Karin, Uli & Claudia cap. 06 — Lovelace

di
genere
prime esperienze

3086 parole — consiglio la lettura dei capitoli precedenti per meglio seguire la trama

14/05/1978

Non sono mai riuscito ad esprimere con parole quello che provai la prima volta che Karin mi baciò il sesso. Fu fenomenale, conturbante, eccitante, preoccupante, entusiasmante, estasiante, eccitante (si lo so lo avevo già detto eccitante ma ci sta anche una seconda volta e magari una terza). Karin non si fermò ad un mero bacio sul prepuzio, cominciò ad imboccarne sempre più, prima prendendo l’intero glande in bocca, succhiandolo; percepivo la sua lingua all’interno della sua bocca muoversi freneticamente senza sosta. Poi si spinse sempre più in fondo, poco per volta, ritornando indietro e facendolo quasi uscire dalla bocca per poi ributtassi in fondo ed avanzare di un altro mezzo centimetro nell’ingoio del pene. E cosi, di mezzo centimetro alla volta, ne imbocco quasi la metà abbondante prima di avere un principio di conato con la comparsa di lacrime agli occhi. Ero preoccupato e non volevo si strozzasse col mio pene, cercai di estrarlo ma lei, senza spostarsi, scosse leggermente la testa in segno di negazione e per meglio significare la sua intenzione di non fermarsi tolse le mani dalla base del pene e dalle palle e mi afferrò saldamente i glutei. Lentamente, con movimenti lenti ed estenuanti, continuò in quello che al momento definivo come tentativo deliberato di suicidarsi tramite soffocamento auto indotto.

Non che mi dispiacesse quello che stava facendo, anzi, stavo godendo come un matto, percepivo ogni sua piccola contrazione dell’antro orale e ne traevo il massimo piacere. A volte le sue mascelle tendevano a serrarsi facendo inevitabilmente venire a contatto la delicata pelle del pene con i denti affilati che mi sembravano le zanne di un animale feroce sulla preda. Doloroso ma delizioso, un mix di contrapposizioni a cui mi sottomisi con facilità estrema. Karin resistendo stoicamente a diversi conati arrivò, in un tempo che non saprei quantificare, alla base del pene. Lo aveva ingoiato tutto! Ed io percepivo chiaramente la posizione del mio glande nella sua gola, i movimenti involontari e le contrazioni della sua faringe mi davano la sensazione di essere in una macina trituratrice. Notai che Karin riusciva a respirare anche se a fatica dal naso, ma come diavolo faceva? Dopo un qualche tempo in cui tenne il pene ben inserito nelle sue profondità quasi gastriche, Karin cominciò lentamente a scorrere indietro sull’asta rilasciando una quantità incredibile di vischiosa saliva. Credevo che tutto fosse finito lì ma mi sbagliavo di grosso. Cominciò un movimento sempre più veloce cercando di arrivare più in fondo possibile arrivando a volte ad appoggiare il naso sul mio rado pelo pubico. Mi artigliò i glutei e da lì si fece forza per meglio fagocitare completamente il mio pisello. Ad un certo punto cominciai a sentire la sensazione di vicinanza dell’orgasmo. Non era possibile resistere a lungo con sollecitazioni simili.

— Amore sto per venire, attenta! Togliti, dai continua con le mani se vuoi — dissi premuroso.

Per tutta risposta, Karin, mi guardò negli occhi e se possibile percepii un sorriso sulle sue labbra tese sul mio pene, ripeto, mi parve fossero le labbra a ridere durante la fellatio. O erano i suoi occhi a trasmettermi quella sensazione? Oppure erano le sue gote prima gonfie e poi cave a seconda della posizione del pene e della suzione? Poi tutto si fece più complicato per me cominciai a tremare visibilmente, sentivo che sarei scoppiato in poco tempo e allora feci una cosa che mi venne naturale. Le afferrai la testa che si muoveva rapida sulla mia asta ed affondai le dita nella massa dei suoi capelli. Non per costringerla a cambiare ritmo o posizione ma solo per godere del contatto di quella parte del suo corpo che stava per darmi piacere intenso. Quando lo feci, sempre mantenendo il contatto con gli occhi, ebbi la certezza che lei sorridesse, ma come cavolo faceva con la bocca piena di me? Non lo capii mai onestamente ma lei ci riusciva, eccome! Con un rantolo, o meglio un singulto, cominciai a venire nella sua bocca con potenti bordate di seme bollente cercando sempre il contatto con il suo sguardo che a volte si faceva quasi appannato per l’evidente sforzo di non soffocare. Sentivo le contrazioni della sua gola che ingoiava il mio sperma, accompagnati da piccoli colpetti di tosse soffocati dal mio pene ancora ben infisso in profondità. Non si staccava più dal mio cazzo che cominciava a farmi quasi male, dopo aver eiaculato, essendo ancora sottoposto all’azione dei muscoli labiali ed orofaringei. Poi, finalmente, cominciò una lenta ma costante estrazione, restituendo alla luce quello che mi sembrava esser stato il suo biberon che, tra l’altro, ancora non ne voleva sapere di ritirarsi in buon ordine ed ammosciarsi. Arrivata al glande si soffermò lì continuando a succhiare delicatamente, come avesse paura che lasciandolo lo avrebbe perso.

— Giuro che se adesso me lo lasci andare e lo liberi poi te lo faccio rifare quando vuoi …. Tutte le volte che vuoi — dissi ironicamente provocando uno sbotto di riso in Karin che sputacchiò sperma dalla bocca e dal naso come se fosse muco da raffreddore.

Ridemmo ancora più forte e la alzai tirandola per le mani che avevo “disartigliato” dai miei glutei doloranti (ma quanto forte me li aveva spremuti?) Abbassai la testa per baciarla e lei mi venne incontro alzandosi sulle punte dei piedi protendendo il collo. Come la sera prima il mio sapore, in un primo momento, mi parve particolare. Strano, dolce salato, acidulo ma non sgradevole e poi per reciprocità se lei lo aveva bevuto chi ero io per non farlo a mia volta.

Lei mi buttò le braccia al collo e quasi piangendo disse — Scusa —

— Scusa? E di che? Cosa stai dicendo amore?—

— Scusascusascusascusascusa — ripeteva di continuo lei ancora persa nel cavo del mio collo

Dovetti a fatica allontanarla per guardarla negli occhi che erano diventati più sul grigio che sul verde, alla faccia della variazione cromatica emotiva istantanea.

— Ma cosa dici Karin? Cosa dovrei scusare? Dovrei scusarti del fatto di avermi reso il ragazzo più felice del mondo? Non dire sciocchezze e spiegati meglio per piacere —

— Mi vergogno di quello che ti ho fatto ma non ho saputo resistere, è colpa di mia sorella! —

— Vergognarti? E perché mai? — chiesi perplesso — Mi hai fatto impazzire dal piacere, sei il mio amore e l’hai fatto con amore e poi che centra Claudia? — non capivo …

— Devo raccontarti alcune cose, Uli. Abbi pazienza, appena me la sento ti racconto cosa mi è successo — Karin sembrava preoccupata seriamente

Ci spostammo dal bagno fin sopra al divano che ormai era il nostro talamo, ci abbracciammo stretti, completamente nudi con estrema soddisfazione dei sensi. Non riuscivo a frenare le mie mani. Avevo la necessità di toccarla, accarezzarla, palparla. Il suo seno aveva una bellezza quasi arrogante nella sua forma, nella sua pienezza, nella sua consistenza ed avere queste due candide perle tra le mani era la cosa più bella che mi potesse capitare. I suoi glutei non erano da meno ed avevano sempre scatenato in me il primordiale bisogno di agguantarli a piene mani. Da sempre! Karin, che di natura aveva un portamento eretto ed elegante, riusciva ad esporre le sue curve con magnifica e naturale semplicità. Quando eravamo a zonzo per la città a volte le chiedevo di camminare dinanzi a me di qualche metro, lei arrossiva sempre ma non si negava mai. Io mi gustavo il movimento ondulatorio del suo fondoschiena così ben assiso su quelle lunghe e tornite gambe che spuntavano dalle corte gonne che indossava; quelle sue rotondità che poi sarebbero state preda delle mie mani nei nostri momenti di intimità. Lei sapeva che io ne godevo di quella vista e non faceva nulla per celarsi.

Ma ora l’avevo qui, nuda, vicina, calda e disponibile. Eravamo distesi uno sull’altra abbracciati; io cercavo di toccarla dappertutto, non riuscivo a fermarmi, ero affamato di lei. Ad uno spettatore esterno sarebbe potuto sembrare che la ragazza stesse subendo la situazione ma così non era. Mi scostò con delicatezza ma con fermezza premendo le mani sul mio petto. Ora eravamo seduti uno affianco all’altra, io non capivo il perché mi avesse fermato. Evidentemente dovevo avere un enorme punto di domanda tatuato in viso perché lei mi sorrise e lo fece con quella sua splendida bocca, socchiudendo le sue rosee labbra, esponendo i suo candidi denti. Non sapevo che fare.

Con movimenti lenti, mantenendo il viso in fronte a se, Karin si portò a sedere sul bordo esterno del cuscino del divano, posò i piedi, uno accanto all’altro, sul pavimento rimanendo elegantemente sulle punte come fosse la prima ballerina del Bolshoi, il mio sguardo era rapito dalla bellezza della sua volta plantare così tesa da sembrare un arco pronto a scagliare un dardo. Tenne serrate strette le gambe ed appoggiò, delicatamente, le mani sulle ginocchia come avrebbe fatto una pudenda collegiale. Volse il viso verso di me inclinando leggermente in avanti la testa ma tenendo gli occhi ben puntati sui miei. Ero imbambolato! I suoi occhi, ora, lampeggiavano di luce smeraldina ed il suo sguardo mi fece capire come si deve sentire una preda quando è al cospetto del suo carnefice.

Spostò le dita delle mani all’interno delle ginocchia tenendo sempre i palmi appoggiati, lentamente prese a divaricare le ginocchia facendolo apparire come se le gambe combattessero opponendosi alle mani che spingevano per forzarne l’apertura. Vinsero le mani che fecero creare alle gambe due archi opposti dove il vertice inferiore erano i piedi arcuati uniti ed il vertice superiore la vulva che stava palesandosi alla mia vista. Tutto questo lo vidi dapprima con la mia visione periferica dell’occhio poiché mi era impossibile staccare lo sguardo diretto dal volto di Karin che con voce bassa e sensuale mi disse — Avevi voglia di vederla? É qui tutta per te. Non aspetta altro che farsi vedere. Guardala! Guardami la figa! —

Fu come riemergere da uno stato di ipnosi; mai l’avevo sentita esprimersi cosi sboccatamente. Volsi lo sguardo tra le gambe di Karin e vidi quella che mi parve la più bella creazione mai vista; non era certo la prima volta che vedevo una figa ma era la prima volta che vedevo quella della ragazza che amavo ed era più bella di quella delle mie cugine, più bella di quelle delle zie, più belle di qualunque altra avrei mai potuto ammirare in seguito. Scesi dal divano e mi posi in ginocchio sui talloni di fronte a Karin piegandomi in avanti per meglio rimirare quello splendore e mi sorressi ponendo le braccia tese ai lati dei suoi bellissimi fianchi.

— Guardala meglio … vieni più vicino … ammirala! È tutta tua! Ti piace la mia figa? — mi incitò con concupiscenza.

Detto questo Karin allontanò i piedi ed allargò di più le gambe, ritirò le mani verso la vulva come a volerla, alfine, sottrarre alla mia visione; portò indietro il busto ed appoggiò la testa sul cuscino delle spalliera del divano e chiuse gli occhi. Sembrava voler riposare. Rimase ferma così qualche secondo ed improvvisamente, come se avesse ricevuto una scarica di corrente elettrica, facendo forza sulla muscolature del collo e delle pelvi mise il busto ad arco al massimo della possibile sua estensione. I seni letteralmente esplosero in fuori rivelando tutta la loro forma e tonicità esaltate ancor di più dal contrasto del costato che si intravedeva sotto il sottile strato di pelle. Per la posizione assunta il ventre di Karin era in estensione e permetteva d’intravedere le linee della muscolatura degli addominali che parevano disegnate con precisione speculare da un’artista intento a rappresentare l’immagine della forza della bellezza. Le mani, dapprima posate a protezione della figa, si spostarono lasciando che le affusolate dita si ponessero ai lati delle labbra e le dischiusero come fossero petali di un fiore esponendone le forme più nascoste. Vedevo che le sue grazie, ora, erano lucide così come le punte delle dita che le avevano rivelate; percepivo l’odore della sua eccitazione, era un odore non definibile a parole ma era inebriante; più lo respiravo più sentivo come se le mie narici respirassero aria solida. Ebbi una potente erezione, fu come quando sentivo gli odori intimi delle mie cuginette e perdevo la ragione.

Mi ero avvicinato attirato dalle sue forme e dai suoi odori, era un’insieme di elementi che componevano un mosaico di rara bellezza; ero chino, arrivato quasi a contatto con la sua rosa quando Karin si mosse ed appoggiò la schiena sul cuscino del divano rilassando la muscolatura finora tesa. La nuova posizione, se possibile, mise ancor più in evidenza ciò che le sue dita continuavano a tenere aperto, anche perché Karin stava tirando ancor di più le valve tant’è che anche le labbra più interne si aprirono al mio sguardo per la prima volta. Staccai lo sguardo da quella ruota ipnotica che era il suo antro dell’amore e mi ritrovai catturato dai suoi occhi che aveva riaperti. Chissà da quanto tempo mi stava “spiando”; ero troppo concentrato su altro prima. Senza perdere il contatto visivo con i suoi occhi di smeraldo mi abbassai ancora di più ed arrivai a pochi centimetri dalla vulva, e feci una cosa giocosamente istintiva e probabilmente sciocca. Soffiai delicatamente su quello splendore della natura come a voler attizzare un incendio che sicuramente era in atto in quella zona. Karin fece un urletto ed un piccolo salto sul posto, spalancò completamente gli occhi e mi disse — Fallo ancora! Mi hai preso alla sprovvista ma mi è piaciuto. Soffia ancora amore, è bello. Sembra di sentire il solletico —

Mentre eseguivo l’ordine della mia regina apprezzai ancor di più la mia posizione che mi permetteva un particolare punto di vista. Vedevo il glabro monte di Venere che sporgeva alto; poteva sembrare una piccola collina posta all’inizio di una lunga radura, che altro non era che il suo piatto ventre, al termine della quale vi erano i due candidi coni vulcanici gemelli del suo seno nel cui mezzo sorgeva il sole rosato del suo volto circondato dai fulvi raggi dei suoi capelli. Continuavo a soffiare variando l’intensità del getto, la sua durata e la sua direzione cercando di non tralasciare nessun punto; mi sentivo come un novello Eolo. Era bellissimo vedere le reazioni fisiche di Karin differenti relativamente alla zona colpita, capii che quando la soffiavo sul clitoride dovevo usare un getto concentrato e forte perché lei saltellasse, sulle piccole labbra gradiva un alito leggero e perciò più caldo che la rilassava come fosse una coccola. Ogni centimetro di quel umido paradiso aveva la sua preferenza, la sua voglia, la sua necessità. E li percorsi tutti quei centimetri, più volte guidato dalle sue indicazioni e dalle sue incitazioni sospirate con una voce bassa come se non dovesse far sentire a nessuno quello che mi stava chiedendo di farle. Era poesia erotica allo stato puro.

Soffiavo per darle sollievo ma soffiavo per alimentare il fuoco; ed il fuoco divampò!

— LECCAMI ULI, LECCAMI TUTTA! NON CE LA FACCIO PIÙ DEVO VENIRE! FAMMI VENIRE! TI PREGO SMETTI DI TORTURARMI! —

L’accontentai ovviamente, ma prima tolsi, dal cuscino del divano, le mie mani che mi avevano sorretto fino ad allora, le portai sotto le sue cosce, fino all’incavo delle ginocchia e cominciai ad alzarle facendole staccare i piedi da terra.

Lei, smaniando, continuava ad incitarmi a leccarla ma io continuai a spingerle in alto le gambe finché non arrivai a farle posare i piedi sulle mie spalle. Karin, da quando mi si era mostrata prima, non aveva tolto le mani dalla vagina tenendola ancora aperta. Evidentemente capendo cosa avevo intenzione di fare ella spostò le mani sulla mia testa, afferrandomela saldamente e facendo penetrare le lunghe ed affusolate dita tra i miei capelli. Sembrava volesse impedirmi di sottrarmi dal mio dovere. Letteralmente incollai la mia bocca alla sua apertura e lambii tutte le parti che prima erano state oggetto dei miei aliti. All’inizio fui delicato, attento, quasi timoroso, perfino, ma più stazionavo a contatto dei suoi succhi, più ne ingurgitavo, più i medesimi mi entravano nel naso, più lei mi gridava il suo piacere … insomma fui come preso dalla stessa frenesia alimentare degli squali, mi mossi famelico leccando, succhiando, strusciando il mio volto sulla sua figa bagnata, arrivai ad incollare la mia bocca alle sue piccole labbra, cominciai a suggere quello che ne usciva, arrivai al clitoride nuovamente ma stavolta con impeto usando la lingua per martoriarlo. Sentivo che si induriva man mano che aumentavo la stimolazione. Continuai a leccare per non so quanto tempo. Le mie mani si ricordarono che potevano fare qualcosa di utile e scattarono come un crotalo ad afferrare il seno che si alzava ed abbassava con un ritmo sempre più veloce. Quando arrivai a prenderle le strizzai forte e Karin inarcò quanto più poteva il busto per offrirmele come fosse stato un piatto sacrificale. Accettai il suo sacrificio. Nella speranza di aumentare il suo piacere finale le presi i capezzoli tra le dita, come avevo fatto il giorno prima, e li tirai forte strizzandoli e ruotandoli. Fu l’atto finale.

— CAZZOOOOO VENGO CAZZOOOO — esplose Karin urlando ed ansimando con un respiro velocissimo. Mi stringeva i capelli fortissimo tirandomeli schiacciandomi la testa sulla sua figa da cui usciva un nettare denso e dolce che io bevvi a garganella. Io non riuscivo a smettere di leccarla e di succhiarle il clitoride tanto più che avevo visto che ad ogni lappata o aspirazione corrispondeva un forte tremito in tutto il suo corpo.

— Basta amore ti prego mi fai “scattare” cosi — disse Karin cercando di spingermi via la testa — Fermati! Mi fa male cazzo! Vuoi mangiarmela? —

A malincuore mi fermai, tolsi i suoi piedi dalle mie spalle e delicatamente glieli accompagnai nel rimetterli a terra. Mi alzai e mi sedetti al suo fianco con il mio cazzo che svettava in mezzo alle gambe. Karin si sedette più comoda facendo in modo da starmi di fronte accosciandosi su un fianco.

— Ma come sei duro … mmmmh … — disse con lo sguardo famelico allungando una mano impugnandolo saldamente — vuoi che ti faccia un pompino? Hai visto che sono brava .. o vuoi che te lo tocchi, che ti faccia venire con le mani? —

— Amore stai ferma — dissi perentorio — devi raccontarmi di tua sorella —

— Speravo te ne fossi dimenticato … — disse lei abbassando la voce e la testa contraendo il corpo quasi come a chiudersi a riccio, mantenendo la presa sulla mia asta continuando a muovere le mani in una delicata carezza.

Ci volle un poco di tempo e qualche incitazione da parte mia prima che, finalmente, Karin cominciasse a raccontare. Ma cosa le aveva preso? E perché di quella reazione così ? Perché tanta reticenza?

Karin prese un bel respiro, si schiarì la voce e finalmente cominciò a raccontare …

continua
di
scritto il
2023-03-05
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