo sfilò dalla bocca e spinse il padre sul letto per poi saltargli sopra e infilarsi il coso dentro la cosina. Rimanemmo esterrefatti dal racconto, increduli e dubbiosi sulla reale dinamica degli eventi cominciammo a prendere in giro Rebecca che invece continuava a sostenere la sua tesi aggiungendo che la madre aveva addirittura cominciato a saltare sul padre sempre più velocemente emettendo suoni incredibili e che poi si era accasciata sul petto di lui dopo aver urlato molto forte. Le chiedemmo, curiosi, cosa fosse successo dopo ma lei ci disse che si era sentita male, come se le fosse venuta improvvisamente la febbre e che le erano venuti dei dolori al basso ventre che l’avevano costretta a ritirarsi in camera e che dalla sua cosina erano usciti dei liquidi che l’avevano spaventata.

Disse che aveva passato tutta la notte sveglia in uno stato di ansia terribile e tutte le volte che ricordava gli eventi visti si sentiva male. Cominciammo a ridere della cugina che era sempre stata la più fantasiosa del trio e tutto finì nel solito guazzabuglio di spinte e lotta greco-romana tra noi con vari improperi a condirne l’atto. Però qualcosa era cambiato; almeno a livello subliminale. Un tarlo si era insinuato singolarmente nelle nostre giovani menti.

Nei giorni successivi, nascosti dal nostro luogo di ritrovo, cominciammo a guardare con più attenzione i nostri genitori e Ludovica ci confessò che, dopo il racconto di Rebecca, era stata attenta ai rumori provenienti dalla camera dei genitori e che, effettivamente, quasi tutte le notti da lì provenivano gemiti ed urletti vari. Disse anche che più di una volta era andata di nascosto a sbirciare e che aveva visto i suoi genitori che stavano facendo quella che definí come una specie della nostra lotta greco-romana ma molto diversa dove sembrava che nessuno dei due volesse vincere….. Vieppiù spesso vedevamo i nostri genitori, che stavano sempre nudi in piscina, scambiarsi coccole e carezze anche tra cognati. Un giorno vedemmo mia madre in ginocchio accarezzare a lungo i “così” duri dei papà di Ludovica e Rebecca sdraiati ai suoi fianchi. Andò avanti con questi movimenti finché dai due papà non uscì uno spruzzo, qualcosa di bianco dalla punta del “coso” e tutto mentre tutti gli altri genitori li guardavano e ridevano, come se nulla fosse. Non capivamo cosa stava succedendo, che strana estate!

Col tempo ci facemmo il callo a queste situazioni che si ripetevano spessissimo con cambio di attori e con l’aggiunta di elementi; come quando tutte le nostre madri fecero quello che Rebecca aveva detto di aver visto fare alla madre con la bocca, solo che si scambiavano spessissimo il marito. Ma che strano, pensammo, ma erano così felici che ad un certo punto non li guardavamo neppure più con l’interesse di prima; era diventata una consuetudine e quindi di scarso interesse. Noi avevamo ben altro da fare! Molte volte un padre od una madre andava a casa di qualcun’altro e ci rimaneva tutta la notte. Trovare alla mattina presto a colazione una zia od uno zio in casa diventò consuetudine, anche più di uno a dire il vero; ed in effetti nelle notti i suoni provenienti dalle camere da letto si moltiplicavano.

continua
di
scritto il
2023-03-01
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