Marta - La diciottenne (Parte 2)

di
genere
etero

Mi svegliai presto. Nonostante fossi crollato sul divano alle quattro, alle otto avevo già gli occhi spalancati.
Ero rimasto vestito, come se il sonno mi avesse catturato all’improvviso, eppure non era stato un riposo vero: più che dormire, avevo navigato tra pensieri e immagini che non mi lasciavano tregua.
Era successo davvero?
Quella domanda mi rimbombava nella testa.
Presi il cellulare dal tavolino: Instagram era ancora aperto. Il messaggio di Marta era lì, lucido come un graffio sul vetro. Quindi sì, era tutto reale.
Aprii il suo profilo. Come quello di molte ragazze della sua età, era quasi vuoto di foto: solo qualche storia in evidenza. Iniziai a scorrerle una ad una, come pagine di un diario a cui avevo avuto accesso di nascosto.
Il primo gruppo di immagini era di un viaggio a Londra, probabilmente con i suoi amici. Riconobbi Gaia, la mora con cui avevo parlato la sera prima per convincerla a lasciarla andare… e poi vidi lui: Lorenzo.
Un nodo mi si strinse in gola. Gelosia? Possibile?
Scacciai quel pensiero, come se fosse un insetto insistente vicino all’orecchio. Non aveva senso essere geloso: quella storia, qualunque fosse, aveva una data di scadenza già scritta. Lei, presto o tardi, sarebbe tornata a casa sua.
Continuai a guardare le storie. Le ultime erano scattate al mare: Marta quasi sempre in bikini, niente di volgare, ma capace di farti perdere un battito. Il blu e l’azzurro dei costumi si fondevano con il colore dei suoi occhi e con la sua pelle chiara che sembrava brillare sotto il sole.
Era davvero bellissima.
Non avevo mai avuto una ragazza così. Non potevo dire di essermi lamentato delle mie ex: erano state tutte donne che altri avrebbero corteggiato senza pensarci due volte. Ma Marta… Marta era qualcosa di diverso, un equilibrio raro tra innocenza e magnetismo.
Poi apparve la storia che mi lasciò immobile: lei e Lorenzo che si baciavano sulla spiaggia.
Il nodo tornò, più stretto di prima.
Restai a fissare quella foto troppo a lungo.
E la domanda iniziò a scavarmi dentro: cosa aveva trovato in me Marta?
Lorenzo era il classico ragazzo che oggi va di moda: fisico asciutto, intraprendente, il primo tatuaggio sul braccio già sfoggiato come un distintivo. Perché, allora, si era avvicinata a me?
Forse perché l’avevo difesa quella sera?
O… mi stavo approfittando di una situazione che lei, magari, aveva vissuto come un rifugio?
Il dubbio mi rimase addosso come una macchia che non si riesce a lavare via.
Rimasi lì, sospeso tra la voglia e l’incertezza di scriverle. Una parte di me voleva chiudere quel capitolo, mettere un punto fermo. Un’altra, invece, bramava ancora notti come quella appena passata, con il suo sapore addosso e il calore della sua pelle nella mente.
Alla fine decisi di alzarmi e farmi una doccia. Mi dispiaceva quasi togliermi di dosso quel profumo che sembrava aver preso dimora sulla mia pelle, ma non potevo restare così, incastrato in quel groviglio di pensieri.
Aprii l’acqua calda, mi spogliai e entrai sotto il getto. Nella mia testa c’era solo lei, la sua immagine così viva da far tremare il cuore. Il mio corpo rispose immediatamente: il pene si irrigidì e iniziò a bagnarsi non soltanto di acqua.
Le mani, quasi da sole, cominciarono a cercare quel desiderio che aveva riacceso in me, troppo forte per essere ignorato.
La sega durò pochi minuti, ma fu intensa: sborrai sotto la doccia, liberando tensioni che da tempo non sapevo di avere. Da tanto non mi sentivo così voglioso, da troppo tempo non immaginavo una ragazza come lei.
Uscito dalla doccia, indossai l’accappatoio e presi la bicicletta per il mio solito giro di un’ora e mezza. Il caldo ancora non opprimeva e con la compagnia di un audiolibro, il tempo sembrò scorrere più leggero.
Era quasi ora di pranzo, avevo detto ai miei che sarei passato a trovarli e che avrei pranzato al bar sulla spiaggia.
In quel momento, il telefono vibrò. Una notifica Instagram.
“Buongiorno Tommy, ci vediamo oggi?”
Era lei.
Il cuore mi esplose nel petto.
Voleva rivedermi.
Le scrissi:
“Ciao Marta, non ti dico di no, ma voglio essere chiaro: non voglio illuderti. Sai bene che questa cosa non può durare a lungo… già la distanza è un problema, figuriamoci l’età.”
La sua risposta arrivò dopo pochi secondi, secca ma con quella punta di ironia che mi spiazzava sempre:
“Tommy, ma che pensi? Che voglia fidanzarmi? Voglio solo vederti. Dai, andiamo in centro, prendiamo un caffè.”
Rimasi qualche secondo a fissare lo schermo. Non riuscivo a capire davvero cosa la spingesse a volermi rivedere. Era solo curiosità? Un gioco? O c’era qualcosa di più?
Forse la cosa migliore era parlarne di persona, guardarla negli occhi e capirci qualcosa.
“Ok, io ci sarò verso le 16:00.”
“Perfetto, puoi passarmi a prendere all’hotel?”
“Certo, nessun problema.”
Rimasi con il telefono in mano qualche istante, osservando la chat come se dovesse comparire una spiegazione tra le righe.
Era fatta: avevo un secondo appuntamento con Marta. O, se ci pensavo bene, tecnicamente il primo.
Tornai a casa dopo pranzo con i miei, ma non riuscivo a rilassarmi. Tra poco più di due ore sarei stato in centro con Marta, e il pensiero continuava a spingermi il cuore come un tamburo.
Dovevo anche sbrigarmi: l’hotel dove alloggiava distava quasi mezz’ora di macchina. Feci la terza doccia della giornata, quasi fosse un rito di preparazione più che una questione di pulizia.
Aprii l’armadio e scelsi i vestiti con attenzione, senza voler sembrare eccessivo. Jeans corti che arrivavano appena sotto il ginocchio, una maglietta semplice, comoda, niente fronzoli. Mi fermai un attimo davanti allo specchio, cappellino in mano. Metterlo o no? Alla fine lo lasciai sul letto: chissà, forse quella mia pelata le piaceva, o almeno mi piaceva pensarlo.
Spruzzai il mio solito profumo, quello che ormai sentivo parte della mia pelle, e salii in macchina.
Ero teso, come poche volte mi era capitato. Continuavo a chiedermi cosa stessi facendo davvero. Che immagine stavo dando? Quella del solito “tipo con i soldi e la ragazza giovane che lo frequenta per i regali”? Forse sì, e magari per qualcuno sarei stato pure un cornuto senza nemmeno saperlo.
Ma stavo correndo troppo con la mente. In fondo non ero nemmeno fidanzato, era stata solo un’avventura. Un’avventura di una notte.
Eppure… le avventure di una notte non dovrebbero avere un bis.
Arrivai davanti all’albergo. Per fortuna la zona era tranquilla e riuscii a parcheggiare facilmente in una via laterale. Scesi dall’auto con un misto di tensione ed eccitazione, mentre nella testa continuava a girarmi la solita domanda: che cosa si aspetta davvero da me? Un saluto caloroso? Un incontro casuale, come se niente fosse?
Non ebbi il tempo di pensarci troppo. Dopo pochi minuti, la vidi scendere. Era splendida come la sera prima: il suo corpo minuto era coperto solo da un top bianco che si fermava appena sopra l’ombelico e da un paio di short di jeans corti, così aderenti da sembrare disegnati su di lei. Sapeva benissimo quale fosse il suo punto forte: quei pantaloncini lasciavano intravedere il suo culo sodo che catturava inevitabilmente lo sguardo.
Le feci un cenno, lei mi regalò un sorriso rapido e sicuro, e camminò verso di me. Mi prese la mano senza dire nulla, poi, quasi con tono pratico, chiese:
“Dove hai parcheggiato?”
Mi spiazzò. Un saluto strano, quasi freddo.
“Qui dietro.”
“Andiamo.”
Mi trascinò con passo deciso fino all’auto, come se avesse fretta di chiudere la distanza tra noi e il resto del mondo. La feci salire dal lato passeggero e poi entrai anch’io.
Appena chiusi la portiera, senza che potessi dire nulla, sentii le sue mani che mi prendevano per il collo e le sue labbra che cercavano le mie. Mi baciò con una passione improvvisa, quasi urgente. Non avevo la minima forza di resistere: ricambiai, lasciando che ogni dubbio si sciogliesse in quel contatto.
Le nostre labbra si staccarono lentamente e lei mi sorrise, quasi con un velo di imbarazzo.
“Scusa se sono stata fredda, ma le mie amiche non sanno che esco con te. Anzi, non sanno niente di ieri. Non vorrei che ci vedessero.”
“Ah, chiaro, capisco. Forse non la prenderebbero bene. Anche io non l’ho detto a nessuno… Però, Marta, se andiamo in centro potrebbero vederci.”
“Non chiamarmi Marta. Ieri mi hai detto “piccola”. Mi piace. Anche altri nomignoli vanno bene…” fece una pausa, e con un lampo di malizia aggiunse “… e in quei momenti puoi essere anche più volgare.”
“Vorresti che ti chiamassi piccola? O cucciola?”
“Sì… ma anche amore.”
L’ultima parola la disse quasi sottovoce, e vidi che stava arrossendo.
Per un attimo non ci capii più nulla. Si stava innamorando? Se era così, dovevo fermare tutto. Non potevo farla soffrire. Mi ero affezionato anch’io, certo, ma ero io quello più grande, quello che avrebbe dovuto proteggerla, non approfittarsene.
“Marta, dobbiamo parlare” dissi con un sospiro.
“Ancora con Marta? Ti ho detto di chiamarmi amore.”
Non mi lasciò neanche il tempo di rispondere: le sue labbra tornarono sulle mie, decise, calde. Ricambiai quel bacio, chiusi gli occhi e, senza nemmeno rendermene conto, le sussurrai:
“Ok… amore.”
Ero completamente perso. Non era la prima volta che mi trovavo a fare il sottone, ma mai così, e solo con ragazze per cui avevo davvero perso la testa. Forse mi sto innamorando anch’io.
“Bravo, cucciolo” sussurrò, con un sorriso che sembrava di soddisfazione.
Si ricompose, lasciandomi un attimo senza fiato.
“Dai, andiamo via di qui. Se non vuoi andare in centro, portami da qualche parte più privata.”
“Ok, amore. Conosco un posto qui vicino: quindici minuti a piedi e arriviamo a un punto panoramico, abbastanza appartato. Può andare?”
“Sì, dai, che bello!”
“Però dobbiamo comunque parlare.”
“Che palle, vuoi rovinare tutto?”
“No, ma devo capire. Sta andando avanti troppo in fretta tra noi, e in pochissimo tempo… Non voglio farti soffrire.”
Lei abbassò per un attimo lo sguardo, poi tornò a fissarmi, seria.
“Tommy, capisco. Ma non mi aspetto niente di più. So che sei più grande, che lavori, che viviamo lontani… Ma ieri ho visto un uomo che protegge la sua donna, uno che prova a capire cosa sia giusto o sbagliato. E che, anche quando cade, prova a fare la cosa giusta. — Si fermò un attimo, come se stesse scegliendo le parole. — Sono sincera: mi ha colpito e mi ha anche eccitato il modo in cui mi guardavi. Non mi sembrava solo attrazione per il mio corpo, ma interesse per come sono fatta davvero. Mi hai detto che sono bella. Non hai detto come tutti “che culo”. Mi hai fatta sentire desiderata come donna.”
Rimasi in silenzio, quasi spiazzato. Cavolo, che discorso. Quindi era vero, si stava innamorando di me. E tutto questo solo per qualche gesto di gentilezza.
Peccato che su una cosa si sbagliava: sì, mi ero colpito del suo modo di essere… ma la verità è che era stata soprattutto la sua bellezza a fregarmi. Non la conoscevo davvero. Nemmeno adesso, in realtà, la conoscevo.
Continuai a guidare ma con voce tremante dissi
"Marta, ti rendi conto che stai dicendo cose di me che non puoi sapere?" dissi mentre guidavo, cercando di restare concentrato sulla strada e non sul suo sguardo che sentivo puntato addosso. "Mi fa piacere che la pensi così, davvero… ma io sono intervenuto solo perché pensavo fosse la cosa giusta. Certo che mi sto affezionando a te, ti trovo dolce… ma al momento non è più che attrazione fisica. Non ti posso prendere in giro."
Lei mi fissò, in silenzio, poi con voce più tagliente chiese:
"Quindi te sei qui oggi solo per scoparmi?"
Mi mancò il fiato. Non me l’aspettavo. Aveva puntato dritto al cuore del dubbio che già mi rodevano dentro.
"No… cioè, sì… no…" scossi la testa, goffo, impacciato. "Marta, non fraintendere. Non sono così… materialista. Sono qui perché mi sei entrata in testa, perché anche se so che è tutto sbagliato, non riesco a farne a meno. Vorrei avere anni in meno, vorrei vivere nella tua città, uscire con te ogni giorno, conoscerti davvero. Vorrei rendere questa avventura qualcosa di più. Ma non è così. Tra qualche giorno te ne tornerai a casa… e allora? Cosa può diventare tutto questo?"
"Basta parlare dell’età, non me ne frega nulla," ribatté. "Anche te eri in discoteca ieri sera, vuol dire che possiamo fare le stesse cose. Basta anche con la distanza, hai la macchina, esistono treni, pullman, aerei… se volessimo davvero, non sarebbe impossibile."
Finalmente capivo. Lei lo voleva davvero. Non una notte, ma qualcosa di più. Voleva me.
E io? Non riuscivo a capire se fosse un sogno, una favola che lei si stava raccontando… oppure qualcosa di reale che stava nascendo tra noi. Una parte di me ci credeva. E, contro ogni logica, le dava ragione.
Raggiunsi la zona di sosta, spensi il motore. L’abitacolo era avvolto in un silenzio quasi irreale. Lei mi fissava, gli occhi chiari incollati ai miei. Le presi il viso tra le mani, lo accarezzai piano, come se fosse vetro fragile.
"Marta…" sussurrai, con la voce spezzata dal battito del cuore.
"Ti amo."
E la baciai.
Ricambiai il bacio, ma sentii qualcosa di umido sulle guance. Aprii gli occhi e vidi che stava piangendo. I suoi occhi erano ancora chiusi, ma le lacrime le scendevano abbondanti.
"Amore… perché piangi?" chiesi, stringendola piano.
"Tommy… ti amo anche io…" sussurrò. "Ho tanta paura di perderti. Voglio queste cose, ma ho paura che non possa funzionare."
La sua paura era la stessa che mi portavo dentro anch’io. La abbracciai ancora più forte, e anche se i dubbi mi mordevano dentro, le parole uscirono da sole.
"Non ti preoccupare… l’hai detto te: se lo vogliamo, non è impossibile."
Mi guardò dritto negli occhi.
"Lo pensi sul serio?"
"Sí."
E di nuovo le nostre labbra si cercarono e si trovarono.
Non so quanti minuti passarono. Mi trattenni dal fare di più, sentivo che non era né il momento né il posto. E sono certo che anche lei lo sentiva. Il suo respiro si faceva più veloce, più caldo, ma non oltrepassò mai quel limite.
Uscimmo dall’auto e cominciammo la camminata in salita verso il punto panoramico. Lei rimaneva un po’ indietro, i passi corti, il respiro più affaticato.
"Ti lamenti dei tuoi chili, ma cammini veloce," disse a un certo punto, tra una risata e un piccolo sbuffo.
"È solo allenamento," risposi. "Le gambe sono muscolose, ho sempre camminato e sono andato in bici. Il problema sono gli addominali… e i pettorali." Risi.
"Per me non sono un problema."
La guardai di nuovo. Era provocante, senza esserlo in modo sfacciato. Continuava a stuzzicarmi, con naturalezza. Decisi di starle al gioco.
"Lo so. Come per me non è un problema la grandezza del seno."
"Non mi sembrava che ieri ti dispiacessero le mie tettine."
"Infatti. Ho detto che non è un problema… anzi."
Sorrise. E con quel sorriso raggiungemmo il punto panoramico.
Davanti a noi, il sole si stava lentamente avvicinando all’orizzonte. Mancava poco più di un’ora al tramonto sul mare.
Ci abbracciamo.
"È incredibile" disse, "nemmeno 24 ore che ci conosciamo e già ci siamo detti ti amo."
"Si, forse abbiamo corso un po’, ma non so come esprimere meglio quello che sento."
"Però cucciolo… tu hai un debito da pagare."
Siamo arrivati al dunque. Decido di provocare:
"Quindi mi hai portato qui solo per scopare?"
"Per prima cosa, sei tu che hai chiesto un posto isolato. Seconda cosa, non voglio scopare. Accadrà, ma voglio che paghi il tuo debito. Hai goduto… ora tocca a me."
Si alzò e si mise di schiena. Avevo il suo culo stretto negli shorts proprio davanti a me. Si piegò e vidi le forme dei glutei. Sentivo il mio corpo reagire all’istante, il mio cazzo iniziò a farsi strada nei boxer. Con le mani iniziai ad accarezzarla e la avvicinai a me. Sentiva il mio desiderio strusciare contro di lei, sopra gli shorts, e iniziò ad ansimare. Con le mani andai a slacciare il bottone, poi abbassai la zip e lentamente feci scivolare gli shorts. Era venuta con quell’intento: indossava un perizoma sottilissimo che lasciava appena intravedere il solco dei glutei.
Le accarezzai il sedere sodo, mordicchiandolo mentre lei gemeva ancora di più. Scostai il sottile filo del perizoma, intravedendo finalmente il suo lato più intimo, il suo buchetto del culo era di fronte al mio viso con la lingua inizia a leccarlo, il sapore era forte ma non disgustoso, anzi, si vedeva che era curata in tutto.
Ansimò, ma disse con fatica:
"Amore no… sono vergine nel culo, voglio che mi lecchi la topa."
"Avrai anche quello… lo sai che ora sei la mia troia, e se vuoi godere devi fare quello che dico”
Le parole uscirono senza passare dal cervello, spinte solo dall’istinto. Ero completamente travolto. Marta, così giovane e coinvolta, mi trascinava con sé, annullando ogni pensiero. La volevo. E lei voleva me, con la stessa fame.
Sfiorai il suo sesso con le dita e lo trovai già intriso del suo desiderio, caldo e palpitante. I suoi muscoli tremavano sotto il tocco, come corde in tensione pronte a spezzarsi nel piacere. La presi per i fianchi e la guidai verso di me. Il mio volto affondò tra i suoi glutei sodi come marmo caldo, la mia lingua tracciava sentieri di piacere tra la sua pelle e il suo respiro, mescolando ogni confine tra controllo e abbandono. Marta ansimò forte, le gambe le cedevano ma la sostenni con le mie mani. Il suo corpo parlava più delle parole: tremava, gemeva, si contorceva. Era oltre il limite della lucidità.
La feci voltare con dolce fermezza, e prima ancora che potesse riprendere fiato, la stesi a terra. Le sue gambe si aprirono per me come petali assetati di luce. Il mio volto cercò il suo centro, il cuore del suo desiderio.
Marta si lasciò andare ad un urlo di piacere che stava trattenendo da un po’. La mia lingua danzava su di lei, lenta e inesorabile, come un’onda che risale la riva e si infrange sul punto più sensibile. Dalla radice al suo centro, la percorrevo tutta, mentre i suoi umori diventavano mare aperto e io, naufrago felice. I suoi umori riempivano la mia bocca e non ne persi neppure una goccia, Era un fiume in piena, senza più argini. Ogni sua fibra urlava che era mia, e il suo piacere si riversava su di me, caldo, salato, vivo. Non provava neppure a trattenersi, urlava, ansimava, gli spasmi erano continui finché, con un ultimo urlo, venne schizzando i suoi umori sulla mia faccia.
Con il fiatone mi guardò, gli occhi lucidi e ancora persi.
“Scusami… non ti ho avvertito.”
“Non importa, adoro sentire il suo sapore”
“Nessuno mi aveva mai leccato così”
“Diciamo che, se là sotto non primeggio, recupero con le dita… e soprattutto con la lingua. Leccarti è un vizio a cui non voglio rinunciare.”
Lei arrossì e continuò a guardarmi
“Non senti il bisogno di venire anche te?”
“Beh, con questo siamo pari, no?” Dissi ammiccando
“Dai non fare lo stupido, lo sai cosa voglio”
“Si amore, lo so… e lo voglio anche io”
Quelle parole mi uscirono così, ma presi a sbottonarmi i jeans e rimasi con i boxer con la mia erezione ben visibile e i miei umori che avevano bagnato tutto. Marta guardò avidamente tutto
“Beh hai avuto un effetto vedo”
“Sì… ma ora comando io.”
La guardai fisso, senza un sorriso.
“Da adesso sei mia. E farai tutto quello che voglio. Ti farò volare così in alto che non vorrai più scendere.”
Non so cosa mi fosse preso ma Marta mi guardò e mi disse “Si… sono tua”
Non me lo feci ripetere. Sfilai i boxer, e il mio desiderio si mostrò senza filtri, teso, curvo verso l’alto, come a voler reclamare ciò che ormai sentiva suo. Probabilmente ero più eccitato della sera prima. Lo afferrai con la mano, lo guidai verso di lei. Marta serrò gli occhi.
Sfiorai il suo sesso con il mio, ma era superfluo: eravamo entrambi già completamente bagnati. Spinsi con dolce decisione e, facilitato dai nostri umori, il mio cazzo entrò dentro senza fatica. Marta non trattenne un urlo di piacere.
Era fatta. Ero dentro di lei.
Non la conoscevo nemmeno da ventiquattro ore, e già stavamo scopando in una radura, lontani da tutto, immersi nella natura e nella follia istintiva che ci aveva travolti.
Guardandola, non potevo che restare incantato.
Il sudore le imperlava la pelle, le scie del mascara colato disegnavano sul viso due sottili linee nere, come lacrime di desiderio che si erano sciolte sotto il peso del piacere.
Era splendida. Una dea caduta tra gli alberi, sporca di terra, di umori e di verità.
I suoi seni si muovevano seguendo il ritmo che le davo, il ventre — morbido, invitante — era la mia guida: ci appoggiavo la mano, sentivo i colpi rimbombare sotto la pelle, come onde che si infrangevano a riva.
Le gambe, affusolate e forti, si tendevano e si aprivano per accogliermi.
Era perfetta.
Ed era mia.
Quella volta durò a lungo. I nostri corpi si rincorrevano in un ritmo sempre più serrato, ma ormai ero io a guidare, a condurre il gioco.
Sentivo che il limite si avvicinava, ma mi sforzai di resistere.
Poi riconobbi quei segnali: i suoi spasmi, le mani che mi stringevano, il respiro spezzato. Stava venendo. Perfetto. Anch’io ero lì, sull’orlo.
Con uno scatto istintivo, uscii da lei e le avvicinai la punta alla bocca. Marta non esitò nemmeno per un istante: aprì le labbra e fece scivolare fuori la lingua, guardandomi. I suoi occhi azzurri erano fissi sul mio membro, era stupenda e in pochi secondi tutto il mio piacere esplose in un’ondata incontenibile, violenta, quasi feroce. La colpì ovunque — sulla lingua, sulle labbra, sugli occhi che si chiusero appena in tempo, sul viso e persino sui capelli. Era piena di me.
Ansimava piano, le labbra socchiuse, gli occhi lucidi. Era bellissima.
"Amore… è stato perfetto" sussurrò, col fiato corto.
"Fermati, cucciola... lascia che ci pensi io" le dissi, con dolce fermezza.
Volevo ringraziarla, a modo mio.
Con lentezza iniziai a raccogliere ogni goccia del mio seme, portandola alla sua bocca con un bacio profondo. Lei accolse tutto, deglutì piano, poi ci perdemmo in un altro bacio, nudi, uniti in un abbraccio che cancellava ogni confine.
Lei era mia. Io ero suo.
"Ti amo, Tommy"
"Ti amo, Marta"
Sapevo che quella storia non sarebbe finita lì. E sapevo anche che avrebbe potuto farci male, molto male.
Ma non era il momento per pensare a questo.
Il sole calava lento sull’orizzonte.
Rimanemmo così, abbracciati, nudi, ancora sudati. Due corpi stanchi. Due cuori scoperti. Innamorati.



scritto il
2025-08-06
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