Surfin' - 12

Scritto da , il 2022-05-23, genere etero

Le chiavi dell'ostello in una mano e il telefono nell'altra, nel silenzio assoluto delle quattro di notte, a chattare con Veronica. Con la mia preziosa gonna spiegazzata e i miei bei collant semidistrutti, sporchi. La camicetta cui sono saltati due bottoni tanto che per decenza sarei costretta a tenere chiuso il mio chiodino, se già non lo facessi per il freddo. "Quindi è andata bene - scrivo a Vero aggiungendo un emoticon sorridente - io sto rientrando ora", "dove sei stata????", "in giro, ma dimmi di Felipe", "mai incontrato uno così porco, sono demolita".

Demolita come lo sono io. Cioè, non so se proprio in quel modo ma se dovessi dare una definizione di me stessa, adesso, sarebbe proprio questa: demolita. Forse Gretchen sta pure messa peggio, è rimasta a dormire da Patrick e Adèle, sfatta. Ma saperlo non mi è molto di conforto.

Non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che Adèle continui, anche ora che sono sola, a esercitare la sua volontà su di me. Avrei quasi bisogno che fosse lei a dirmi “apri il portone e vai a dormire” oppure “resta qui in mezzo alla strada”. Probabilmente, se me lo dicesse, le obbedirei.

Il modo in cui è venuta in quel ristorante a prendere me e Gretchen, che non avevamo capito un cazzo; il modo in cui ci ha gettate tra le braccia di Patrick, il suo fidanzato, come regalo di compleanno; il modo in cui mi ha fatto capire che anche lei avrebbe voluto la sua parte, mi ha lasciata senza difese. Non solo incapace di reagire, ma addirittura desiderosa di consegnarmi. E l’ho fatto.

Quando mi ha baciata su quel terrazzo, quando mi ha trafitta, quando ha aperto la mia camicetta dicendo “fammi vedere”, la cosa che contava di più non era la sua lingua, il suo dito, le sue mani. Erano i suoi occhi che dicevano in modo incontestabile "sei mia". Me lo sono sentita fin dentro le ossa che era vero. La ciliegina sulla torta è stata la frase sussurrata all'orecchio, una frase che mi ha svelato tutto, che mi ha fatta sentire preda inseguita, circuita, presa in trappola: "Avevo promesso a Thiago le tue mutandine, peccato che non le hai...".

Per qualche secondo siamo state soltanto io e lei. Patrick e Gretchen li vedevo, vedevo la mia amica che girava la testa verso di lui per sigillarsi entrambi in un bacio, vedevo la mano di Patrick che le aveva tirato su felpa e reggiseno, vedevo l’australiana che aveva già iniziato a dondolare. Li vedevo, sì, ma, difficile spiegarlo, era come se in quel momento fossero sfocati, uno sfondo irrilevante. Per qualche secondo c’è stata solo Adèle, è stato in quegli istanti che mi ha presa, rapita. E un attimo dopo avermi bisbigliato “sei il regalo di Patrick, ma anche il mio, tu mi piaci più di lei”, è stata proprio Adèle a condurmi dentro il valzer dei corpi.

Valzer, non saprei come definire altrimenti i nostri abbracci, i nostri baci, le nostre carezze. Persino le movenze con cui mi ha liberata dalla giacca di pelle e dalla camicia mi sono sembrate quelle di una danza. Il suo “non” con il quale mi ha fermata mentre stavo per togliermi la gonna è stato musicale. Musicale è stato il suo “invece tu devi spogliarmi tutta” dopo che mi ha messo le braccia al collo muovendosi come se ballasse impercettibilmente.

Nudi o seminudi che fossero, i nostri corpi si sono sfiorati, cercati, eccitati, avvicendandosi e roteando l’uno intorno all’altro per un tempo che sembrava infinito, come se avessimo paura di rompere un equilibrio. Poi la sensualità ha preso il sopravvento, l’equilibrio si è rotto ma la danza è rimasta.

Come quando ho strusciato la mano sul sesso umido di Adèle per poi fare lo stesso su quello di Patrick, dal basso in alto: i morbidi testicoli, l’asta dura, la punta scoperta. Prima di prostrare Gretchen e offrirlo alla bocca di lei. Prima che anche la francese si inginocchiasse con me e le avvolgesse i seni con le mani. Prima che io voltassi la testa a chiedere un bacio dalle labbra di Adèle. Prima che quelle stesse labbra scendessero a prendere il posto di Gretchen. Prima che la mia lingua occupasse il vuoto di Gretchen che sapeva di maschio. Gliel’ho proprio detto, anzi le ho bisbigliato “sai di cazzo” e credo di essere stata io a introdurre, nel valzer che sino a quel momento si era mosso al ritmo di baci, sospiri e gemiti trattenuti, le prime oscenità. “Hai visto che abbiamo fatto bene a venire?”, mi ha risposto Gretchen trafiggendomi dolcemente anche lei, dopo Adèle, “sei una troia – le ho ansimato piazzandole una mano sopra le mutandine – queste pensi di tenerle?”. “Non voglio deciderlo io”, mi ha detto. E così in realtà è andata. Patrick l’ha infilzata da dietro, in piedi, dopo che Adèle le aveva delicatamente scostate. L’istruttore le teneva le braccia serrate all’indietro mentre la sua fidanzata le cercava il grilletto con la lingua. Prima piano, poi forte, poi più forte e sempre più forte ancora. La bocca gliel’ho dovuta tappare io, con la mia, per impedire che mezza Corralejo capisse cosa stava accadendo su quel terrazzo. Ho baciato una Gretchen che non conoscevo, completamente diversa dalla ragazza che la notte prima miagolava quasi timida con la mia testa in mezzo alle sue cosce. Impazzita, scompigliata, scopata con decisione, impossibile da silenziare a lungo: “Fuck! FUCK ME! SCREW ME!”. Quando Patrick ha liberato le sue braccia e ha detto “è meglio entrare” ho capito che il valzer era finito e che sarebbe ricominciato un altro ballo. Ma per quello che è durato è stato comunque spettacoloso.

Adèle mi ha trascinata sul letto con sé, spalancandosi in un gesto rivolto però a Patrick e che Patrick ha capito e soddisfatto, facendo mugolare anche lei nella mia bocca il piacere dei suoi colpi. Ha strillato libera solo quando anche le mie labbra, non solo le mie mani, hanno voluto conoscere quel seno stupendo, grande, morbido, che danzava sotto gli affondi impietosi del suo amante.

Baise moi, scopami. Screw me, chiavami. Alla lista di Patrick mancavano solo le suppliche in italiano, e sono arrivate. Ma non è stato lui a scegliere quando, e neanche io.

- A questa non vuoi dare nulla? – gli ha quasi pianto in faccia Adèle, metà in inglese e metà in francese. La parte in francese era riservata a me, al modo in cui mi ha definita: “petite chienne blonde”.

E la piccola cagna bionda è rimasta come stava mentre omaggiava il seno della nostra mistress of ceremonies, inginocchiata sul letto. E’ bastato davvero poco per trasformare un delicato amplesso saffico in una pecorina bestiale. Sapete come si dice: this is what you want, this is what you get. Avevo o non avevo implorato Patrick di scoparmi nel capanno dei surf poche ore prima?

Saranno state le parole di Adèle ma mi ci sentivo davvero una cagna, e quando Patrick mi ha infilzata gliel’ho detto. E nei residui istanti di lucidità ho capito che il valzer era diventato qualcosa di primitivo, tribale. Ancora mezza ansimante, Adèle si è avvicinata al mio orecchio domandandomi “lo senti come è forte? lo senti?” prima di allungare la mano per sgrillettarmi. Avrei voluto contorcermi e schizzare da qualche parte, se Patrick non mi avesse tenuta saldamente incastrata a sé lo avrei fatto. Mi ha fulminata, ho urlato più di Adèle e Gretchen messe insieme e per un po’ di tempo non ho più capito un cazzo. Un bel po’ di tempo: mi sono svegliata da quella specie di trance che gli facevo un pompino mentre Adèle passava un dildo ronzante sulla vagina di Gretchen, cosa fosse successo nel frattempo non saprei dirlo. Era Gretchen a supplicare e a contorcersi, adesso. E Adèle l’ha accontentata, l’ha presa con quell’affare non lungo ma abbastanza grosso e soprattutto realistico, con un sorrisetto quasi sadico sul viso. E’ durato poco, però, la francese ha preteso lo switch e io sono finita con le gambe spalancate tra le sue braccia spalancate, mentre Gretchen andava a infilzarsi sul cazzo di Patrick che avevo appena sbavato. Ma vederla smaniare e sentirla implorare, godere, ancora una volta è diventato poco più di un sottofondo. Ancora una volta Adèle ha preso il sopravvento su di me e su tutto il resto.

Non ho mai giocato molto con i sex toys e l’unico oggetto vibrante che ho usato è stato un ovetto. Ma quel dildo era una cosa completamente diversa. Lo passava su tutti i miei punti più sensibili con una lentezza esasperante, mi leccava, offriva le sue dita bagnate di me alle mie labbra. Molto presto ogni parte del mio corpo è diventata una zona sensibile. Più morbido era il passaggio di quell’attrezzo e delle sue mani più scattavo. Ero avvolta, fagocitata, quasi tutte le mie percezioni erano concentrate su di lei. Lo strillo orgasmico di Gretchen e la sua forma che si abbatteva sul petto di Patrick erano qualcosa di molto, molto lontano. L’unico corpo che vedevo distintamente era quello di Adèle, i suoi capezzoli che giocavano con i miei capezzoli, l’unico suono che mi occupava le orecchie erano i suoi sussurri. “Ti piace, ti piace? Cosa sono quei segni sulla schiena?”. “Le unghie di Veronica…”, “hai fatto sesso con lei?”, “sì…”, “quando?”, “oggi pomeriggio…”, “ahahahah ci pensa Felipe a quella puttana italiana… italiana come te, ma tu sei più puttana”, “come sai di Felipe?”, “dolcezza, te l’ho detto, questo è un posto piccolo… so tante cose, io”.

Mi ha presa in quel momento, appena finito di dire “io”, con lo stesso sorrisetto quasi sadico sul viso, che di tanto in tanto si addolciva un po’, con cui aveva affondato il dildo dentro Gretchen. Non ha avuto difficoltà a far entrare quel coso, mi ha strappato un lungo e piagnucolato “sì”. Ero in completa balìa di Adele che sorrideva, mi strizzava una tetta e mi diceva “ti piace, lo vedo che ti piace”. Poi mi ha fatta rotolare su un fianco, senza quasi che me ne rendessi conto. Vedevo a malapena Patrick che cercava la sua soddisfazione dentro Gretchen, eppure era pochi centimetri da me.

- Thiago mi ha detto che ti piace anche questo… - mi ha sussurrato Adèle pochi attimi dopo.

Ho sentito il brivido e poi la spinta che progressivamente forzava la carne. Ha spinto più forte, strozzandomi un rantolo nella gola e lasciandomi annaspare davanti allo sguardo di Patrick, al suo viso voltato verso di noi, alla sua voce tranquilla nonostante si stesse facendo Gretchen.

- Encule cette salope – ha sibilato alla sua ragazza.

E’ difficile anche questo da spiegare, ma dopo quelle parole mi sono sentita cedere, mi sono lasciata andare. Avrei accettato tutto. Ho risposto raffiche di “sì” ad Adèle che mi domandava se mi piacesse, l’ho supplicata di fare più forte, di non smettere di spingere, di dirmi che ero la sua puttana. Volevo fortissimamente essere la sua puttana, era quello il mio posto nel mondo. Ma lei ha capito, ancora prima della sottoscritta, quanto stava per accadere. Di colpo ho avvertito le sue dita sciacquarmi nella vagina, il dildo dentro di me non affondava più ma vibrava. Finché anche le mie gambe hanno cominciato a vibrare annunciando l’orgasmo. Poi qualcosa mi ha portata via. Ho ripreso consapevolezza solo tempo dopo, bocconi sul letto, con quell'affare ancora piantato nel sedere che aveva smesso di funzionare. Spento o scarico, non so. Patrick aveva pensato a noi: odore di sperma, tracce di sperma sui capelli di Adele e sul mio viso. La mano della ragazza che mi accarezzava la testa, la sua voce che mi sussurrava all’orecchio “ho notato come mi guardavi alla festa, ma non me ne facevo nulla di una sveltina di capodanno”.

Ding! “Non ti andrebbe di venire? Se puoi”. Sorrido, Veronica non si arrende. Scuoto la testa, non lo so. Sono veramente molto stanca. Ding! “Anche solo per dormire insieme”. Penso al suo letto, sarà ancora caldo? Sporco? La stanza saprà di sesso? Abbiamo toccato il cielo con un dito, stanotte, lo vogliamo toccare ancora? Hai odore di maschio sulla tua pelle, Veronica, segni di maschio sulla tua pelle? Dolori? Dovrò lenirli o riacutizzarli? Ti è rimasto fiato per urlare o vuoi davvero dormire?

E io sono davvero così stanca?


FINE

Questo racconto di è stato letto 5 3 8 1 volte

Segnala abuso in questo racconto erotico

commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.