Il Pallino
di
PennaLibera
genere
tradimenti
In chiesa aveva visto Margherita seduta nelle prime file. Aveva cercato suo marito Gianluca, ma niente. Quando erano arrivati al casale, mentre uscivano gli antipasti, aveva avuto la conferma. Era venuta da sola. Si erano salutati da lontano, con la mano. Lei stava parlando con due ragazze, lui con il cugino dello sposo.
Una ventina di tavoli rotondi ricoprivano la piazzetta pavimentata, le tovaglie bianche e lunghissime. Duecento invitati pranzavano sulle sedie oro e crema. Lei era stata assegnata al tavolo Desiderio, lui a Speranza. Durante il bis di primi si erano sfiorati con gli sguardi, avevano sorriso.
Riccardo si alzò, sfiorò la cravatta liscia. Gli ombrelloni bianchi li difendevano dal sole di luglio, dal caldo. Il tintinnare delle posate si mescolava il brusio.
Fece scendere le mani nelle tasche e si spostò su un quadrato di prato. Davanti all’entrata del casale in pietra c’era un arco in legno ornato con rose bianche e rosse. Un tableau sobrio, con i cartoncini sorretti da uno spago.
Riccardo sfilò l’Iphone dal pantalone e aprì Instagram. Aveva due nuovi follower, nella barra digitò marghe.reb92. Aveva il profilo privato e nella piccola foto rotonda sorrideva con le labbra carnose. Non l’aveva mai seguita e Gianluca si era tolto dai social.
Nel prato c’era la ruota di un carro adagiata sul tronco nodoso di un olivo. La vide arrivare, Margherita, il corpo fasciato da un abito svasato in raso verde.
Ad ogni passo lo spacco profondo spogliava la gamba elastica, la coscia nuda. Lei raccolse una ciocca bruna dietro l’orecchio. Lo guardò e sorrise. «All’antipasto stavo venendo a salutarti. Poi sono arrivati gli sposi.»
Era sempre stata la moglie di Gianluca e basta. Riccardo sorrise, fece scivolare il cellulare nella tasca. «Idem.»
Margherita gli appoggiò una mano sulla spalla, lui sul fianco, si salutarono con due baci sulle guance. Lei aveva un profumo morbido e sensuale.
Riccardo accarezzò il cinturino di metallo dell’orologio. Il sole delle tre gli sbatteva sulla nuca. «Gianluca sta male?»
«Non lo hai saputo?»
«No. Cosa?»
Margherita intrecciò le braccia. Il vestito aveva le spalline sottili e segnava i fianchi stretti. Fece un sorriso triste. «Ci siamo separati.»
Riccardo annuì. «Mi dispiace.» Sfiorò la cravatta blu notte. «Da tanto?»
Margherita salutò qualcuno alle sue spalle di lui, si sforzò di sorridere, e quando tornò a guardarlo era seria. Incrociò un piede davanti all’altro, i tacchi piantati nell’erba. «Quattro mesi.»
«Non lo sapevo, mi dispiace.» Dai tavoli partì un applauso, risate. Aveva sempre invidiato Gianluca per lei. Si prese una pausa. «Io e lui ormai non ci sentiamo più da tempo.»
Margherita sospirò. «Si è comportato da merda.»
La fissò, incredulo. «Vi vedevo bene.»
Lei sorrise, gli mise una mano sul braccio e lui notò che non aveva la fede. «Vedevi male.»
Riccardo le chiese il motivo. Lei gli disse che un giorno si sarebbero andati a fare un aperitivo, così gliene avrebbe parlato con calma, la storia era lunga. Un aperitivo. Loro due che avevano parlato sempre e solo alle feste di compleanno, ai matrimoni.
Margherita gli disse che per secondo c’era il filetto di manzo al barolo, e quello era buono caldo. Lasciarono il prato per tornare sulla piazzetta. I camerieri con i papillon si accostavano ai tavoli con i vassoi d’argento, sporzionavano sciolti. Margherita gli disse Ci vediamo dopo, ognuno tornò al proprio tavolo.
Dopo il filetto arrivò una ragazza in abito rosso con un violino. Si sistemò sul fondo della piazzetta, iniziò a suonare le note dolci di Hallejuah. Riccardo vide che qualcuno si alzava. Gli uomini allentavano le cravatte, sfilavano le giacche scure. E insieme alle donne si riunivano davanti alla violinista, ballavano abbracciati.
Al tavolo era rimasto solo. Cercò Margherita con lo sguardo e non la trovò. Controllò l’ora, erano quasi le quattro del pomeriggio. Si versò il Vermentino di Gallura nel calice. Lo assaggiò, si era fatto tiepido.
Qualcuno scostò la sedia accanto alla sua. Era Margherita, e appena si sedette la coscia tonica fece capolino dallo spacco del vestito. «Non balli?»
«Non ballo.»
«Nemmeno se ti invito io?»
Le sorrise. «Non sono bravo.»
«Non è una gara.» Gli liberò la mano dal calice e lo mise sul tavolo. Non la faceva così cacciatrice. Margherita gli prese una mano, si alzò. Si intrufolarono fra gli invitati che ballavamo. Riccardo aveva la camicia appicciata alla schiena, Hallejuah finì e la violinista attaccò con Perfect. Lui le appoggiò le mani sui fianchi, lei le unì dietro la nuca. Dondolavano lenti, seguivano il violino. Margherita profumava di buono. Lo guardò negli occhi. «Stringimi di più.»
Riccardo con le mani salì sulla schiena scoperta, scivolò sul solco lombare. Il corpo perfetto, la consapevolezza di piacere. Il suo modo di giocare. Fece aderire bene i corpi fino ad avvertire i seni duri che premevano sul petto.
Margherita con le dita gli sfiorò i capelli, il collo. Ruotarono in mezzo alle cravatte, i tacchi, gli abiti eleganti.
Riccardo le accarezzò la pelle liscia della schiena. Gianluca che aveva toccato anche altro. I seni, il culo, le gambe flessuose.
Lei sospirò, schiacciò i seni su di lui senza smettere di sfiorargli il collo. L’erezione che tendeva il cavallo dei pantaloni. Lei appoggiò la fronte a quella di lui. Voleva la stessa cosa che voleva lui. Il violino si fermò, si staccarono, sorridevano. Andarono verso i tavoli, lei lo guardò. «È stato difficile?»
Riccardo sorrise. «Merito tuo.»
Margherita si fermò a salutare una ragazza, si abbracciarono. Riccardo tornò al suo tavolo, afferrò il calice che aveva lasciato e infilò l’altra mano in tasca. Margherita lo guardava. Ballando si era acceso qualcosa.
Finì di parlare con la ragazza e lo raggiunse. «Ci facciamo un giro?»
«Dove?»
Lei intrecciò le braccia. «Nel casale. Dicono che è bello.»
Andarono nel prato, passarono accanto all’olivo con la ruota del carro e al tableau. Commentarono la disposizione dei tavoli, i cartoncini troppo banali.
Entrarono nel casale in pietra, il soffitto a volta e le finestre ad arco che davano sulla campagna. I tavoli di legno erano accostati alle pareti, d’estate sfruttavano solo l’esterno. Margherita si guardava intorno, osservava. Il collo longilineo e la sagoma delle natiche sotto al raso verde. Lui la seguiva. La vide raggiungere il fondo della sala, i tacchi che rintronavano fra le pareti in pietra. Margherita piegò una ciocca dietro all’orecchio e guardò in basso. «C’è una scala.»
Riccardo la raggiunse, una scala di legno conduceva ad una porta. «Porterà alla cantina.»
«Andiamo a vedere.» Lei iniziò a scendere, lo scricchiolare dei gradini. Teneva una mano sul corrimano di legno usurato e l’altra sul vestito.
Si ritrovarono in una piccola cantina umida e fresca. Erano lontani da tutti, come due ragazzini in esplorazione. Le grandi botti di roveri formavano due file sulle pareti, in mezzo un corridoio di mattoni. C’era l’odore del legno invecchiato e del vino in maturazione. Margherita accarezzò una botte, le venature del legno. «Bello qui.»
«C’è un microclima.»
Lei gli andò vicino. Dovevano continuare ciò che avevano interrotto. Margherita gli intrecciò le mani dietro la testa, lo baciò con la lingua sapeva di Vermentino. Poteva entrare qualcuno e stanarli.
Riccardo le mise le mani sui fianchi. La guidò fino alla botte e le fece aderire la schiena al legno. L’avrebbe scopata lì, in mezzo ai litri di Montepulciano. Le sfilò una spallina, poi l’altra, il vestito precipitò sul mattonato, si rivelarono due seni piccoli, i capezzoli scuri e dritti. Le afferrò un seno compatto. Aveva la voglia che se lo mangiava. Si baciarono con foga e gli si fece duro. Riccardo snodò la cintura, calò pantaloni e boxer fino alle caviglie. «Non ho i preservativi.»
Lei gli toccò i testicoli. Glielo prese in mano, lo scuoteva con un’intraprendenza che lui non si aspettava. «Ne faremo a meno.»
Margherita si inginocchiò e le labbra morbide lo inghiottirono. E lui invece inghiottì la saliva. Margherita aspirava, vorace. La vedeva, sotto di lui, il sedere proporzionato e la striscia nera del perizoma che spariva nell’incavo delle natiche. «Così vengo.»
Margherita si fermò, si tirò su. Si levò il perizoma, la fica depilata, la vide voltarsi e appoggiare le mani alla botte di rovere. Arcuò la schiena, offrendogli il sedere. Riccardo la prese per i fianchi. Provò ad entrare, lei allungò la mano e glielo afferrò per guidarlo dentro quel sesso bagnato e accogliente.
Margherita ansimava, chissà se lui era il primo dopo Gianluca. Se c’erano stati altri, nel frattempo. Riccardo affondava forte, la fica che mordeva il cazzo. Lei aveva la testa piegata verso la botte, i capelli castani sparsi sulla schiena inarcata.
Scoparono così, con lei che gli dice di andare più forte e lui che si aggrappava ai fianchi. I colpi secchi nel silenzio della cantina. Il modo in cui si erano sfiorati durante il ballo, e poi farlo in quel modo. Contro una botte, come animali.
Riccardo riconobbe l’orgasmo imminente e lo tirò fuori. Lo sperma sporcò il legno. Margherita si tirò su il perizoma, recuperò il vestito di raso dal mattonato. Lo guardò, sorrise. «Avevo il pallino da un po'.»
Riccardo infilò i boxer, sistemò i pantaloni, allacciò la cintura. «Il pallino?»
Margherita indossò il vestito. «Il pallino di scopare con te.»
«Davvero?»
«Davvero.»
Riccardo chiuse la zip, il glande ancora umido. «E da quanto?»
Lei aggiustò una spallina. «Dalla festa di Marta. Mi ha colpito il tuo modo di parlare.»
«Hai aspettato tanto.»
«Ho scelto di non tradire.»
Risalirono le scale, tornarono nella sala del casale. Poi fuori, dove il sole picchiava sul prato. Gli invitati erano tornati ai tavoli e la violinista non c’era più.
Riccardo la guardò e si fermò. «E ora?»
Si fermò anche lei, sorrideva. «E ora cosa?»
«Come rimaniamo?»
Margherita rise. «Come due che parlano solo alle feste.» Si avvicinò, gli strinse il nodo della cravatta. Accostò le labbra all’orecchio. «E che scopano nelle cantine.»
Instagram: pennalibera.racconti
Email: Vincenzo91_2025@libero.it
Una ventina di tavoli rotondi ricoprivano la piazzetta pavimentata, le tovaglie bianche e lunghissime. Duecento invitati pranzavano sulle sedie oro e crema. Lei era stata assegnata al tavolo Desiderio, lui a Speranza. Durante il bis di primi si erano sfiorati con gli sguardi, avevano sorriso.
Riccardo si alzò, sfiorò la cravatta liscia. Gli ombrelloni bianchi li difendevano dal sole di luglio, dal caldo. Il tintinnare delle posate si mescolava il brusio.
Fece scendere le mani nelle tasche e si spostò su un quadrato di prato. Davanti all’entrata del casale in pietra c’era un arco in legno ornato con rose bianche e rosse. Un tableau sobrio, con i cartoncini sorretti da uno spago.
Riccardo sfilò l’Iphone dal pantalone e aprì Instagram. Aveva due nuovi follower, nella barra digitò marghe.reb92. Aveva il profilo privato e nella piccola foto rotonda sorrideva con le labbra carnose. Non l’aveva mai seguita e Gianluca si era tolto dai social.
Nel prato c’era la ruota di un carro adagiata sul tronco nodoso di un olivo. La vide arrivare, Margherita, il corpo fasciato da un abito svasato in raso verde.
Ad ogni passo lo spacco profondo spogliava la gamba elastica, la coscia nuda. Lei raccolse una ciocca bruna dietro l’orecchio. Lo guardò e sorrise. «All’antipasto stavo venendo a salutarti. Poi sono arrivati gli sposi.»
Era sempre stata la moglie di Gianluca e basta. Riccardo sorrise, fece scivolare il cellulare nella tasca. «Idem.»
Margherita gli appoggiò una mano sulla spalla, lui sul fianco, si salutarono con due baci sulle guance. Lei aveva un profumo morbido e sensuale.
Riccardo accarezzò il cinturino di metallo dell’orologio. Il sole delle tre gli sbatteva sulla nuca. «Gianluca sta male?»
«Non lo hai saputo?»
«No. Cosa?»
Margherita intrecciò le braccia. Il vestito aveva le spalline sottili e segnava i fianchi stretti. Fece un sorriso triste. «Ci siamo separati.»
Riccardo annuì. «Mi dispiace.» Sfiorò la cravatta blu notte. «Da tanto?»
Margherita salutò qualcuno alle sue spalle di lui, si sforzò di sorridere, e quando tornò a guardarlo era seria. Incrociò un piede davanti all’altro, i tacchi piantati nell’erba. «Quattro mesi.»
«Non lo sapevo, mi dispiace.» Dai tavoli partì un applauso, risate. Aveva sempre invidiato Gianluca per lei. Si prese una pausa. «Io e lui ormai non ci sentiamo più da tempo.»
Margherita sospirò. «Si è comportato da merda.»
La fissò, incredulo. «Vi vedevo bene.»
Lei sorrise, gli mise una mano sul braccio e lui notò che non aveva la fede. «Vedevi male.»
Riccardo le chiese il motivo. Lei gli disse che un giorno si sarebbero andati a fare un aperitivo, così gliene avrebbe parlato con calma, la storia era lunga. Un aperitivo. Loro due che avevano parlato sempre e solo alle feste di compleanno, ai matrimoni.
Margherita gli disse che per secondo c’era il filetto di manzo al barolo, e quello era buono caldo. Lasciarono il prato per tornare sulla piazzetta. I camerieri con i papillon si accostavano ai tavoli con i vassoi d’argento, sporzionavano sciolti. Margherita gli disse Ci vediamo dopo, ognuno tornò al proprio tavolo.
Dopo il filetto arrivò una ragazza in abito rosso con un violino. Si sistemò sul fondo della piazzetta, iniziò a suonare le note dolci di Hallejuah. Riccardo vide che qualcuno si alzava. Gli uomini allentavano le cravatte, sfilavano le giacche scure. E insieme alle donne si riunivano davanti alla violinista, ballavano abbracciati.
Al tavolo era rimasto solo. Cercò Margherita con lo sguardo e non la trovò. Controllò l’ora, erano quasi le quattro del pomeriggio. Si versò il Vermentino di Gallura nel calice. Lo assaggiò, si era fatto tiepido.
Qualcuno scostò la sedia accanto alla sua. Era Margherita, e appena si sedette la coscia tonica fece capolino dallo spacco del vestito. «Non balli?»
«Non ballo.»
«Nemmeno se ti invito io?»
Le sorrise. «Non sono bravo.»
«Non è una gara.» Gli liberò la mano dal calice e lo mise sul tavolo. Non la faceva così cacciatrice. Margherita gli prese una mano, si alzò. Si intrufolarono fra gli invitati che ballavamo. Riccardo aveva la camicia appicciata alla schiena, Hallejuah finì e la violinista attaccò con Perfect. Lui le appoggiò le mani sui fianchi, lei le unì dietro la nuca. Dondolavano lenti, seguivano il violino. Margherita profumava di buono. Lo guardò negli occhi. «Stringimi di più.»
Riccardo con le mani salì sulla schiena scoperta, scivolò sul solco lombare. Il corpo perfetto, la consapevolezza di piacere. Il suo modo di giocare. Fece aderire bene i corpi fino ad avvertire i seni duri che premevano sul petto.
Margherita con le dita gli sfiorò i capelli, il collo. Ruotarono in mezzo alle cravatte, i tacchi, gli abiti eleganti.
Riccardo le accarezzò la pelle liscia della schiena. Gianluca che aveva toccato anche altro. I seni, il culo, le gambe flessuose.
Lei sospirò, schiacciò i seni su di lui senza smettere di sfiorargli il collo. L’erezione che tendeva il cavallo dei pantaloni. Lei appoggiò la fronte a quella di lui. Voleva la stessa cosa che voleva lui. Il violino si fermò, si staccarono, sorridevano. Andarono verso i tavoli, lei lo guardò. «È stato difficile?»
Riccardo sorrise. «Merito tuo.»
Margherita si fermò a salutare una ragazza, si abbracciarono. Riccardo tornò al suo tavolo, afferrò il calice che aveva lasciato e infilò l’altra mano in tasca. Margherita lo guardava. Ballando si era acceso qualcosa.
Finì di parlare con la ragazza e lo raggiunse. «Ci facciamo un giro?»
«Dove?»
Lei intrecciò le braccia. «Nel casale. Dicono che è bello.»
Andarono nel prato, passarono accanto all’olivo con la ruota del carro e al tableau. Commentarono la disposizione dei tavoli, i cartoncini troppo banali.
Entrarono nel casale in pietra, il soffitto a volta e le finestre ad arco che davano sulla campagna. I tavoli di legno erano accostati alle pareti, d’estate sfruttavano solo l’esterno. Margherita si guardava intorno, osservava. Il collo longilineo e la sagoma delle natiche sotto al raso verde. Lui la seguiva. La vide raggiungere il fondo della sala, i tacchi che rintronavano fra le pareti in pietra. Margherita piegò una ciocca dietro all’orecchio e guardò in basso. «C’è una scala.»
Riccardo la raggiunse, una scala di legno conduceva ad una porta. «Porterà alla cantina.»
«Andiamo a vedere.» Lei iniziò a scendere, lo scricchiolare dei gradini. Teneva una mano sul corrimano di legno usurato e l’altra sul vestito.
Si ritrovarono in una piccola cantina umida e fresca. Erano lontani da tutti, come due ragazzini in esplorazione. Le grandi botti di roveri formavano due file sulle pareti, in mezzo un corridoio di mattoni. C’era l’odore del legno invecchiato e del vino in maturazione. Margherita accarezzò una botte, le venature del legno. «Bello qui.»
«C’è un microclima.»
Lei gli andò vicino. Dovevano continuare ciò che avevano interrotto. Margherita gli intrecciò le mani dietro la testa, lo baciò con la lingua sapeva di Vermentino. Poteva entrare qualcuno e stanarli.
Riccardo le mise le mani sui fianchi. La guidò fino alla botte e le fece aderire la schiena al legno. L’avrebbe scopata lì, in mezzo ai litri di Montepulciano. Le sfilò una spallina, poi l’altra, il vestito precipitò sul mattonato, si rivelarono due seni piccoli, i capezzoli scuri e dritti. Le afferrò un seno compatto. Aveva la voglia che se lo mangiava. Si baciarono con foga e gli si fece duro. Riccardo snodò la cintura, calò pantaloni e boxer fino alle caviglie. «Non ho i preservativi.»
Lei gli toccò i testicoli. Glielo prese in mano, lo scuoteva con un’intraprendenza che lui non si aspettava. «Ne faremo a meno.»
Margherita si inginocchiò e le labbra morbide lo inghiottirono. E lui invece inghiottì la saliva. Margherita aspirava, vorace. La vedeva, sotto di lui, il sedere proporzionato e la striscia nera del perizoma che spariva nell’incavo delle natiche. «Così vengo.»
Margherita si fermò, si tirò su. Si levò il perizoma, la fica depilata, la vide voltarsi e appoggiare le mani alla botte di rovere. Arcuò la schiena, offrendogli il sedere. Riccardo la prese per i fianchi. Provò ad entrare, lei allungò la mano e glielo afferrò per guidarlo dentro quel sesso bagnato e accogliente.
Margherita ansimava, chissà se lui era il primo dopo Gianluca. Se c’erano stati altri, nel frattempo. Riccardo affondava forte, la fica che mordeva il cazzo. Lei aveva la testa piegata verso la botte, i capelli castani sparsi sulla schiena inarcata.
Scoparono così, con lei che gli dice di andare più forte e lui che si aggrappava ai fianchi. I colpi secchi nel silenzio della cantina. Il modo in cui si erano sfiorati durante il ballo, e poi farlo in quel modo. Contro una botte, come animali.
Riccardo riconobbe l’orgasmo imminente e lo tirò fuori. Lo sperma sporcò il legno. Margherita si tirò su il perizoma, recuperò il vestito di raso dal mattonato. Lo guardò, sorrise. «Avevo il pallino da un po'.»
Riccardo infilò i boxer, sistemò i pantaloni, allacciò la cintura. «Il pallino?»
Margherita indossò il vestito. «Il pallino di scopare con te.»
«Davvero?»
«Davvero.»
Riccardo chiuse la zip, il glande ancora umido. «E da quanto?»
Lei aggiustò una spallina. «Dalla festa di Marta. Mi ha colpito il tuo modo di parlare.»
«Hai aspettato tanto.»
«Ho scelto di non tradire.»
Risalirono le scale, tornarono nella sala del casale. Poi fuori, dove il sole picchiava sul prato. Gli invitati erano tornati ai tavoli e la violinista non c’era più.
Riccardo la guardò e si fermò. «E ora?»
Si fermò anche lei, sorrideva. «E ora cosa?»
«Come rimaniamo?»
Margherita rise. «Come due che parlano solo alle feste.» Si avvicinò, gli strinse il nodo della cravatta. Accostò le labbra all’orecchio. «E che scopano nelle cantine.»
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