Racconto a puntate pt. 3

Scritto da , il 2018-11-24, genere etero

Le porte dell'ascensore si aprirono s'un ampio e luminoso open space in cui i colori predominanti erano il bianco e il nero: con lo spirito tipico di chi si sente sopravvissuto a un evento sconvolgente, avevo un'incredibile ottimismo e tanta voglia di fare.
"Ti senti meglio ora, vero?" Mi chiese Leonardo poggiandomi la mano sulla schiena, invitandomi a entrare.
"Assolutamente sì, grazie... Allora, dove ci mettiamo?"
"Sentila com'è impaziente ora! Abbiamo tutto il tempo... Vieni, voglio farti vedere una cosa." ed entrammo in una stanza che non avevo notato, chiusa dietro una parete di vetro opaco.

Qualche volta mi immagino come una bambola di ceramica.
Le parti che mi compongono sono tenute insieme da un intreccio di fili, tesi all'interno del mio corpo cavo.
Qualche volta sento che questi fili si allentano e alcune parti iniziano a volare via: un colpetto da una parte, un nodo dall'altra e rimetto tutto al posto giusto. Non voglio mica andare in pezzi.
Una cosa che mi aiuta in questo senso è la lettura. Prendere in mano un libro, sfogliarne le pagine, tastarne la consistenza e la concretezza tra le dita: l'idea stessa che questo oggetto abbia senso perché composto da un'infinità di parti più piccole mi tranquillizza e mi solletica.
Un'altra cosa che mi aiuta è il dolore. Intendiamoci, niente di preoccupante o patologico: il buio che prelude alla luce, il silenzio che spezza la musica, la tempesta che sconvolge la calma, qualcosa che mi ricompatti. Cose così.

La prima volta che ho chiesto in modo esplicito al mio ragazzo di farmi male mi ha guardata come fossi impazzita.
Prima di allora, poco prima di godere, gli avevo preso una mano e me l'ero appoggiata attorno al collo dicendogli "Stringi..." e lui lo aveva fatto, appena appena, senza farmi male: era stato bello, anzi bellissimo. Per me.
Ma lui non voleva proprio, gli sembrava sbagliato e pur avendo già fatto diverse cose "non canoniche", non superava mai il limite del mio benessere a cuor leggero.
Io gliel'ho chiesto tante di quelle volte da perdere il conto: sia all'inizio del rapporto che verso l'orgasmo, quando speravo fosse più propenso a elargire favori, con scarsi risultati.

Nel momento in cui misi piede nella sala nascosta dietro la parete di vetro opaco, sentii qualcosa andare fuori posto dentro di me, ma in modo buono: appesi alle pareti c'erano quadri di nudo bellissimi, fotografie in bianco e nero di rapporti carnali, assolutamente fuori posto in un ambiente di lavoro.
Dov'ero finita?!
Mi girai verso Leonardo: le mie labbra socchiuse in un "Ma..." appena sussurrato, le sue umide e luccicanti di saliva.
"La prova scritta possiamo farla qui. Per l'orale vediamo poi, dove stare più comodi..."
Si allentò un po' la cravatta e mi fece accomodare a una scrivania su cui era disposto un computer: rimase in piedi dietro di me, si chinò al di sopra della mia spalla per aprire una cartella nel pc e il suo profumo mi fece venire voglia di girarmi e baciarlo.

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