La notte che cambiò la mia vita: deflagrazione

di
genere
sentimentali

La notte che cambiò la mia vita il sole splendeva. Un bel pomeriggio di primavera, uno di quei giorni caldi che preannunciava l’afosa estate di Torino. Aprile, un mese di fioriture. Anni dopo il mese in cui sarebbe nata mia figlia. Ma in quell’Aprile qualcosa morì. Probabilmente una morte annunciata. Di quella morte l’odore si sentiva anche prima, ma lo ignoravo. Tutti lo ignoravamo. Aleggiava, si poteva percepire nelle frasi mozzate, nelle allusioni, nei discorsi impossibili. Ma tutti si fingeva che ogni cosa fosse normale.
Fino a quel giorno. Per me, il giorno dei giorni.
Se non avessi deciso di fare la Cresima con ogni probabilità quella notte non sarebbe scesa. Dire oggi se sarebbe stato meglio non lo so. Di certo i segreti non fanno bene. Un segreto che è inscritto nel mio corpo, dal quale comunque non sarei potuto sfuggire. Almeno ora so.
Almeno in parte il diavolo ha una forma. Indistinta, oscura, ma pur sempre una forma.
Quel giorno tornai con in mano la busta bianca consegnatami dalla parrocchia dove avevo ricevuto il battesimo. Un obbligo ai tempi. Per fortuna che già nel 1964 lo Stato era laico!
Non capivo la reticenza dei mei genitori ad indicarmi la parrocchia. Certo mio padre era ateo, o meglio credeva nel Dio Comunismo ma quello, escluse le sedi del partito, non aveva luoghi di culto riconosciuti. Magari gli rompeva dover ammettere di aver ceduto alle insistenze di mia madre, o del parroco o del medico o di chi sa chi. In ogni caso alla fine dovettero dirmelo, anche perché senza quel documento niente Cresima.
Mi stupì, in effetti. Una chiesa della prima collina torinese. Strano. Da che mi ricordavo casa nostra, prima del trasferimento in Via Cialdini, era nella periferia nord della città. Quindi perché ero stato battezzato lì?
In ogni caso nessuno mi fece storie per la consegna ed io, busta in mano tornai a casa.
All’arrivo trovai i miei in conclave. Scuri, tesi, evidentemente a disagio. Avevano preparato una sorta di tavolo del consiglio.
Mi fecero sedere, dicendomi che dovevano parlarmi di una cosa importante. Una cosa che non mi avevano mai detto. A distanza di così tanti anni sono convinto che mai me lo avrebbero detto. Che tutto sarebbe stato sepolto con loro.
A parlare fu mio padre. Mia madre taceva, non mi guardava. Era evidente che era in una tensione dolorosa, uno spasmo quasi.
Cosa mi disse mio padre? Con calma, con quella lucidità e razionalità che lo hanno accompagnato per tutta la vita, corazza inespugnabile, dosando modi e parole, mi comunicò la notizia più deflagrante che mi si potesse dare: lui non era mio padre.
Non il padre biologico, almeno.
La mia nascita era stata un errore. Così disse mia madre, e fu una delle poche cose che disse: ho fatto un errore. Un incontro con un uomo, poi rivelatosi sposato, seguito da altri in un alloggio a Torino. E un giorno, l’errore. Sono figlio di un coito mal interrotto. Doppio errore quindi.
Lui sparì, non si fece mai più vedere. Mi dissero che un giorno lo incrociammo, io nel passeggino e lui a spingerne un altro. Se le cose stessero così dovrei avere un fratellastro o una sorellastra. Se ce ne sono altri, questo lo ignoro.
Cosa feci o casa dissi io non lo so. La notte calò. Nera, profonda, popolata di mostri e demoni. Mi dissero che ebbi una reazione violenta, che ruppi ogni cosa mi fosse venuta sotto le mani. Non ricordo nulla. Solo buio. Potrei dire uno stato dissociativo.
Da quel giorno la sensazione di essere un errore non mi ha più lasciato. Cero mi ripeto che non è così. Che ho fatto molte cose buone, che la mia vita ha avuto ed ha un senso. Mia figlia. Il mio lavoro. Il mio matrimonio. E poi insomma, poteva andarmi peggio. Mio padre ha fatto tutto quello che sapeva per crescermi. E sento che nonostante tutto mi ha amato, come sapeva e come poteva. Perché se dovessi scrivere della storia di questa famiglia non sono certo che la mia sarebbe la storia peggiore.
Ma questa è razionalizzazione. Dentro, quel sottile disagio lo sento ancora oggi. Ci convivo, non potendo fare altro.
L’ho sentito dopo il mio tradimento. Eccoti qui, papà. Alla fine, hai vinto tu. Senza mai averti conosciuto ho finito per assomigliarti. Di te so solo un nome: Luigi. Un lavoro: macchinista ferroviere. Per il resto sei un’ombra. Un’ombra densa, presente. Hai ragione Fede, il diavolo può tutto con la fantasia. Può tanto che ancora oggi mi chiedo se quanto so di lui sia vero o falso. Se anche questo sia una menzogna.

So che non è così, che non sono come lui. Lo so. Ma non sempre lo sento, che conta assai di più.
E per rispondere a te, Yuko, ti dico sì. Ci penso sempre a quel viaggio che uno Y compì, per errore, 57 anni fa. A come avrebbero potuto andare le cose. Fregò tutti e superò quei 42 cm che separavano esistenza e mancanza. Vinse la vita.
E vita sia

PS: grazie Sam. Di avermi concesso il titolo. Ma ancora di più grazie per aver scelto in modo diverso. Per non essere fuggito. Per aver amato quel figlio inatteso e non aver abbandonato la madre. Per non averlo consegnato all’oblio o, e forse ancor peggio, all’errore. Spero che possa capire un giorno quanto sia stato fortunato.
di
scritto il
2021-09-01
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