Marta - La diciottenne (Parte 4)

di
genere
etero

Le passai un fazzoletto, e Marta lo prese con un sorrisetto furbo, pulendosi con calma, come se sapesse che la stavo guardando. Mi sistemai anch’io, cercando di ignorare il calore che ancora mi pizzicava la pelle. Fuori, il cielo si era incupito, e in un attimo la pioggia iniziò a cadere, un diluvio che tamburellava sul tetto dell’auto come se volesse entrare.
«Che palle,» borbottò Marta, gli occhi azzurri che scrutavano il finestrino bagnato. «Volevo andare al mare.»
«Eh, mi sa che oggi è così,» dissi, con un mezzo sorriso. «Ieri hanno mandato un’allerta, pioverà tutto il giorno.»
Prese il telefono e iniziò a scrivere, le dita che volavano sullo schermo. La curiosità mi morse: sbirciai con la coda dell’occhio e vidi i nomi di Gaia e Sofia nella chat, ma non riuscii a leggere altro. Chissà cosa stava raccontando di noi. Quel pensiero mi fece scorrere un brivido caldo lungo la schiena, come se stesse confessando al mondo che eravamo stati insieme.
«Sai, avevo preso questo lunedì di ferie per fare un giro,» buttai lì, rompendo il silenzio. «E invece eccomi qua, fermo, con la pioggia che mi frega.» Ma non mi dispiaceva. Amavo i temporali estivi, quelli che arrivano all’improvviso, carichi di energia, come un’esplosione che spazza via il caldo e ti fa sentire vivo, con l’autunno che sembra già bussare.
Marta alzò lo sguardo dal telefono, e i suoi occhi avevano una scintilla diversa, maliziosa. «Tommy, ma tu… stai da solo?»
La domanda mi spiazzò, come un fulmine a ciel sereno. «Sì, beh, figurati se sto ancora coi miei,» risposi, ridendo, ma il suo sguardo mi aveva già incastrato, come se vedesse il fuoco che mi bruciava dentro.
«Andiamo da te,» disse, la voce bassa, un sussurro che prometteva guai.
Il mio corpo disse sì prima della mia testa. «Certo,» mormorai, e senza darle il tempo di pensarci, mi sporsi e la baciai. Le sue labbra si aprirono subito, accogliendo le mie con un gemito leggero, e ricambiò con una fame che mi fece quasi tremare. Era un bacio che sapeva di pioggia, di desiderio, di qualcosa che non si poteva fermare. Capii subito che questo lunedì sarebbe stato diverso, un giorno rubato al mondo, dove ogni tocco sarebbe stato una scintilla pronta a incendiarci.

Il viaggio verso casa mia era un groviglio di pensieri. Una parte di me fantasticava su cosa sarebbe successo una volta varcata la porta, con Marta così vicina, il suo profumo che ancora mi avvolgeva come una rete. Ma un’altra parte voleva scavare più a fondo, conoscere la ragazza che mi stava facendo perdere la testa. «Marta, approfittiamo per conoscerci un po’,» dissi, rompendo il silenzio.
«Mmm, certo. Cosa vuoi sapere?» rispose, la voce morbida, come un invito.
«Beh, sono curioso… raccontami delle tue esperienze.»
Sentii il suo sguardo posarsi su di me, pesante, quasi un tocco fisico, anche se i miei occhi erano incollati alla strada. Era come se mi stesse spogliando con gli occhi, e il mio corpo reagiva, un calore che si insinuava sotto la pelle.
«Di Lorenzo lo sai già,» iniziò, con un tono che tradiva un pizzico di esitazione.
«Vero, ma dimmi qualcosa di più.»
Sospirò, e la sua voce si fece più bassa, come se stesse tirando fuori un ricordo sepolto. «Lorenzo è stato il mio primo vero ragazzo. Ci siamo conosciuti l’estate scorsa, proprio qui, in quella discoteca. Ci siamo messi insieme a fine agosto, ma… quella settimana siamo finiti a letto più volte.»
Quelle parole mi colpirono come un pugno allo stomaco. Un’ondata di eccitazione mi attraversò, ma subito dopo arrivò la gelosia, un nodo che mi strinse la gola. Era assurdo: sapevo che aveva un passato, proprio come me, ma immaginarla tra le braccia di un altro, la sua pelle contro la sua, mi faceva ribollire. Lei era mia. Solo mia. E io volevo essere solo suo.
Continuò, ignara del caos che mi si agitava dentro. «Mi prese subito. Sai, complice l’alcol e il suo modo di fare… mi vergogno a dirlo, ma quella sera stessa finimmo a scopare sulla spiaggia.»
Mi voltai a guardarla, incapace di trattenermi. Non c’era più malizia nei suoi occhi, solo un’ombra di imbarazzo. Teneva lo sguardo basso, fisso sulle sue cosce nude che spuntavano dagli shorts, le dita strette intorno alle ginocchia come se volesse proteggersi. Il suo disagio mi fece sentire in colpa per aver insistito.
«Tranquilla, Marta,» dissi, cercando di alleggerire. «Tutti abbiamo un passato. E poi, sai che toccherà anche a me rispondere.»
Mi guardò e un sorriso timido le illuminò il viso, come un raggio che squarcia le nuvole. «Andò tutto bene fino a Natale. Nei weekend saliva lui o scendevo io. Ma poi… l’ho invitato a casa mia, e iniziò l’incubo. Non voleva che uscissi con le mie amiche, pretendeva di starmi sempre appiccicato, voleva le password dei miei social – Instagram, TikTok, tutto.» La sua voce si incrinò, un misto di rabbia e dolore. «A metà febbraio ci siamo lasciati, in malo modo. Ci siamo risentiti a inizio estate, lui si scusava, ma… hai visto anche tu, non è cambiato.»
Rallentai appena, la pioggia che tamburellava sul tetto come un ritmo che accompagnava i miei pensieri. Con la mano destra le accarezzai la guancia, pizzicandola piano, un gesto che voleva essere rassicurante ma che mi fece sentire la sua pelle morbida, un invito pericoloso. «Tranquilla, capita a tutti di ricascarci con un ex,» dissi, con un sorriso. «Ma prima di lui? Nessuno?»
«Solo qualche flirt, qualche bacio… qualche tocco,» rispose, esitando appena.
La gelosia mi pizzicò di nuovo, come una spina sotto la pelle. «In quanti ti hanno toccata?» chiesi, la voce più tesa di quanto volessi.
Silenzio. Poi, con un filo di voce: «Escludendo te, tre. E due di loro… mi hanno anche leccata.»
«E tu a loro?» La domanda mi uscì troppo in fretta, carica di ansia.
«Uguale. Con uno ci siamo solo masturbati a vicenda, era il mio primo ragazzo. Con gli altri due, anche sesso orale. Uno era Lorenzo, lo sai.»
Il nodo in gola si sciolse un po’. Avevo immaginato una lista più lunga, ma sapere che altri l’avevano sfiorata mi bruciava ancora. Però la sua sincerità, il modo in cui si era aperta, mi fece sentire più vicino a lei, come se mi stesse lasciando entrare in un angolo segreto di sé.
«Tocca a te, Tommy,» disse, con un sorriso che era un misto di sfida e curiosità.
«Beh, non pensare a chissà cosa,» iniziai, ridendo per allentare la tensione. «Alla tua età avevo avuto solo una ragazza, Giulia. Con lei persi la verginità. Era… speciale. Stessi colori tuoi, capelli chiari, occhi chiari, anche se con un seno più grande. Ma il tuo viso, Marta, è un’altra cosa, più… tuo.» Sorrisi. «Ci siamo lasciati, e io ero cotto perso. Per cinque anni ho provato a riconquistarla.»
«Cinque anni?» I suoi occhi si spalancarono, increduli.
«Già, ero testardo. A quell’età, poi, lo ero ancora di più.»
«E in quei cinque anni?»
Scossi la testa, sapendo cosa stesse pensando. «Niente. Nemmeno un bacio. Solo io e… beh, tante seghe.»
Rise, una risata che mi scaldò dentro. «Eri proprio innamorato.»
«Abbastanza,» ammisi, ma sentivo che stavo arrivando al punto che non avevo mai raccontato a nessuno. Deglutii. «Dopo cinque anni, sapendo anche di tutte le sue storie, presi coraggio. Ti prego, non giudicarmi. Trovai il numero di una prostituta online. Ci siamo visti, e… ci ho scopato.»
Marta rimase in silenzio, gli occhi fissi su di me. Poi, con voce calma: «Quindi sei stato con una prostituta?»
«SÌ, ma non è stato bello. Mi sembrava di usarla, e lei voleva solo farmi venire in fretta. Ci riuscì, però. Quella sera, almeno, mi dimenticai di Giulia. Poi ho avuto un paio di storielle di qualche mese, fino a Maria, la mia ex, quella che hai visto su Instagram.»
«Raccontami,» disse, con una curiosità che mi fece quasi tremare.
«Maria era un’amica da anni, ci trovavamo bene. Ma era fidanzata. Nel 2021, dopo la quarantena, ero solo, tanto. Il suo ragazzo, che conoscevo, lavorava sempre e la trascurava. È successo in un attimo: un bacio. Abbiamo provato a star lontani, ma dopo due settimane siamo finiti a letto. Lei ha confessato tutto al suo ragazzo, e i rapporti si sono incrinati, anche con me. Poi ci siamo risentiti, uscivamo insieme, ma scoprì che vedeva ancora il suo ex. Litigi, blocchi e sblocchi, pedinamenti… una relazione tossica da morire. Per fortuna, a un certo punto è finita. Era aprile 2024.»
«Ora è luglio 2025,» disse Marta, quasi persa nei suoi pensieri.
«SÌ…»
«E da allora nessuna ti ha toccato?»
«SÌ…»
Fu un istante. Mi abbracciò forte, il suo corpo premuto contro il mio, caldo e vivo come una promessa. «Ti amo, Tommy.»
«Anche io, Marta.» Le parole uscirono come un respiro, e il suo abbraccio era un fuoco che non volevo spegnere.

Parcheggiai davanti casa, la pioggia che si era trasformata in un diluvio furioso, un ruggito che trasformava la strada in un fiume ribollente. Non avevo un ombrello, ovviamente. «Marta, dobbiamo correre, aspetta che apro così ti bagni meno,» dissi, già pronto a schizzare fuori.
Lei annuì, ma non mi diede il tempo di muovermi. Spalancò la portiera e corse sotto l’acqua, i capelli che si incollavano alla pelle, il top che le aderiva come una seconda pelle. Mi guardò con quel sorrisetto malizioso, sapendo benissimo che vederla così, fradicia e splendente, mi avrebbe mandato in tilt. Il desiderio mi colpì come un fulmine, caldo e implacabile.
Aprii la porta di casa in fretta, le mani che tremavano mentre armeggiavo con le chiavi. Il salotto ci accolse con la sua penombra, e appena accesi la luce, Marta mi saltò addosso. Le sue gambe si avvinghiarono ai miei fianchi, stringendomi con forza, le sue braccia dietro il mio collo come catene di seta. D’istinto, le mie mani scivolarono sotto il suo culo, sodo e perfetto, accentuato da quella posizione che sembrava fatta apposta per torturarmi. La linea tra gli shorts bagnati e la sua pelle nuda era una tentazione che mi faceva ribollire. Le sue labbra divoravano le mie, un bacio famelico che consumava ogni centimetro, come se volesse marchiarmi.
Ci staccammo, ma era solo una pausa, un respiro prima della tempesta. La mia erezione premeva contro i jeans, impossibile da nascondere, e lei lo notò, i suoi occhi azzurri che si accendevano di una fame selvaggia. «Beh, eccoci a casa mia,» dissi, la voce roca, cercando di mantenere un minimo di controllo.
«Non male,» rispose, con un sorriso che prometteva guai. «Sai, Tommy, sono tutta bagnata… ti dispiace se mi tolgo i vestiti?»
Non ebbi il tempo di rispondere. Si sbottonò gli shorts con una lentezza che era pura provocazione, si voltò e si piegò, offrendomi la vista del suo culo, appena coperto dal bikini. Lo muoveva piano, da destra a sinistra, un’onda ipnotica che mi faceva perdere ogni pensiero. Non resistevo più. Con la mano sinistra mi toccai il cazzo sopra i pantaloni, mentre con la destra palpavo quel culo perfetto, sodo come un frutto maturo.
«Ti piace?» chiese, la voce più alta, quasi un miagolio che mi fece tremare.
«SÌ,» ansimai, il respiro già corto.
«Smettila di toccarti. A quello ci penso io.»
«Ok,» mormorai, completamente in suo potere.
«Siediti sul divano.»
Obbedii, crollando sul divano come un naufrago. Lei si mise di fronte a me, e con un movimento lento fece scivolare le spalline del bikini azzurro. Il tessuto cadde, rivelando il suo seno piccolo e perfetto, i capezzoli chiari ritti come un invito. Il mio corpo urlava, ma quando provai a toccarmi di nuovo, lei mi fermò con uno sguardo. «Ci penso io, ho detto.»
Ero suo, come sempre. Tolse il bikini con un gesto deciso, poi sciolse i nodi delle mutandine, che caddero a terra come foglie. Era nuda, un quadro vivente che si muoveva sensuale, seguendo una musica che esisteva solo nei nostri respiri. La sua pelle brillava, ancora umida di pioggia, e ogni curva sembrava chiamare le mie mani.
Si avvicinò, mi strappò la maglia con un gesto rapido, poi si inginocchiò. Le sue dita trovarono il bottone dei miei jeans, lo slacciarono, e io sollevai il sedere per aiutarla a sfilarli. I boxer erano tesi, la mia erezione evidente, bagnata di desiderio. Con un sorrisetto, usò i denti per abbassare l’elastico, e il mio cazzo schizzò fuori, dritto, pronto, luccicante. Ma Marta non si buttò subito su di me. Si mise a cavalcioni, prese il mio cazzo con la mano e lo guidò verso la sua fica, senza infilarlo, solo strusciandolo contro di lei, un movimento lento che era pura tortura. Sentivo il suo calore, i suoi umori che mi avvolgevano, come se mi stesse segando con la sua pelle.
Nessuna mi aveva mai fatto una cosa del genere. Dove diavolo l’aveva imparato? Ero al confine della follia, il piacere che mi montava dentro come una marea. Non durai molto. Con un gemito, sborrai, schizzi che ci colpirono entrambi, sul viso, sul mento. Senza pensarci, ci baciammo, un bacio sporco e perfetto, i nostri sapori che si mescolavano.
«Vedo che ti è piaciuto,» disse, con un sorriso malizioso che mi fece quasi tremare.
«Da morire,» ansimai.
«Oggi non ci vestiremo mai,» sussurrò, gli occhi che brillavano. «Sempre nudi, sempre insieme.»
«SÌ, amore,» risposi, e le nostre labbra si trovarono di nuovo, sigillando una promessa che profumava di pioggia e desiderio.

Dopo qualche minuto, Marta ruppe il silenzio, la voce ancora carica di quel fuoco che ci aveva consumati. «Ti dispiace se faccio una doccia?»
«Certo che no,» risposi, con un sorriso.
«La facciamo insieme?» I suoi occhi brillavano, maliziosi, come se mi stesse sfidando.
Avrei voluto, cazzo se lo volevo, ma la mia doccia era un buco, a malapena ci stavo io. Scoparci dentro? Impossibile. «Non ci entriamo, amore,» dissi, e il suo viso si incupì, un’ombra di delusione che mi fece quasi ridere.
«Se vuoi, mi metto qui davanti e ti guardo,» proposi, cercando di recuperare.
«SÌ, ma guai a te se ti seghi,» ribatté, con un sorrisetto che era puro veleno dolce.
«D’accordo,» promisi, ma già sapevo che sarebbe stata una tortura. Il mio cazzo era di nuovo sveglio, come se fossi tornato quindicenne, pronto a ripartire dopo ogni round. Avevo già sborrato due volte quel giorno – tre, contando la notte in macchina – e non era nemmeno ora di pranzo. Ero un disastro, ma un disastro felice.
Presi una sedia e la piazzai davanti alla doccia. Marta entrò, l’acqua calda che le scivolava sul viso come una carezza liquida. Iniziò a lavarsi, movimenti lenti, quasi ipnotici, ma poi capii: non era solo una doccia. Era un gioco. Le sue mani danzavano sul seno, cerchi lenti intorno ai capezzoli, che si ergevano duri, tradendo la sua eccitazione. Mi guardava, mordendosi il labbro, un sorriso che era un coltello affilato. Il mio cazzo rispose subito, ritto, pulsante, pronto per un altro giro. Era una tortura, cazzo, non potevo toccarmi, ma lei lo sapeva e si divertiva a spingermi al confine della follia.
Si girò, i capelli bagnati appiccicati appena sotto le spalle, la pelle che brillava come seta sotto le gocce d’acqua. La sua schiena si stringeva in vita, poi si allargava sui fianchi, e quel culo… due curve perfette, sode, che sembravano scolpite per provocarmi. Mise una mano sul solco, e capii che si stava massaggiando il buchetto. Stavo impazzendo, il cuore che martellava, ma strinsi i pugni e resistetti, anche se ogni fibra di me urlava di saltarle addosso.
Si voltò di nuovo, e ora il suo intento era chiaro. Allargò le gambe, la mano che scivolava sul clitoride, massaggiandolo con cerchi lenti, precisi. I suoi occhi non lasciavano i miei, un invito che mi bruciava dentro. «Bravo, hai resistito,» disse, uscendo dalla doccia, ancora bagnata, la pelle che luccicava come un sogno. Mi prese per mano, e io mi alzai, seguendo quel fiore che sembrava sbocciato solo per me.
In camera, mi fece sdraiare sul letto. Si inginocchiò su di me, nuda, perfetta, i suoi occhi azzurro ghiaccio che mi tenevano prigioniero. Mi baciò, un bacio che sapeva di pioggia e desiderio, poi scese piano, le sue labbra che sfioravano il mio petto. La sua mano trovò il mio cazzo, iniziando una sega lenta, ogni movimento un’onda che amplificava il piacere. Il suo gioco col frenulo, quel tocco leggero col polpastrello, mi faceva tremare. Poi la sua lingua, calda, lenta, scivolò sull’asta, fino alla cappella, che avvolse con le labbra. La sua bocca era un fuoco liquido, un calore che mi inghiottiva. Succhiava con una precisione che mi faceva perdere la testa, i gemiti che mi scappavano senza controllo. Ogni tanto alzava lo sguardo, quegli occhi che mi trafiggevano mentre il mio cazzo spariva nella sua bocca.
I suoi movimenti si fecero più veloci, l’aria nella sua bocca svaniva, e sentivo la pelle tirare, il piacere che montava come una tempesta. Poi, senza preavviso, infilò un dito nel mio culo, deciso, sicuro. Mi penetrò, e cazzo, mi piaceva da morire. Non resistetti: con un gemito, sborrai nella sua bocca, un’esplosione che lei accolse senza esitazione, ingoiando tutto. Prese il dito, lo annusò, carico dei miei odori, e sorrise, come se quel profumo fosse un trofeo.
Ma non era finita. Dovevo darle piacere, ora toccava a me. La feci sdraiare, e lei aprì le gambe, un invito che non aveva bisogno di parole. Accarezzai la sua piccola ricrescita, il pollice che girava intorno al clitoride, facendola ansimare subito. Era pronta, bagnata, viva. Infilai due dita nella sua fessura, muovendole piano, dentro e fuori, mentre con la bocca catturavo il clitoride, succhiandolo senza usare la lingua, solo le labbra. Lei urlava, si contorceva, e io acceleravo, le dita che spingevano più forte, la bocca che non si fermava. Venne in pochi minuti, un’esplosione di umori che mi inondò, il suo corpo che tremava sotto di me.
Ma non ero sazio. Il mio cazzo era di nuovo duro, e appena i suoi spasmi si calmarono, lo infilai nella sua figa, un lago caldo che mi accolse senza resistenza. Iniziai a pompare, un ritmo forsennato, le mie palle che sbattevano contro la sua pelle, un suono che ci mandava fuori di testa. Presi le sue gambe, le misi sulle mie spalle, e così era ancora più profondo, i nostri corpi fusi in uno solo, un piacere che ci consumava. Ma poi, il suo culo tornò a ossessionarmi, quel marmo perfetto che avevo visto sotto la doccia. Lo volevo. Lei era vergine lì, me l’aveva detto, ma era il momento di prendermi la sua ultima verginità.
Senza dire nulla, la feci girare. Lei sembrò sorpresa, forse delusa che avessi interrotto, ma si fidò. Le alzai il culo con le mani, e lei si mise a pecorina, pensando che volessi penetrarla così. Il mio cazzo, già bagnato dei nostri umori, non aveva bisogno di altro. Strusciai la cappella sul suo buchetto, lubrificandolo con uno sputo. Lei capì e sussurrò: «Amore… no.»
Ma non era un no convinto. Con dolcezza, ma deciso, spinsi, entrando piano, un pezzo alla volta. Emise un piccolo urlo che si trasformò in gemiti, e io continuai, sempre più veloce, sodomizzandola mentre lei si lasciava andare, le spalle crollate sul letto, il culo alzato, la faccia affondata nel cuscino. Mi piegai su di lei, strizzandole le tette, il piacere che ci travolgeva entrambi. Non so quanto durò, ma sborrai dentro di lei, ogni goccia che si perdeva nel suo culo, e lei urlò, un misto di dolore e piacere.
Rimanemmo così, sfiniti, sudati, il cuore che batteva all’impazzata. Lei infilò un dito nel suo culo, tirò fuori un po’ della mia sborra, la annusò con una smorfia per l’odore acre, poi la leccò, e il disgusto svanì in un sorrisetto. «Mi hai inculato, stronzo,» disse, ridendo.
«Sei la mia troia, l’hai detto tu,» ribattei, con un ghigno.
«Lo sono… e lo voglio rifare. Ma ora riprendiamoci.»
Andò in bagno a pulirsi, e io mi girai sul letto, il cazzo rosso, pulsante, come se avesse combattuto una guerra e vinto. Quel lunedì, che doveva essere un giorno qualunque, si era trasformato in un sogno. Nel mio letto c’era una modella, una ragazza con metà dei miei anni che mi aveva preso ogni pensiero, ogni desiderio. Mi girai di lato, il corpo pesante di piacere, e chiusi gli occhi.
Marta tornò poco dopo, si sdraiò sul letto, nuda, il suo corpo caldo contro il mio, un abbraccio che ci avvolse come amanti. Ci guardammo, ci baciammo, poi ci addormentammo così, pelle contro pelle, innamorati e felici.
scritto il
2025-08-08
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