Il Massaggio
di
PennaLibera
genere
tradimenti
IL MASSAGGIO
La figlia Claudia era una stronza. Ci è diventata lentamente, senza che lei e suo marito ci potessero fare nulla. Nelle ultime settimane aveva alzato un muro, cercando uno scontro continuo. Sua figlia la odiava e gliel’aveva detto. Adorava il padre e non perdeva occasione per sottolinearle questi due principi. Aveva tredici anni, poteva ancora peggiorare. E invece la sorellina, Emma, non le assomigliava.
Giulia non capiva che cazzo le aveva fatto. La odiava perché girava dentro casa, perché respirava.
La settimana prima aveva fatto quarant’anni e Claudia non le aveva fatto gli auguri. Ci era rimasta malissimo. Ma aveva capito che erano in guerra. E in guerra valeva tutto.
E allora quel weekend le avevano lasciate da i nonni e se ne erano andati in Trentino. In un cinque stelle con Spa interna, le Dolomiti a due passi, la piscina riscaldata in hotel. Aveva pagato tutto Alberto, era stato il suo regalo di compleanno. Due giorni in totale ricarica, senza scazzare con Claudia.
Non le sembrava vero.
Anche se era Ottobre e la neve non c’era.
Ma tanto non sapeva sciare e anche volendo aveva la gamba che la tormentava. Delle fitte all’interno coscia che apparivano, scomparivano, senza seguire un ritmo sensato, durante tutta la giornata.
Giulia voleva godersi le cinque stelle, la pace, cenare al ristorante dell’Hotel.
Barricarsi dentro con Alberto.
Erano immersi nella piscina interna, i gomiti adagiati sul porfido e l’acqua tiepida che non superava il petto. Dovevano essere le dieci e una luce scialba penetrava dalla parete a vetri. Fuori dall’Hotel Lagorai Charme si dilatava un bosco di betulle con foglie dorate.
Una fitta le arpionò l’adduttore. Giulia strinse i denti, era insopportabile. «Le gambe non mi danno tregua.»
«Ti sei presa qualcosa?»
«No. Ma entrando ho letto che fanno i massaggi.»
Alberto si girò e appoggiò la nuca al bordo. Poco prima si era immerso e i capelli neri erano ancora bagnati, la barba spessa con qualche filo bianco.
Chiuse gli occhi.
Giulia distese la gamba all’indietro, piegò il ginocchio e avvertì un’altra stilettata alla coscia. Che palle. Con cautela appoggiò il piede sul fondo, sospirò. «Mentre io faccio il massaggio, tu che fai?»
Alberto riaprì gli occhi. «Devo richiamare un cliente.»
«Non riesci a staccare mai.»
Lo guardò inclinare il collo da un lato. «Stamattina gli è arrivata una cartella da ottantamila euro.»
«È un problema tuo?»
«È lavoro.»
Non sopportava quando faceva così. Quando si faceva assorbire dal lavoro pure mentre stava in una Wellness, in mezzo al nulla, con lei.
Restarono zitti per svariati minuti. C’era il cloro che soffocava l’aria. Giulia sentii la porta aprirsi con un cigolio, poi un tonfo che riecheggiò fra le pareti e i vetri.
Si girò. Era entrata una ragazza castana in bikini nero che andava verso di loro. La guardò, il fisico snello da vent’enne, il ventre piatto da fare invidia.
La ragazza disse Buongiorno. Poteva essere la figlia di qualcuno che stava lì. Aveva sette, otto anni più di Claudia. Giulia attaccò le scapole al bordo gelido della piscina, risposero Buongiorno.
La ragazza scese dalla scaletta. Affondò un piede nell’acqua, delle onde concentriche incresparono la superfice. Alberto la fissava, la divorava con gli occhi, Giulia lo sapeva perché era uno sguardo che aveva imparato a decifrare, e la ragazza entrò in acqua piano, si accorse che era bassa e le restavano fuori dall’acqua solo la testa e il collo, mentre la coda castana rasentava lo specchio azzurro.
La vent’enne distese le braccia magre sul porfido rossiccio. Alberto chiuse gli occhi. Forse si era saziato.
L’altra parete, quella con le piastrelle, ritraeva un bosco con dei minotauri. Suo marito spalancò gli occhi, ricominciò a guardare la ragazza. Anche lei li osservava, sfacciata, ma forse osservava solo lui.
Giulia si sentii una stupida, una di troppo.
Lo fissò, adirata. «Torniamo in stanza?»
~
Giulia uscì dall’ascensore e si ritrovò a camminare sul marmo lucido della hall. La doccia dopo la piscina ci voleva. Alberto era rimasto in camera, doveva chiamare il cliente. Prima di scendere gli aveva detto che sarebbe andata ad informarsi per il massaggio. Lui le aveva fatto un cenno con la mano, come per dire va bene.
Il banco della reception era una curva in laminato. Dietro c’era una donna bionda in tailleur nero, stava scrivendo su un foglio poggiato sul vetro del bancone. Un vaso scuro con dentro un alocasia era addossato alla parete bianca.
Giulia si avvicinò, la donna si accorse di lei, sollevò lo sguardo dal foglio e sorrise. «Buongiorno» restò con la mano sollevata, la penna fra pollice e indice. «Come posso aiutarla?»
Giulia appoggiò una mano sulla lastra di vetro, nell’altra stringeva il cellulare. «Buongiorno. Ho visto che fate anche massaggi.»
La donna tolse la penna e il foglio dal bancone. Li sistemò sulla scrivania, accanto ad un monitor. «Sì. Devo solo verificare la disponibilità.»
Verificare la disponibilità. L’hotel mezzo vuoto. Voleva fare quella professionale, magari giustificare il prezzo eccessivo.
«Grazie.»
La donna guardò il monitor, le dita percuotevano la tastiera. Lo facevano in maniera sgraziata, rude, e il rumore dei tasti risuonava nella hall deserta. «Per oggi?»
«Magari.»
Si morse il labbro carico di rossetto. La fissò, speranzosa. «Fra un quarto d’ora?»
«Un quarto d’ora?»
«È l’unico posto libero. Altrimenti, domani.»
Stava giocando, la stava prendendo per il culo. Giulia controllò il cellulare, erano le undici e un quarto. Sarebbe riuscita a finire prima di pranzo. «Va bene fra un quarto d’ora.»
La donna le sorrise e indicò una porta bianca. «Dietro a quella porta c’è la sala d’attesa. Può attendere lì. Appena il ragazzo si libera, la verrà a chiamare.»
Doveva farsi mettere le mani sulle cosce da un uomo.
Anzi, da un ragazzo.
«Non c’è la possibilità di farlo con una donna?»
Lei fece di no con la testa. «Oggi no, mi dispiace» si voltò verso lo schermo. «Se vuole, lo annullo.»
«No. Va bene.»
~
Una delle due porte della sala di attesa si aprì. Il massaggiatore era un trentenne, più alto di Alberto, con dei ricci biondi e una tunica bianca. Aveva la mano appesa alla maniglia e le sorrideva appena. «Buongiorno, prego.»
Giulia si alzò. «Buongiorno.»
Lui la fece entrare, la stanzetta profumava di cocco. Era una fragranza che la faceva rilassare. Al centro c’era un lettino coperto da un lenzuolo usa e getta, una tenda beige nascondeva una porzione di finestra. Sopra uno scaffale kallax di legno erano poggiati flaconi di gel, oli e un enorme rotolo di carta.
Lui chiuse la porta. Sulla tunica che indossava c’era scritto, in caratteri eleganti, Hotel Lagorai Charme. Gli donava, così come i ricci, e quando lui le chiese se fosse la prima volta che si sottoponeva ad un massaggio Giulia rispose di sì.
La informò che il tutto sarebbe durato una mezz’ora e che sarebbe stato decontratturante. La parola decontratturante la rilassò, come l’odore di cocco.
Era bravo a trasmettere sicurezza, ad usare vocaboli precisi e persuasivi. Il ragazzo continuò, e disse che avrebbe lavorato sulla schiena, sulle gambe, avrebbe sciolto le tensioni.
Sciogliere, che si aggiungeva a decontratturante.
Giulia le disse del dolore all’interno coscia che la tormentava da due settimane. E lui annuì, sarebbe andato a trattarlo, però lei doveva restare in intimo.
Per fortuna aveva messo gli slip nuovi, quelli di Intimissimi, e mentre Giulia ci pensava lui aggiunse che le parti non interessate sarebbero state coperte con un telo. Gli avrebbe voluto dire che non c’era problema, poteva guardarle il seno mentre la massaggiava.
Proprio come suo marito aveva fatto con quella zoccola prima, in piscina.
Invece restò zitta, lui andò a lavarsi le mani nel lavandino. Giulia si sfilò la felpa, la maglietta e la tuta. Mise tutto sopra una sedia che si trovava accanto ad un vaso con un falangio.
Sospirò. Si sdraiò sul lettino e il lenzuolo di carta frusciò. Il massaggiatore la coprì dal collo alla vita con un telo celeste riscaldato, Giulia sentì il calore del cotone sulla pancia.
Lo guardò scegliere un flacone dal kallax, versare l’olio sulle mani robuste, strofinarle. Nella stanza si sprigionò il profumo di cocco, lo stesso che aveva sentito entrando.
Il ragazzo le osservò le gambe nude, elastiche. Si avvicinò al lettino, le posò le mani fresche sulle caviglie e un brivido percorse la nuca di Giulia. Lui salì, pressando i pollici sui polpacci. «Quale gamba le fa male?»
Era una manovra che appagava i sensi. Giulia deglutì. «La destra.»
Le sue mani scivolarono sui polpacci fino a circondare le ginocchia. Giulia solo in quel momento notò la fede all’anulare, la sensazione del metallo massiccio che slittava sulla pelle. Chissà cosa pensava la moglie del fatto che manovrava altri corpi femminili. Che come scopriva i punti di dolore, scopriva anche quelli di piacere.
Il ragazzo spinse sull’interno coscia e le fece un cazzo di male. Lei strinse i denti. La fissò con gli occhi verde chiaro, si fermò. «Le fa male?»
«Sì.»
Con il palmo pressò l’adduttore infiammato. «Ha il muscolo contratto.»
Continuava ad utilizzare il Lei. Rimarcava il confine professionale. Le sue mani accarezzavano la coscia, palpavano il muscolo, un fremito solleticò la nuca di Giulia.
Lei gli sorrido, lui ricambiò. «Va meglio?»
«È molto piacevole.»
Lo sentì scendere, fermarsi alle ginocchia. Poi risalire, come una giostra, e il calore le si allargò tra le gambe. La stava facendo eccitare, ma senza farlo di proposito. Soltanto usando le mani, toccando bene, stuzzicando.
Giulia gli afferrò la mano e se l’avvicino alle mutandine. Lo vide voltarsi verso la porta chiusa, tornare a guardarla con una faccia sorpresa. «Mi piacerebbe, ma rischio il posto.»
«Solo due minuti.»
La sua piccola evasione. Non pensare alla figlia che la odiava, al marito che si sarebbe scopato una vent’enne.
Il massaggiatore diede un’altra occhiata alla porta, tutto bene, sollevò il telo fino all’ombelico. Le mise la mano negli slip di Intimissimi, le dita accarezzarono la fenditura della fica.
Giulia socchiuse gli occhi, lui infilò due dita e lei trattenne il respiro. Le sentì arrivare fino in fondo.
Cazzo, era bello, buttò fuori l’aria.
Lui muoveva la mano in modo deciso e l’erezione gli sformava i pantaloni bianchi. Giulia si attaccò al lenzuolo, la carta si stracciò fra le dita.
Il massaggiatore guardò ancora la porta, aveva l’ansia, ma tanto chiunque avrebbe bussato prima di entrare.
Appesa al muro c’era una cornice di legno che racchiudeva il diploma di operatore professionale in massaggio terapeutico conferito a Samuele Benedetti.
Giulia ansimò.
Samuele abbassò gli occhi, verificò il rialzo in mezzo alle gambe. Lei gli strinse l’avambraccio, lui aggiunse un altro dito, il terzo, quello con la fede.
Giulia scoprì tutta la pienezza a cui non era abituata. Alberto tre dita non gliel’aveva mai messe dentro.
Subì la contrazione violenta del pavimento pelvico, la schiena si contrasse, si morse le labbra.
Gli disse Sto per venire.
Samuele affondò le dita e lei serrò le gambe, bloccandogli la mano, l’orgasmo la fece sobbalzare, poi frenò un gemito privandosi di liberare il piacere.
Giulia riprese fiato, l’orgasmo le aveva intorpidito le gambe. Appoggiò una mano sulla fronte. Simone tolse la mano, andò verso il rubinetto.
Si sentì una stronza. Magari aveva anche un figlio, magari era la prima volta che tradiva. Giulia spostò il telo che la copriva, si alzò e il lettino cigolò. Il lenzuolo di carta aveva una macchia chiara al centro.
Simone si lavò le mani, la fede. Giulia indossò la maglietta. «Non so cosa mi sia preso. Scusami.»
Lui si asciugò le mani con un panno. «Basta che la cosa non esce da qui.»
Giulia si infilo la tuta. «Tranquillo.»
Con un cenno della testa le indicò la gamba. «La gamba ha bisogno di riposo. Non la sforzare.»
Giulia si mise le scarpe, lo ringraziò. «Quanto ti devo?»
Samuele aprì la porta. Era a disagio, aveva paura di rimetterci il posto, la moglie, tutto. «Puoi fare direttamente con la reception.»
Lei uscì, la saletta d’attesa con le sedie di metallo vuote. Raccolse una ciocca dietro l’orecchio e gli sorrise. «Allora buona giornata.»
Samuele ricambiò il sorriso. «Anche a te.»
La figlia Claudia era una stronza. Ci è diventata lentamente, senza che lei e suo marito ci potessero fare nulla. Nelle ultime settimane aveva alzato un muro, cercando uno scontro continuo. Sua figlia la odiava e gliel’aveva detto. Adorava il padre e non perdeva occasione per sottolinearle questi due principi. Aveva tredici anni, poteva ancora peggiorare. E invece la sorellina, Emma, non le assomigliava.
Giulia non capiva che cazzo le aveva fatto. La odiava perché girava dentro casa, perché respirava.
La settimana prima aveva fatto quarant’anni e Claudia non le aveva fatto gli auguri. Ci era rimasta malissimo. Ma aveva capito che erano in guerra. E in guerra valeva tutto.
E allora quel weekend le avevano lasciate da i nonni e se ne erano andati in Trentino. In un cinque stelle con Spa interna, le Dolomiti a due passi, la piscina riscaldata in hotel. Aveva pagato tutto Alberto, era stato il suo regalo di compleanno. Due giorni in totale ricarica, senza scazzare con Claudia.
Non le sembrava vero.
Anche se era Ottobre e la neve non c’era.
Ma tanto non sapeva sciare e anche volendo aveva la gamba che la tormentava. Delle fitte all’interno coscia che apparivano, scomparivano, senza seguire un ritmo sensato, durante tutta la giornata.
Giulia voleva godersi le cinque stelle, la pace, cenare al ristorante dell’Hotel.
Barricarsi dentro con Alberto.
Erano immersi nella piscina interna, i gomiti adagiati sul porfido e l’acqua tiepida che non superava il petto. Dovevano essere le dieci e una luce scialba penetrava dalla parete a vetri. Fuori dall’Hotel Lagorai Charme si dilatava un bosco di betulle con foglie dorate.
Una fitta le arpionò l’adduttore. Giulia strinse i denti, era insopportabile. «Le gambe non mi danno tregua.»
«Ti sei presa qualcosa?»
«No. Ma entrando ho letto che fanno i massaggi.»
Alberto si girò e appoggiò la nuca al bordo. Poco prima si era immerso e i capelli neri erano ancora bagnati, la barba spessa con qualche filo bianco.
Chiuse gli occhi.
Giulia distese la gamba all’indietro, piegò il ginocchio e avvertì un’altra stilettata alla coscia. Che palle. Con cautela appoggiò il piede sul fondo, sospirò. «Mentre io faccio il massaggio, tu che fai?»
Alberto riaprì gli occhi. «Devo richiamare un cliente.»
«Non riesci a staccare mai.»
Lo guardò inclinare il collo da un lato. «Stamattina gli è arrivata una cartella da ottantamila euro.»
«È un problema tuo?»
«È lavoro.»
Non sopportava quando faceva così. Quando si faceva assorbire dal lavoro pure mentre stava in una Wellness, in mezzo al nulla, con lei.
Restarono zitti per svariati minuti. C’era il cloro che soffocava l’aria. Giulia sentii la porta aprirsi con un cigolio, poi un tonfo che riecheggiò fra le pareti e i vetri.
Si girò. Era entrata una ragazza castana in bikini nero che andava verso di loro. La guardò, il fisico snello da vent’enne, il ventre piatto da fare invidia.
La ragazza disse Buongiorno. Poteva essere la figlia di qualcuno che stava lì. Aveva sette, otto anni più di Claudia. Giulia attaccò le scapole al bordo gelido della piscina, risposero Buongiorno.
La ragazza scese dalla scaletta. Affondò un piede nell’acqua, delle onde concentriche incresparono la superfice. Alberto la fissava, la divorava con gli occhi, Giulia lo sapeva perché era uno sguardo che aveva imparato a decifrare, e la ragazza entrò in acqua piano, si accorse che era bassa e le restavano fuori dall’acqua solo la testa e il collo, mentre la coda castana rasentava lo specchio azzurro.
La vent’enne distese le braccia magre sul porfido rossiccio. Alberto chiuse gli occhi. Forse si era saziato.
L’altra parete, quella con le piastrelle, ritraeva un bosco con dei minotauri. Suo marito spalancò gli occhi, ricominciò a guardare la ragazza. Anche lei li osservava, sfacciata, ma forse osservava solo lui.
Giulia si sentii una stupida, una di troppo.
Lo fissò, adirata. «Torniamo in stanza?»
~
Giulia uscì dall’ascensore e si ritrovò a camminare sul marmo lucido della hall. La doccia dopo la piscina ci voleva. Alberto era rimasto in camera, doveva chiamare il cliente. Prima di scendere gli aveva detto che sarebbe andata ad informarsi per il massaggio. Lui le aveva fatto un cenno con la mano, come per dire va bene.
Il banco della reception era una curva in laminato. Dietro c’era una donna bionda in tailleur nero, stava scrivendo su un foglio poggiato sul vetro del bancone. Un vaso scuro con dentro un alocasia era addossato alla parete bianca.
Giulia si avvicinò, la donna si accorse di lei, sollevò lo sguardo dal foglio e sorrise. «Buongiorno» restò con la mano sollevata, la penna fra pollice e indice. «Come posso aiutarla?»
Giulia appoggiò una mano sulla lastra di vetro, nell’altra stringeva il cellulare. «Buongiorno. Ho visto che fate anche massaggi.»
La donna tolse la penna e il foglio dal bancone. Li sistemò sulla scrivania, accanto ad un monitor. «Sì. Devo solo verificare la disponibilità.»
Verificare la disponibilità. L’hotel mezzo vuoto. Voleva fare quella professionale, magari giustificare il prezzo eccessivo.
«Grazie.»
La donna guardò il monitor, le dita percuotevano la tastiera. Lo facevano in maniera sgraziata, rude, e il rumore dei tasti risuonava nella hall deserta. «Per oggi?»
«Magari.»
Si morse il labbro carico di rossetto. La fissò, speranzosa. «Fra un quarto d’ora?»
«Un quarto d’ora?»
«È l’unico posto libero. Altrimenti, domani.»
Stava giocando, la stava prendendo per il culo. Giulia controllò il cellulare, erano le undici e un quarto. Sarebbe riuscita a finire prima di pranzo. «Va bene fra un quarto d’ora.»
La donna le sorrise e indicò una porta bianca. «Dietro a quella porta c’è la sala d’attesa. Può attendere lì. Appena il ragazzo si libera, la verrà a chiamare.»
Doveva farsi mettere le mani sulle cosce da un uomo.
Anzi, da un ragazzo.
«Non c’è la possibilità di farlo con una donna?»
Lei fece di no con la testa. «Oggi no, mi dispiace» si voltò verso lo schermo. «Se vuole, lo annullo.»
«No. Va bene.»
~
Una delle due porte della sala di attesa si aprì. Il massaggiatore era un trentenne, più alto di Alberto, con dei ricci biondi e una tunica bianca. Aveva la mano appesa alla maniglia e le sorrideva appena. «Buongiorno, prego.»
Giulia si alzò. «Buongiorno.»
Lui la fece entrare, la stanzetta profumava di cocco. Era una fragranza che la faceva rilassare. Al centro c’era un lettino coperto da un lenzuolo usa e getta, una tenda beige nascondeva una porzione di finestra. Sopra uno scaffale kallax di legno erano poggiati flaconi di gel, oli e un enorme rotolo di carta.
Lui chiuse la porta. Sulla tunica che indossava c’era scritto, in caratteri eleganti, Hotel Lagorai Charme. Gli donava, così come i ricci, e quando lui le chiese se fosse la prima volta che si sottoponeva ad un massaggio Giulia rispose di sì.
La informò che il tutto sarebbe durato una mezz’ora e che sarebbe stato decontratturante. La parola decontratturante la rilassò, come l’odore di cocco.
Era bravo a trasmettere sicurezza, ad usare vocaboli precisi e persuasivi. Il ragazzo continuò, e disse che avrebbe lavorato sulla schiena, sulle gambe, avrebbe sciolto le tensioni.
Sciogliere, che si aggiungeva a decontratturante.
Giulia le disse del dolore all’interno coscia che la tormentava da due settimane. E lui annuì, sarebbe andato a trattarlo, però lei doveva restare in intimo.
Per fortuna aveva messo gli slip nuovi, quelli di Intimissimi, e mentre Giulia ci pensava lui aggiunse che le parti non interessate sarebbero state coperte con un telo. Gli avrebbe voluto dire che non c’era problema, poteva guardarle il seno mentre la massaggiava.
Proprio come suo marito aveva fatto con quella zoccola prima, in piscina.
Invece restò zitta, lui andò a lavarsi le mani nel lavandino. Giulia si sfilò la felpa, la maglietta e la tuta. Mise tutto sopra una sedia che si trovava accanto ad un vaso con un falangio.
Sospirò. Si sdraiò sul lettino e il lenzuolo di carta frusciò. Il massaggiatore la coprì dal collo alla vita con un telo celeste riscaldato, Giulia sentì il calore del cotone sulla pancia.
Lo guardò scegliere un flacone dal kallax, versare l’olio sulle mani robuste, strofinarle. Nella stanza si sprigionò il profumo di cocco, lo stesso che aveva sentito entrando.
Il ragazzo le osservò le gambe nude, elastiche. Si avvicinò al lettino, le posò le mani fresche sulle caviglie e un brivido percorse la nuca di Giulia. Lui salì, pressando i pollici sui polpacci. «Quale gamba le fa male?»
Era una manovra che appagava i sensi. Giulia deglutì. «La destra.»
Le sue mani scivolarono sui polpacci fino a circondare le ginocchia. Giulia solo in quel momento notò la fede all’anulare, la sensazione del metallo massiccio che slittava sulla pelle. Chissà cosa pensava la moglie del fatto che manovrava altri corpi femminili. Che come scopriva i punti di dolore, scopriva anche quelli di piacere.
Il ragazzo spinse sull’interno coscia e le fece un cazzo di male. Lei strinse i denti. La fissò con gli occhi verde chiaro, si fermò. «Le fa male?»
«Sì.»
Con il palmo pressò l’adduttore infiammato. «Ha il muscolo contratto.»
Continuava ad utilizzare il Lei. Rimarcava il confine professionale. Le sue mani accarezzavano la coscia, palpavano il muscolo, un fremito solleticò la nuca di Giulia.
Lei gli sorrido, lui ricambiò. «Va meglio?»
«È molto piacevole.»
Lo sentì scendere, fermarsi alle ginocchia. Poi risalire, come una giostra, e il calore le si allargò tra le gambe. La stava facendo eccitare, ma senza farlo di proposito. Soltanto usando le mani, toccando bene, stuzzicando.
Giulia gli afferrò la mano e se l’avvicino alle mutandine. Lo vide voltarsi verso la porta chiusa, tornare a guardarla con una faccia sorpresa. «Mi piacerebbe, ma rischio il posto.»
«Solo due minuti.»
La sua piccola evasione. Non pensare alla figlia che la odiava, al marito che si sarebbe scopato una vent’enne.
Il massaggiatore diede un’altra occhiata alla porta, tutto bene, sollevò il telo fino all’ombelico. Le mise la mano negli slip di Intimissimi, le dita accarezzarono la fenditura della fica.
Giulia socchiuse gli occhi, lui infilò due dita e lei trattenne il respiro. Le sentì arrivare fino in fondo.
Cazzo, era bello, buttò fuori l’aria.
Lui muoveva la mano in modo deciso e l’erezione gli sformava i pantaloni bianchi. Giulia si attaccò al lenzuolo, la carta si stracciò fra le dita.
Il massaggiatore guardò ancora la porta, aveva l’ansia, ma tanto chiunque avrebbe bussato prima di entrare.
Appesa al muro c’era una cornice di legno che racchiudeva il diploma di operatore professionale in massaggio terapeutico conferito a Samuele Benedetti.
Giulia ansimò.
Samuele abbassò gli occhi, verificò il rialzo in mezzo alle gambe. Lei gli strinse l’avambraccio, lui aggiunse un altro dito, il terzo, quello con la fede.
Giulia scoprì tutta la pienezza a cui non era abituata. Alberto tre dita non gliel’aveva mai messe dentro.
Subì la contrazione violenta del pavimento pelvico, la schiena si contrasse, si morse le labbra.
Gli disse Sto per venire.
Samuele affondò le dita e lei serrò le gambe, bloccandogli la mano, l’orgasmo la fece sobbalzare, poi frenò un gemito privandosi di liberare il piacere.
Giulia riprese fiato, l’orgasmo le aveva intorpidito le gambe. Appoggiò una mano sulla fronte. Simone tolse la mano, andò verso il rubinetto.
Si sentì una stronza. Magari aveva anche un figlio, magari era la prima volta che tradiva. Giulia spostò il telo che la copriva, si alzò e il lettino cigolò. Il lenzuolo di carta aveva una macchia chiara al centro.
Simone si lavò le mani, la fede. Giulia indossò la maglietta. «Non so cosa mi sia preso. Scusami.»
Lui si asciugò le mani con un panno. «Basta che la cosa non esce da qui.»
Giulia si infilo la tuta. «Tranquillo.»
Con un cenno della testa le indicò la gamba. «La gamba ha bisogno di riposo. Non la sforzare.»
Giulia si mise le scarpe, lo ringraziò. «Quanto ti devo?»
Samuele aprì la porta. Era a disagio, aveva paura di rimetterci il posto, la moglie, tutto. «Puoi fare direttamente con la reception.»
Lei uscì, la saletta d’attesa con le sedie di metallo vuote. Raccolse una ciocca dietro l’orecchio e gli sorrise. «Allora buona giornata.»
Samuele ricambiò il sorriso. «Anche a te.»
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