Io & Lui

Scritto da , il 2021-04-01, genere etero

Lui. Seduto sul divano che ha solo il cazzo di fuori. Anzi ce l'aveva. Adesso è dentro di me.

Io, invece. Nuda a parte le calze, che lo cavalco mentre mi tiene le mani sul culo e ansimando gli dico "sei un pezzo di merda" e mi aggrappo alla spalliera del divano.

Lui. Che risponde "lo so" e continua imperterrito.

L'attesa dell'orgasmo è essa stessa un orgasmo, poi l'orgasmo vero e proprio che arriva e mi ammazza mentre urlo frasi sconnesse. Le ricerca e l'attesa del secondo. O del suo.

Lui. Che dice "troiaggine batte sensi di colpa due a zero".

Io. Che vengo altre due volte in sequenza e comincio a tremare come una foglia con la convinzione assoluta che al prossimo morirò davvero.

Lui. Che dura in modo inverosimile e che mi dice "non ho mai visto una zoccola godere come te" e mi stringe di più le chiappe riuscendo persino ad accelerare il ritmo.

Io. Che piagnucolo "stronzo, maiale, come cazzo fai?" e mi muovo con la sua carne conficcata dentro, che elemosino ogni sensazione possibile.

Lui. Che dice "signorina, voglio eiacularle in bocca", sottolineando con il suo eufemismo che solo uno tra noi due ha il pieno controllo della situazione.

Io. Che in un altro momento probabilmente riderei, che vengo disarcionata e precipito tra le sue gambe senza nemmeno riuscire a pensare.

Lui. Che lascia perdere l'eufemismo e mi dice ridendo "sei davvero una morta di cazzo".

Io. Che cerco di darmi un contegno dicendogli "lo sai che mi piace" quasi in un soffio.

Lui. Che ha una battuta per tutto e che risponde "anche se non ti piacesse non potresti farci nulla" mentre la sua mano è già dietro la mia testa.

Io. Che direi qualcosa di affermativo se solo non avessi già la lingua di fuori e la punta del suo cazzo che ci picchietta sopra.

E' il trionfo dell'odore e del sapore. Un attimo dopo invece è quello del suo grugnito rabbioso, del mio conato, delle lacrime agli occhi. Violenta, la sua spinta. E' subito in gola. Mi strozza, mi soffoca, mi fa gorgogliare come un lavandino stappato. Ma del resto non ha detto di volere un pompino, ha detto che vuole sborrarmi in bocca. E forse a mia volta non gli ho mai detto quanto mi piaccia così. Però sa che può farlo. L'ha già fatto.

Mi dispiace avere ingoiato così in fretta, volevo fargliela vedere.

Lui. Che sospira "puliscimi il cazzo, lo so che ti piace anche quello. E poi rivestiti che tra un po' tornano i miei".

Io. Che gli pulisco il cazzo e mi rivesto, ma che vorrei che mi scopasse ancora.

Allaccio le stringhe e penso a come avevo scelto di vestirmi per uscire stasera con lui. Total pink. Mini rosa, maglietta rosa, maglione rosa. Fishnet autoreggenti a rete piccola, sneakers. Un outfit da biondina deficiente ma studiato con cura, per un totale complessivo di almeno cinquecento euro. Mica stracci. Penso a quando mi ha detto di spogliarmi completamente mentre lui se lo tirava fuori e cominciava a menarselo. Penso a come mi sento quando resto nuda di fronte a un maschio vestito: "prendete e godetene tutti".

Mi faccio schifo per la voglia pulsante che ho, mi faccio schifo per quanto non mi è bastato. Mi faccio schifo per essere qui ma maledico i suoi genitori che stanno per tornare. Mi faccio schifo per la follia che devo reprimere altrimenti gli direi “fregatene, facciamoci beccare, mettimi a novanta e sfondami ancora e tirami per i capelli”.

Mi faccio schifo perché, mentre lui è in bagno, non posso fare a meno di ripensare a quando ha acceso la luce di questo salotto. Me la ripasso tutta quella scena che ha avuto luogo qui, in fondo, solo pochi minuti fa. Mi faccio schifo per il tormento che mi dà tenere le dita a posto.

I suoi rientrano e ci trovano in cucina che ci stiamo bevendo un cazzo di limoncello. No, dico, limoncello. Berrei qualunque cosa, ho voglia di ubriacarmi e scomparire. Invece mi alzo e mi presento con il sorriso della buona educazione, da ragazza che chiarisce alla madre “guardi che io mica sono una di quelle troie che suo figlio si sbatte, sono solo un’amica”.

- Resta a dormire – mi dice.

- E i tuoi? – gli rispondo – mi hai fatta pure rivestire ahahahah… comunque non posso.

- Una cosa è stare in camera mia un’altra farsi trovare a scopare in salone, dove pensi che dorma Kirsten quando viene qui?

- E Serena? Ha mai dormito qui?

- E’ capitato.

- Kirsten lo posso capire maaa… non ti dicono nulla del fatto che… sì, insomma…

- No, non hanno una mentalità così arretrata.

- Nemmeno i miei – rispondo – ma non credo che sarebbero contenti di trovare un ragazzo nel mio letto…

- La differenza è che Kirsten la amo davvero e loro lo sanno... - aggiunge facendomi rinunciare definitivamente all'idea di capire sia lui ma anche i suoi, a sto punto.

Mi alzo per andare al frigorifero e tirare fuori la bottiglia del limoncello. Mi stupisco di me stessa. Lui fa altrettanto, solo che mi viene dietro e mi mette la mano sul sedere.

- Dai, davvero, perché non dormi qui? Ho voglia di farti anche il culo… - mi sussurra all’orecchio.

E il bello è che non scherza. Voglio dire un altro magari facendolo sarebbe volgare, per provarci e vedere come va. Lui no. La sua è una notifica, punto.

Rido, forse leggera per la prima volta da quando sono entrata a casa sua.

- Perché ridi? - domanda.

- Lo sai come era cominciata la giornata? - gli faccio.

Era cominciata che, a volte, si dicono tante cose. Ecco come era cominciata.

"Se mi mette la lode giuro che do il culo a qualcuno stasera stessa, al primo che capita", avevo bisbigliato guardando dritto di fronte a me. Priscilla aveva soffocato una risata arrossendo un po'. La tensione pre-esame ti fa solidarizzare, qualunque cosa si dica. E poi lei è l'unica del mio corso con la quale mi allargo un po'. Non che sia un'amica o una ragazza alla quale direi proprio tutto tutto, ma almeno ci si può parlare. E anche scherzare. Oddio, qualche volta con lei scherzo un po’ pesante, è vero, ma sempre di scherzi si tratta. Una volta mi aveva chiesto "come faresti a far capire a un ragazzo che ti piace senza dirgli che ti piace?". "Boh, non so... - le avevo risposto - forse gli direi senti, se vuoi ti faccio un pompino". Anche allora si era messa a ridere imbarazzata, poi eravamo passate a parlare delle varie strategie di attacco. Di certo lei non immaginava e non immagina che, per me, quella, è davvero una delle possibili opzioni di attacco a un ragazzo.

Tra l'altro – ve lo dico gratis, non c’entra nulla – Priscilla mi fa sesso anche se non è bella. Un sesso strano, inconsueto per la sottoscritta, tipo dom. Me la vedo nuda e inginocchiata con le mani legate dietro la schiena mentre le ordino di leccarmela e le stringo i ricci con le mani. Una sera mi sono anche masturbata pensandoci.

Un attimo prima che mi chiamassero stavamo appunto parlando del fatto che lei con questo tipo non riesce ad andare né avanti né indietro. Ci sta proprio sotto, poverina. Ma era solo una delle diecimila cose che si dicono in quei momenti. Tutto pur di non parlare dell'esame imminente.

Quando invece ho finito e sono uscita dalla stanza del prof le ho fatto con aria finto-grave “stasera tocca proprio farmi sodomizzare…”. E’ scoppiata a ridere e anch’io, ci siamo abbracciate. Poi mi ha detto “potrebbe essere un’idea, dici che glielo mando a Giuliano un messaggio così?”. L’ho presa in giro sfidandola per scherzo “dai, fallo davanti a me, voglio proprio vedere”. Beh, la lode l’ha presa anche lei, ma non credo proprio che abbia fatto al suo spasimato una proposta del genere.

Ecco, perdonate la digressione, ma era per farvi capire che per me l’argomento-sesso, per tutta la giornata, poteva tranquillamente chiudersi lì, in quelle battute scaramantiche e un po’ zozze.

Mica per niente, ma se c’era una cosa cui non pensavo proprio era quella. Anzi, in realtà non riuscivo a pensare a nulla. Forse non avete idea di cosa sia l’orale di Algebra II, con quello che sta attento pure a come parli, e che cazzo. L’unica cosa che avevo in testa era andare a prendere quella mini nera a vita alta da Blue Marlin e lasciarmi saccheggiare la prepagata.

Invece nel pomeriggio, mentre mi asciugavo dopo la doccia post-jogging, è arrivato il messaggio di Lapo. “Fatto l’esame? Come è andata?”. Poi il suo “festeggiamo”, il suo “ti porto a cena”. Mica sono cretina, eh? Lo sapevo che intenzioni aveva. Ma tanto per cominciare mi andava davvero di festeggiare con qualcuno. E poi mi sono detta che mi sarei saputa controllare. L’avevo già fatto l’ultima volta che siamo usciti insieme. Lui mi piace molto, mi è sempre piaciuto, ma già quando stava con Serena era off limits. Ora che l’ha mollata, da un certo punto di vista, lo è anche di più. Avrei dovuto capire che qualcosa non andava quando, del tutto istintivamente, mi sono data un’occhiata per vedere se il mio inguine avesse bisogno di qualche colpetto di rasoio.

Affinché non ci fossero dubbi sul fatto che mi stesse corteggiando, mi ha portata in un posto che nessuno nella mia cerchia di conoscenze, a parte lui, potrebbe permettersi. E guardate che non frequento borgatari (beh no, Giancarlo se lo potrebbe permettere, mi sono anche detta, ma lui è over 40 e ha pure un bel lavoro che però non ho mai capito esattamente quale sia). L'ho anche rimproverato, perché poteva dirmelo e non mi sarei vestita come un confetto. Mi ha squadrata e - con una certa competenza, lo riconosco - mi ha detto che si vedeva benissimo che quello che avevo indosso era cachemire non tarocco e che la minigonna di Red Valentino doveva essere costata almeno duecento euro. Ci è andato vicino. "Le calze a rete sono un po' da liceale - ha sorriso - ma ci stanno, non sono nemmeno volgari". "E le Van's?", gli ho chiesto. "Beh, a me non fanno impazzire, ma personalizzate così sono carine". “Cioè, cazzo – gli ho risposto ridendo – la prossima volta dimmi tu cosa preferisci che mi metta…”. “Perché?”. “Ebbé, mi hai massacrata…”. “Ma no, sei sempre una gran figa… e io dico sempre ciò che penso”. Per un bel po' abbiamo anche parlato di nulla, tipo di come sarebbe venire a mangiare in un posto così da soli, in abito da sera. Una cosa che, abbiamo scoperto, a entrambi piacerebbe fare, se non altro per vedere che effetto fa.

Insomma l'ha presa molto alla larga – si capiva benissimo - finché non ha introdotto l'argomento "Serena". Ma in quel momento non mi sono accorta che stava gettando la rete. In un certo senso, anzi, ho avuto l'impressione contraria, che ci stesse ripensando. Mi ha chiesto come stava e se continuava a dare di matto, gli ho risposto che mi sembrava più calma. Gli ho nascosto il fatto che aveva trovato uno che la consolava. Poi a mia volta gli ho chiesto se ci abbia mai portato lei, in questo ristorante. Mi ha detto “lei no, ma un paio di ragazze sì, una forse l’hai anche conosciuta… è un posto che ti mette in buona luce”. “Ma allora perché Serena no?”. Gli ho domandato. Ve l’ho detto, in quel momento non avevo idea che le cose stessero per prendere una certa piega. “Con Serena non ce n’era bisogno”, ha risposto sfoderando un sorriso da vero figlio di puttana, anche se c’era dell’ironia nelle sue parole. “Ma quanto sei stronzo – ho riso – mi hai portata qui per…?”. “Ma no, con te è diverso, a te t’ho già timbrata…”. “Ahahahah… che onore allora! Certo che caro te costa…”.

- Ahahah, che c’entra, mica tutte…

- “Tutte”?

- Che c’è di male?

Obiettivamente, non mi stava raccontando nulla che non sapessi già o che non mi potessi aspettare. Quel “tutte” magari non è proprio “tutte” ma è un concetto molto ampio.

“Ma scusa, anche quando stavi con Serena?”, gli ho chiesto. In fondo però la risposta la conoscevo. “Beh, non è che con Serena ci passassi tutti i sabato sera…”. Appunto. “Ah, perché, il sabato sera…”, gli ho fatto con un’intonazione allusiva, da finta tonta. Mi ha indirizzato un’occhiata altrettanto allusiva: “Su, Annalì, perché tu? Che hai fatto sabato sera?”. “Nulla, ho studiato”, gli ho mentito. E perché l’ho fatto, francamente, non saprei dire.

- Ok, ma ce ne saranno stati altri ce ne sono stati altri, di sabato sera in molte cose io e te siamo uguali – mi ha detto fissandomi mentre maledicevo la linguaccia di Serena che di certo sul mio conto non è stata discreta.

L’ha detto continuando a fissarmi e mentre lo faceva qualcosa mi si è smosso dentro. In quel preciso momento ho capito che uscire con lui non era stata una grande idea. Invece lui, sempre in quel preciso momento e con il distacco di chi parla d’altro, mi ha detto “ti ricordi di quando ti ho messo un asciugamano in testa?”.

Sì, chiaro che me lo ricordo. Il buio improvviso, il senso di soffocamento, lui in piedi dietro di me che mi scopava senza sosta. Gli avevo chiesto di non farmi urlare. Ma sarà che ricordo chiama ricordo, a me è venuto in mente piuttosto quando gli ho chiesto di sculacciarmi e lui l’ultima me la diede con la cinghia mentre Serena diceva “no, così le fai male”. E lo so benissimo perché mi è venuto in mente. Perché mi detestavo per essere uscita con lui e perché avrei meritato di essere punita. Cazzo, quanto mi detestavo.

- Lapo, ti detesto quando fai così - gli ho fatto.

- Perché?

- Lo sai il perché.

- No che non lo so.

- Perché hai appena scaricato Serena e adesso ci provi con me che sono la sua migliore amica.

- Ma non è vero!

L'ho guardato malissimo, rinunciando a dirgli "mi prendi per il culo?" solo perché sarebbe stato capace di rispondere "no, quello l'ho già fatto". Gli ho detto invece "andiamo a fumare, va'" visto che l'antipasto di ostriche lo avevamo finito.

Me ne ha data una delle sue. Non sono abituata, alla prima tirata ho avuto i brividi e mi è girata la testa. Passato subito, ma nel frattempo lui ne ha approfittato per accarezzarmi una guancia e tirarmi una ciocca dietro l'orecchio. Mi sono appoggiata con le spalle e una suola al muro. Desideravo un'altra carezza, desideravo i suoi polpastrelli sulla mia pelle un'altra volta. Ero sempre più incazzata con me stessa.

- Lo sai che per me sei sempre stata speciale, no?- mi ha detto.

- Certo... - gli ho fatto ironicamente. Non mi pare me lo abbia mai dimostrato. Anche se, quando dice che tra noi c'è una empatia naturale, dentro di me penso che qualche ragione ce l'abbia.

- E' così... tu mi fai sempre venire voglia di farti sedere sulle mie gambe e abbracciarti piano.

L'ho guardato come se fosse sceso in quel momento da un treno che veniva da Marte. Così era un po' troppo. Anche se nei panni dell'adulatore non ce lo vedo molto. Sarà pure stato sincero, ma mi faceva un effetto strano. Il "tenero Lapo" anche no, dai.

- Non ti ricordo particolarmente delicato, forse mi confondi con un'altra ahahahahah... - gli ho detto, un po' meno convinta della mia ironia.

- Ma se ti ho sempre portata in palmo di mano - mi ha sorriso lui.

- Ti ricordo che mi hai anche presa a cinghiate... - ho sussurrato.

Bum, l'ho detto. Non dovevo, non volevo, ma l'ho detto. Evidentemente non era poi così vero che non volevo dirlo. O forse era stato quel sorriso.

- Me lo ricordo benissimo - ha detto guardandomi impietosamente - è una cosa cui ho pensato spesso... e l'ho anche rifatta, sai? ma non è stata la stessa cosa.

- Kirsten o Serena? Più Serena, direi - ho chiesto per allontanare la sua presa da me.

- Noooo... né l'una né l'altra, una cameriera un po'... diciamo un po' così.

- Ah beh, certo... era compresa nell'aperitivo - ho riso recuperando un po' di distacco - un sabato sera, scommetto...

- Boh, non mi ricordo, forse.

- A casa tua, scommetto.

- Quello sì, ma i miei non c’erano...

- E perché non è stata la stessa cosa? - ho chiesto.

- Diciamo non solo perché un culo come il tuo non si trova in commercio - ha riso - per il resto, arrivaci da sola.

Bene, in definitiva me l’aspettavo, no? Voglio dire, dentro di me il motivo per cui eravamo lì lo sapevo benissimo. Sapevo benissimo come sarebbe andato avanti. Non volevo ammetterlo nemmeno con me stessa, ma ero combattuta. E ho reagito come non faccio praticamente mai, chiudendomi, restando in silenzio, ascoltandolo. Ma è stato un errore. Perché lui parlava e io non rispondevo. Però ricordavo. E mi eccitavo. Pulsavo, mi aprivo, colavo.

- Sei diventata silenziosa… - mi ha fatto.

"Allora chiavami e fammi strillare tu", ho pensato. Un pensiero che mi è venuto così, di getto, insieme a una piccola contrazione.

Non gliel'ho detto, ho alzato le spalle.

Ma lui l'ha capito.

Mi ha messo una mano sotto la gonna, tra le gambe, sulle mie mutandine fradice. "Sei già bagnata anche di fuori", ha commentato. Senza scherno, senza ostentazione né foia. Una semplice constatazione. Un suo tratto distintivo: non ha bisogno di sottolineare certe cose. E’ stato un brivido fortissimo, per un istante ho persino delirato che mi prendesse lì sul marciapiede o che mi sbattesse in un parcheggio come una delle sue troiette del sabato sera.

“Lasciami, che cazzo fai?”, gli ho quasi ringhiato. Lui si è messo a ridere e ha tolto la mano. Difendevo il mio viso con la sigaretta, ma quando lui mi ha baciata ho lasciato andare il braccio giù lungo il fianco e mi sono abbandonata con la schiena al muro. Lui mi baciava, in una mano teneva la sua sigaretta con l’altra mi tastava il culo. Quando si è staccato gli ho detto “basta, lasciami, c’è troppa gente”. Cose tipo “no, non voglio”? Zero. C’è troppa gente, gli ho detto.

Però poi siamo rientrati a mangiare e non ne abbiamo più parlato. E’ vero, ero silenziosa. Lui chiacchierava e io rispondevo a monosillabi. Non mi ricordo nemmeno quando abbiamo pagato, come siamo usciti, come sono salita sulla sua macchina. E mentre guidava non ho fatto caso alla strada. Strano, lo faccio per abitudine.

Quando ho visto che apriva con il telecomando il cancello del garage del suo palazzo mi sono scossa. "Che cazzo devi fare?". Lo sapevo che cazzo doveva fare, mica sono cretina. Ma solo una volta che ha parcheggiato davanti a un muro e sono scesa dalla macchina ho capito quanto volevo che mi prendesse.

Gli ho detto “senti, io non vengo da nessuna parte”. Lui ha sorriso per l'ennesima volta e mi ha rimesso le mani sotto la gonna. Ha detto "eri più bagnata prima, ma è solo questione di tempo, vero?". "No, Lapo, dai…". "Ti scopo qui e poi ti porto su in casa, o vuoi prima prendermelo in bocca? Qui... pensa quanto sarebbe sporco qui... ti fa uscire matta il pensiero di farlo qui" mi ha sussurrato quasi dentro l'orecchio. Evidentemente avevo smesso di essere quella da abbracciare piano.

Però sì, aveva ragione. Lì e in quel momento sarebbe stato veramente sporco, da animali. Da troia, proprio. Come in fondo avrei voluto che mi trattasse. E come avrei meritato.

"Lasciami stronzo", gli ho detto. La cosa che desideravo di più, però, era che mi strappasse via le mutandine e mi trafiggesse subito. E’ così, lo ammetto. Il rumore di un'altra macchina che entrava ci ha fatti desistere. Mi ha portata su. Due minuti dopo stavo già eseguendo il suo ordine di togliermi tutto. “No, le calze no”.

E' stato così che siamo tornati a essere quello che già siamo stati. Io e lui.

Lui. Che dopo esserselo tirato fuori dalla patta mi ha fatto "vieni qui, ficcatelo dentro". Con il tono di uno che dice "non aspetti altro".

Io. Che non volevo, io che lo insultavo, io che non aspettavo altro. Io che mi ci sono impalata sopra dicendogli "testa di cazzo" prima di squittire.

Lui. Che mi ha risposto sarcastico "quant'è vero...".

Io. Che mi sono sentita aprire e trafiggere e che forse mi si sono girati gli occhi.

Lui. Che ha commentato sfottente "l'amica fedele" e che mi ha abbrancato le chiappe.

Io. Che gli sono quasi svenuta addosso e gli ho risposto "sei solo un frocio" e ho cercato la sua bocca.

Lui. Che mentre ci baciavamo mi ha infilzato il culo con un dito e mi ha fatto gridare e mi ha fatto male.

Il suo dito. Che dopo un po' mi ha fatto godere.

Io. Che già non capivo più niente.

Lui. Che mi ha detto "ora comincia a parlare come una troia come sai fare te".

Io. Che gli ho risposto "sei davvero una merda".

Lui. Che mi ha ordinato "chiedimi di sfondarti".

Io. Che gli ho detto "sfondami", io che gli ho rantolato "rovinami", più tutta una lunga scia di invocazioni indecorose.

Io. Che invece adesso gli dico "vado". Lui. Che alzandosi dalla sedia della cucina mi dice "ti accompagno".

Gli faccio cenno di non preoccuparsi, se ne frega. Passo davanti al salone a salutare i suoi che stanno guardando... boh, Rai Storia? Saluto ancora più educatamente di prima, quasi timida. Il messaggio implicito è "sì signora, magari suo figlio mi piace ma non sono la solita mignotta, eh?". Lapo avverte i suoi: "La accompagno e torno subito".

Il momento più imbarazzante è in ascensore. Forse imbarazzante non è proprio il termine giusto ma gli va molto vicino. Mi ricordo benissimo la prima volta che ci sono entrata, con Serena. Quando le dicevo ma che cazzo di nome è Lapo? Poi l'ho visto ed è cambiato tutto. Chissenefrega del nome, ora mi piace pure.

E mi piace lui, mi attira chimicamente. Durante il tragitto parliamo quasi nulla. Io penso a cosa farei se mi chiedesse di fargli un pompino mentre guida, se me lo ordinasse, se mi prendesse la testa e la sbattesse tra le sue gambe. Probabilmente mi ribellerei e lo insulterei, gli direi di fermare la macchina e farmi scendere. Tornerei a casa con la stessa incredibile voglia di succhiarglielo e di essere scopata ancora che ho adesso.

Niente domande, niente pompino, niente di niente. Solo un'altra carezza sul viso quando siamo davanti al mio portone. Come quando eravamo fuori dal ristorante. Una carezza su una guancia e un sorriso, un "ciao bellezza, ci si vede". Bacio a sfioro sulle labbra. Evito di barcollare davanti ai suoi occhi mentre mi dirigo al portone. Mi sento ubriaca, ma mai come questa volta l'alcol non c'entra un cazzo.

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