Marta - La diciottenne (Parte 5)

di
genere
etero

Il buio della sera si era ormai steso sulla casa, un silenzio rotto solo dal ronzio lontano del frigo e dal ticchettio della pioggia che, sebbene più leggera, non aveva smesso di cadere. Mi svegliai di soprassalto, il corpo ancora pesante, come se il sonno mi avesse trascinato in un abisso da cui faticavo a riemergere. Ma non era stato un sogno a svegliarmi. Era lei. Marta.
La sua bocca era già lì, calda, avvolgente, un fuoco liquido che mi accoglieva senza preavviso. Il mio cazzo, ancora mezzo addormentato, si era risvegliato in un istante, teso e pulsante sotto le sue labbra. Mi mossi appena, un gemito mi sfuggì dalla gola mentre realizzavo cosa stava succedendo. I suoi capelli biondi, ancora umidi dalla doccia di prima, mi sfioravano l’inguine, un contrasto fresco contro il calore che mi divorava. Ogni movimento della sua lingua era un colpo preciso, come se conoscesse ogni centimetro di me, ogni nervo che poteva farmi perdere la testa. Succhiava lenta, poi accelerava, il ritmo che cambiava come una danza, la sua mano che stringeva la base del mio cazzo, guidandolo nella sua bocca con una sicurezza che mi faceva quasi paura. Sentivo la cappella sfiorarle il palato, poi scendere più in profondità, il calore umido che mi avvolgeva come una morsa dolce. Cazzo, era un piacere che mi spezzava, un’onda che montava troppo in fretta. Ogni tanto i suoi denti sfioravano appena la pelle, un brivido che aggiungeva una nota di pericolo a quel paradiso.
«Marta… amore…» ansimai, la voce roca, ancora impastata dal sonno. Lei non rispose, alzò solo lo sguardo, quegli occhi azzurro ghiaccio che mi trafiggevano, pieni di malizia e controllo. Mi stava dominando, e io ero felice di lasciarmi andare. Le sue labbra si chiusero più strette, la lingua che giocava col frenulo, un punto che ormai aveva imparato a sfruttare, facendomi tremare come un adolescente alla prima volta. Il piacere era un incendio, ogni muscolo del mio corpo si tendeva, i miei fianchi si muovevano da soli, assecondando il suo ritmo. Non durai molto. Con un gemito gutturale, sentii l’orgasmo travolgermi, un’esplosione che mi svuotò, il mio seme che si riversava nella sua bocca. Lei non si tirò indietro, ingoiò tutto, le sue labbra che non lasciavano scampo, succhiando fino all’ultima goccia, come se volesse tenermi dentro di sé.
«Cazzo, Marta…» sussurrai, il fiato corto, il cuore che martellava. Lei si tirò su, un sorrisetto soddisfatto sul viso, una goccia di me che le brillava ancora all’angolo della bocca. La raccolse con un dito, portandoselo alle labbra, e mi guardò con un’espressione che era insieme dolce e provocante. «Buonasera, cucciolo,» disse, la voce bassa, quasi un sussurro.
Ero distrutto, ma vivo. Mi alzai dal letto, le gambe molli, e le diedi un bacio veloce, sentendo ancora il mio sapore sulle sue labbra. «Vado a farmi una doccia, piccola. Tu… riposati un attimo, eh?» dissi, cercando di riprendere fiato. Lei annuì, sdraiandosi sul letto, il corpo nudo che sembrava brillare nella penombra, una visione che mi avrebbe perseguitato per giorni.
Entrai in bagno, l’acqua calda che mi scivolava sulla pelle come una carezza necessaria. Chiusi gli occhi, lasciando che il getto mi lavasse via il sudore, il desiderio, e quella sensazione di essere completamente in balia di lei. Ma anche sotto l’acqua, il pensiero di Marta non mi lasciava. Il suo corpo, i suoi gemiti, il modo in cui si abbandonava e poi prendeva il controllo. Ero fottuto, e lo sapevo.
Quando uscii dal bagno, con l’accappatoio ancora aperto, la trovai sul letto, una gamba piegata, la mano che scivolava lenta tra le sue cosce. Il suo telefono era appoggiato sul comodino, lo schermo illuminato, e il suono che ne usciva mi fece gelare il sangue. Era un video. Di noi. Di lei che mi succhiava, pochi minuti prima. La sua bocca sul mio cazzo, i miei gemiti, il modo in cui il mio corpo si tendeva. Cazzo, mi aveva filmato di nascosto. Il cuore mi salì in gola, un misto di rabbia e eccitazione che non riuscivo a controllare.
«Marta, che cazzo fai?» chiesi, la voce più dura di quanto volessi. Lei non si scompose, continuò a toccarsi, il dito che scivolava sul clitoride, i suoi umori che brillavano alla luce fioca della lampada. «Mi eccita guardarci, Tommy,» disse, la voce spezzata dal piacere. «Non ti piace?»
Mi avvicinai, il cazzo che tornava a farsi sentire, nonostante tutto. «Non mi piace che lo fai senza dirmelo,» risposi, ma il tono si ammorbidì, tradito dal desiderio che mi ribolliva dentro. Lei mi guardò, gli occhi lucidi, e si morse il labbro. «Allora… facciamolo insieme. Filmiamoci. Voglio vederti mentre mi fai tua.»
Non so cosa mi prese. Forse la follia di quel giorno, forse il modo in cui lei mi guardava, come se fossi l’unico uomo al mondo. Presi il suo telefono, attivai la videocamera, e lo posizionai sul comodino, angolato verso il letto. «Va bene, amore,» dissi, la voce rauca. «Ma stavolta giochiamo alle mie regole.»
Mi inginocchiai tra le sue gambe, il suo sesso già bagnato, un invito che non potevo ignorare. Le accarezzai le cosce, lente, sentendo i suoi muscoli fremere sotto le dita. La mia lingua trovò il suo clitoride, caldo, pulsante, e iniziai a leccarla, prima piano, poi con più forza, succhiandolo tra le labbra come se fosse la cosa più preziosa che avessi mai assaggiato. I suoi gemiti riempivano la stanza, un suono che mi mandava fuori di testa, il suo sapore salato e vivo che mi inondava la bocca. Le sue mani mi afferrarono i capelli, spingendomi più a fondo, e io la lasciai fare, assaporando ogni suo spasmo, ogni tremore che le strappavo. Era un lago, un mare, e io ci stavo annegando felice.
Ma Marta non era tipo da restare passiva. Con un movimento rapido, mi spinse via, facendomi mettere a carponi sul letto. «Tocca a me, cucciolo,» sussurrò, la voce carica di una malizia che mi fece quasi tremare. Sentii le sue mani scivolare sui miei fianchi, poi più giù, separando le natiche con una delicatezza che contrastava con la foga che sentivo in lei. La sua lingua trovò il mio buco, un contatto caldo, umido, che mi fece sfuggire un gemito roco. Non me l’aspettavo, cazzo, e il piacere era così intenso da essere quasi doloroso. Leccava lenta, cerchi precisi, mentre la sua mano si chiuse sul mio cazzo, segandolo con un ritmo che mi faceva perdere il controllo. Poi, senza preavviso, un dito si fece strada dentro di me, deciso, sicuro, e io mi lasciai andare, il corpo che si arrendeva a quel piacere proibito. Era una sensazione nuova, un mix di vulnerabilità e godimento che mi scuoteva fino al midollo. «Marta… cazzo…» ansimai, e lei rise piano, la lingua che non si fermava, il dito che si muoveva dentro di me, amplificando ogni sensazione.
Non resistetti a lungo. «Girati, amore,» dissi, la voce spezzata. La volevo. La volevo ora. Lei obbedì, mettendosi a pecorina, il culo alzato, un invito che mi faceva ribollire. Le accarezzai le natiche, sode, perfette, e iniziai a scoparla, il mio cazzo che scivolava nella sua fica, calda, bagnata, un abbraccio che mi risucchiava. Pompavo con foga, le sue urla che si mescolavano ai miei gemiti, il suono della nostra pelle che sbatteva come un ritmo selvaggio. Ma poi, con un sussurro roco, lei disse: «Tommy… prendimi il culo. Lo voglio. Ora.»
Quelle parole mi mandarono in tilt. Era eccitata, il suo corpo tremava, e io non potevo dirle di no. Sputai sul suo buchetto, lubrificandolo con i nostri umori, e spinsi piano, entrando con cautela. Lei gemette, un misto di dolore e piacere, ma non si tirò indietro. «Fallo, amore… più forte,» ansimò, e io persi ogni controllo. La inculai con forza, il ritmo che si faceva sempre più serrato, il suo culo che mi stringeva, caldo, stretto, un piacere che mi consumava. Le sue spalle crollarono sul letto, il viso affondato nel cuscino, i gemiti soffocati che mi spingevano oltre. Venni dentro di lei, un orgasmo che mi svuotò, ogni goccia che si perdeva nel suo corpo, e lei urlò, il suo piacere che esplodeva insieme al mio.
Crollammo sul letto, stravolti, sudati, il respiro che sembrava non voler tornare. Il telefono era ancora lì, a registrare ogni istante, ogni gemito, ogni movimento. Marta lo prese, ridendo piano, e fece ripartire il video. Ci guardammo, nudi, ancora ansimanti, mentre le immagini di noi due riempivano lo schermo. Era crudo, reale, quasi osceno, ma c’era una bellezza in quel caos, in quella passione che non aveva filtri. «Siamo fottutamente perfetti,» sussurrò, e io non potei che annuire, il cuore che ancora batteva troppo forte.
Ma l’orologio sul comodino segnava le 22:30, e la realtà iniziò a mordermi. «Marta, amore… domani devo lavorare. È tardi, dovresti tornare in hotel.»
Lei si girò, gli occhi che brillavano di una determinazione che mi spiazzò. «No, Tommy. Resto qui.»
«Dai, piccola, le tue amiche si preoccuperanno. E poi, ho una sveglia alle sei, non voglio svegliarti.»
«Non mi importa. Voglio dormire con te. Voglio svegliarmi con te.» La sua voce era dolce, ma decisa, come se non ci fosse spazio per discutere. Mi abbracciò, il suo corpo caldo contro il mio, e ogni tentativo di convincerla svanì. Le sue labbra trovarono le mie, un bacio lento, profondo, che mi fece dimenticare il lavoro, la pioggia, il mondo fuori. «Ok, amore,» sussurrai, arrendendomi. «Resta.»
Ci infilammo sotto le coperte, nudi, i corpi ancora caldi, intrecciati come se fossero fatti per stare così. La pioggia continuava a cadere, un sottofondo che ci cullava. Sapevo che il mattino dopo sarebbe stato un casino, con la sveglia e il lavoro che mi aspettavano. Ma in quel momento, con Marta tra le mie braccia, il suo respiro che si mescolava al mio, non importava. Eravamo noi. E nient’altro contava.
La notte era un groviglio di sogni e ombre, un caos che mi teneva sveglio, il corpo ancora carico di lei, di Marta, come se il suo profumo si fosse intrecciato alla mia pelle e non volesse lasciarmi andare. Mi rigiravo nel letto, il lenzuolo che mi scivolava di dosso, il calore estivo che si mescolava al sudore di quella giornata infinita. A un certo punto, aprii gli occhi, il buio della stanza rotto solo dalla luce fioca del lampione che filtrava dalla finestra. Il telefono sul comodino segnava le 5:30. Troppo presto, cazzo, ma il sonno non tornava.
Mi girai verso di lei, e il cuore mi saltò in gola. Marta dormiva, il lenzuolo scivolato via durante la notte, lasciando il suo corpo nudo esposto come un quadro sotto la luce della luna. Le sue tette, piccole ma sode, stavano lì, perfette, i capezzoli chiari appena accennati, come se invitassero un tocco che non osavo darle mentre dormiva. I capelli biondi, leggermente mossi, le ricadevano sul viso, qualche ciocca che le sfiorava le labbra socchiuse, e quel disordine mi mandava in tilt, come se ogni filo fosse un richiamo al desiderio che mi aveva consumato tutto il giorno. Più giù, la sua pancia morbida si alzava piano al ritmo del respiro, e poi c’era la sua fica, quel triangolo di pelle chiara con una leggera ricrescita che la rendeva ancora più vera, più mia. L’avevo assaporata così tante volte in quelle ore, ma guardarla ora, in quel silenzio, era come scoprire un segreto. Era bellissima, un misto di innocenza e fuoco che mi faceva tremare.
Non potevo resistere. Il desiderio mi bruciava dentro, ma non era solo voglia di scoparla. Era qualcosa di più, qualcosa che mi spingeva a volerla svegliare con dolcezza, a farla sentire desiderata come lei faceva con me. Mi avvicinai piano, il letto che scricchiolava appena sotto il mio peso. Le sue gambe erano socchiuse, un invito involontario, e io mi chinai, il viso a pochi centimetri dalla sua pelle. La mia lingua sfiorò la sua fica, lenta, delicata, come se stessi assaggiando un frutto proibito. Era calda, già umida, e il suo sapore mi travolse, salato e vivo, un’onda che mi risucchiava. Leccavo con calma, seguendo le linee del suo sesso, il clitoride che rispondeva a ogni tocco, mentre il mio respiro si mescolava al suo. Non volevo solo farla godere, volevo che si svegliasse sentendosi amata, avvolta in un piacere che fosse solo nostro.
Passarono diversi minuti, i suoi gemiti che iniziavano piano, quasi impercettibili, come un sogno che prendeva forma. Poi, un sussulto. Marta si svegliò, gli occhi ancora socchiusi, il corpo che si tendeva sotto la mia bocca. «Tommy…» ansimò, la voce spezzata, mentre le sue mani trovavano i miei capelli, stringendoli con forza. Accelerai appena, la lingua che danzava più decisa, succhiando il clitoride con una dolcezza che la faceva tremare. I suoi umori mi inondavano, un mare caldo che mi riempiva la bocca, e io non ne lasciavo andare nemmeno una goccia. Venne con un urlo soffocato, il corpo che si inarcava, le gambe che si chiudevano intorno alla mia testa come se volesse tenermi lì per sempre. «Tommy… buongiorno… e che buongiorno,» disse, ridendo piano, il fiato corto, gli occhi lucidi di piacere e felicità.
Ero pieno di lei, il suo sapore ancora sulla lingua, il suo profumo che mi avvolgeva come una coperta. Mi tirai su, il viso bagnato dei suoi umori, e la guardai. Quegli occhi azzurro ghiaccio mi catturarono, brillavano nella penombra come stelle cadute. Mi avvicinai, le mie labbra trovarono le sue, e ci baciammo. Fu un bacio lento, profondo, romantico, come se il mondo si fosse fermato per lasciarci spazio. Le nostre lingue si intrecciavano, morbide, senza fretta, assaporando ogni istante. Sentivo il suo respiro mescolarsi al mio, le sue mani che mi accarezzavano la nuca, delicate, come se volessero tenermi lì per sempre. Era un bacio che parlava, che diceva tutto quello che le parole non riuscivano a contenere: desiderio, paura, amore. Le sue labbra erano morbide, calde, un rifugio che mi faceva dimenticare ogni dubbio, ogni incertezza. Durò minuti, o forse ore, non lo so. Era come se il tempo si fosse sciolto, lasciandoci sospesi in quella bolla di noi.
Quando ci staccammo, i nostri occhi si incatenarono. I suoi, così chiari, sembravano vedere dentro di me, scavare oltre la superficie, oltre il desiderio. Le accarezzai il viso, le dita che tremavano appena. «Sì… amore… voglio stare con te… ti amo,» sussurrai, la voce spezzata dall’emozione. Non era una decisione ragionata, non era logica. Era solo verità, nuda e cruda, che usciva dal cuore. Lei sorrise, un sorriso che era insieme dolce e trionfante, e mi baciò di nuovo, più forte, più urgente, come se volesse sigillare quelle parole dentro di noi. Le sue mani mi strinsero, le mie si persero nei suoi capelli, e per un momento fummo solo noi, due corpi, due cuori che battevano all’unisono, incuranti del mondo fuori.
La doccia mi aveva riportato un po’ di lucidità, l’acqua calda che scivolava via portando con sé il sapore di Marta, anche se il suo profumo sembrava essersi inciso nella mia pelle. Uscii dal bagno, l’accappatoio aperto, i capelli ancora bagnati, e la trovai lì, in camera, intenta a rivestirsi. Il bikini azzurro del giorno prima le scivolava sui fianchi, coprendo appena quel culo perfetto che, piegata com’era verso il letto, sembrava gridare il mio nome. Ogni curva era un pugno al cuore, un richiamo che mi faceva ribollire il sangue. Il mio cazzo si risvegliò all’istante, teso, pronto, come se non fossi già stato svuotato mille volte in quelle ore. Cazzo, dovevo reprimerlo. Era tardi, troppo tardi, e il lavoro mi aspettava, un promemoria crudele che la vita non si fermava per noi. Strinsi i pugni, cercando di tenere a bada l’istinto che mi urlava di saltarle addosso.
«Marta, amore,» dissi, la voce ancora roca, «vuoi che ti riporti in hotel o… resti qui?» Non so perché lo chiesi. Sapevo che non potevo farla restare, non con la sveglia che ticchettava verso le sei e il mio capo che già mi avrebbe guardato storto per le occhiaie. Ma ero perso, cotto di lei, completamente in suo potere. Avrebbe potuto chiedermi di scalare una montagna e avrei detto sì senza pensarci.
Lei si girò, il bikini ormai sistemato, il top a rete che lasciava intravedere la pelle chiara e quelle tette piccole e sode che mi ossessionavano. Mi guardò con un sorriso dolce, ma con quella scintilla maliziosa che non la lasciava mai. «Vorrei restare, Tommy,» disse, la voce morbida, quasi un sussurro. «Voglio svegliarmi ogni mattina con te, con le tue mani su di me, la tua bocca… ma Gaia mi ha scritto. Vuole che stia con loro oggi. Dice che dobbiamo passare del tempo insieme, noi tre, come facevamo prima.»
Annuii, anche se una parte di me si incazzava al pensiero di dividerla con chiunque, anche con le sue amiche. «Capisco, piccola. Ti porto io in hotel, dai, così ti cambi e le raggiungi.»
Marta scosse la testa, infilandosi gli shorts con un movimento lento che era pura tortura. «Non serve, amore. Sono già vestita, no? Ieri non sono nemmeno passata in hotel, questo bikini è ancora buono.» Rise, un suono che mi scaldava e mi spezzava allo stesso tempo. «Prendo il pullman, c’è una fermata qui vicino. Vanno in spiaggia, le raggiungo lì. Tu vai al lavoro, non voglio farti fare tardi.»
«Sicura?» chiesi, avvicinandomi. Le accarezzai la guancia, il pollice che sfiorava la sua pelle morbida, e il desiderio mi morse di nuovo. «Non mi costa nulla portarti.»
Lei si alzò in punta di piedi, mi diede un bacio leggero, le sue labbra che sapevano ancora di noi. «Sicura, cucciolo. Non voglio incasinarti la giornata. E poi, ci vediamo stasera, no?» I suoi occhi azzurri brillavano, un misto di promessa e sfida.
«Cazzo, Marta, mi fai impazzire,» mormorai, la voce spezzata. «Ok, ma almeno un caffè prima, dai.»
«Affare fatto,» rispose, ridendo, e ci spostammo in cucina. Preparai il caffè al volo, la moka che borbottava mentre il profumo riempiva la stanza. Bevemmo in piedi, in silenzio, i nostri sguardi che si incrociavano sopra le tazze, come se ogni sorso fosse un modo per trattenerci ancora un po’. Era una scena normale, quasi banale, ma con lei tutto sembrava speciale, anche un caffè schifoso fatto di corsa.
Finimmo, e la caricai in macchina. Il tragitto verso la pensilina del pullman era breve, ma ogni secondo con lei sembrava prezioso. Parcheggiai vicino alla fermata, il cielo ancora grigio, la pioggia che si era ridotta a un velo sottile. Lei si sporse verso di me, e ci baciammo, un bacio breve ma intenso, le sue labbra che premevano contro le mie, la lingua che sfiorava appena la mia, un assaggio di quello che sarebbe stato dopo. «Ci vediamo stasera, Tommy,» sussurrò, la voce carica di promesse.
«Ti amo, piccola,» dissi, e lei sorrise, un sorriso che mi fece quasi male per quanto era bello.
«Ti amo anch’io.» Scese dalla macchina, la borsa a tracolla, il culo che ondeggiava appena sotto gli shorts mentre si allontanava. La guardai finché non sparì dietro l’angolo della pensilina, poi misi in moto e guidai verso il lavoro, il cuore che batteva ancora troppo forte, il suo sapore ancora sulla lingua, il suo profumo incastrato nei miei pensieri.
Tommaso arrivò in ufficio appena in tempo, il cuore ancora accelerato, il profumo di Marta che sembrava aggrappato alla sua pelle nonostante la doccia. Parcheggiò la macchina, si sistemò la camicia e si diresse verso l’ingresso, cercando di scrollarsi di dosso quell’aura di follia che lo avvolgeva da ieri. Il capo, un uomo sulla cinquantina con un sorriso bonario ma occhi che non perdevano un dettaglio, lo intercettò subito nell’open space. «Allora, Tommaso, che hai combinato ieri di bello?» chiese, appoggiandosi alla scrivania con una tazza di caffè in mano.
Tommaso si bloccò, un flash che gli attraversò la mente come un fulmine. Ieri. Cazzo, ieri. Non aveva fatto altro che scopare, perdersi in Marta, in quel corpo che sembrava fatto per mandarlo fuori di testa. Rivide ogni momento, come un film che non riusciva a mettere in pausa: il suo culo sodo sotto le sue mani, le tette piccole e perfette che si muovevano al ritmo dei suoi colpi, la sua fica bagnata che lo accoglieva, calda, viva, un mare in cui annegava felice. Sentì ancora i suoi gemiti, il sapore salato dei suoi umori sulla lingua, il modo in cui la sua bocca lo aveva svuotato, succhiando ogni goccia come se fosse un trofeo. E poi il suo culo, stretto, vergine, che si era aperto per lui, un piacere così intenso da fargli quasi male. Ogni immagine era un colpo al cuore, un calore che gli saliva dall’inguine, e dovette reprimere un sorriso storto per non tradirsi. «Oh, niente di che, capo,» mentì, schiarendosi la voce. «Giornata tranquilla, un po’ di relax.»
Il capo annuì, poco convinto, ma non insistette. «Beato te. Dai, muoviti, che oggi c’è da chiudere quei bilanci.» Tommaso si sedette alla scrivania, accese il computer e iniziò a lavorare, ma la sua testa era altrove. Ogni numero che digitava, ogni mail che inviava, era solo un sottofondo al ricordo di Marta, al modo in cui i suoi occhi azzurro ghiaccio lo guardavano mentre lo faceva suo. Era una diciottenne, cazzo, e lui, a trentacinque anni, era completamente fottuto.
Il tempo scorreva lento, le ore che si trascinavano tra fogli Excel e telefonate con i fornitori. Per fortuna, in ufficio non c’erano regole ferree sull’uso dello smartphone. Essendo commercialista, Tommaso lo usava spesso per lavoro: banche, clienti, fornitori, tutti avevano il suo numero, e una notifica in più non avrebbe dato nell’occhio. Verso metà mattina, il cellulare vibrò. Lo afferrò, il cuore che già batteva più forte, e vide una notifica di Instagram. Era Marta. Aprì il messaggio e trovò il suo numero di telefono, scritto con un cuore accanto. «Chiamami quando vuoi, cucciolo,» aveva aggiunto. Tommaso sorrise, un misto di tenerezza e incredulità. In tutto quel casino, tra baci, scopate e promesse d’amore, non si erano nemmeno scambiati i numeri. Aggiunse Marta in rubrica, il nome salvato con un semplice «Amore», e le scrisse subito su WhatsApp: «Ehi, piccola, ora ti ho tutta per me.»
La risposta fu istantanea. Una foto. Marta in spiaggia, il sole che le accendeva la pelle chiara, il bikini azzurro che le aderiva come una seconda pelle. Quel costume era una tortura: le coppe stringevano le sue tette piccole ma sode, esaltando la curva delicata, i capezzoli che si intravedevano appena sotto il tessuto. La parte inferiore era un triangolo minuscolo, che si infilava tra le cosce, seguendo la linea perfetta dei suoi fianchi e lasciando poco all’immaginazione. Il culo, sodo e tondo, spuntava appena dai bordi, una promessa che Tommaso conosceva fin troppo bene. Il suo cazzo reagì subito, teso contro i pantaloni, e dovette spostarsi sulla sedia per non dare nell’occhio. «Cazzo, Marta, mi vuoi morto,» scrisse, il sangue che gli ribolliva.
Lei non si fermò. Nel corso della giornata, i messaggi continuarono, un assedio che lo teneva sul filo del rasoio. Un selfie con gli occhiali da sole, la lingua appena fuori in una smorfia provocante. Un altro con lei sdraiata sulla sabbia, il bikini slacciato sul fianco, la pelle che brillava di crema solare. Ogni foto era un colpo, un invito, e Tommaso si sentiva come un adolescente, il cazzo sempre mezzo duro, la testa piena di lei. Ma fu verso sera, poco prima dell’orario di uscita, che Marta alzò la posta. Un’altra notifica. Aprì la foto e il respiro gli si mozzò. Si era scostata il reggiseno, una tetta nuda che lo guardava dallo schermo, il capezzolo rosa, piccolo e turgido, che sembrava implorare la sua bocca. «Per te, cucciolo,» aveva scritto.
Tommaso non ci vide più. Il cuore gli martellava, il cazzo duro come pietra, un calore che gli bruciava dentro. «Scusate, devo andare un attimo in bagno,» borbottò ai colleghi, afferrando il telefono e filando verso il bagno dell’ufficio. Chiuse la porta a chiave, si abbassò i pantaloni e i boxer, il cazzo che schizzava fuori, già bagnato, pronto. Non poteva perdere tempo, doveva essere veloce, ma l’idea di Marta che lo aspettava, che lo provocava, lo mandava fuori di testa. Prese il telefono, aprì la videocamera, e iniziò a segarsi, la mano che scivolava sull’asta, il pollice che sfiorava la cappella, ogni movimento un’onda di piacere che gli strappava un gemito. La foto di Marta era ancora aperta, quel capezzolo che lo fissava, e immaginò di succhiarlo, di sentirla gemere sotto di lui. Il ritmo accelerò, il respiro corto, e in pochi secondi l’orgasmo lo travolse. Sborrò con forza, schizzi che finirono nel water, un piacere che gli fece quasi tremare le gambe. Il video aveva catturato tutto: la sua mano, il cazzo che pulsava, la sborra che esplodeva. Senza pensarci, lo inviò a Marta, scrivendo: «Guarda cosa mi fai.»
La risposta arrivò subito. Un’emoji con un sorrisetto malizioso e un messaggio: «Era quello che volevo.» Tommaso fissò lo schermo, il fiato ancora corto, il cazzo che pulsava ancora, sensibile. Si sentiva vivo, eccitato, ma anche un po’ perso. Marta lo aveva in pugno, e lui non voleva liberarsi. Era come se ogni foto, ogni messaggio, ogni pensiero di lei lo legasse più forte, un nodo che non aveva voglia di sciogliere. Pulì tutto in fretta, si sistemò e tornò alla scrivania, il cuore che batteva ancora troppo forte, la testa piena di lei. La giornata lavorativa stava finendo, ma sapeva che la serata con Marta sarebbe stata un altro incendio, e lui era già pronto a bruciarsi.
scritto il
2025-08-08
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