Marta - La diciottenne (Parte 3)

di
genere
etero

Il sole era ormai scomparso oltre l’orizzonte, inghiottito dal mare. Il cielo, prima azzurro, sfumava lentamente in un blu profondo, con le prime stelle che timidamente facevano capolino.
Erano passati almeno quindici minuti da quando avevamo fatto l’amore. Quindici minuti di silenzio, nudi, stesi sull’erba ancora tiepida del giorno, a guardare il Mar Ligure che si apriva davanti a noi come un’enorme distesa viva, immobile e potente. All’orizzonte, i profili lontani della Corsica si disegnavano a malapena. Nessuna parola, solo qualche bacio e sguardi carichi di ciò che le parole non sapevano dire.
A spezzare quell’istante eterno fu una vibrazione.
Marta allungò il braccio verso il telefono. Lo schermo si illuminò nel crepuscolo.
«Cazzo», sibilò.
«Che succede?» chiesi, ancora immerso in quella calma irreale.
«È Gaia… Mi chiede dove sono e perché non sono in camera.»
«Aspetta… Dovevi essere in camera?»
«Lo sai… non ho detto nulla di noi. Quando sono uscite ho solo detto che mi sentivo poco bene e sarei rimasta a riposare. Ora cosa le dico?»
«Non lo so… puoi anche dire la verità, non mi offendo», provai a sdrammatizzare, anche se il gelo che le era sceso addosso si faceva sentire.
Marta iniziò a scrivere febbrilmente. Le sue dita lunghe e affusolate scorrevano sullo schermo, rapide, quasi ansiose. Non riuscivo a leggere, ma nemmeno avrei voluto.
«Andiamo… riportami in albergo. Ma mi sa che Gaia voglia parlarci.»
Il tragitto fu breve e silenzioso. L’atmosfera s’era fatta tesa. Lei aveva rivelato di essere stata con me, ma Gaia… cosa avrebbe detto? Perché sembrava così protettiva?
In fondo, io ero un adulto, sì… e forse potevo essere suo padre. Ma Marta era maggiorenne, cosciente, lucida. E Gaia era solo un’amica, non un tutore.
Parcheggiai nella solita via, scendemmo, e appena svoltato l’angolo le vedemmo: Gaia e l’altra amica, ferme davanti all’ingresso dell’albergo. Le braccia incrociate, gli occhi – o meglio, gli occhiali da sole – fissi su di noi.
Si avvicinarono. E io non potei fare a meno di guardarle.
Gaia era di una bellezza che non lasciava spazio: mora, capelli lisci e lunghissimi, alta, magra, con quell’aria da diva consapevole. Indossava un paio di texani alti fino al ginocchio, una minigonna nera e un top che sembrava un reggiseno più elaborato. Un piercing scintillava sul suo ombelico scoperto. Era difficile non restare colpiti: aveva un magnetismo naturale.
L’altra ragazza, pur essendo carina, sembrava eclissata. Aveva qualche chilo in più, un viso meno scolpito. In un altro contesto sarebbe probabilmente spiccata. Ma lì, accanto a due bellezze così nette, sembrava invisibile.
Fortunatamente, prima che l’imbarazzo prendesse il sopravvento, si presentarono.
«Ciao, piacere, Gaia.»
«Piacere, Sofia.»
Stringo la mano a entrambe. «Piacere, mi chiamo Tommaso.»
Ma Gaia non voleva certo chiacchierare.
Si mise di fronte a noi – anzi, a me – e tagliò corto.
«Che intenzioni hai?»
«Prego?» replicai, disorientato.
Avevo intuito la direzione del discorso, ma il tono era quello di un interrogatorio.
«Gaia… te l’ho detto per messaggio», intervenne Marta, cercando di placarla. «Stavo un po’ meglio, ho scritto a Tommy su Instagram, siamo andati a fare due passi…»
Gaia alzò un sopracciglio. «E secondo te mi bevo che improvvisamente ti sei sentita meglio e per caso hai contattato uno conosciuto ieri sera? Più grande, che ti ha detto subito sì?»
In effetti… non aveva tutti i torti.
Decisi di intervenire, per alleggerire la situazione.
«Hai ragione a preoccuparti, Gaia. Davvero. Ma lasciami spiegare.»
Sentivo Marta irrigidirsi accanto a me. Forse temeva che dicessi troppo. Ma le sorrisi di lato, tranquillizzandola con lo sguardo.
«Ieri sera ho accompagnato Marta in albergo… e abbiamo parlato. L’ho vista turbata, scossa da come quel ragazzo l’aveva trattata. Le ho detto che, se avesse voluto parlare, ci sarei stato. Come un fratello maggiore. Nient’altro.
È vero, forse ha detto una bugia, o almeno una mezza verità. Ma non stava affatto bene. Magari ha solo cercato un consiglio da qualcuno che la ascoltasse.
So che può sembrare strano un uomo adulto che corre appena una ragazza lo chiama. Lo capisco. Ma la scena di ieri mi ha colpito. E, onestamente, in un mondo dove troppo spesso si fa finta di niente… io ho scelto di non girarmi dall’altra parte.»
Feci una pausa.
«I care», diceva Don Milani. Mi importa. Non sempre chi aiuta ha secondi fini. A volte vuole solo esserci. Tutto qui.»
Ero rimasto colpito da quanto quella scusa mi fosse uscita naturale. Mentire non mi era mai pesato troppo, anzi... avevo quasi affinato un talento nel farlo sembrare verità. Quanti brutti voti nascosti, quante bugie bianche, e anche qualcuna un po’ più grigia. La mia ex mi dava del manipolatore, ma io non l’ho mai vista così: non manipolo le persone… solo, a volte, la realtà.
Ma Gaia sembrava colta alla sprovvista. Forse, in fondo, mi aveva creduto. Marta, invece, era rigida. Respirava a singhiozzi, e in un attimo capii che la situazione stava sfuggendo di mano. Poi aprì la bocca, guardò le sue amiche, e con voce incerta disse:
“Gaia… Sofia… scusatemi. Dovevo essere sincera con voi.”
Si voltò verso di me. “Tommy, grazie per avermi protetta, davvero. So che le tue intenzioni sono buone. Ma non ho mai mentito a loro, e non voglio iniziare adesso. Ragazze… io e Tommy stiamo insieme.”
Silenzio.
“Cosa?”
Lo dicemmo in tre. Perché stiamo insieme? Io non lo sapevo. Certo, ci eravamo detti che ci amavamo, ma nessuno aveva mai parlato di “stare insieme”. Ufficialmente.
Gaia scattò, colpendomi con un paio di pugni deboli, più rabbiosi che dolorosi.
“Sei un porco!” urlò.
Le presi i polsi con delicatezza e provai a farle ragionare.
“Aspetta, Gaia. Ti giuro che anche per me questa cosa è stata una sorpresa…”
Marta allora raccontò tutto. Ogni dettaglio. La sera prima in macchina. Il sesso rubato solo un’oretta prima …tutto.
Avrei voluto che mi interpellasse prima.

“… anche se non ho detto tutta la verità. Tommy, scusami, volevo chiedertelo lassù, ma ormai… è andata così. Ti vuoi mettere con me? Non siamo ancora ufficialmente una coppia, ma sentivo che dovevo dirlo. E sono sicura che tu dirai di sì.”
Ero spalle al muro
.
“Marta… forse è meglio parlarne tra noi, prima.”
“Te la volevi solo scopare, eh?” disse Sofia, con disprezzo. “Vecchio pervertito.”
“No, non è così. Sentite… per me è strano parlare di cose così personali con voi. Capisco che siate sue amiche, ma non vi conosco. E vi assicuro che non sto prendendo in giro Marta. Solo… mi sento in difficoltà.”
Gaia chiuse la questione.
“Ok. Noi ora usciamo. Marta viene con noi. Tu torna a casa. Poi… se ne riparla.”
Marta mi guardò, come se volesse una risposta diversa. Ma io non avevo parole. Annuii e me ne andai.
Il tragitto in macchina fu silenzioso e pesante. Una parte di me desiderava davvero stare con lei. L’altra pensava a cosa avrebbero detto i miei amici. Roby mi avrebbe fatto l’occhiolino, ma Filippo… Filippo avrebbe detto che ero pazzo, che era troppo giovane.
Una volta a casa, le scrissi su Instagram:
“Marta scusami, spero tu passi una buona serata. Una parte di me vorrebbe dire di sì, ma possiamo parlarne tra noi quando vuoi?”
Feci una doccia, preparai qualcosa da mangiare, guardai un film. Ma a letto, scrollando Instagram, arrivarono tre notifiche.
Un messaggio. Un follow. Una richiesta.
Il messaggio era suo:
“Ok amore, scusami, poi ti spiego meglio. Ti capisco. Parliamone domani, se vuoi. Buonanotte ❤”
Il follow… Gaia.
Il profilo era privato, ma riconobbi la foto. Le diedi il follow.
La richiesta? Sempre Gaia.
“Senti, non mi fido di te. Marta e Sofia sono la mia vita. Ma voglio darti un minimo di beneficio del dubbio. Voglio parlarti.”
Risposi subito:
“Io non ho problemi a parlare, se non c’è pregiudizio. Altrimenti è inutile. Marta è fortunata ad avere un’amica come te. Dimmi tu quando.”
“Anche stanotte. Le bimbe dormono. Posso uscire un paio d’ore.”
“Dovrei venire a prenderti?”
“Sì.”
“E Marta? Non sarebbe… gelosa?”
“Capirà.”
Dentro di me ero combattuto. Ma non avevo secondi fini. Questo mi fece capire che forse, sì, provavo davvero qualcosa per Marta. Perché Gaia era una ragazza bellissima… e non sentivo attrazione.
Arrivai all’hotel. Salì in macchina, vestita com’era prima. Parcheggiai nella solita via.
“Eccomi. Mi hai chiesto di parlare.”
Per un attimo sembrò meno decisa. La guardai meglio. Occhi nocciola grandi, profondi, quasi disegnati. Una bellezza che avrebbe fatto girare la testa a chiunque.
Poi parlò, diretta:
“Marta sta attraversando un periodo di merda. Ha perso suo padre qualche mese fa. E Lorenzo… beh, la trattava male. La tradiva, la umiliava. Questa vacanza doveva essere una fuga. Ma si è invaghita di te. E me ne ha parlato. Le cose che le dici… sei la copia di suo padre. Lui la faceva sentire una principessa. Tommy, probabilmente la farai soffrire.”
Quelle parole mi colpirono come un pugno
.
“Gaia… non ti mento. Sono insicuro. Provo qualcosa per lei, qualcosa che non so ancora definire. Ma ho una paura tremenda di farla soffrire. Le ho detto più volte questa cosa. Quando sono con lei… non riesco a trattenermi. Forse… forse mi sono innamorato anche io.”
Deglutii.

“Non ti posso giurare che non la farò soffrire, perché il nostro legame ha mille ostacoli. Ma ti prometto una cosa: è l’ultima cosa che vorrei. Io… voglio solo che sia felice.”
Gaia rimase in silenzio. Poi il suo sguardo cambiò.
“Se vuoi… ci sono io. Basta che ti scordi di Marta.”
La fissai.

“In che senso?”
Lo capii subito. Si abbassò lentamente il top, lasciando intravedere il seno. Piccolo, perfetto, con capezzoli già tesi.
“Se vuoi… sono tua per i quattro giorni che restano. Ma ora mandi un messaggio a Marta e le dici che è finita.”
Rimasi immobile. Istinto e ragione si scontravano.
“Cazzo Gaia… rivestiti. Non farò mai una cosa del genere.”
Ma una parte di me… quella più oscura, quella più istintiva… aveva esitato.
I miei occhi la fissavano. Gaia sembrava consapevole di tutto il suo potere, del magnetismo che emanava, come se sapesse perfettamente che in quel momento qualunque uomo al mio posto avrebbe ceduto.
La sua mano, con sicurezza e lentezza, scese su di me. Era impossibile non reagire: ero completamente in erezione. La sentivo accarezzare da sopra il tessuto, provocando brividi e piccoli gemiti che cercavo di trattenere.
Ma poi, con uno sforzo che sembrava quasi sovrumano, presi la sua mano e la allontanai con fermezza. Le sistemai anche il top, coprendo quel seno che già tantissimo desideravo.
«No… Gaia, smettila.»
Lei mi guardò sorpresa, quasi divertita.
«Nessuno mi ha mai rifiutata.»
«Ci credo… sei bellissima. Nemmeno io mi spiego come abbia fatto a dirti di no. Ma te l’ho detto: non posso farle questo.»
Gaia si leccò le labbra, guardandomi con uno sguardo da sfida.
«Però eri eccitato…» sussurrò maliziosa.
«Certo che lo ero. E lo sono ancora. E probabilmente dopo… me la vedrò da solo. Ma non ferirei mai Marta. Le voglio bene. E so cosa vuol dire essere traditi, anche solo per un attimo. Non lo merita.»
Lei rise appena, inclinando la testa di lato.
«Allora dillo pure a lei. Domattina glielo dirò anch’io. Non abbiamo segreti. Però… sai, mi aspettavo qualcosa di più.»
Stava giocando con l’orgoglio, sperava forse che la provocazione mi facesse cedere. Ma non funzionò.
«Non ho bisogno di vantarmi. Se vuoi sapere, chiedi direttamente a Marta. Non so a cosa tu sia abituata, ma con me… dovrai rimanere con la curiosità.»
Gaia mi lanciò un’ultima occhiata, enigmatica, un po’ sorridente.
«Mmm… forse sì. Almeno per stasera. Per il futuro… chissà.»
Aprì la portiera con grazia e tornò verso l’albergo. Io la seguii con lo sguardo, solo per assicurarmi che entrasse davvero. Quando sparì dentro, tornai in macchina e presi il telefono.
«Domani mattina appena ti svegli scrivimi. Io sarò qui ad aspettarti.»
Tornare a casa non aveva senso, mancavano poche ore all’alba. Decisi di restare in auto a riposare, abbassai il sedile e provai a chiudere gli occhi.
Ma il corpo non dimenticava. Gaia aveva ragione: mi aveva lasciato addosso un effetto indelebile. Un misto di frustrazione e desiderio irrisolto.
Guardai intorno per essere sicuro che nessuno mi vedesse.
Abbassai la zip e lo tirai fuori. Era bagnato, teso, umido di desiderio.
Le dita scivolavano da sole. Mi toccai lentamente, lasciando che la tensione trovasse sfogo, ma era strano, dal volto di Marta piano piano immaginai Gaia. Dopo pochi minuti, venne un orgasmo rapido, potente, che schizzò sul volante e sul cruscotto. Per fortuna avevo con me dei fazzoletti: pulii tutto in fretta, respirando a fondo.
Poi mi sistemai, reclinai il sedile e chiusi gli occhi.
Nel silenzio della notte, con l’adrenalina che finalmente si spegneva, mi addormentai.
Le prime luci dell’alba filtravano attraverso il parabrezza appannato, sfiorandomi il viso e riportandomi lentamente alla realtà. Il telefono vibrava accanto a me: due messaggi.
Il primo era di Marta.
“Amore so tutto, grazie. Dammi mezz’ora e scendo.”
Il secondo, invece, era di Gaia.
“Piaciuta la sega?”
Rimasi immobile per un istante.
Come faceva a saperlo? Mi aveva osservato da qualche finestra? O forse… era solo una provocazione, una trappola psicologica per farmi reagire?
Decisi di ignorarla. Non avrebbe avuto risposta.
Tutto il mio pensiero, in quel momento, andava a Marta. “So tutto.” Cosa significava esattamente? Come lo aveva saputo? Come l’aveva presa? Mille dubbi mi attraversarono, ma provai a restare calmo.
Le risposi semplicemente:
“Ok dai, ti aspetto qui giù, al solito posto.”
Mi tirai su il sedile, sistemai i capelli alla meglio guardandomi nello specchietto e spalancai i finestrini per far entrare l’aria del mattino. Ogni istante che passava mi avvicinava a lei, e a una verità che non sapevo ancora se sarebbe stata un abbraccio… o una ferita.
Marta salì in macchina con il suo solito fascino naturale. Indossava un bikini azzurro che si intravedeva sotto gli shorts e una maglietta a rete che le lasciava scoperte le spalle. Il suo bacio fu intenso, affamato, quasi volesse dirmi tutto senza dire nulla.
Quando le nostre labbra si separarono, trovai la forza di parlare.
«Marta, dobbiamo parlare…»
Lei mi guardò negli occhi, con uno sguardo che sembrava già sapere tutto. «Lo so, ma non qui. Andiamo in un posto più tranquillo.»
Guidai verso il piccolo parcheggio dietro la scuola. Era estate, deserto come sempre. Ci fermammo sotto la quercia, la sua ombra ci offriva rifugio.
Presi fiato. «Sai di Gaia.»
Lei annuì, tranquilla. «Sì. So che vi siete visti ieri sera. E so anche cosa ti ha proposto.»
Il mio cuore accelerò. «Sai… tutto tutto?»
«Sì, Tommy. Ma rilassati. Tu non hai fatto nulla di sbagliato.»
La sua calma era quasi inquietante. Non c’era rabbia nel suo tono, nemmeno delusione. Solo una strana serenità.
«Io e Gaia siamo come sorelle,» continuò, «ma non mi aveva detto nulla prima. Per lei era… un test. Voleva vedere se davvero tu eri quello giusto per me.»
Rimasi in silenzio. Quelle parole mi fecero sentire incredulo, forse un po’ stupido. Avevo detto di no a Gaia — e ora scoprivo che, in un certo senso, Marta ne era complice?
«Quindi… se avessi accettato, sarebbe stato comunque tutto ok?»
Lei sorrise. «Non lo so. Forse no. Forse sì. Ma hai scelto me, e questo mi basta.»
«Non è stato facile.»
Mi sorrise con malizia. «La desideravi?»
Esitai. «È una ragazza bellissima. E vederla… così… mi ha messo in difficoltà, non posso mentire.»
Lei si avvicinò, accarezzandomi la guancia. «Lo so. E ti ringrazio per non aver ceduto. Ma… forse, un giorno, certe cose potremmo viverle insieme. Se sarà il momento giusto.»
Il suo sguardo era pieno di promesse, ma anche di un amore sincero.
Restammo lì, a guardarci, mentre la luce del mattino filtrava tra le foglie. Il mondo fuori era fermo, e in quella bolla fatta solo di noi, sembrava che niente potesse spezzare ciò che stavamo costruendo.
L’aria si era fatta più densa, come se le parole dette poco prima avessero lasciato scie invisibili tra noi. Marta mi guardava con un sorriso sottile, ma i suoi occhi erano accesi da una luce diversa.
«Sai… so che hai dovuto arrangiarti da solo stanotte.»
Rimasi spiazzato. «In che senso?»
Lei inclinò la testa appena, divertita. «Gaia è uscita qualche minuto dopo... e ti ha visto. In macchina.»
Il sangue mi salì al viso in un istante. Quel messaggio allora non era solo una provocazione. Era tutto vero.
«A cosa pensavi?» chiese lei, con una voce bassa e carica di malizia.
«A te.» risposi, cercando di suonare sicuro. Una mezza verità… detta come una certezza.
Marta, però, mi conosceva fin troppo bene. Il suo sorriso non si spense, si fece solo più consapevole.
«Solo?»
Abbassai lo sguardo per un istante. Mentire a lei era inutile. «Non solo a te.»
Ci fu un momento di silenzio. Ma anziché ferirla, quella confessione sembrò accenderla.
Con una foga inattesa, si sporse verso di me e cominciò a baciarmi il collo, lentamente, come se ogni centimetro della mia pelle fosse una promessa da mantenere.
«Povero cucciolo…» sussurrò con voce tenera ma affamata, «da solo nella notte, cercando conforto, cercando piacere… Ma ora ci sono io. E stavolta ci penserò io a te.»
Le sue mani si mossero leggere sul mio petto, sfiorando la pelle, accendendo scintille là dove toccava. Le labbra non si fermavano, seguivano un percorso preciso, studiato, ma guidato dal desiderio.
Poi, senza parole, si inginocchiò tra i sedili.
Il suo viso era sceso all’altezza del mio bacino. Marta non disse nulla: si limitò a far scivolare le dita sul bottone dei miei jeans, lentamente, come se quel gesto racchiudesse un rito, una promessa. Io non avevo la forza — né la volontà — di oppormi. Mi appoggiai al sedile e chiusi gli occhi, lasciando che fosse lei a guidare quel momento.
In pochi istanti, sentii l’aria fresca sulla pelle. Mi aveva liberato, ed era evidente quanto fossi già pronto. Con delicatezza, iniziò a muoversi, le sue mani e le sue labbra lavoravano insieme, in perfetta armonia. Era un’esperienza nuova persino per me… il modo in cui mi accoglieva, la naturalezza con cui lo faceva. Sembrava sapesse esattamente cosa fare per farmi perdere il controllo.
Quel contatto, caldo e avvolgente, durò a lungo. Ogni volta che pensavo di cedere, lei rallentava, giocava, mi riportava indietro… finché, quando ormai sentivo il corpo tremare, mi guardò alzando appena lo sguardo e sussurrò:
«Stai pensando a me… o a Gaia?»
Rimasi senza parole per un secondo, poi dissi la verità, nuda e cruda, forse troppo. «Vorrei tutte e due. Anzi, tre. Anche Sofia. Amo te, Marta… ma le vorrei tutte.»
Non sapevo nemmeno da dove mi fosse uscita quella frase. Forse dalla lucidità che si spegne quando il piacere prende il sopravvento. Ma Marta non si scandalizzò. Anzi, rise, divertita.
«Sei proprio un porcellino,» disse piano, prima di tornare giù con più foga di prima.
Questa volta non ci fu controllo. Non ci fu modo di resistere. Bastarono pochi secondi perché sentissi le onde del piacere travolgermi. Venni con forza, ansimando, mentre lei non si fermava.
Lei si tirò su con un sorrisetto soddisfatto.
«Allora è vero che sono brava.»
«Continua,» dissi io, ancora senza fiato.
«Ma… sei già venuto.»
«Lo so. Ma voglio ancora sentire te.»
Lei rise appena, ma mi obbedì. Le sue dita tornarono a muoversi, con lentezza, ma con la stessa sicurezza di prima. Chiusi di nuovo gli occhi, cullato dal suo ritmo, dal calore della sua bocca, dal fruscio del suo respiro. Ero ancora eccitato, troppo. Sentivo il mio corpo ancora pulsare, quasi con dolore. Ma lei non si fermava.
«Sei insaziabile, amore,» sussurrò, ma non ebbe il tempo di dire altro. Le presi il viso tra le mani e lo guidai di nuovo verso di me. Volevo sentirmi perso in lei, volevo restare lì, stretto in quel vortice caldo che mi stava consumando.
Aprii appena gli occhi… e la vidi. I suoi umori scivolavano lungo le sue gambe, bagnando il tappetino dell’auto. Indossava ancora il bikini, ma era chiaramente inutile.
«Amore… sei un lago?» dissi con un sorriso.
«Mmm sì… ti voglio,» sussurrò.
Non aspettai altro. La sollevai con delicatezza, la stesi sul sedile del passeggero e le sfilai il bikini. Notai i primi peli chiari tornare a fare capolino su quella pelle che avevo conosciuto perfettamente liscia. Un dettaglio che la rendeva ancora più vera, più mia.
Mi avvicinai piano, lasciando che il mio viso trovasse la via fra le sue cosce, e iniziai a leccarla come solo lei sapeva apprezzare. Il sapore era intenso, vivo, e ogni suo gemito mi guidava, mi spingeva oltre.
Marta si contorceva sotto di me, scossa da piccoli spasmi di piacere, e io sapevo di averla portata lì. Era mia. Finalmente potevo sentirla, davvero.
Avvicinai il mio corpo al suo. Il mio membro trovò la strada da solo, e penetrarla fu naturale, come tornare a casa. Non so quanto andammo avanti. Non c’era più tempo, solo sensazioni. Le sue unghie graffiavano la mia schiena, le nostre bocche si cercavano tra i respiri spezzati.
Venni dentro di lei, e per qualche secondo restammo così. Uniti. Sospesi.
Poi, mentre il respiro cominciava a calmarsi, realizzai: «Amore… cazzo… sono venuto dentro.»
Lei mi guardò con un’espressione serena e un po’ maliziosa. «Non preoccuparti, prendo la pillola.»
Prese le dita e lasciò che una goccia del mio seme che scivolava lentamente dalla sua vagina arrivasse alla sua bocca.

scritto il
2025-08-07
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