Elevator Trip
di
Master Mind
genere
dominazione
Otto e trenta di un lunedì mattina come mille altri. L’ingresso del palazzo è pieno di anime che corrono ad accalcarsi davanti alle porte metalliche che aprono lo spazio a queste scatole di metallo che governano la nostra esistenza marcando, fin dal principio, la nostra oramai innata pigrizia.
Attendo paziente, stretto nel mio cappotto cammello sovrastando di un palmo la maggior parte di queste figure umane che scorgo quasi quotidianamente ma di cui non conosco nulla mentre, di contro, sono certo che loro conoscano me visto che il mio cognome capeggia fiero su una delle targhe in ottone che dominano l’atrio e racconta che due piani di questo palazzo sono a mia disposizione.
La scatola metallica segna il suo arrivo attraverso il display digitale, le porte si aprono ed io mi muovo leggero, in contrasto con la mia imponenza, verso il fondo poggiando la schiena sul metallo attendo che l’orda brulicante di anime riempia l’abitacolo quando il mio sguardo si posa su una figura femminea che non ricordo di aver scorto in questi anni.
Si muove leggera, piegandosi sinuosa per cercare spazio vitale tra le persone che spingono e spintonano per riempire questo concentrato di carne umana fermandosi, di schiena, a pochi cm da me.
Il suo profumo vanigliato mi inebria i sensi, in silenzio studio la sua struttura. Un maglioncino avorio a collo alto fascia un fisico asciutto e snello, seguendo la curva di una vita affusolata che mette in risalto torace sormontato da un seno piccolo che timidamente preme contro la stoffa del maglioncino per raccontare la sua presenza.
I fianchi, di contro, narrano di un posteriore sodo ed estroflesso che tende, risaltandolo, la stoffa della gonna a balze che scende fino alla metà di due gambe snelle allungate dallo stivale color cuoio che le sale fino sotto alle ginocchia. La porta documenti Pi Quadro colori beige che tiene stretta tra le mani appoggiata al ventre sembra in tinta col suo incarnato avorio che fa risaltare quei capelli nero corvino che scendono precisi come fili di seta attorno al suo viso che ho scorto per pochi attimi fermandosi al di sopra del collo in un caschetto asimmetrico, lungo quasi fino al mento davanti per lasciare libero il collo, se pur coperto dal maglioncino.
L’orda di carni e anime inizia a brulicare in una sorta di litania numerica che racconta l’insieme dei piani che devono essere percorsi e come tutti i giorni questa scatola di metallo percorrerà ogni piano del palazzo come un novello traghetto di Caronte trasportando queste anime ognuna al proprio personalissimo inverno lavorativo quando la sua voce mi scuote dal mio torpore
“Sesto per cortesia” sibila stringendosi su se stessa come per difendersi dalla ressa.
“Aspettate” una voce rompe l’insieme di conversazioni, mani che si stagliano contro le porte per bloccare l’inizio di questo viaggio fin quando altre figure si stagliano sulla soglia e senza indugio premono per insinuarsi nel traghetto di metallo.
La ressa di carne umana si muove all’unisono per permettere agli ultimi viaggiatori di accedere senza attendere il prossimo viaggio, incuranti di chi già ha preso il proprio posto nella scatola col risultato che, tra spintoni e scuse la giovane viene catapultata contro il mio corpo, impossibilitata a muoversi per assenza di spazio mentre le porte si chiudono per iniziare il viaggio.
Respiro in silenzio il suo profumo, avverto il calore della sua pelle, il suo respiro è irregolare, rotto da un silenzioso imbarazzo mentre la scatola metallica raggiunge il primo dei piani, le porte si aprono e si contro, invece che liberarsi di qualche anima, altre folli figure spingono per occupare il poco spazio vitale rimasto a disposizione.
L’aria nella cabina non sembra bastare per tutti, il brulicare di voci è quasi fastidioso mentre la giovane, suo malgrado, viene spinta e schiacciata contro di me. Si volta leggermente incrociando il mio sguardo, un sussurro che racconta di un timbro di voce caldo e gentile mentre i suoi occhi nocciola, per un istante incrociano i miei.
“Mi scusi ma non riesco a muovermi” le poche parole che escono da quel viso da bambolina
“Non ha nulla da farsi perdonare” la mia risposta mentre vedo il suo volto tornare alla posizione iniziale e fissare le porte metalliche in attesa di giungere a destinazione
Il viaggio riprende, le scosse della cabina, leggere e quasi impercettibili per natura ma chiaramente riscontrabili quando i corpi sono così adesi fanno muovere in modo involontario la giovane, il suo corpo sfiora la mia gamba, il suo calore mi pervade, il suo profumo mi inebria, il mio membro sta prendendo vigore tendendo la stoffa dei calzoni.
Decido. Mi muovo leggermente a sinistra, di quel tanto che è sufficiente per far aderire il mio bacino al suo posteriore e muovo leggero una mano sfiorando il suo fianco per saggiare le sue reazioni. Tocco con i polpastrelli il tessuto del maglione proprio all’altezza della sua vita, senza trovare in lei alcuna reazione mentre l’orda brulicante continua il suo vociare incessante.
Secondo piano. Alcune anime abbandonano il viaggio, troppo poche per ridistribuire lo spazio ma sufficienti ad azzerare quel contatto piacevole ma non voluto quando un folle, incurante delle altre anime, rivolgendosi ad un compagno di questo assurdo e quotidiano viaggio, vociando una sorta di “ce l’ho qui” che giunge fino alle mie orecchie, si piega di scatto all’indietro per frugare nella sua borsa, assestando un involontario colpo all’anima dietro di lui che impreparata indietreggia fino a scontrare la giovane che perde forza sulle gambe e in equilibrio precario appoggia la schiena al mio tronco ed io, istintivamente, la cingo per la vita per aiutarla nel sostegno del suo giovane corpo.
Lo spazio vitale torna a prendere forma, lei scosta la schiena dall’appoggio ma io non lascio la presa dalla sua vita respirando a pieno il suo profumo. Non dice nulla, resta inerme ed in silenzio, respira piano.
Lentamente faccio scivolare la punta delle dita sotto al maglione sfiorando la pelle calda e vellutata del suo ventre e ancora una volta la ragazza non reagisce, sento attraverso quel contatto il suo respiro irregolare, il suo ventre danza contro il mio palmo raccontandomi di come sta vivendo questa situazione surreale, scivolo verso il fianco avvinghiandola con l’avambraccio tirandola a me quel tanto che serve per sentire il suo lato b poggiare contro il mio bacino, un sussulto leggero mi narra della sua sorpresa, un istante prima di tornare ad avvertire tramite il tatto il suo respiro irregolare.
Terzo piano. Le porte si aprono. Parte dell’orda brulicante abbandona la scatola metallica regalando ai restanti viaggiatori spazio di vita ed aria per respirare, io non lascio il mio posto al fondo ne la presa sulla vita della ragazza che, dal suo canto, continua in silenzio a guardare le porte metalliche respirando piano, in modo irregolare, senza sottrarsi a questo contatto. Avverto il suo lato b coperto solo dalla stoffa della gonna a balze sfiorare ripetutamente il mio membro che nascosto dalla stoffa dei miei calzoni ne saggia la morbida e soffice consistenza, la mano libera scivola sotto l’orlo del suo abbigliamento e sale, leggera, sfiorando la sua pelle, un fremito la pervade e la scuote
Sollevo la gonna di quel tanto che è necessario per liberare al tatto la forma delle sue natiche che percorro con la punta delle dita, lei emette un leggero sibilo, un mugolio quasi impercettibile mentre il mio membro preme per essere liberato dalla sua prigione di stoffa mentre lo premo ripetutamente sulle sue natiche.
Quarto piano. Metà delle anime libera l’abitacolo, il vociare indefinito sovrasta il nostro silente gioco di conoscenza reciproca, il membro duole, la fanciulla oramai respira in modo veloce e irregolare, la mia mano abbandona il suo ventre e si muove rapida e decisa ad afferrare il suo polso, piego indietro il suo braccio portando il suo palmo direttamente sulla mia poderosa erezione, lei si lascia guidare in silenzio e senza mai voltarsi ne saggia la consistenza mentre le mie dita disegnano abili e sapienti giochi di carezze spostando il filo del suo intimo per insinuarsi leggere tra le sue natiche per brevi istanti e tornare a disegnare quella dolce tortura.
“Mmmhhhh” un mugolio silenzioso. Quasi un sussurro mentre la sua mano piccola con le dita affusolate accarezza il mio membro attraverso la stoffa ed io accarezzo il suo lato b godendo dei suoi fremiti, del calore del suo corpo, del suo silenzioso assecondare questo mio gioco di conquista, del raccontarmi senza parole che è disposta a concedersi ad ogni mio comando e ha soddisfare ogni mio bisogno.
Allento il tocco sul suo posteriore e rapido armeggio con la cerniera dei calzoni, abbassandola per poi tornare a muovere la mano sul suo ventre, insinuando la punta delle dita sotto al maglione, forzando l’elastico della sua gonna a balze mentre inclino il capo in avanti raggiungono con la bocca il suo lobo. Una sola parola, il tono calmo e pacato di chi non ammette alcuna replica.
“coraggio” le dico
La ragazza sospira, il suo corpo si tende. Per un istante il suo volto si piega di lato ed i suoi occhi incontrano i miei, la sua espressione è un mare di emozioni, domande, dubbi, desideri; il mio sguardo, di contro, è pura convinzione, decisione, voglia. Non abbiamo bisogno di parole, io decido, lei obbedisce.
Le sue dita leggere si insinuano nella stoffa e trovano il mio membro rigido, nodoso e gonfio. Lo accarezza con la punta delle dita salendo fino al glande per poi scendere alla base mentre le mie dita si insinuano sotto la gonna e scendono fino a trovare il suo monte di venere coperto dal suo intimo.
Trema, il respiro è irregolare, il corpo caldo.
“Fallo! So che lo vuoi!” le dico con tono fermo scuotendo i suoi sensi ed il suo intero corpo proprio mentre una nuova sosta di questo surreale e sorprendente viaggio si palesa sul piccolo display
Quinto piano. La scatola metallica si svuota, fatta eccezione di un paio di figure e nello stesso istante in cui le anime abbandonano questo viaggio condiviso la fanciulla senza mai guardarmi estrae il mio membro duro e nodoso sostenendolo per la base mentre in modo voluttuoso spinge il suo posteriore contro il mio corpo, le mie dita sagaci scostano il filo sottile del suo intimo di quel tanto che è sufficiente per liberare il suo giovane e caldo sesso.
Il mio membro come calamitato punta diritto alla meta, la mia asta sfiora delicatamente le sue labbra più intime e nascoste regalando ad entrambi dei fremiti di intenso piacere che celiamo a fatica; avverto il calore umido del suo desiderio bagnare il mio, il suo fiore che sboccia aprendosi pronto ad accogliermi mentre lei freme leggermente godendo di questo inatteso quanto eccitante momento.
La mia mano sale lungo la sua schiena, accarezzo lentamente la sua nuca per poi cingere le dita attorno al suo giovane e sottile collo senza esercitare una pressione che possa nuocerle, un gesto tanto delicato quanto convincente e mentre lei reclina leggermente la testa all’indietro la mia voce roca e decisa le sussurro all’orecchio
“Potrei farti ciò che voglio”
Freme di un intenso ed ancestrale piacere. Il mio membro è incastonato tra le sue calde e lisce cosce, il suo corpo danza su di esso regalando ad entrambi spasmi di piacere che alimentano il desiderio reciproco. Le sue sensuali ed aggraziate movenze sono un tacito assenso a ciò che le ho appena detto, dichiarando col corpo una tacita ed incondizionata resa.
Non mi guarda, i suoi occhi sono socchiusi, la nuca poggia sul dorso della mia mano mentre cingo il suo collo raccontandole il mio bisogno di domarla e lei con un filo di voce sottile, caldo e umido come il suo desiderio mi racconta il suo di essere preda e carnefice al tempo stesso. Freme per quel contatto, piena di desiderio, consapevole che un uomo che ha il doppio dei suoi anni è pronto a guidarla nell’abisso del comune piacere, alla scoperta delle pulsioni più recondite e nascoste di entrambi, una silente accettazione del ruolo che ci appartiene narrata dalla danza sinuosa del suo corpo che ondeggia leggero sulla mia asta e dal ritmo irregolare dei suoi respiri mentre resta ancorata a me, carne su carne in quel silenzio che è narrazione di due vite, di due anime, di un bisogno reciproco.
Sesto piano. Si scosta come colta da un impeto di lucidità, abbassa la gonna e sistema le pieghe del maglione, raccoglie la sua porta documenti e senza voltarsi mi sussurra
“devo andare”
Le porte si chiudono alle sue spalle. Mi poso contro il metallo in attesa di raggiungere la mia meta, come tutti i giorni concludo questo viaggio da solo e mentre sistemo il mio abbigliamento riponendo con cura il mio membro ancora duro e bagnato del suo piacere, mi domando chi fosse e se mai la rivedrò.
Settimo piano. Le porte si aprono. Varco la soglia del mio ufficio col mio solito incedere deciso, un gesto della mano a salutare Elena, la mia storica e fidata segreteria prima di sedere alla mia scrivania, dopo aver appeso il mio cappotto all’appendi abiti, un sorso di acqua per rinfrescare la gola, la mente è ancora offuscata da quel tragitto troppo breve per gustarne a pieno i frutti inatteso ed insperati, nelle narici ancora il suo profumo, nelle orecchie i suoi gemiti sommessi, nelle mani il calore del suo giovane corpo.
Elena bussa alla porta e varca la soglia avvisandomi che di sotto è arrivata Sonia, la nuova praticamente. Le dico di farla salire così da poterla conoscere e dopo due minuti la porta del mio ufficio, su mio invito si apre, alzo gli occhi dai miei progetti e guardo la ragazza che si staglia davanti a me, i suoi occhi sono fissi su di me, la sua postura perfettamente eretta, il viso è rosso di imbarazzo, la bocca leggermente dischiuse come a voler trovare l’aria che manca, la borsa Pi Quadro stretta tra le mani aderisce al suo ventre proteggendo il suo maglioncino a collo alto e la sua gonna a balze.
La osservo, immobile sulla soglia mentre il suo sguardo scende lento per terra in un silenzioso ed implicito assecondare la mia silenziosa domanda.
“Benvenuta Sonia. Sono certo si troverà bene con noi” le dico sorridendo compiaciuto.
Per commenti o chiacchiere la mail è: mastermind973@outlook.it
Attendo paziente, stretto nel mio cappotto cammello sovrastando di un palmo la maggior parte di queste figure umane che scorgo quasi quotidianamente ma di cui non conosco nulla mentre, di contro, sono certo che loro conoscano me visto che il mio cognome capeggia fiero su una delle targhe in ottone che dominano l’atrio e racconta che due piani di questo palazzo sono a mia disposizione.
La scatola metallica segna il suo arrivo attraverso il display digitale, le porte si aprono ed io mi muovo leggero, in contrasto con la mia imponenza, verso il fondo poggiando la schiena sul metallo attendo che l’orda brulicante di anime riempia l’abitacolo quando il mio sguardo si posa su una figura femminea che non ricordo di aver scorto in questi anni.
Si muove leggera, piegandosi sinuosa per cercare spazio vitale tra le persone che spingono e spintonano per riempire questo concentrato di carne umana fermandosi, di schiena, a pochi cm da me.
Il suo profumo vanigliato mi inebria i sensi, in silenzio studio la sua struttura. Un maglioncino avorio a collo alto fascia un fisico asciutto e snello, seguendo la curva di una vita affusolata che mette in risalto torace sormontato da un seno piccolo che timidamente preme contro la stoffa del maglioncino per raccontare la sua presenza.
I fianchi, di contro, narrano di un posteriore sodo ed estroflesso che tende, risaltandolo, la stoffa della gonna a balze che scende fino alla metà di due gambe snelle allungate dallo stivale color cuoio che le sale fino sotto alle ginocchia. La porta documenti Pi Quadro colori beige che tiene stretta tra le mani appoggiata al ventre sembra in tinta col suo incarnato avorio che fa risaltare quei capelli nero corvino che scendono precisi come fili di seta attorno al suo viso che ho scorto per pochi attimi fermandosi al di sopra del collo in un caschetto asimmetrico, lungo quasi fino al mento davanti per lasciare libero il collo, se pur coperto dal maglioncino.
L’orda di carni e anime inizia a brulicare in una sorta di litania numerica che racconta l’insieme dei piani che devono essere percorsi e come tutti i giorni questa scatola di metallo percorrerà ogni piano del palazzo come un novello traghetto di Caronte trasportando queste anime ognuna al proprio personalissimo inverno lavorativo quando la sua voce mi scuote dal mio torpore
“Sesto per cortesia” sibila stringendosi su se stessa come per difendersi dalla ressa.
“Aspettate” una voce rompe l’insieme di conversazioni, mani che si stagliano contro le porte per bloccare l’inizio di questo viaggio fin quando altre figure si stagliano sulla soglia e senza indugio premono per insinuarsi nel traghetto di metallo.
La ressa di carne umana si muove all’unisono per permettere agli ultimi viaggiatori di accedere senza attendere il prossimo viaggio, incuranti di chi già ha preso il proprio posto nella scatola col risultato che, tra spintoni e scuse la giovane viene catapultata contro il mio corpo, impossibilitata a muoversi per assenza di spazio mentre le porte si chiudono per iniziare il viaggio.
Respiro in silenzio il suo profumo, avverto il calore della sua pelle, il suo respiro è irregolare, rotto da un silenzioso imbarazzo mentre la scatola metallica raggiunge il primo dei piani, le porte si aprono e si contro, invece che liberarsi di qualche anima, altre folli figure spingono per occupare il poco spazio vitale rimasto a disposizione.
L’aria nella cabina non sembra bastare per tutti, il brulicare di voci è quasi fastidioso mentre la giovane, suo malgrado, viene spinta e schiacciata contro di me. Si volta leggermente incrociando il mio sguardo, un sussurro che racconta di un timbro di voce caldo e gentile mentre i suoi occhi nocciola, per un istante incrociano i miei.
“Mi scusi ma non riesco a muovermi” le poche parole che escono da quel viso da bambolina
“Non ha nulla da farsi perdonare” la mia risposta mentre vedo il suo volto tornare alla posizione iniziale e fissare le porte metalliche in attesa di giungere a destinazione
Il viaggio riprende, le scosse della cabina, leggere e quasi impercettibili per natura ma chiaramente riscontrabili quando i corpi sono così adesi fanno muovere in modo involontario la giovane, il suo corpo sfiora la mia gamba, il suo calore mi pervade, il suo profumo mi inebria, il mio membro sta prendendo vigore tendendo la stoffa dei calzoni.
Decido. Mi muovo leggermente a sinistra, di quel tanto che è sufficiente per far aderire il mio bacino al suo posteriore e muovo leggero una mano sfiorando il suo fianco per saggiare le sue reazioni. Tocco con i polpastrelli il tessuto del maglione proprio all’altezza della sua vita, senza trovare in lei alcuna reazione mentre l’orda brulicante continua il suo vociare incessante.
Secondo piano. Alcune anime abbandonano il viaggio, troppo poche per ridistribuire lo spazio ma sufficienti ad azzerare quel contatto piacevole ma non voluto quando un folle, incurante delle altre anime, rivolgendosi ad un compagno di questo assurdo e quotidiano viaggio, vociando una sorta di “ce l’ho qui” che giunge fino alle mie orecchie, si piega di scatto all’indietro per frugare nella sua borsa, assestando un involontario colpo all’anima dietro di lui che impreparata indietreggia fino a scontrare la giovane che perde forza sulle gambe e in equilibrio precario appoggia la schiena al mio tronco ed io, istintivamente, la cingo per la vita per aiutarla nel sostegno del suo giovane corpo.
Lo spazio vitale torna a prendere forma, lei scosta la schiena dall’appoggio ma io non lascio la presa dalla sua vita respirando a pieno il suo profumo. Non dice nulla, resta inerme ed in silenzio, respira piano.
Lentamente faccio scivolare la punta delle dita sotto al maglione sfiorando la pelle calda e vellutata del suo ventre e ancora una volta la ragazza non reagisce, sento attraverso quel contatto il suo respiro irregolare, il suo ventre danza contro il mio palmo raccontandomi di come sta vivendo questa situazione surreale, scivolo verso il fianco avvinghiandola con l’avambraccio tirandola a me quel tanto che serve per sentire il suo lato b poggiare contro il mio bacino, un sussulto leggero mi narra della sua sorpresa, un istante prima di tornare ad avvertire tramite il tatto il suo respiro irregolare.
Terzo piano. Le porte si aprono. Parte dell’orda brulicante abbandona la scatola metallica regalando ai restanti viaggiatori spazio di vita ed aria per respirare, io non lascio il mio posto al fondo ne la presa sulla vita della ragazza che, dal suo canto, continua in silenzio a guardare le porte metalliche respirando piano, in modo irregolare, senza sottrarsi a questo contatto. Avverto il suo lato b coperto solo dalla stoffa della gonna a balze sfiorare ripetutamente il mio membro che nascosto dalla stoffa dei miei calzoni ne saggia la morbida e soffice consistenza, la mano libera scivola sotto l’orlo del suo abbigliamento e sale, leggera, sfiorando la sua pelle, un fremito la pervade e la scuote
Sollevo la gonna di quel tanto che è necessario per liberare al tatto la forma delle sue natiche che percorro con la punta delle dita, lei emette un leggero sibilo, un mugolio quasi impercettibile mentre il mio membro preme per essere liberato dalla sua prigione di stoffa mentre lo premo ripetutamente sulle sue natiche.
Quarto piano. Metà delle anime libera l’abitacolo, il vociare indefinito sovrasta il nostro silente gioco di conoscenza reciproca, il membro duole, la fanciulla oramai respira in modo veloce e irregolare, la mia mano abbandona il suo ventre e si muove rapida e decisa ad afferrare il suo polso, piego indietro il suo braccio portando il suo palmo direttamente sulla mia poderosa erezione, lei si lascia guidare in silenzio e senza mai voltarsi ne saggia la consistenza mentre le mie dita disegnano abili e sapienti giochi di carezze spostando il filo del suo intimo per insinuarsi leggere tra le sue natiche per brevi istanti e tornare a disegnare quella dolce tortura.
“Mmmhhhh” un mugolio silenzioso. Quasi un sussurro mentre la sua mano piccola con le dita affusolate accarezza il mio membro attraverso la stoffa ed io accarezzo il suo lato b godendo dei suoi fremiti, del calore del suo corpo, del suo silenzioso assecondare questo mio gioco di conquista, del raccontarmi senza parole che è disposta a concedersi ad ogni mio comando e ha soddisfare ogni mio bisogno.
Allento il tocco sul suo posteriore e rapido armeggio con la cerniera dei calzoni, abbassandola per poi tornare a muovere la mano sul suo ventre, insinuando la punta delle dita sotto al maglione, forzando l’elastico della sua gonna a balze mentre inclino il capo in avanti raggiungono con la bocca il suo lobo. Una sola parola, il tono calmo e pacato di chi non ammette alcuna replica.
“coraggio” le dico
La ragazza sospira, il suo corpo si tende. Per un istante il suo volto si piega di lato ed i suoi occhi incontrano i miei, la sua espressione è un mare di emozioni, domande, dubbi, desideri; il mio sguardo, di contro, è pura convinzione, decisione, voglia. Non abbiamo bisogno di parole, io decido, lei obbedisce.
Le sue dita leggere si insinuano nella stoffa e trovano il mio membro rigido, nodoso e gonfio. Lo accarezza con la punta delle dita salendo fino al glande per poi scendere alla base mentre le mie dita si insinuano sotto la gonna e scendono fino a trovare il suo monte di venere coperto dal suo intimo.
Trema, il respiro è irregolare, il corpo caldo.
“Fallo! So che lo vuoi!” le dico con tono fermo scuotendo i suoi sensi ed il suo intero corpo proprio mentre una nuova sosta di questo surreale e sorprendente viaggio si palesa sul piccolo display
Quinto piano. La scatola metallica si svuota, fatta eccezione di un paio di figure e nello stesso istante in cui le anime abbandonano questo viaggio condiviso la fanciulla senza mai guardarmi estrae il mio membro duro e nodoso sostenendolo per la base mentre in modo voluttuoso spinge il suo posteriore contro il mio corpo, le mie dita sagaci scostano il filo sottile del suo intimo di quel tanto che è sufficiente per liberare il suo giovane e caldo sesso.
Il mio membro come calamitato punta diritto alla meta, la mia asta sfiora delicatamente le sue labbra più intime e nascoste regalando ad entrambi dei fremiti di intenso piacere che celiamo a fatica; avverto il calore umido del suo desiderio bagnare il mio, il suo fiore che sboccia aprendosi pronto ad accogliermi mentre lei freme leggermente godendo di questo inatteso quanto eccitante momento.
La mia mano sale lungo la sua schiena, accarezzo lentamente la sua nuca per poi cingere le dita attorno al suo giovane e sottile collo senza esercitare una pressione che possa nuocerle, un gesto tanto delicato quanto convincente e mentre lei reclina leggermente la testa all’indietro la mia voce roca e decisa le sussurro all’orecchio
“Potrei farti ciò che voglio”
Freme di un intenso ed ancestrale piacere. Il mio membro è incastonato tra le sue calde e lisce cosce, il suo corpo danza su di esso regalando ad entrambi spasmi di piacere che alimentano il desiderio reciproco. Le sue sensuali ed aggraziate movenze sono un tacito assenso a ciò che le ho appena detto, dichiarando col corpo una tacita ed incondizionata resa.
Non mi guarda, i suoi occhi sono socchiusi, la nuca poggia sul dorso della mia mano mentre cingo il suo collo raccontandole il mio bisogno di domarla e lei con un filo di voce sottile, caldo e umido come il suo desiderio mi racconta il suo di essere preda e carnefice al tempo stesso. Freme per quel contatto, piena di desiderio, consapevole che un uomo che ha il doppio dei suoi anni è pronto a guidarla nell’abisso del comune piacere, alla scoperta delle pulsioni più recondite e nascoste di entrambi, una silente accettazione del ruolo che ci appartiene narrata dalla danza sinuosa del suo corpo che ondeggia leggero sulla mia asta e dal ritmo irregolare dei suoi respiri mentre resta ancorata a me, carne su carne in quel silenzio che è narrazione di due vite, di due anime, di un bisogno reciproco.
Sesto piano. Si scosta come colta da un impeto di lucidità, abbassa la gonna e sistema le pieghe del maglione, raccoglie la sua porta documenti e senza voltarsi mi sussurra
“devo andare”
Le porte si chiudono alle sue spalle. Mi poso contro il metallo in attesa di raggiungere la mia meta, come tutti i giorni concludo questo viaggio da solo e mentre sistemo il mio abbigliamento riponendo con cura il mio membro ancora duro e bagnato del suo piacere, mi domando chi fosse e se mai la rivedrò.
Settimo piano. Le porte si aprono. Varco la soglia del mio ufficio col mio solito incedere deciso, un gesto della mano a salutare Elena, la mia storica e fidata segreteria prima di sedere alla mia scrivania, dopo aver appeso il mio cappotto all’appendi abiti, un sorso di acqua per rinfrescare la gola, la mente è ancora offuscata da quel tragitto troppo breve per gustarne a pieno i frutti inatteso ed insperati, nelle narici ancora il suo profumo, nelle orecchie i suoi gemiti sommessi, nelle mani il calore del suo giovane corpo.
Elena bussa alla porta e varca la soglia avvisandomi che di sotto è arrivata Sonia, la nuova praticamente. Le dico di farla salire così da poterla conoscere e dopo due minuti la porta del mio ufficio, su mio invito si apre, alzo gli occhi dai miei progetti e guardo la ragazza che si staglia davanti a me, i suoi occhi sono fissi su di me, la sua postura perfettamente eretta, il viso è rosso di imbarazzo, la bocca leggermente dischiuse come a voler trovare l’aria che manca, la borsa Pi Quadro stretta tra le mani aderisce al suo ventre proteggendo il suo maglioncino a collo alto e la sua gonna a balze.
La osservo, immobile sulla soglia mentre il suo sguardo scende lento per terra in un silenzioso ed implicito assecondare la mia silenziosa domanda.
“Benvenuta Sonia. Sono certo si troverà bene con noi” le dico sorridendo compiaciuto.
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