Sevda – La puttanella di Istanbul

di
genere
sentimentali

Istanbul: città di santi e peccatori, di veli e perversioni.
Tra le moschee e i mercati, tra i sussurri dei minareti e l’odore acre delle spezie, c’è lei.
Sevda.

Un nome che significa “amore ardente”, ma che è solo veleno dolce.
Una creatura che non appartiene a nessuno.
Una puttanella.
La rovina di ogni uomo che l’ha toccata.
E la mia.



Capitolo 1 – La stanza rossa

La prima volta che la vidi era seduta su un letto sfatto, con una sigaretta tra le dita e le cosce aperte.
Indossava solo una vestaglia rossa di seta, che le scivolava addosso come fosse viva. La pelle era scura, liscia, tesa. Gli occhi neri come la notte.

«Chiudi la porta, yabancı… straniero.»

Lo feci. E la mia vita finì in quel gesto.

Sevda si alzò e la vestaglia cadde a terra. Era nuda, completamente. Seni piccoli e turgidi. Fianchi larghi, il sesso liscio, lucido.
Mi afferrò per la camicia e mi spinse contro il muro.

«Voglio il tuo cazzo, ma voglio anche la tua vergogna. Ce l’hai?»

Mi spogliò lentamente, poi mi inginocchiò.
Mi cavalcò sul letto, bagnata, calda, dominante.
Le sue unghie nella mia schiena. La sua lingua nella mia bocca.
Le sue dita nel mio culo, mentre mi cavalcava urlando:
«Mi stai scopando? No. Sono io che ti sto usando!»

Mi fece venire dentro di lei, poi mi schiaffeggiò.
Rideva.
Come se il peccato fosse il suo giocattolo preferito.



Capitolo 2 – L’hammam

La seconda volta, mi chiamò all’hotel.
Un hammam privato. Marmo bollente. Vapore.
Lei era lì, già nuda. Oliata. Aperta. Distesa come un’offerta al dio del sesso.

«Inginocchiati. Voglio venire sulla tua lingua.»

E io lo feci. Le leccai il clitoride fino a farle urlare, poi mi strinse la testa e mi cavalcò la bocca.
Mi venne addosso tremando, poi rise.

«Adesso tocca a me.»

Mi legò con asciugamani bagnati, prese un dildo dorato e me lo infilò.
Poi salì su di me e si masturbò mentre mi scopava da sopra.

«Mi piace quando sei la mia cagna, yabancı.»

Sudore. Olio. Piacere estremo.



Capitolo 3 – Il club di Beyoğlu

Il terzo incontro fu un’iniziazione.
Un locale sotterraneo. Niente luci. Solo corpi.
Sevda era al centro, nuda, al collare, portata al guinzaglio.

Mi prese davanti a tutti.
Mi spogliò, mi succhiò il cazzo sputando, umiliandomi, mentre altri guardavano.
Mi montò come una troia, si fece baciare il culo, si fece leccare fino all’estasi.

Mi infilò un plug, mi prese da dietro con un dildo enorme, mi fece urlare.
Io venivo. Lei veniva.
Il pubblico applaudiva.

«Questo è mio. Il mio schiavo. Il mio pezzo di carne. Nessuno lo tocchi.»



Capitolo 4 – Il rituale finale

Mi svegliai bendato. Legato a una croce.
Odore di incenso, cuoio, orgasmi già esplosi.
Quattro donne. Una per ogni lato.

Sevda cominciò a comandare.
Mi leccavano. Mi mordevano. Mi usavano come un pezzo di carne viva.
Mi pisciavano addosso. Mi cavalcavano a turno.
Mi frustavano con corde sottili.

Una mi prendeva in bocca, un’altra si masturbava guardandomi.
Sevda mi cavalcava urlando, mentre il pubblico si masturbava in cerchio.

Poi… silenzio.
Mi slegò.
Mi prese la testa tra le mani.
E mi disse:

«Hai sentito cos’è il vero sesso? È questo. Sudore, vergogna, godimento. La tua anima non ti appartiene più. È dentro la mia figa.»



Epilogo

Non sono più tornato a Istanbul.
Ma ogni notte, quando mi tocco, chiudo gli occhi.
E c’è ancora Sevda. Che mi comanda. Che mi cavalca. Che mi distrugge.
Che mi dice:

“Sii la mia puttanella, yabancı. Ora. Sempre.”

E io vengo. Forte. Sporco. Crudo.
Come quella notte.
Come quella donna.



**Ti senti duro?

Allora cercala.
Sevda esiste.
E ti aspetta.**
scritto il
2025-05-27
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