Segreti della vicina studentessa
di
Lampada di Desideri
genere
prime esperienze
Quello che segue è un racconto di fantasia. Nomi, persone e fatti sono inventati. Se in qualche passaggio doveste riconoscere luoghi o situazioni simili a quelli reali, sappiate che si tratta di pura coincidenza.
È una storia scritta senza fretta, pensata per essere gustata poco alla volta: non ci sono colpi di scena immediati, ma un percorso fatto di piccoli dettagli, sguardi, coincidenze e attese. Chi avrà la pazienza di seguirmi fino in fondo, troverà i punti salienti al momento giusto.
Mi chiamo Tommaso, ho vent’anni e frequento il primo anno di Economia a Pisa.
Sono alto, con i capelli corti, biondi, e due occhi azzurri che, a detta di chi mi conosce bene, dicono più di quanto io riesca a esprimere a parole. Porto con me qualche chilo in più, niente di eclatante, ma abbastanza da farmi sentire spesso un po’ impacciato.
Non mi considero un brutto ragazzo, ma di certo non sono il tipo che entra in una stanza e attira subito tutti gli sguardi. Ho un carattere strano: con gli amici e nei gruppi ristretti divento spigliato, scherzoso, a tratti persino brillante. Ma nei primi incontri, quando devo fare il passo iniziale, mi blocco. È come se una morsa invisibile mi stringesse lo stomaco, e ogni parola da dire si perdesse prima di arrivare alle labbra.
Fisicamente non sono un granché nelle prove di resistenza o di agilità: a scuola detestavo la corsa di mezzofondo e non ero certo il primo a essere scelto nelle squadre di calcetto. Non è che non mi piaccia muovermi, ma il mio corpo non risponde mai come vorrei, e questo ha sempre contribuito ad alimentare un certo senso di insicurezza.
All’università questo si nota ancora di più: le aule piene, le facce nuove, le chiacchiere tra sconosciuti… a volte mi sento un osservatore silenzioso, incastrato tra il desiderio di buttarmi e la paura di farlo davvero. Eppure, quando finalmente mi lascio andare, scopro che stare in mezzo agli altri è la cosa che mi fa sentire più vivo.
Anche sul fronte sentimentale non ho molto da raccontare. Le mie esperienze con le ragazze sono praticamente pari a zero: solo un bacio, qualche anno fa, in una situazione confusa e senza particolare magia. Nulla che mi abbia lasciato addosso quella sensazione di calore e di complicità che immagino debba accompagnare un momento davvero speciale.
Come tanti ragazzi della mia età, le pulsioni e la voglia di sentire il calore di una ragazza vicino a me sono pressanti. Ma la paura… quella è sempre lì, totale, pronta a fermarmi ogni volta. Così mi ritrovo spesso, ogni giorno, chiuso nella mia stanza, con il telefono in mano, a scorrere immagini e video che accendono qualcosa dentro di me. Ragazze splendide che si muovono con sicurezza, ragazzi dal fisico scolpito che sembrano appartenere a un altro mondo. Io resto a guardarli, sentendo crescere l’eccitazione fino a quando inevitabilmente mi abbasso pantaloni e mutande e inizio a darmi piacere, con il mio cazzo eretto. Anche quella parte di me mi da fastidio, vorrei scrivere di avere un pene enorme, ma alla fine quei 13 cm che non sono micropene, ma che bastano per farmi sentire sbagliato e in difetto.
Ho la fortuna di avere una piccola casa di famiglia a Pisa, tenuta sfitta proprio per permettermi di viverci mentre studio. È minuscola, quasi impossibile da condividere con qualcuno, e questo, invece di aiutarmi, ha finito per amplificare la mia ansia sociale. Lontano dagli amici di sempre, in una città che è sì vicina a casa mia, ma abbastanza distante da farmi sentire isolato… ero completamente solo.
Col passare delle settimane ho iniziato a osservare il mio quartiere. È una zona residenziale tranquilla, ma con una buona presenza di studenti e studentesse in affitto. Accanto a me, in una casa appena più grande della mia, vivono tre ragazze. Dal mio balcone — che d’estate diventa praticamente la mia postazione fissa di studio e di vita — posso vedere un paio di finestre della loro abitazione.
Una di loro fuma. Spesso, quando esce sul balcone e mi nota, mi saluta con un piccolo cenno della mano. Io ricambio sempre, con un misto di cortesia e timidezza. Niente di speciale… almeno all’apparenza.
Eppure, con il tempo, ho cominciato a notare di più. Scendendo nel piccolo giardino di casa mia, da un certo punto dietro la siepe, ho la possibilità di intravedere la sua camera. E in queste prime serate calde di giugno, lei tiene la finestra aperta. Qualche volta, passando di lì, mi è capitato di gettare uno sguardo veloce… fugace… ma abbastanza da imprimersi nella memoria.
Il suo nome, lo scoprirò più tardi, è Giorgia. È il tipo di persona che, appena la incontri, capisci subito che è un’atleta: slanciata, asciutta, con quella tonicità che non si improvvisa. I capelli biondi raccolti quasi sempre in una coda alta le incorniciano il viso, mettendo in risalto lineamenti definiti e un sorriso ampio, genuino. Ma sono i suoi occhi a colpire più di tutto: leggermente allungati, chiari, con un’intensità mutevole a seconda della luce. Occhi che sembrano dire: “so esattamente cosa sto facendo”.
Il giorno dopo, come sempre, mi recai alla fermata del pullman di fronte a casa per andare in università. Era una mattina tranquilla, l’aria ancora fresca. Eppure, qualcosa di diverso c’era: vidi arrivare Giorgia. Non l’avevo mai incrociata in tutti questi mesi, e per un attimo pensai di essermi sbagliato.
Indossava un paio di jeans lunghi, scarpe da ginnastica e una maglietta chiara, perfettamente aderente alle sue forme. Questa volta i capelli erano sciolti, morbidi sulle spalle. Era bellissima.
Si avvicinò e ci scambiammo un “ciao” veloce. Poi… silenzio. Il vuoto. Io, immobile come una statua, mentre lei sembrava fissare le proprie ginocchia. Forse era in imbarazzo anche lei.
Presi coraggio.
"Sei la mia vicina di casa, vero? Io mi chiamo Tommaso, piacere."
Lei alzò lo sguardo, arrossì leggermente e rispose:
"Sì, sono io… piacere, Tommaso. Io sono Giorgia."
Giorgia. Finalmente sapevo il suo nome. Ma il ghiaccio, nonostante tutto, non si era ancora rotto. Perché era così difficile trovare qualcosa da dire? Mi feci mentalmente una piccola lista di domande, così, giusto per non lasciare cadere la conversazione fino all’arrivo del pullman.
"Che facoltà frequenti?" chiesi di colpo.
"Matematica" rispose, evitando ancora il mio sguardo.
Era timida… forse più di me. Questo, stranamente, mi diede forza.
"Bello. Era una delle mie scelte, ma alla fine ho optato per economia. Più possibilità lavorative, almeno spero."
"Ti capisco… io, invece, non riesco a pensare così a lungo termine" disse, accennando un sorriso. "Ma vivi da solo in quella casa? Non ho mai visto nessun altro."
"Sì. Era di mia nonna, e l’abbiamo tenuta apposta per farmici vivere. È piccola, quindi ci sto bene da solo. Voi invece siete in tre, vero?"
"Sì. Mi ci trovo bene, anche se non le conoscevo prima di iniziare… mi sento un po’ a disagio ogni tanto."
Il dialogo cominciava a scorrere. C’era quel tipo di sintonia che capita di rado, quando una persona ti “prende” al primo scambio di battute.
"Sei al primo anno?" domandai.
"Sì, tu?"
"Anch’io."
Fece una piccola pausa, poi disse:
"Non è la prima volta che prendo il bus… ma ora che sono finite le lezioni vado all’orario che voglio. Oggi vado solo in biblioteca."
"Capisco… anch’io vado in biblioteca a studiare. A casa ci sono troppe distrazioni."
Il pullman arrivò. Ci salutammo e salimmo a bordo. Lei scese dopo pochi minuti. Io non potei fare a meno di seguirla con lo sguardo mentre si allontanava: i jeans mettevano in risalto il suo fisico, il suo fondoschiena marmoreo stretto nel tessuto, e anche il seno, piccolo non enorme, ma con una bella forma, appena accennato dalla maglietta, quel mix di bellezza e timidezza mi rimase nella testa per tutta la giornata.
La sera ripresi il pullman, con Giorgia ancora fissa in testa. Ogni volta che una ragazza mi mostrava un minimo di gentilezza, perdevo completamente la testa, e la mia mente iniziava a correre, a fantasticare scenari che sapevo già non sarebbero mai accaduti.
Quando arrivai a casa, mi chiusi dentro e andai subito sotto la doccia. L’acqua calda scivolava sulla pelle, ma non riusciva a spegnere il fuoco che avevo dentro. La voglia di Giorgia mi assalì con una forza che non avevo mai conosciuto prima.
Il cervello continuava a fantasticare, a dipingere immagini di lei, di noi, di gesti e carezze, di sguardi intensi e respiri affannati.
La mia mano scivolò sul mio membro, piccolo e già teso. Lentamente, iniziai a muoverla su e giù, come se cercassi di inseguire un ritmo che solo io potevo sentire. Il respiro si fece più affannoso, quasi spezzato, mentre la mano prendeva sempre più velocità, guidata da un desiderio che cresceva dentro.
In pochi minuti, l’eccitazione raggiunse il limite, e con un piccolo gemito, lasciai andare tutto il piacere che avevo accumulato, mentre l’acqua della doccia scorreva intorno a me, a ricordarmi quella solitudine carica di speranza e di attesa.
Quando uscii dalla doccia, il cuore batteva ancora forte. Quella sera, la mia solitudine aveva trovato un nome, un volto e un desiderio che non sapevo come affrontare.
Mi sdraiai sul letto, il corpo ancora caldo e la mente che continuava a tornare su quello che avevo appena fatto. Volevo trovare una scusa per pensare ancora a Giorgia, per tenerla viva in quel piccolo mondo segreto che mi ero costruito dentro.
Poi mi venne un’idea: avrei potuto aggiungerla su Instagram. Ma come fare? Non avevamo scambiato altro che un paio di parole. Uscì di casa con un misto di ansia e speranza, e passando davanti alla loro porta, notai finalmente che sul campanello erano scritti i loro nomi e cognomi.
Cercai subito su Instagram, e lì, davanti ai miei occhi, comparve il suo profilo. Il cuore mi batteva forte mentre, con un dito tremante, premevo “Segui”. Aspettai, quasi trattenendo il respiro, sperando che accettasse.
Con mia grande fortuna, dopo pochi minuti arrivò la conferma: ero stato accettato. Iniziai a scorrere le sue foto: era davvero un’atleta, proprio come avevo immaginato. Immagini di lei sulla pista di atletica, con quei pantaloncini corti che mettevano in risalto ogni muscolo tonico. Stupenda, più di quanto avessi osato sperare.
Mi arrivò la notifica di un messaggio.
“Ciao, come mi hai trovata?”
Ecco già la prima domanda. Dovevo dire che ero stato un mezzo stalker, ma decisi di raccontare una piccola bugia.
“Eri tra i suggeriti, ho capito fossi tu e ti ho aggiunta.”
“Bene, mi fa piacere.”
Sembrava più spigliata in chat, e così parlammo a lungo. Scoprii che faceva atletica da sempre, che solo quello sport la faceva sentire a suo agio. Aveva due amiche nel suo paese, ma lei non amava uscire molto.
Sembrava la ragazza perfetta. Anche io le raccontai le solite cose: passavo più tempo a guardare serie e film che a uscire. Parlammo di Breaking Bad, la nostra serie preferita.
Le ore passavano e poi lei scrisse:
“Tommy, ora vado a riposarmi, ci sentiamo. Mi piace parlare con te.”
Concluse con un’emoticon di un bacio.
Io risposi allo stesso modo:
“Grazie, Giorgia, sono stato bene. Buonanotte.”
E aggiunsi la stessa emoticon.
Mi svegliai presto, con quella strana energia che non capita spesso. La prima cosa che mi passò per la testa fu: Chissà se oggi ci sarà Giorgia alla fermata del pullman.
Mi preparai in fretta, con un leggero sorriso sulle labbra, come se già sapessi che l’avrei vista. Il tragitto verso la fermata mi sembrò più corto del solito. Guardavo avanti, tra le facce dei soliti pendolari, ma lei non c’era. Attesi qualche minuto, sperando fino all’ultimo che comparisse, ma niente.
Forse oggi non ha lezione… o magari prende un’altra corsa. Provai a scacciarmi la delusione, ma per tutta la mattinata la mia testa rimase lì, in quella fermata vuota.
A lezione, le parole del professore rimbalzavano nella mia mente come su un muro liscio. Leggevo e rileggevo gli appunti, ma non mi entrava niente. Se continuo così, all’esame mi bocceranno di sicuro. Cercai di impormi di concentrarmi, ma bastava vedere il nome “Giorgia” nella chat per distrarmi di nuovo.
Il pomeriggio passò lento. Tornando a casa, mi convinsi: Stasera devo studiare sul serio, o sono nei guai. Arrivato, posai lo zaino e presi i libri. Era una di quelle sere calde e limpide, con il cielo che sembrava non voler tramontare mai.
Misi la sedia sul terrazzo, in canottiera e pantaloncini, sperando che l’aria fresca mi aiutasse a restare sveglio. Aprii il libro, ma pochi minuti dopo uno sguardo laterale mi distrasse. Sul balcone di fronte, c’era Giorgia.
Le feci un cenno con la mano, cercando di sembrare casuale. Lei mi ricambiò il saluto con un piccolo sorriso. Sentii il cuore accelerare.
Provai a tornare sui libri, ma i miei occhi finivano sempre lì, su di lei. Credo che anche lei se ne accorse, ma non fece nulla per nasconderlo né per incoraggiarmi: semplicemente restò lì, occupata nelle sue cose.
Dopo un po’ rientrò in casa. La vidi sparire nella sua stanza, dietro le tende semitrasparenti. Ero combattuto: studiare… o seguire quell’istinto assurdo che mi stava montando dentro.
Non resistetti. Scivolai giù dalle scale, cercando di non fare rumore. Uscii nel giardino, avvicinandomi alla siepe che separava le nostre case. Da lì, tra le foglie, potevo intravedere un pezzo della sua camera illuminata. Il cuore mi batteva forte, l’ansia e l’eccitazione si mescolavano in un unico nodo nello stomaco, mentre restavo lì, in silenzio, a spiarla.
Rimasi nascosto, trattenendo il respiro. Nella penombra della stanza, Giorgia era di spalle, stava armeggiando con qualcosa vicino all’armadio. Poi si girò leggermente, e in quel momento mi accorsi che non indossava la maglietta di prima.
Il mio cuore saltò un battito. La luce calda della lampada accarezzava la sua pelle chiara, disegnando ogni linea sottile delle spalle e del petto.
E lì vidi tutto, il suo seno piccolo ma sodo, i due capezzoli leggermente più scuri della pelle con un’areola molto piccola, era un seno perfetto, due tette come le avevo sempre sognate e mai viste.
Sentii un calore salire dentro di me, come se tutta l’aria attorno fosse diventata più densa. Restai immobile, quasi ipnotizzato, il cervello in un vortice di pensieri e desideri che cercavo invano di fermare.
Fu allora che lei si voltò. Forse aveva percepito un movimento, o forse era stato il mio respiro più forte. I suoi occhi incontrarono i miei, o meglio, incontrarono l’ombra tra le foglie da cui la stavo osservando. Per un istante restammo fermi, sospesi in quel contatto muto.
Il mio stomaco si strinse. Non sapevo se scappare o restare. Il suo sguardo non era di paura, ma neppure completamente neutro. C’era qualcosa di interrogativo, e forse, appena percettibile, di curioso.
Giorgia fece un passo indietro e prese un top bianco dal letto. Lo infilò lentamente, sistemando le spalline, e poi si avvicinò alla finestra. Con un gesto deciso, tirò le tende, lasciando solo un filo di luce filtrare.
Il mio cuore accelerò.
"Mi ha visto… lo sa."
Il pensiero mi martellava in testa.
Mi allontanai piano dalla siepe, cercando di muovermi senza fare rumore. Ogni passo verso casa mi sembrava interminabile. Quando arrivai alla porta del terrazzo, misi mano alla maniglia, pronto a rientrare.
Ma per qualche ragione mi voltai.
E lì, tra quel piccolo spiraglio di stoffa, vidi i suoi occhi. Giorgia era ferma, immobile, a fissarmi. Non c’era più dubbio: mi aveva scoperto.
Un brivido mi attraversò la schiena. Non capivo se nel suo sguardo ci fosse rabbia, sorpresa… o qualcos’altro. Ma una cosa era certa: sapeva.
Rientrai in casa con il cuore che mi martellava nel petto. Sentivo il sudore scivolarmi lungo la schiena, come se avessi appena corso una maratona. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era una doccia fredda, per calmarmi e schiarirmi le idee.
Presi il telefono dal tavolo, pronto a lasciarlo lì e andare in bagno.
Ma una notifica mi bloccò.
Era un messaggio di Giorgia.
"Che stavi facendo? Ti ho visto."
Le parole mi colpirono come un pugno nello stomaco. Non c’erano emoji, niente tono leggero: solo una frase secca, arrabbiata. Mi si seccò la gola.
Il mio pollice rimase sospeso sopra la tastiera.
Non sapevo se inventare una scusa, chiedere scusa subito o… semplicemente non rispondere.
Il silenzio della casa sembrava amplificare ogni battito del mio cuore.
Presi un bel respiro e digitai in fretta, cercando di sembrare tranquillo:
"Ero solo in giardino, ho sentito dei rumori… ho guardato un attimo ma poi sono rientrato."
Il messaggio partì.
Passarono pochi secondi e il telefono vibrò di nuovo.
"Rumori? Da me?"
"Sì… mi pareva, ma forse mi sono confuso."
"Confuso di cosa?"
"Magari venivano dalla strada."
"Strada? Tommaso, il mio balcone dà sul giardino, non sulla strada."
Mi morsi il labbro. "Sì… però ho visto la luce accesa e ho dato un’occhiata, tutto qui."
"Un’occhiata o mi stavi fissando?"
"No, non ti stavo fissando…"
"Allora perché sei rimasto lì fermo?"
"Perché… pensavo che stessi parlando con qualcuno."
"Con chi, scusa?"
"Non lo so, forse al telefono…"
Ci fu una pausa. Sentivo il cuore battere fortissimo, come se stessi camminando sul filo di un rasoio. Poi il suo ultimo messaggio arrivò:
"Tommaso, se c’era una cosa che non dovevi fare… l’hai fatta. E lo so."
Lessi e rilessi il suo ultimo messaggio, sentendo lo stomaco chiudersi. Le dita mi tremavano mentre scrivevo:
"Hai ragione… ero in giardino e… mi sono voltato, ti ho vista così e mi sono bloccato."
Non avevo il coraggio di cancellare. Mandai.
Continuai subito:
"È che… mi piaci, Giorgia. Non sapevo cosa fare. Non volevo metterti in imbarazzo, ti chiedo scusa."
Rimasi a fissare lo schermo, con il respiro corto, aspettando la notifica.
Un minuto. Due. Tre.
Finalmente arrivò la sua risposta:
"Tommaso… mi hai messo a disagio, però… preferisco sapere la verità."
Le sue parole erano diventate più dolci, ma percepivo nuovamente quella timidezza che aveva quando ci parlavamo di persona. Sembrava quasi in conflitto tra il fastidio e il fatto che le avessi parlato apertamente.
"Ti capisco" scrissi piano, quasi avessi paura di rompere qualcosa.
"Va bene… almeno ora so che non era una cosa cattiva, anche se non doveva succedere."
Dopo qualche secondo, arrivò un nuovo messaggio:
"Tommaso… sai mantenere un segreto?"
"Certamente" risposi senza esitazione.
Passò qualche istante prima che comparisse di nuovo il suo nome sullo schermo.
"È che… non ho mai avuto un ragazzo" scrisse, e già da quelle parole percepivo il suo imbarazzo.
"Quello che è successo… sì, mi mette a disagio, ma… non pensavo di poter piacere a qualcuno così."
Rimasi a fissare il messaggio, incredulo. Giorgia… la ragazza che mi sembrava perfetta, stupenda, con quel sorriso che faceva girare la testa a chiunque, stava dicendo che non pensava di poter piacere a qualcuno.
Le dita si muovevano da sole mentre rispondevo:
"Non ci credo… sei bellissima, Giorgia. E… se proprio devo dirlo… neanche io ho mai avuto una ragazza."
Ci fu un silenzio digitale, come se entrambi stessimo realizzando di aver messo sul tavolo qualcosa di troppo personale. Poi il suo “sta scrivendo…” comparve, scomparve, ricomparve. Sembrava cercare le parole giuste.
"Quindi…" scrisse Giorgia dopo una lunga pausa, "posso chiederti una cosa?"
"Certo."
"Che cosa ti piace… di me?"
Sorrisi leggendo la domanda. "Tutto… il tuo sorriso, come ti illumina il viso quando parli di qualcosa che ti appassiona. Il modo in cui sembri determinata. E poi… sei gentile, ma hai anche quello sguardo che sembra sempre capire più di quanto dici."
Ci mise qualche secondo a rispondere. "Mh… carino. Però…"
"Però?"
"Però da… là sotto, certe cose non si vedono."
Rimasi a fissare il telefono. Lei stava alludendo chiaramente alla sera sul balcone.
"Magari… ci sei rimasto colpito anche da altro, vero?" aggiunse.
Deglutii. "Beh… sì… è che… sei bellissima anche fisicamente. Mi piace come ti muovi, e… sì, anche il tuo corpo. È impossibile non notarlo."
"Impossibile?"
"Sì… impossibile. Sei… perfetta."
Dall’altra parte arrivò solo un’emoji con le guance arrossate, seguita da: "Non so se arrossire o arrabbiarmi."
"Spero la prima" scrissi, cercando di alleggerire.
"Vedremo…" rispose lei, lasciando un alone di ambiguità.
Tommaso rimase immobile per qualche secondo, il telefono ancora caldo tra le mani, con un sorriso nervoso e il cuore che batteva forte. La conversazione con Giorgia si era fermata lì, lasciando un silenzio pieno di tensione e desiderio, e lui si sentì improvvisamente arrossire senza motivo preciso.
«Ok… respira», si disse, mentre scostava i capelli dal volto e si alzava dal divano. «Meglio una doccia… chiarirà un po’ le idee.»
In bagno l’acqua calda scivolava sulla pelle e il vapore gli avvolgeva i pensieri. Cercava di distrarsi, di concentrarsi sulla sensazione dell’acqua, ma non riusciva a togliersi dalla mente il viso di Giorgia, il suo sorriso, il suo imbarazzo timido e… quella domanda che ancora gli ronzava nella testa: cosa le piaceva di lui?
Uscì dalla doccia con l’asciugamano avvolto in vita, i capelli gocciolanti e il cuore ancora accelerato. Sul comodino, il telefono vibrava di nuovo. Lo prese e vide il messaggio che gli fece mancare un battito:
"Cosa ti piace di più fisicamente di me?"
Tommaso sentì un brivido percorrergli la schiena, un misto di eccitazione e imbarazzo. Si appoggiò al muro, il respiro un po’ affannoso, mentre cercava di capire come rispondere senza sembrare invadente ma allo stesso tempo sincero.
Tommaso fissò lo schermo per un lungo momento, le dita tremanti sul telefono. Con un sospiro cercò di essere sincero senza essere troppo diretto:
“Non lo so… davvero, non saprei scegliere… mi piaci tutta, davvero.”
Ci fu un attimo di silenzio, poi il messaggio di Giorgia comparve quasi subito, più intraprendente del solito:
“Davvero? E… cosa ti è piaciuto di quello che hai visto stasera?”
Tommaso sentì un brivido corrergli lungo la schiena e il cuore accelerare. Si morse il labbro, combattuto tra l’imbarazzo e la voglia di rispondere, consapevole che ogni parola poteva farla arrabbiare o farla sorridere.
Tommaso inspirò profondamente, sentendo il cuore battere all’impazzata, e digitò con esitazione:
“Ok… devo essere onesto… vedere il tuo seno stasera… mi è piaciuto tantissimo.”
Appena inviò il messaggio, sentì un misto di imbarazzo e eccitazione. Il telefono tremava leggermente tra le mani, mentre lui si chiedeva come Giorgia avrebbe reagito, consapevole che quella confessione aveva abbattuto qualsiasi barriera di timidezza tra loro.
"Vuoi rivederlo?" chiede Giorgia.
Tommaso deglutisce, sentendo il cuore battere forte. "È un test?" risponde, cercando di mantenere la calma, ma già sa che sta perdendo la battaglia contro il desiderio.
"No," dice lei "voglio solo onestà."
Lui annuisce, incapace di resistere. "Sì... sì, lo voglio vedere."
Passano pochi secondi—un'eternità per me— un altro messaggio arriva. Una foto. Le tette perfette di Giorgia, in primo piano, la pelle liscia e morbida, i seni pieni che spingono verso l'obiettivo. L'areola chiara, piccola, proprio come piaceva a lui.
Non potevo credere ai miei occhi. Giorgia era esattamente come l’avevo immaginata, e vedere la sua foto così da vicino mi lasciava senza fiato. Il mio cuore batteva forte, un misto di sorpresa e desiderio che mi travolgeva. Ero attratto, incapace di distogliere lo sguardo, mentre ansia e curiosità mi scuotevano.
Avevo cercato di calmarmi sotto la doccia, ma ora, sdraiato sul letto con il cellulare in mano, tutto il resto sembrava svanire. Ogni messaggio, ogni piccolo gesto di Giorgia mi faceva sentire vivo e incredibilmente vicino a lei, anche se tra di noi c’era quella distanza.
Immediatamente faccio scivolare la mano sul mio membro completamente eretto, la voglia era enorme e iniziai a masturbarmi, il movimento era già veloce, l’eccitazione tanta, ma un altro messaggio arrivò
“Ti piacciono?” comparve sullo schermo.
esitai un attimo, poi scrissi: “Sì… tantissimo. Sei incredibile.”
Il movimento della mia mano era incredibilmente veloce, la volevo, come un bambino desidera un giocattolo, Giorgia era già preda di ogni mio pensiero, la volevo con me, sul mio letto, nuda, a segarmi il cazzo, succhiarlo, prendere ogni suo buco, prendere la sua verginità e lei la mia.
Ormai preda dei miei istinti più animali, voglioso scrissi “Giorgia, sei stupenda, non la prendere male, ma mi sto segando guardando le tue tette… ti voglio”
La sua risposta fu una semplice emoticon imbarazzata
“Vuoi vederlo?”
“Non so” rispose lei.
Eccoci… sempre lo stesso copione. Avevo già avuto qualche esperienza di sex chatting, ma non avevo mai capito perché, alla fine, si tirassero sempre indietro quando si parlava di mostrarsi. Eppure stavolta era Giorgia… lei, che mi mandava una foto di sua spontanea volontà, perché non voleva vedermi?
Il movimento della mia mano era frenetico e praticamente solo il mostrarlo poteva darmi piacere, decisi di insistere
“Ti prego Giorgia, non resisto, guardalo una sola volta non te lo chiederò più, mi sta facendo male”
Giorgia rispose…
“Ok…”
Già l’ok mi stava facendo venire, azionai il video invece che la foto, appena in tempo, presi gli ultimi due movimenti e si vede lo sperma uscire alla velocità di un proiettile, diversi schizzi uscirono, uno mi colpì anche il mento, ero tanto eccitato. Il movimento rallentò e inviai
Il cuore batteva a mille, vidi che lo aveva aperto, poi scrisse
“Bello...” con la solita emoticon imbarazzata
“Scusa Giorgia, ero tanto eccitato e mi dispiace, come vedi non è nemmeno un cazzo grande”
Rispose subito
“Non importa… è carino… ma veramente ti eccito così tanto”
“Beh hai visto”
Mi stavo ancora riprendendo da tutto quando decisi di scriverle un’ultima cosa.
Mi stavo ancora riprendendo da tutto quando decisi di scriverle un’ultima cosa,
"Giorgia… era la prima volta che facevi… queste cose, tipo sex chatting?" scrissi, cercando di non sembrare troppo curioso ma sincero.
Ci fu un momento di silenzio, e poi arrivò il suo messaggio.
"Sì… è la prima volta," ammise, e si sentiva qualcosa di timido nel testo, "alcuni avevano provato a mandarmi foto intime, ma li bloccavo subito. Però… stavolta… beh… è stato imbarazzante, ma mi è anche piaciuto."
Sorrisi mentre leggevo, un po’ sollevato e un po’ emozionato.
"Anche a me…" risposi semplicemente, e sentii che era perfetto così.
Dopo qualche minuto, ci scambiammo ancora un paio di messaggi brevi, giusto per salutarci. Alla fine scrivemmo quasi nello stesso momento:
"Buonanotte, emoticon del bacio e emoticon del cuore rosso."
E con quel semplice gesto, con un bacio e un cuore rosso sullo schermo, chiudemmo la serata, entrambi con un sorriso nascosto sul volto.
Mi svegliai quella mattina con un sorriso che non riuscivo a trattenere. I pensieri della notte precedente mi scaldavano ancora il cuore, e un senso di felicità mi accompagnava mentre aprivo gli occhi. Presi il cellulare e scrissi subito “Buongiorno”, poi mi alzai e mi incamminai, cercando di assaporare la leggerezza della giornata.
Però, i minuti passavano e non arrivava risposta. Ogni volta che il telefono vibrava, il cuore mi balzava, sperando fosse lei, ma nulla. Solo a metà mattina mi arrivò un suo messaggio: “Buongiorno.” Breve, distante, eppure abbastanza per farmi sentire un briciolo di sollievo.
Risposi cercando di sembrare calmo: “Tutto bene?”
Lei non aggiunse altro, solo un lapidario “Dobbiamo parlare.”
Un brivido mi percorse la schiena. Paura, ansia, tensione… tutto insieme. La mia mente correva a mille pensieri, chiedendosi se avevo fatto qualcosa di sbagliato, se l’avevo messa a disagio. Scrissi subito: “Va bene, stasera.” Cercavo di mostrarmi tranquillo, ma il cuore batteva troppo forte.
La sua risposta non arrivò subito, e quando finalmente arrivò, mi fece sussultare: “Qualche giorno.”
I giorni seguenti furono un tormento. Ogni suono, ogni vibrazione del telefono mi faceva saltare il cuore. Passavo la sera sul balcone, sperando di vederla, ma le tende erano sempre chiuse, e Giorgia non usciva. Mi sentivo impotente, ansioso, un nodo nello stomaco che non si scioglieva.
Dopo un paio di giorni di quella angoscia silenziosa, il messaggio che aspettavo finalmente arrivò: “Va bene stasera?”
Il cuore mi balzò in petto, un misto di tensione e sollievo. Annuii, teso, le mani leggermente tremanti mentre rispondevo.
La sera arrivò lentamente, ogni minuto un’eternità. Mi rimisi sul balcone, lo sguardo fisso verso la sua finestra, le mani in tasca. Il silenzio era pesante, quasi insopportabile, finché finalmente udii un suono che fece sussultare tutto il mio corpo: il campanello.
Corsi verso la porta, il cuore che martellava, e aprii.
Ed eccola, davanti a me. Bella come sempre. Gli shorts cortissimi, il top bianco che ricordavo perfettamente dalla notte in cui l’aveva spiata. Un misto di emozione e sorpresa mi travolse. Il respiro si fece più rapido, le mani leggermente tremanti. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, il cuore in gola, mentre la vedevo lì, a pochi passi da me, reale, incredibilmente vicina.
La invitai ad accomodarsi, cercando di mantenere la voce calma, nonostante il cuore battesse forte. Entrò con passo incerto, lo sguardo un po’ basso.
“Casa carina” disse, facendo un sorriso imbarazzato, “anche se un po’ piccola.”
“Sì, è piccola, ma accogliente” risposi. Le offrii da bere e un piatto con due patatine, poi ci sedemmo al tavolo, a una distanza che sembrava insieme minima e immensa.
Ci fu un attimo di silenzio, un peso nell’aria che sentivo su di me come un nodo nello stomaco. Alla fine presi l’iniziativa. “Allora… cosa volevi dirmi?” chiesi, cercando di non far trasparire l’ansia.
Giorgia abbassò ancora lo sguardo, le mani intrecciate sul grembo. “Tommaso… penso… penso che quella sera sia stato un errore fare sex chatting” disse a fatica, la voce tremante. “Ero… eccitata, sì, ma… ora mi sento… come violata.”
Il cuore mi si strinse. “Mi dispiace tantissimo” balbettai. Cercavo di avvicinarmi, ma senza invadere il suo spazio. “Non era mia intenzione farti sentire così, voglio solo che tu stia bene.”
Lei annuì appena, senza alzare lo sguardo, e io sentivo l’ansia crescere, la tensione tra noi come un filo sottile e teso. Continuammo a parlare, lentamente, io cercando di tranquillizzarla, ascoltando ogni sua parola e rispettando il suo ritmo.
Alla fine mi alzai e mi accucciai accanto a lei. Le presi delicatamente la mano e le mostrai la chat, dove avevo cancellato la foto. Il gesto sembrava parlare più di mille parole: “Vedi? È sparita. Non voglio farti del male.” Poi la abbracciai piano, sentendo il calore del suo corpo contro il mio. “Sei importante per me” sussurrai, “voglio solo renderti felice. Non farei mai niente che ti possa ferire.”
Sentii le sue spalle rilassarsi leggermente contro di me, e poi qualche lacrima scivolò sul suo viso. Mi chinai verso di lei, delicatamente, e le appoggiai le labbra sulle sue.
Il bacio fu lento, dolce, un’esplosione di emozioni trattenute: il calore dei nostri corpi, il profumo della pelle, il battito dei nostri cuori che sembrava sincronizzarsi. Ogni esitazione sparì, sostituita da un senso di protezione, affetto e desiderio. Sentivo la sua fronte appoggiata contro la mia, le mani che si stringevano alla mia schiena. Era un bacio romantico, carico di sentimento, un momento di intimità sincera in cui entrambi eravamo presenti, vulnerabili e vicini.
Quando ci staccammo, restammo ancora vicini, respirando insieme, e il mondo fuori sembrava sparire.
Seduta accanto a me, Giorgia abbassò lo sguardo e, con un filo di voce, disse: “Tommaso… quello… quello era il mio primo bacio.”
Il cuore mi saltò un battito. La sorpresa e la tenerezza si mescolavano insieme. Vedevo la sua confusione, la paura nei suoi occhi, e sentivo il bisogno di proteggerla, di farla sentire al sicuro. “Non devi avere paura” le dissi piano, accarezzandole appena la mano. “Non succederà nulla che ti faccia star male. Ti prometto che ci muoveremo al tuo ritmo.”
Notai un lieve sorriso sulle sue labbra, ancora imbarazzata ma rassicurata. “Andiamo sul divano” proposi, cercando di mantenere la voce morbida, “guardiamo un film, così ti rilassi un po’.”
Si spostò accanto a me e, scrollando Netflix, scelse un film. Ci sedemmo vicini, abbracciati, e pian piano sentii la sua testa appoggiarsi sulla mia spalla. Il calore dei suoi capelli contro il mio petto mi fece sentire incredibilmente vicino a lei.
Durante il film, le nostre labbra si sfioravano di tanto in tanto, piccoli contatti che mandavano brividi lungo la schiena e un senso di anticipazione che cresceva costantemente. Ogni volta, un sorriso imbarazzato, un piccolo tremito, e poi di nuovo lo sguardo sullo schermo, come se volessimo far finta di niente.
Ma il film divenne presto solo uno sfondo: i battiti dei nostri cuori, il respiro vicino, la vicinanza dei nostri corpi prendevano il sopravvento. Sentii la sua mano cercare la mia, e io l’accolsi senza esitazioni.
Alla fine, ci fermammo. I nostri sguardi si cercarono nel buio della stanza, e non servivano più parole. Lentamente, con il cuore in gola, iniziammo a baciarci, prima delicatamente, poi con passione crescente, abbandonandoci completamente alle emozioni che ci travolgevano. Ogni carezza, ogni contatto delle labbra, era un’esplosione di desiderio e dolcezza insieme. Il mondo fuori era scomparso, lasciando solo noi, persi l’uno nell’altra.
Non so quanto durò quel bacio, ma la passione ci travolse completamente. Sentivo l’eccitazione crescere dentro di me, un calore che mi avvolgeva e mi faceva tremare, il mio cazzo si stava ergendo e i boxer e i pantaloni era una gabbia per lui. Con la mano cercavo di sfiorare i suoi glutei e lei non si ritraeva, anzi, sembrava quasi cercare il contatto, un segnale che mi incoraggiava. Iniziai a palpare, cercando di capire i suoi limiti, sentendo la sua pelle sotto le dita, la morbidezza e la tensione che trasmetteva. Più lo palpavo più sentivo le ore di allenamenti per raggiungere quel risultato, i suoi glutei sodi erano qualcosa di eccezionale, una cosa che molte ragazze avrebbero invidiato. La sensazione era incredibilmente piacevole, un corpo così sodo e armonioso da fare invidia a chiunque; si vedeva che fosse un’atleta, ma era lì, completamente mia.
Lei mi baciava e ansimava, ma i suoi occhi tradivano un lieve blocco, un timore che la rendeva fragile e meravigliosamente sincera. Decisi di osare, presi la sua mano e la avvicinai a me, sentiva il cazzo crescere nei pantaloni e piano piano, con movimenti circolari, lo accarezzava, facendo eccitare, ma non cedetti cercando di trasmetterle sicurezza attraverso il contatto.
Lei rimase leggermente sorpresa, ma piano piano si rilassò e iniziò a stringere la mia mano con forza crescente, come se stesse imparando a lasciarsi andare. Si staccò leggermente, mi guardò e con voce tremante disse:
“Non lo so… è la mia prima volta.”
Le accarezzai il volto, cercando di trasmetterle calma e comprensione, e le dissi:
“Amore… anche per me, facciamo solo quello che ci sentiamo.”
Lei mi guardò con occhi pieni di dubbio e poi disse timidamente:
“Amore?”
“Sì! Amore… Giorgia… ti amo!”
E la baciai di nuovo, con tutto il sentimento che avevo dentro. Lei ricambiò, e quando ci staccammo, mi guardò con gli occhi lucidi:
“Anche io ti amo” disse arrossendo, e il suo viso era bellissimo nella luce soffusa della stanza.
Sentii che era il momento di prendere l’iniziativa. La feci sdraiare sul divano, cercando di trasmettere sicurezza e dolcezza. “Fidati, andrà tutto bene,” le dissi. Con calma, la avvicinai a me, rispettando ogni sua esitazione. Notai la sua timidezza, il leggero tremore nelle mani, ma anche la volontà di affidarsi a me.
La baciai ancora, le accarezzai il corpo con delicatezza, e sentii la sua risposta crescere sotto le mie mani. Lei era viva tra le mie braccia, ogni respiro, ogni sospiro diventava musica, e io seguivo quel ritmo con attenzione. La sua pelle calda, il battito accelerato, la tensione che si scioglieva tra noi: era tutto così intenso e reale.
Poi, presi un momento per fissarla negli occhi, cercando di darle sicurezza. “Fidati… sentirai solo piacere,” le sussurrai.
Le nostre labbra continuavano a sfiorarsi, e piano piano iniziammo a esplorare il contatto con delicatezza e attenzione reciproca, rispettando ogni sua reazione. Lei ansimava, il corpo si muoveva al ritmo dei nostri baci, dei nostri sguardi, delle mani che cercavano e trovavano il calore dell’altro. Ogni gesto, ogni carezza, aumentava la complicità tra noi, e il mondo fuori dalla stanza sembrava scomparire.
Mi abbassai, gli shorts ormai tolti e solo una brasiliana mi separava dal mio obbiettivo, toccai le mutandine ed erano bagnate, era eccitata, come lo ero io. Le abbassai piano piano, certo di ricevere più resistenza, ma lei ormai era presa solo dalle sue sensazioni e guardai. Finalmente potevo vedere il mio sogno, l’oggetto dei miei desideri da alcuni giorni, ero lì, per la prima volta a pochi cm da una vagina, bagnata, ed era necessario che non vacillassi. Eravamo tutti e due inesperti, ma era chiaro che io avevo l’iniziativa.
Facendomi trascinare dalle sensazioni tirai fuori la lingua e leccai la sua vagina da cima a fonda con una leccata lenta e profonda, i suoi umori li sentivo sulla lingua, forti e pungenti, ma era un sapore che mi piaceva e volevo. La guardai, quante volte avevo visto quella parte femminile nei porno, ma ora era di fronte a me, vera, con quell’odore pungente che uno schermo non può dare, continuai a leccare e sentì Giorgia ansimare, cercavo con lo sguardo di guardarla ma la sua testa era inclinata all’indietro e non riuscivo a vederla.
Dopo qualche minuto decisi di usare anche le dita e andai con le dita dentro, era un lago e entravano subito e con la lingua mi concentrai sul clitoride. Questo cambio la fece urlare un attimo e istintivamente portò le mani sulla mia testa e mi spinse. Le stava piacendo, molto, ero felicissimo, stavo facendo godere una ragazza con la lingua e dita.
I suoi umori aumentavano e io leccavo tutto, fermandomi anche ad ingoiare la saliva mista di quegli odori, mi piacevano e mi eccitavano. Il mio cazzo ormai era marmo puro, decisi di togliermi pantaloni e mutande e iniziai a segarmi mentre continuai a leccarla.
Giorgia venne dopo qualche minuto, mi guardò e rimase sorpresa di vedermi completamente nudo
“Posso toglierti il top?” le chiesi
Lei annui, e con lentezza tolsi l’unica cosa che ancora aveva addosso, quei seni uscirono e i suoi capezzoli, rigidi come non mai mi guardavano. Iniziai a succhiare e stuzzicare anche quelli, lei ansimava ma allungò la mano verso il mio cazzo e lo prese. Era completamente bagnato, in fondo era la prima volta anche per me, iniziò a muoversi lentamente e segarlo. Mi staccai, la guardai “Succhiamelo amore”
Lei arrossì, ma mi alzai, e lo puntai sul suo viso, lei aprì la bocca e lentamente entrò
Fu una sensazione unica, il caldo della bocca, allora quella era la sensazione di un pompino, iniziai io a scoparle la bocca, lei teneva le labbra serrate e basta, ma solo sapere cosa stavo facendo mi eccitava.
Nonostante la mia inesperienza le dissi:
“Amore, prova a succhiare, come se fosse una cannuccia”
Lei allora iniziò e provai un piacere mai provato prima, sentivo che stavo per esplodere di piacere, ero in preda a lei.
Cercai di resistere, ormai volevo anche fare l’amore con lei.
Le dissi
“Facciamo l’amore”
Lei rispose
“Si, voglio farlo”
Ero appena uscito dalla sua bocca, lei allargò le gambe, la sua vagina aperta che chiedeva solo me, inspirai profondamente, era arrivato il momento, puntai la cappella, sentivo caldo e umido e spinsi.
Ero dentro, la sensazione assomigliava a quella del pompino, ma era più avvolgente, iniziai a muovermi fuori e dentro e dopo pochi minuti il movimento veniva spontaneo per entrambi. Il nostro piacere era enorme, stavamo ansimando e lei urlava anche, la sensazione di stretto iniziale stava svanendo.
La mia resistenza era al limite, sapevo però che non potevo sborrare dentro, uscì e nel mentre molti schizzi la colpirono, pancia, seno, mento e nel frattempo urlavo il mio piacere mentre lei ansimava, il suo respiro era un turbine impetuoso, un fiatone così intenso che nemmeno nelle sue gare più faticose avrebbe mai avuto, come se ogni molecola del suo corpo stesse correndo all’impazzata inseguendo il piacere.
Era venuta anche lei, aveva ancora gli occhi chiusi, guardai il mio cazzo, sporco di sangue, fortuna sapevo che sarebbe potuto succedere. Il mio seme in ogni parte del suo corpo e lei curiosa, con un dito lo assaggiò.
La baciai, sentendo anche il mio sapore
“Giorgia ti amo” dissi sincero
“Anche io Tommy, sono felice”
Dopo quei momenti, ci alzammo insieme, ancora tremanti e con il cuore che batteva all’impazzata. Ci dirigemmo verso la doccia, e l’acqua calda che scivolava sulla pelle sembrava cancellare ogni residuo di tensione, lasciandoci solo calore e vicinanza. Le mani si cercavano quasi automaticamente, sfiorandosi con delicatezza e desiderio, mentre ridacchiavamo piano, imbarazzati e felici allo stesso tempo.
Quando tornammo a letto, ci sdraiammo l’uno accanto all’altro, completamente nudi, e ci strinsi tra le braccia. Sentivo il suo respiro calmo e irregolare contro il mio petto, la sua pelle morbida e calda sulla mia. Ci baciammo ancora, questa volta senza fretta, assaporando ogni contatto, ogni sfioramento, come se il mondo esterno non esistesse.
Piano piano, le mani si intrecciarono, le dita si cercavano, i cuori battevano all’unisono. Ogni carezza era un messaggio silenzioso: «Sei al sicuro con me». E nel buio della stanza, tra il calore dei nostri corpi e il suono dei nostri respiri, ci lasciammo cullare dal sonno. Ci addormentammo stretti, abbracciati, con i cuori ancora pieni di emozione e sorrisi appena accennati. Da quel momento, nessuno e niente riuscì più a separarci.
È una storia scritta senza fretta, pensata per essere gustata poco alla volta: non ci sono colpi di scena immediati, ma un percorso fatto di piccoli dettagli, sguardi, coincidenze e attese. Chi avrà la pazienza di seguirmi fino in fondo, troverà i punti salienti al momento giusto.
Mi chiamo Tommaso, ho vent’anni e frequento il primo anno di Economia a Pisa.
Sono alto, con i capelli corti, biondi, e due occhi azzurri che, a detta di chi mi conosce bene, dicono più di quanto io riesca a esprimere a parole. Porto con me qualche chilo in più, niente di eclatante, ma abbastanza da farmi sentire spesso un po’ impacciato.
Non mi considero un brutto ragazzo, ma di certo non sono il tipo che entra in una stanza e attira subito tutti gli sguardi. Ho un carattere strano: con gli amici e nei gruppi ristretti divento spigliato, scherzoso, a tratti persino brillante. Ma nei primi incontri, quando devo fare il passo iniziale, mi blocco. È come se una morsa invisibile mi stringesse lo stomaco, e ogni parola da dire si perdesse prima di arrivare alle labbra.
Fisicamente non sono un granché nelle prove di resistenza o di agilità: a scuola detestavo la corsa di mezzofondo e non ero certo il primo a essere scelto nelle squadre di calcetto. Non è che non mi piaccia muovermi, ma il mio corpo non risponde mai come vorrei, e questo ha sempre contribuito ad alimentare un certo senso di insicurezza.
All’università questo si nota ancora di più: le aule piene, le facce nuove, le chiacchiere tra sconosciuti… a volte mi sento un osservatore silenzioso, incastrato tra il desiderio di buttarmi e la paura di farlo davvero. Eppure, quando finalmente mi lascio andare, scopro che stare in mezzo agli altri è la cosa che mi fa sentire più vivo.
Anche sul fronte sentimentale non ho molto da raccontare. Le mie esperienze con le ragazze sono praticamente pari a zero: solo un bacio, qualche anno fa, in una situazione confusa e senza particolare magia. Nulla che mi abbia lasciato addosso quella sensazione di calore e di complicità che immagino debba accompagnare un momento davvero speciale.
Come tanti ragazzi della mia età, le pulsioni e la voglia di sentire il calore di una ragazza vicino a me sono pressanti. Ma la paura… quella è sempre lì, totale, pronta a fermarmi ogni volta. Così mi ritrovo spesso, ogni giorno, chiuso nella mia stanza, con il telefono in mano, a scorrere immagini e video che accendono qualcosa dentro di me. Ragazze splendide che si muovono con sicurezza, ragazzi dal fisico scolpito che sembrano appartenere a un altro mondo. Io resto a guardarli, sentendo crescere l’eccitazione fino a quando inevitabilmente mi abbasso pantaloni e mutande e inizio a darmi piacere, con il mio cazzo eretto. Anche quella parte di me mi da fastidio, vorrei scrivere di avere un pene enorme, ma alla fine quei 13 cm che non sono micropene, ma che bastano per farmi sentire sbagliato e in difetto.
Ho la fortuna di avere una piccola casa di famiglia a Pisa, tenuta sfitta proprio per permettermi di viverci mentre studio. È minuscola, quasi impossibile da condividere con qualcuno, e questo, invece di aiutarmi, ha finito per amplificare la mia ansia sociale. Lontano dagli amici di sempre, in una città che è sì vicina a casa mia, ma abbastanza distante da farmi sentire isolato… ero completamente solo.
Col passare delle settimane ho iniziato a osservare il mio quartiere. È una zona residenziale tranquilla, ma con una buona presenza di studenti e studentesse in affitto. Accanto a me, in una casa appena più grande della mia, vivono tre ragazze. Dal mio balcone — che d’estate diventa praticamente la mia postazione fissa di studio e di vita — posso vedere un paio di finestre della loro abitazione.
Una di loro fuma. Spesso, quando esce sul balcone e mi nota, mi saluta con un piccolo cenno della mano. Io ricambio sempre, con un misto di cortesia e timidezza. Niente di speciale… almeno all’apparenza.
Eppure, con il tempo, ho cominciato a notare di più. Scendendo nel piccolo giardino di casa mia, da un certo punto dietro la siepe, ho la possibilità di intravedere la sua camera. E in queste prime serate calde di giugno, lei tiene la finestra aperta. Qualche volta, passando di lì, mi è capitato di gettare uno sguardo veloce… fugace… ma abbastanza da imprimersi nella memoria.
Il suo nome, lo scoprirò più tardi, è Giorgia. È il tipo di persona che, appena la incontri, capisci subito che è un’atleta: slanciata, asciutta, con quella tonicità che non si improvvisa. I capelli biondi raccolti quasi sempre in una coda alta le incorniciano il viso, mettendo in risalto lineamenti definiti e un sorriso ampio, genuino. Ma sono i suoi occhi a colpire più di tutto: leggermente allungati, chiari, con un’intensità mutevole a seconda della luce. Occhi che sembrano dire: “so esattamente cosa sto facendo”.
Il giorno dopo, come sempre, mi recai alla fermata del pullman di fronte a casa per andare in università. Era una mattina tranquilla, l’aria ancora fresca. Eppure, qualcosa di diverso c’era: vidi arrivare Giorgia. Non l’avevo mai incrociata in tutti questi mesi, e per un attimo pensai di essermi sbagliato.
Indossava un paio di jeans lunghi, scarpe da ginnastica e una maglietta chiara, perfettamente aderente alle sue forme. Questa volta i capelli erano sciolti, morbidi sulle spalle. Era bellissima.
Si avvicinò e ci scambiammo un “ciao” veloce. Poi… silenzio. Il vuoto. Io, immobile come una statua, mentre lei sembrava fissare le proprie ginocchia. Forse era in imbarazzo anche lei.
Presi coraggio.
"Sei la mia vicina di casa, vero? Io mi chiamo Tommaso, piacere."
Lei alzò lo sguardo, arrossì leggermente e rispose:
"Sì, sono io… piacere, Tommaso. Io sono Giorgia."
Giorgia. Finalmente sapevo il suo nome. Ma il ghiaccio, nonostante tutto, non si era ancora rotto. Perché era così difficile trovare qualcosa da dire? Mi feci mentalmente una piccola lista di domande, così, giusto per non lasciare cadere la conversazione fino all’arrivo del pullman.
"Che facoltà frequenti?" chiesi di colpo.
"Matematica" rispose, evitando ancora il mio sguardo.
Era timida… forse più di me. Questo, stranamente, mi diede forza.
"Bello. Era una delle mie scelte, ma alla fine ho optato per economia. Più possibilità lavorative, almeno spero."
"Ti capisco… io, invece, non riesco a pensare così a lungo termine" disse, accennando un sorriso. "Ma vivi da solo in quella casa? Non ho mai visto nessun altro."
"Sì. Era di mia nonna, e l’abbiamo tenuta apposta per farmici vivere. È piccola, quindi ci sto bene da solo. Voi invece siete in tre, vero?"
"Sì. Mi ci trovo bene, anche se non le conoscevo prima di iniziare… mi sento un po’ a disagio ogni tanto."
Il dialogo cominciava a scorrere. C’era quel tipo di sintonia che capita di rado, quando una persona ti “prende” al primo scambio di battute.
"Sei al primo anno?" domandai.
"Sì, tu?"
"Anch’io."
Fece una piccola pausa, poi disse:
"Non è la prima volta che prendo il bus… ma ora che sono finite le lezioni vado all’orario che voglio. Oggi vado solo in biblioteca."
"Capisco… anch’io vado in biblioteca a studiare. A casa ci sono troppe distrazioni."
Il pullman arrivò. Ci salutammo e salimmo a bordo. Lei scese dopo pochi minuti. Io non potei fare a meno di seguirla con lo sguardo mentre si allontanava: i jeans mettevano in risalto il suo fisico, il suo fondoschiena marmoreo stretto nel tessuto, e anche il seno, piccolo non enorme, ma con una bella forma, appena accennato dalla maglietta, quel mix di bellezza e timidezza mi rimase nella testa per tutta la giornata.
La sera ripresi il pullman, con Giorgia ancora fissa in testa. Ogni volta che una ragazza mi mostrava un minimo di gentilezza, perdevo completamente la testa, e la mia mente iniziava a correre, a fantasticare scenari che sapevo già non sarebbero mai accaduti.
Quando arrivai a casa, mi chiusi dentro e andai subito sotto la doccia. L’acqua calda scivolava sulla pelle, ma non riusciva a spegnere il fuoco che avevo dentro. La voglia di Giorgia mi assalì con una forza che non avevo mai conosciuto prima.
Il cervello continuava a fantasticare, a dipingere immagini di lei, di noi, di gesti e carezze, di sguardi intensi e respiri affannati.
La mia mano scivolò sul mio membro, piccolo e già teso. Lentamente, iniziai a muoverla su e giù, come se cercassi di inseguire un ritmo che solo io potevo sentire. Il respiro si fece più affannoso, quasi spezzato, mentre la mano prendeva sempre più velocità, guidata da un desiderio che cresceva dentro.
In pochi minuti, l’eccitazione raggiunse il limite, e con un piccolo gemito, lasciai andare tutto il piacere che avevo accumulato, mentre l’acqua della doccia scorreva intorno a me, a ricordarmi quella solitudine carica di speranza e di attesa.
Quando uscii dalla doccia, il cuore batteva ancora forte. Quella sera, la mia solitudine aveva trovato un nome, un volto e un desiderio che non sapevo come affrontare.
Mi sdraiai sul letto, il corpo ancora caldo e la mente che continuava a tornare su quello che avevo appena fatto. Volevo trovare una scusa per pensare ancora a Giorgia, per tenerla viva in quel piccolo mondo segreto che mi ero costruito dentro.
Poi mi venne un’idea: avrei potuto aggiungerla su Instagram. Ma come fare? Non avevamo scambiato altro che un paio di parole. Uscì di casa con un misto di ansia e speranza, e passando davanti alla loro porta, notai finalmente che sul campanello erano scritti i loro nomi e cognomi.
Cercai subito su Instagram, e lì, davanti ai miei occhi, comparve il suo profilo. Il cuore mi batteva forte mentre, con un dito tremante, premevo “Segui”. Aspettai, quasi trattenendo il respiro, sperando che accettasse.
Con mia grande fortuna, dopo pochi minuti arrivò la conferma: ero stato accettato. Iniziai a scorrere le sue foto: era davvero un’atleta, proprio come avevo immaginato. Immagini di lei sulla pista di atletica, con quei pantaloncini corti che mettevano in risalto ogni muscolo tonico. Stupenda, più di quanto avessi osato sperare.
Mi arrivò la notifica di un messaggio.
“Ciao, come mi hai trovata?”
Ecco già la prima domanda. Dovevo dire che ero stato un mezzo stalker, ma decisi di raccontare una piccola bugia.
“Eri tra i suggeriti, ho capito fossi tu e ti ho aggiunta.”
“Bene, mi fa piacere.”
Sembrava più spigliata in chat, e così parlammo a lungo. Scoprii che faceva atletica da sempre, che solo quello sport la faceva sentire a suo agio. Aveva due amiche nel suo paese, ma lei non amava uscire molto.
Sembrava la ragazza perfetta. Anche io le raccontai le solite cose: passavo più tempo a guardare serie e film che a uscire. Parlammo di Breaking Bad, la nostra serie preferita.
Le ore passavano e poi lei scrisse:
“Tommy, ora vado a riposarmi, ci sentiamo. Mi piace parlare con te.”
Concluse con un’emoticon di un bacio.
Io risposi allo stesso modo:
“Grazie, Giorgia, sono stato bene. Buonanotte.”
E aggiunsi la stessa emoticon.
Mi svegliai presto, con quella strana energia che non capita spesso. La prima cosa che mi passò per la testa fu: Chissà se oggi ci sarà Giorgia alla fermata del pullman.
Mi preparai in fretta, con un leggero sorriso sulle labbra, come se già sapessi che l’avrei vista. Il tragitto verso la fermata mi sembrò più corto del solito. Guardavo avanti, tra le facce dei soliti pendolari, ma lei non c’era. Attesi qualche minuto, sperando fino all’ultimo che comparisse, ma niente.
Forse oggi non ha lezione… o magari prende un’altra corsa. Provai a scacciarmi la delusione, ma per tutta la mattinata la mia testa rimase lì, in quella fermata vuota.
A lezione, le parole del professore rimbalzavano nella mia mente come su un muro liscio. Leggevo e rileggevo gli appunti, ma non mi entrava niente. Se continuo così, all’esame mi bocceranno di sicuro. Cercai di impormi di concentrarmi, ma bastava vedere il nome “Giorgia” nella chat per distrarmi di nuovo.
Il pomeriggio passò lento. Tornando a casa, mi convinsi: Stasera devo studiare sul serio, o sono nei guai. Arrivato, posai lo zaino e presi i libri. Era una di quelle sere calde e limpide, con il cielo che sembrava non voler tramontare mai.
Misi la sedia sul terrazzo, in canottiera e pantaloncini, sperando che l’aria fresca mi aiutasse a restare sveglio. Aprii il libro, ma pochi minuti dopo uno sguardo laterale mi distrasse. Sul balcone di fronte, c’era Giorgia.
Le feci un cenno con la mano, cercando di sembrare casuale. Lei mi ricambiò il saluto con un piccolo sorriso. Sentii il cuore accelerare.
Provai a tornare sui libri, ma i miei occhi finivano sempre lì, su di lei. Credo che anche lei se ne accorse, ma non fece nulla per nasconderlo né per incoraggiarmi: semplicemente restò lì, occupata nelle sue cose.
Dopo un po’ rientrò in casa. La vidi sparire nella sua stanza, dietro le tende semitrasparenti. Ero combattuto: studiare… o seguire quell’istinto assurdo che mi stava montando dentro.
Non resistetti. Scivolai giù dalle scale, cercando di non fare rumore. Uscii nel giardino, avvicinandomi alla siepe che separava le nostre case. Da lì, tra le foglie, potevo intravedere un pezzo della sua camera illuminata. Il cuore mi batteva forte, l’ansia e l’eccitazione si mescolavano in un unico nodo nello stomaco, mentre restavo lì, in silenzio, a spiarla.
Rimasi nascosto, trattenendo il respiro. Nella penombra della stanza, Giorgia era di spalle, stava armeggiando con qualcosa vicino all’armadio. Poi si girò leggermente, e in quel momento mi accorsi che non indossava la maglietta di prima.
Il mio cuore saltò un battito. La luce calda della lampada accarezzava la sua pelle chiara, disegnando ogni linea sottile delle spalle e del petto.
E lì vidi tutto, il suo seno piccolo ma sodo, i due capezzoli leggermente più scuri della pelle con un’areola molto piccola, era un seno perfetto, due tette come le avevo sempre sognate e mai viste.
Sentii un calore salire dentro di me, come se tutta l’aria attorno fosse diventata più densa. Restai immobile, quasi ipnotizzato, il cervello in un vortice di pensieri e desideri che cercavo invano di fermare.
Fu allora che lei si voltò. Forse aveva percepito un movimento, o forse era stato il mio respiro più forte. I suoi occhi incontrarono i miei, o meglio, incontrarono l’ombra tra le foglie da cui la stavo osservando. Per un istante restammo fermi, sospesi in quel contatto muto.
Il mio stomaco si strinse. Non sapevo se scappare o restare. Il suo sguardo non era di paura, ma neppure completamente neutro. C’era qualcosa di interrogativo, e forse, appena percettibile, di curioso.
Giorgia fece un passo indietro e prese un top bianco dal letto. Lo infilò lentamente, sistemando le spalline, e poi si avvicinò alla finestra. Con un gesto deciso, tirò le tende, lasciando solo un filo di luce filtrare.
Il mio cuore accelerò.
"Mi ha visto… lo sa."
Il pensiero mi martellava in testa.
Mi allontanai piano dalla siepe, cercando di muovermi senza fare rumore. Ogni passo verso casa mi sembrava interminabile. Quando arrivai alla porta del terrazzo, misi mano alla maniglia, pronto a rientrare.
Ma per qualche ragione mi voltai.
E lì, tra quel piccolo spiraglio di stoffa, vidi i suoi occhi. Giorgia era ferma, immobile, a fissarmi. Non c’era più dubbio: mi aveva scoperto.
Un brivido mi attraversò la schiena. Non capivo se nel suo sguardo ci fosse rabbia, sorpresa… o qualcos’altro. Ma una cosa era certa: sapeva.
Rientrai in casa con il cuore che mi martellava nel petto. Sentivo il sudore scivolarmi lungo la schiena, come se avessi appena corso una maratona. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era una doccia fredda, per calmarmi e schiarirmi le idee.
Presi il telefono dal tavolo, pronto a lasciarlo lì e andare in bagno.
Ma una notifica mi bloccò.
Era un messaggio di Giorgia.
"Che stavi facendo? Ti ho visto."
Le parole mi colpirono come un pugno nello stomaco. Non c’erano emoji, niente tono leggero: solo una frase secca, arrabbiata. Mi si seccò la gola.
Il mio pollice rimase sospeso sopra la tastiera.
Non sapevo se inventare una scusa, chiedere scusa subito o… semplicemente non rispondere.
Il silenzio della casa sembrava amplificare ogni battito del mio cuore.
Presi un bel respiro e digitai in fretta, cercando di sembrare tranquillo:
"Ero solo in giardino, ho sentito dei rumori… ho guardato un attimo ma poi sono rientrato."
Il messaggio partì.
Passarono pochi secondi e il telefono vibrò di nuovo.
"Rumori? Da me?"
"Sì… mi pareva, ma forse mi sono confuso."
"Confuso di cosa?"
"Magari venivano dalla strada."
"Strada? Tommaso, il mio balcone dà sul giardino, non sulla strada."
Mi morsi il labbro. "Sì… però ho visto la luce accesa e ho dato un’occhiata, tutto qui."
"Un’occhiata o mi stavi fissando?"
"No, non ti stavo fissando…"
"Allora perché sei rimasto lì fermo?"
"Perché… pensavo che stessi parlando con qualcuno."
"Con chi, scusa?"
"Non lo so, forse al telefono…"
Ci fu una pausa. Sentivo il cuore battere fortissimo, come se stessi camminando sul filo di un rasoio. Poi il suo ultimo messaggio arrivò:
"Tommaso, se c’era una cosa che non dovevi fare… l’hai fatta. E lo so."
Lessi e rilessi il suo ultimo messaggio, sentendo lo stomaco chiudersi. Le dita mi tremavano mentre scrivevo:
"Hai ragione… ero in giardino e… mi sono voltato, ti ho vista così e mi sono bloccato."
Non avevo il coraggio di cancellare. Mandai.
Continuai subito:
"È che… mi piaci, Giorgia. Non sapevo cosa fare. Non volevo metterti in imbarazzo, ti chiedo scusa."
Rimasi a fissare lo schermo, con il respiro corto, aspettando la notifica.
Un minuto. Due. Tre.
Finalmente arrivò la sua risposta:
"Tommaso… mi hai messo a disagio, però… preferisco sapere la verità."
Le sue parole erano diventate più dolci, ma percepivo nuovamente quella timidezza che aveva quando ci parlavamo di persona. Sembrava quasi in conflitto tra il fastidio e il fatto che le avessi parlato apertamente.
"Ti capisco" scrissi piano, quasi avessi paura di rompere qualcosa.
"Va bene… almeno ora so che non era una cosa cattiva, anche se non doveva succedere."
Dopo qualche secondo, arrivò un nuovo messaggio:
"Tommaso… sai mantenere un segreto?"
"Certamente" risposi senza esitazione.
Passò qualche istante prima che comparisse di nuovo il suo nome sullo schermo.
"È che… non ho mai avuto un ragazzo" scrisse, e già da quelle parole percepivo il suo imbarazzo.
"Quello che è successo… sì, mi mette a disagio, ma… non pensavo di poter piacere a qualcuno così."
Rimasi a fissare il messaggio, incredulo. Giorgia… la ragazza che mi sembrava perfetta, stupenda, con quel sorriso che faceva girare la testa a chiunque, stava dicendo che non pensava di poter piacere a qualcuno.
Le dita si muovevano da sole mentre rispondevo:
"Non ci credo… sei bellissima, Giorgia. E… se proprio devo dirlo… neanche io ho mai avuto una ragazza."
Ci fu un silenzio digitale, come se entrambi stessimo realizzando di aver messo sul tavolo qualcosa di troppo personale. Poi il suo “sta scrivendo…” comparve, scomparve, ricomparve. Sembrava cercare le parole giuste.
"Quindi…" scrisse Giorgia dopo una lunga pausa, "posso chiederti una cosa?"
"Certo."
"Che cosa ti piace… di me?"
Sorrisi leggendo la domanda. "Tutto… il tuo sorriso, come ti illumina il viso quando parli di qualcosa che ti appassiona. Il modo in cui sembri determinata. E poi… sei gentile, ma hai anche quello sguardo che sembra sempre capire più di quanto dici."
Ci mise qualche secondo a rispondere. "Mh… carino. Però…"
"Però?"
"Però da… là sotto, certe cose non si vedono."
Rimasi a fissare il telefono. Lei stava alludendo chiaramente alla sera sul balcone.
"Magari… ci sei rimasto colpito anche da altro, vero?" aggiunse.
Deglutii. "Beh… sì… è che… sei bellissima anche fisicamente. Mi piace come ti muovi, e… sì, anche il tuo corpo. È impossibile non notarlo."
"Impossibile?"
"Sì… impossibile. Sei… perfetta."
Dall’altra parte arrivò solo un’emoji con le guance arrossate, seguita da: "Non so se arrossire o arrabbiarmi."
"Spero la prima" scrissi, cercando di alleggerire.
"Vedremo…" rispose lei, lasciando un alone di ambiguità.
Tommaso rimase immobile per qualche secondo, il telefono ancora caldo tra le mani, con un sorriso nervoso e il cuore che batteva forte. La conversazione con Giorgia si era fermata lì, lasciando un silenzio pieno di tensione e desiderio, e lui si sentì improvvisamente arrossire senza motivo preciso.
«Ok… respira», si disse, mentre scostava i capelli dal volto e si alzava dal divano. «Meglio una doccia… chiarirà un po’ le idee.»
In bagno l’acqua calda scivolava sulla pelle e il vapore gli avvolgeva i pensieri. Cercava di distrarsi, di concentrarsi sulla sensazione dell’acqua, ma non riusciva a togliersi dalla mente il viso di Giorgia, il suo sorriso, il suo imbarazzo timido e… quella domanda che ancora gli ronzava nella testa: cosa le piaceva di lui?
Uscì dalla doccia con l’asciugamano avvolto in vita, i capelli gocciolanti e il cuore ancora accelerato. Sul comodino, il telefono vibrava di nuovo. Lo prese e vide il messaggio che gli fece mancare un battito:
"Cosa ti piace di più fisicamente di me?"
Tommaso sentì un brivido percorrergli la schiena, un misto di eccitazione e imbarazzo. Si appoggiò al muro, il respiro un po’ affannoso, mentre cercava di capire come rispondere senza sembrare invadente ma allo stesso tempo sincero.
Tommaso fissò lo schermo per un lungo momento, le dita tremanti sul telefono. Con un sospiro cercò di essere sincero senza essere troppo diretto:
“Non lo so… davvero, non saprei scegliere… mi piaci tutta, davvero.”
Ci fu un attimo di silenzio, poi il messaggio di Giorgia comparve quasi subito, più intraprendente del solito:
“Davvero? E… cosa ti è piaciuto di quello che hai visto stasera?”
Tommaso sentì un brivido corrergli lungo la schiena e il cuore accelerare. Si morse il labbro, combattuto tra l’imbarazzo e la voglia di rispondere, consapevole che ogni parola poteva farla arrabbiare o farla sorridere.
Tommaso inspirò profondamente, sentendo il cuore battere all’impazzata, e digitò con esitazione:
“Ok… devo essere onesto… vedere il tuo seno stasera… mi è piaciuto tantissimo.”
Appena inviò il messaggio, sentì un misto di imbarazzo e eccitazione. Il telefono tremava leggermente tra le mani, mentre lui si chiedeva come Giorgia avrebbe reagito, consapevole che quella confessione aveva abbattuto qualsiasi barriera di timidezza tra loro.
"Vuoi rivederlo?" chiede Giorgia.
Tommaso deglutisce, sentendo il cuore battere forte. "È un test?" risponde, cercando di mantenere la calma, ma già sa che sta perdendo la battaglia contro il desiderio.
"No," dice lei "voglio solo onestà."
Lui annuisce, incapace di resistere. "Sì... sì, lo voglio vedere."
Passano pochi secondi—un'eternità per me— un altro messaggio arriva. Una foto. Le tette perfette di Giorgia, in primo piano, la pelle liscia e morbida, i seni pieni che spingono verso l'obiettivo. L'areola chiara, piccola, proprio come piaceva a lui.
Non potevo credere ai miei occhi. Giorgia era esattamente come l’avevo immaginata, e vedere la sua foto così da vicino mi lasciava senza fiato. Il mio cuore batteva forte, un misto di sorpresa e desiderio che mi travolgeva. Ero attratto, incapace di distogliere lo sguardo, mentre ansia e curiosità mi scuotevano.
Avevo cercato di calmarmi sotto la doccia, ma ora, sdraiato sul letto con il cellulare in mano, tutto il resto sembrava svanire. Ogni messaggio, ogni piccolo gesto di Giorgia mi faceva sentire vivo e incredibilmente vicino a lei, anche se tra di noi c’era quella distanza.
Immediatamente faccio scivolare la mano sul mio membro completamente eretto, la voglia era enorme e iniziai a masturbarmi, il movimento era già veloce, l’eccitazione tanta, ma un altro messaggio arrivò
“Ti piacciono?” comparve sullo schermo.
esitai un attimo, poi scrissi: “Sì… tantissimo. Sei incredibile.”
Il movimento della mia mano era incredibilmente veloce, la volevo, come un bambino desidera un giocattolo, Giorgia era già preda di ogni mio pensiero, la volevo con me, sul mio letto, nuda, a segarmi il cazzo, succhiarlo, prendere ogni suo buco, prendere la sua verginità e lei la mia.
Ormai preda dei miei istinti più animali, voglioso scrissi “Giorgia, sei stupenda, non la prendere male, ma mi sto segando guardando le tue tette… ti voglio”
La sua risposta fu una semplice emoticon imbarazzata
“Vuoi vederlo?”
“Non so” rispose lei.
Eccoci… sempre lo stesso copione. Avevo già avuto qualche esperienza di sex chatting, ma non avevo mai capito perché, alla fine, si tirassero sempre indietro quando si parlava di mostrarsi. Eppure stavolta era Giorgia… lei, che mi mandava una foto di sua spontanea volontà, perché non voleva vedermi?
Il movimento della mia mano era frenetico e praticamente solo il mostrarlo poteva darmi piacere, decisi di insistere
“Ti prego Giorgia, non resisto, guardalo una sola volta non te lo chiederò più, mi sta facendo male”
Giorgia rispose…
“Ok…”
Già l’ok mi stava facendo venire, azionai il video invece che la foto, appena in tempo, presi gli ultimi due movimenti e si vede lo sperma uscire alla velocità di un proiettile, diversi schizzi uscirono, uno mi colpì anche il mento, ero tanto eccitato. Il movimento rallentò e inviai
Il cuore batteva a mille, vidi che lo aveva aperto, poi scrisse
“Bello...” con la solita emoticon imbarazzata
“Scusa Giorgia, ero tanto eccitato e mi dispiace, come vedi non è nemmeno un cazzo grande”
Rispose subito
“Non importa… è carino… ma veramente ti eccito così tanto”
“Beh hai visto”
Mi stavo ancora riprendendo da tutto quando decisi di scriverle un’ultima cosa.
Mi stavo ancora riprendendo da tutto quando decisi di scriverle un’ultima cosa,
"Giorgia… era la prima volta che facevi… queste cose, tipo sex chatting?" scrissi, cercando di non sembrare troppo curioso ma sincero.
Ci fu un momento di silenzio, e poi arrivò il suo messaggio.
"Sì… è la prima volta," ammise, e si sentiva qualcosa di timido nel testo, "alcuni avevano provato a mandarmi foto intime, ma li bloccavo subito. Però… stavolta… beh… è stato imbarazzante, ma mi è anche piaciuto."
Sorrisi mentre leggevo, un po’ sollevato e un po’ emozionato.
"Anche a me…" risposi semplicemente, e sentii che era perfetto così.
Dopo qualche minuto, ci scambiammo ancora un paio di messaggi brevi, giusto per salutarci. Alla fine scrivemmo quasi nello stesso momento:
"Buonanotte, emoticon del bacio e emoticon del cuore rosso."
E con quel semplice gesto, con un bacio e un cuore rosso sullo schermo, chiudemmo la serata, entrambi con un sorriso nascosto sul volto.
Mi svegliai quella mattina con un sorriso che non riuscivo a trattenere. I pensieri della notte precedente mi scaldavano ancora il cuore, e un senso di felicità mi accompagnava mentre aprivo gli occhi. Presi il cellulare e scrissi subito “Buongiorno”, poi mi alzai e mi incamminai, cercando di assaporare la leggerezza della giornata.
Però, i minuti passavano e non arrivava risposta. Ogni volta che il telefono vibrava, il cuore mi balzava, sperando fosse lei, ma nulla. Solo a metà mattina mi arrivò un suo messaggio: “Buongiorno.” Breve, distante, eppure abbastanza per farmi sentire un briciolo di sollievo.
Risposi cercando di sembrare calmo: “Tutto bene?”
Lei non aggiunse altro, solo un lapidario “Dobbiamo parlare.”
Un brivido mi percorse la schiena. Paura, ansia, tensione… tutto insieme. La mia mente correva a mille pensieri, chiedendosi se avevo fatto qualcosa di sbagliato, se l’avevo messa a disagio. Scrissi subito: “Va bene, stasera.” Cercavo di mostrarmi tranquillo, ma il cuore batteva troppo forte.
La sua risposta non arrivò subito, e quando finalmente arrivò, mi fece sussultare: “Qualche giorno.”
I giorni seguenti furono un tormento. Ogni suono, ogni vibrazione del telefono mi faceva saltare il cuore. Passavo la sera sul balcone, sperando di vederla, ma le tende erano sempre chiuse, e Giorgia non usciva. Mi sentivo impotente, ansioso, un nodo nello stomaco che non si scioglieva.
Dopo un paio di giorni di quella angoscia silenziosa, il messaggio che aspettavo finalmente arrivò: “Va bene stasera?”
Il cuore mi balzò in petto, un misto di tensione e sollievo. Annuii, teso, le mani leggermente tremanti mentre rispondevo.
La sera arrivò lentamente, ogni minuto un’eternità. Mi rimisi sul balcone, lo sguardo fisso verso la sua finestra, le mani in tasca. Il silenzio era pesante, quasi insopportabile, finché finalmente udii un suono che fece sussultare tutto il mio corpo: il campanello.
Corsi verso la porta, il cuore che martellava, e aprii.
Ed eccola, davanti a me. Bella come sempre. Gli shorts cortissimi, il top bianco che ricordavo perfettamente dalla notte in cui l’aveva spiata. Un misto di emozione e sorpresa mi travolse. Il respiro si fece più rapido, le mani leggermente tremanti. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, il cuore in gola, mentre la vedevo lì, a pochi passi da me, reale, incredibilmente vicina.
La invitai ad accomodarsi, cercando di mantenere la voce calma, nonostante il cuore battesse forte. Entrò con passo incerto, lo sguardo un po’ basso.
“Casa carina” disse, facendo un sorriso imbarazzato, “anche se un po’ piccola.”
“Sì, è piccola, ma accogliente” risposi. Le offrii da bere e un piatto con due patatine, poi ci sedemmo al tavolo, a una distanza che sembrava insieme minima e immensa.
Ci fu un attimo di silenzio, un peso nell’aria che sentivo su di me come un nodo nello stomaco. Alla fine presi l’iniziativa. “Allora… cosa volevi dirmi?” chiesi, cercando di non far trasparire l’ansia.
Giorgia abbassò ancora lo sguardo, le mani intrecciate sul grembo. “Tommaso… penso… penso che quella sera sia stato un errore fare sex chatting” disse a fatica, la voce tremante. “Ero… eccitata, sì, ma… ora mi sento… come violata.”
Il cuore mi si strinse. “Mi dispiace tantissimo” balbettai. Cercavo di avvicinarmi, ma senza invadere il suo spazio. “Non era mia intenzione farti sentire così, voglio solo che tu stia bene.”
Lei annuì appena, senza alzare lo sguardo, e io sentivo l’ansia crescere, la tensione tra noi come un filo sottile e teso. Continuammo a parlare, lentamente, io cercando di tranquillizzarla, ascoltando ogni sua parola e rispettando il suo ritmo.
Alla fine mi alzai e mi accucciai accanto a lei. Le presi delicatamente la mano e le mostrai la chat, dove avevo cancellato la foto. Il gesto sembrava parlare più di mille parole: “Vedi? È sparita. Non voglio farti del male.” Poi la abbracciai piano, sentendo il calore del suo corpo contro il mio. “Sei importante per me” sussurrai, “voglio solo renderti felice. Non farei mai niente che ti possa ferire.”
Sentii le sue spalle rilassarsi leggermente contro di me, e poi qualche lacrima scivolò sul suo viso. Mi chinai verso di lei, delicatamente, e le appoggiai le labbra sulle sue.
Il bacio fu lento, dolce, un’esplosione di emozioni trattenute: il calore dei nostri corpi, il profumo della pelle, il battito dei nostri cuori che sembrava sincronizzarsi. Ogni esitazione sparì, sostituita da un senso di protezione, affetto e desiderio. Sentivo la sua fronte appoggiata contro la mia, le mani che si stringevano alla mia schiena. Era un bacio romantico, carico di sentimento, un momento di intimità sincera in cui entrambi eravamo presenti, vulnerabili e vicini.
Quando ci staccammo, restammo ancora vicini, respirando insieme, e il mondo fuori sembrava sparire.
Seduta accanto a me, Giorgia abbassò lo sguardo e, con un filo di voce, disse: “Tommaso… quello… quello era il mio primo bacio.”
Il cuore mi saltò un battito. La sorpresa e la tenerezza si mescolavano insieme. Vedevo la sua confusione, la paura nei suoi occhi, e sentivo il bisogno di proteggerla, di farla sentire al sicuro. “Non devi avere paura” le dissi piano, accarezzandole appena la mano. “Non succederà nulla che ti faccia star male. Ti prometto che ci muoveremo al tuo ritmo.”
Notai un lieve sorriso sulle sue labbra, ancora imbarazzata ma rassicurata. “Andiamo sul divano” proposi, cercando di mantenere la voce morbida, “guardiamo un film, così ti rilassi un po’.”
Si spostò accanto a me e, scrollando Netflix, scelse un film. Ci sedemmo vicini, abbracciati, e pian piano sentii la sua testa appoggiarsi sulla mia spalla. Il calore dei suoi capelli contro il mio petto mi fece sentire incredibilmente vicino a lei.
Durante il film, le nostre labbra si sfioravano di tanto in tanto, piccoli contatti che mandavano brividi lungo la schiena e un senso di anticipazione che cresceva costantemente. Ogni volta, un sorriso imbarazzato, un piccolo tremito, e poi di nuovo lo sguardo sullo schermo, come se volessimo far finta di niente.
Ma il film divenne presto solo uno sfondo: i battiti dei nostri cuori, il respiro vicino, la vicinanza dei nostri corpi prendevano il sopravvento. Sentii la sua mano cercare la mia, e io l’accolsi senza esitazioni.
Alla fine, ci fermammo. I nostri sguardi si cercarono nel buio della stanza, e non servivano più parole. Lentamente, con il cuore in gola, iniziammo a baciarci, prima delicatamente, poi con passione crescente, abbandonandoci completamente alle emozioni che ci travolgevano. Ogni carezza, ogni contatto delle labbra, era un’esplosione di desiderio e dolcezza insieme. Il mondo fuori era scomparso, lasciando solo noi, persi l’uno nell’altra.
Non so quanto durò quel bacio, ma la passione ci travolse completamente. Sentivo l’eccitazione crescere dentro di me, un calore che mi avvolgeva e mi faceva tremare, il mio cazzo si stava ergendo e i boxer e i pantaloni era una gabbia per lui. Con la mano cercavo di sfiorare i suoi glutei e lei non si ritraeva, anzi, sembrava quasi cercare il contatto, un segnale che mi incoraggiava. Iniziai a palpare, cercando di capire i suoi limiti, sentendo la sua pelle sotto le dita, la morbidezza e la tensione che trasmetteva. Più lo palpavo più sentivo le ore di allenamenti per raggiungere quel risultato, i suoi glutei sodi erano qualcosa di eccezionale, una cosa che molte ragazze avrebbero invidiato. La sensazione era incredibilmente piacevole, un corpo così sodo e armonioso da fare invidia a chiunque; si vedeva che fosse un’atleta, ma era lì, completamente mia.
Lei mi baciava e ansimava, ma i suoi occhi tradivano un lieve blocco, un timore che la rendeva fragile e meravigliosamente sincera. Decisi di osare, presi la sua mano e la avvicinai a me, sentiva il cazzo crescere nei pantaloni e piano piano, con movimenti circolari, lo accarezzava, facendo eccitare, ma non cedetti cercando di trasmetterle sicurezza attraverso il contatto.
Lei rimase leggermente sorpresa, ma piano piano si rilassò e iniziò a stringere la mia mano con forza crescente, come se stesse imparando a lasciarsi andare. Si staccò leggermente, mi guardò e con voce tremante disse:
“Non lo so… è la mia prima volta.”
Le accarezzai il volto, cercando di trasmetterle calma e comprensione, e le dissi:
“Amore… anche per me, facciamo solo quello che ci sentiamo.”
Lei mi guardò con occhi pieni di dubbio e poi disse timidamente:
“Amore?”
“Sì! Amore… Giorgia… ti amo!”
E la baciai di nuovo, con tutto il sentimento che avevo dentro. Lei ricambiò, e quando ci staccammo, mi guardò con gli occhi lucidi:
“Anche io ti amo” disse arrossendo, e il suo viso era bellissimo nella luce soffusa della stanza.
Sentii che era il momento di prendere l’iniziativa. La feci sdraiare sul divano, cercando di trasmettere sicurezza e dolcezza. “Fidati, andrà tutto bene,” le dissi. Con calma, la avvicinai a me, rispettando ogni sua esitazione. Notai la sua timidezza, il leggero tremore nelle mani, ma anche la volontà di affidarsi a me.
La baciai ancora, le accarezzai il corpo con delicatezza, e sentii la sua risposta crescere sotto le mie mani. Lei era viva tra le mie braccia, ogni respiro, ogni sospiro diventava musica, e io seguivo quel ritmo con attenzione. La sua pelle calda, il battito accelerato, la tensione che si scioglieva tra noi: era tutto così intenso e reale.
Poi, presi un momento per fissarla negli occhi, cercando di darle sicurezza. “Fidati… sentirai solo piacere,” le sussurrai.
Le nostre labbra continuavano a sfiorarsi, e piano piano iniziammo a esplorare il contatto con delicatezza e attenzione reciproca, rispettando ogni sua reazione. Lei ansimava, il corpo si muoveva al ritmo dei nostri baci, dei nostri sguardi, delle mani che cercavano e trovavano il calore dell’altro. Ogni gesto, ogni carezza, aumentava la complicità tra noi, e il mondo fuori dalla stanza sembrava scomparire.
Mi abbassai, gli shorts ormai tolti e solo una brasiliana mi separava dal mio obbiettivo, toccai le mutandine ed erano bagnate, era eccitata, come lo ero io. Le abbassai piano piano, certo di ricevere più resistenza, ma lei ormai era presa solo dalle sue sensazioni e guardai. Finalmente potevo vedere il mio sogno, l’oggetto dei miei desideri da alcuni giorni, ero lì, per la prima volta a pochi cm da una vagina, bagnata, ed era necessario che non vacillassi. Eravamo tutti e due inesperti, ma era chiaro che io avevo l’iniziativa.
Facendomi trascinare dalle sensazioni tirai fuori la lingua e leccai la sua vagina da cima a fonda con una leccata lenta e profonda, i suoi umori li sentivo sulla lingua, forti e pungenti, ma era un sapore che mi piaceva e volevo. La guardai, quante volte avevo visto quella parte femminile nei porno, ma ora era di fronte a me, vera, con quell’odore pungente che uno schermo non può dare, continuai a leccare e sentì Giorgia ansimare, cercavo con lo sguardo di guardarla ma la sua testa era inclinata all’indietro e non riuscivo a vederla.
Dopo qualche minuto decisi di usare anche le dita e andai con le dita dentro, era un lago e entravano subito e con la lingua mi concentrai sul clitoride. Questo cambio la fece urlare un attimo e istintivamente portò le mani sulla mia testa e mi spinse. Le stava piacendo, molto, ero felicissimo, stavo facendo godere una ragazza con la lingua e dita.
I suoi umori aumentavano e io leccavo tutto, fermandomi anche ad ingoiare la saliva mista di quegli odori, mi piacevano e mi eccitavano. Il mio cazzo ormai era marmo puro, decisi di togliermi pantaloni e mutande e iniziai a segarmi mentre continuai a leccarla.
Giorgia venne dopo qualche minuto, mi guardò e rimase sorpresa di vedermi completamente nudo
“Posso toglierti il top?” le chiesi
Lei annui, e con lentezza tolsi l’unica cosa che ancora aveva addosso, quei seni uscirono e i suoi capezzoli, rigidi come non mai mi guardavano. Iniziai a succhiare e stuzzicare anche quelli, lei ansimava ma allungò la mano verso il mio cazzo e lo prese. Era completamente bagnato, in fondo era la prima volta anche per me, iniziò a muoversi lentamente e segarlo. Mi staccai, la guardai “Succhiamelo amore”
Lei arrossì, ma mi alzai, e lo puntai sul suo viso, lei aprì la bocca e lentamente entrò
Fu una sensazione unica, il caldo della bocca, allora quella era la sensazione di un pompino, iniziai io a scoparle la bocca, lei teneva le labbra serrate e basta, ma solo sapere cosa stavo facendo mi eccitava.
Nonostante la mia inesperienza le dissi:
“Amore, prova a succhiare, come se fosse una cannuccia”
Lei allora iniziò e provai un piacere mai provato prima, sentivo che stavo per esplodere di piacere, ero in preda a lei.
Cercai di resistere, ormai volevo anche fare l’amore con lei.
Le dissi
“Facciamo l’amore”
Lei rispose
“Si, voglio farlo”
Ero appena uscito dalla sua bocca, lei allargò le gambe, la sua vagina aperta che chiedeva solo me, inspirai profondamente, era arrivato il momento, puntai la cappella, sentivo caldo e umido e spinsi.
Ero dentro, la sensazione assomigliava a quella del pompino, ma era più avvolgente, iniziai a muovermi fuori e dentro e dopo pochi minuti il movimento veniva spontaneo per entrambi. Il nostro piacere era enorme, stavamo ansimando e lei urlava anche, la sensazione di stretto iniziale stava svanendo.
La mia resistenza era al limite, sapevo però che non potevo sborrare dentro, uscì e nel mentre molti schizzi la colpirono, pancia, seno, mento e nel frattempo urlavo il mio piacere mentre lei ansimava, il suo respiro era un turbine impetuoso, un fiatone così intenso che nemmeno nelle sue gare più faticose avrebbe mai avuto, come se ogni molecola del suo corpo stesse correndo all’impazzata inseguendo il piacere.
Era venuta anche lei, aveva ancora gli occhi chiusi, guardai il mio cazzo, sporco di sangue, fortuna sapevo che sarebbe potuto succedere. Il mio seme in ogni parte del suo corpo e lei curiosa, con un dito lo assaggiò.
La baciai, sentendo anche il mio sapore
“Giorgia ti amo” dissi sincero
“Anche io Tommy, sono felice”
Dopo quei momenti, ci alzammo insieme, ancora tremanti e con il cuore che batteva all’impazzata. Ci dirigemmo verso la doccia, e l’acqua calda che scivolava sulla pelle sembrava cancellare ogni residuo di tensione, lasciandoci solo calore e vicinanza. Le mani si cercavano quasi automaticamente, sfiorandosi con delicatezza e desiderio, mentre ridacchiavamo piano, imbarazzati e felici allo stesso tempo.
Quando tornammo a letto, ci sdraiammo l’uno accanto all’altro, completamente nudi, e ci strinsi tra le braccia. Sentivo il suo respiro calmo e irregolare contro il mio petto, la sua pelle morbida e calda sulla mia. Ci baciammo ancora, questa volta senza fretta, assaporando ogni contatto, ogni sfioramento, come se il mondo esterno non esistesse.
Piano piano, le mani si intrecciarono, le dita si cercavano, i cuori battevano all’unisono. Ogni carezza era un messaggio silenzioso: «Sei al sicuro con me». E nel buio della stanza, tra il calore dei nostri corpi e il suono dei nostri respiri, ci lasciammo cullare dal sonno. Ci addormentammo stretti, abbracciati, con i cuori ancora pieni di emozione e sorrisi appena accennati. Da quel momento, nessuno e niente riuscì più a separarci.
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