Surfin' - 9

Scritto da , il 2022-05-05, genere etero

Vago per le strade di Corralejo verso l'ostello. Di solito a questo punto avverto la stanchezza della lezione di surf, ma ora non la sento, ho altro cui pensare. Ho negli occhi l'immagine di quella ragazza tedesca e non riesco a togliermela. Mi costruisco un film mentale nel quale la blocco, la tiro verso di me e lei mi lascia fare. Dubito enormemente che ciò potrebbe mai accadere, ma sognare non costa nulla. "Non scappare, mi piaci, mi piace come sei arrossita. Sì ho appena fatto un pompino al nostro istruttore nel capanno, baciami, ho ancora il suo sapore nella bocca. Lo vuoi condividere? Ti piace farti venire in bocca? L'hai mai fatto? Hai mai baciato una ragazza? O hai occhi solo per tuo padre?". Sogno di portarmela in un posto al riparo dagli sguardi di tutti e di farmela lì, in piedi, accarezzando le sue curve e il suo corpo morbido, baciando e mordendo il suo seno già così grande, istruendola con le stesse parole con cui ho istruito Gretchen la notte scorsa, "adesso toccami anche tu", ansimando insieme con le labbra che si sfiorano. E proprio perché ho ancora il sapore di Patrick in bocca nella mia sceneggiatura ci metto anche lui, che ci guarda e ghigna arrogante quando, una volta finito con la ragazza, mi volto e gli dico "scopaci, non lo vedi che siamo due zoccole?".

Dio, ho una voglia terribile di arrivare in camera e masturbarmi. Dio, ho i capelli che devono essere un disastro. Dio, sono in uno stato tale che persino il gesto di cercare l'elastico per farmi la coda, gesto che avrò fatto un milione di volte, diventa un pretesto per continuare a eccitarmi. Sì perché se me la fossi fatta prima, la coda, Patrick avrebbe potuto afferrarla mentre glielo succhiavo, trattarmi ancor più da "salope" di quanto abbia fatto. Dio, se continua così arriverò all'ostello con una macchia scura sul cavallo dei pantaloni della tuta.

- Oh! Una lezione ti distrugge così?

- Veronica... - rispondo come se mi fossi svegliata in quel momento.

- E' mezz'ora che ti chiamo - dice indicando il marciapiede dall'altra parte della strada.

Ride, di riflesso le rido dietro anch'io. Le faccio un cenno come a dire che non avevo sentito, "scusa, sì, sono un po' stanca". La guardo bene: un maglioncino corto color oro con lo scollo a V, i leggings, le sneakers, una giacca di quelle tipo militare. Due sacchetti della spesa in mano e borsa in spalla. I capelli ondulati che le scendono sulle spalle. Non è truccata, forse giusto un po' di lucidalabbra chissà perché, qualche perlina di sudore sulla fronte. No, nonostante lei mi piaccia molto e io sia in queste condizioni non penso a lei da quel punto di vista. Sarà la sorpresa, sarà che trovarmela di colpo davanti ha interrotto la mia porno-sceneggiatura, non lo so. Penso piuttosto che è la prima volta che la vedo senza "uniforme" da barista, in una versione così domestica.

- Reggi un attimo, vuoi? - dice porgendomi la borsa e posando i sacchetti per terra - oggi al sole fa un caldo della madonna.

Si sfila la giacca, mettendola a cavallo della borsa. L'ombelico mi occhieggia dalla piccola rotondità del suo ventre, le tette si muovono un po' sotto il maglione, probabilmente non porta il reggiseno. Molto invitante ma, com'è strana la mente, senza nessuna attrazione sessuale. E' come se questo incontro inaspettato avesse spazzato via tutto quello che stavo immaginando. Mi rimane addosso la stanchezza, adesso sì che sento proprio il bisogno di una doccia e di riposo. E basta.

- Oggi non lavori? - domando.

- E' il mio giorno libero - risponde con un sorriso che le illumina il viso.

E' un sorriso che sottintende altro, sulle prime non capisco. Poi ricordo: il suo giorno libero è il giorno in cui uscirà con Felipe. Questi almeno erano i suoi piani, le sue speranze. Chissà se hanno un appuntamento. A giudicare dalla sua faccia direi di sì.

- Quindi... se è il tuo giorno libero... stasera hai un appuntamento, giusto?

Annuisce lenta, a lungo, ostentatamente, con lo stesso sorriso di prima. Meno male, mi dico. Gliel'ho domandato senza pensare che, magari, non c'era nessun appuntamento, che la mia avrebbe potuto essere una gaffe.

- E' passato ieri sera, dopo che ve ne eravate andate e... beh, è arrivato il classico invito.

- Daje Vero! Hai fatto l'acchiappo!

- Forse sarà più facile del previsto - ridacchia - mi ha accompagnata per un po' e... e mi ha baciata... oddio, direi quasi limonata per bene.

- Wow! Allora hai la strada spianata!

- Ah beh, vedremo - risponde per pura scaramanzia - mamma mia, dovresti vedere... solo a passargli le mani sulle braccia puoi sentire ogni singolo muscolo.

- E' vero, hanno dei corpi che sembrano costruiti - la assecondo, ma del resto è la verità.

- Dai, accompagnami a casa - mi fa - hai mangiato?

Mi ritraggo, la ringrazio, le dico "ho mangiato", le dico "sono stanca e voglio farmi una doccia". Non le dico che ho anche voglia di riprendere il file della giornata e vedere se mi viene bene un ditale, sotto la doccia. La mia intenzione sarebbe esattamente quella. Fino a poco fa era quella: restarci fulminata pensando a tutto quel che è stato e, in un mondo utopico, avrebbe potuto essere. E poi crollare sul letto schiantata. Ma non c'è verso. Insiste con un entusiasmo da ragazzina che mi intenerisce. Sarò una stronza fatta e finita, ma non riesco a dirle di no.

- Mi devi dare delle dritte sull'outfit - dice mentre posa le buste della spesa sul tavolo della cucina - è un po' che non mi capita una cosa del genere... almeno una Coca la prendi?

La osservo mentre parla e mi domando perché una come lei sia rimasta per un anno all'asciutto, che razza di storia possa essere stata la rottura con il suo ex per ritirarsi a vita monacale. Non dico avventure, anche se, volendole e cercandole, ci metterebbe davvero poco a rimediarle. Intendo dire anche relazioni, nuovi fidanzati. Come hai fatto, Vero? Non ti manca? E se non ti manca, cos'è che ti manca? La osservo e non riesco a staccare gli occhi dai suoi leggings e dal modo in cui le disegnano il culo e il ventre, dal seno che balla libero sotto il maglioncino, dallo scollo di quel maglioncino. Non riesco a staccare gli occhi dalle sue labbra. Nemmeno quando, passandomi il bicchiere di Coca, abbassa la voce e si protende verso di me.

- Sai una cosa? - sussurra.

- Cosa?

- Quando ieri sera ci siamo baciati - dice abbassando lo sguardo oltre alla voce - se ho ben capito, Felipe non deve essere messo per niente male...

- Ah! - le faccio ridacchiando a mia volta e simulando sorpresa.

Ma intanto penso amica mia, se Gretchen non esagera stasera vedrai qualcosa che si vede raramente.

- Felipe è amico del mio istruttore, Patrick, è vero? - le domando.

- Uh... beh, sì, immagino di sì, li vedo spesso insieme. Perché me lo chiedi?

Glielo voglio dire. Non per contrapporre la mia confidenza oscena alla sua, non me fregherebbe nulla. Ma perché Veronica mi smuove i pensieri, mi eccita, e io non so come farglielo capire. Per dirla tutta, dubito anche che gliene freghi qualcosa di capirlo, persa com'è dietro Felipe.

- No, nulla, sono stata con lui fino a pochi minuti fa - rispondo.

- Lo conosco poco, che tipo è? . mi fa ancora Veronica.

- Abbiamo scambiato pochissime chiacchiere, in realtà. Mi ha portata a vedere il capanno dove tengono i surf, una specie di luogo sacro...

- Ahahahah, e cos'ha di speciale? Perché sacro?

- Non te lo saprei dire ma qualcosa ce l'ha, ci sono rimasta in ginocchio per qualche minuto - rispondo guardando il bicchiere.

La sorpresa dura pochi secondi, poi Veronica scoppia a ridere. Una risata di quelle che servono a scacciare via gli imbarazzi, anche se dopo avermi rivelato che Felipe deve avere un bell'animale tra le gambe non so proprio per cosa si imbarazzi.

- Hai...? - domanda con gli occhi un po' sgranati.

- Ho - rispondo.

- Gli hai...? - chiede ancora muovendo la mano in un gesto che non significa niente.

- Gli ho.

- Cazzo... - sospira.

- Uh, sì, magari non come quello di Felipe, ma discreto - le faccio giocando a fare la vaga, ridacchiando.

- Va bene che ti avevo detto di divertirti - ridacchia anche lei - ma qui si esagera.

- Perché si esagera? - domando con voce e faccia finto-angelica. Un giochino, quello dell'angioletto, che mi riesce proprio bene, credetemi.

- Patrick, Thiago, il ragazzino che ti sei portata al bagno... - enumera con ironia.

Ce ne sarebbe un altro paio, bella ragazza, il portoghese e quello dell'ostello. Lo penso ma non glielo dico. E poi ci sarebbe pure Gretchen. Ma non le dico nemmeno questo. Mi limito a fare spallucce con aria indifferente, sta a significare qualcosa tipo: in vacanza si fanno sempre cose un po' particolari. Tipo visitare siti archeologici, o rientrare sistematicamente alle quattro di notte se non oltre. Io invece ho fatto questo.

- Davvero davvero non mangi nulla? - domanda addentando delle specie di tapas - queste le ho fatte io.

- No grazie, Vero, l'unica cosa che voglio è tornare all'ostello e farmi una doccia...

- E fattela qui! Ti pare che non ho una doccia in casa? Ahahahah, dai, poi il cambio te lo presto io.

- Ma non ti vorrei...

- Fammi un po' di compagnia...

Le rispondo "va bene", ma se dovessi spiegare perché non saprei farlo. C'era qualcosa di talmente accorato nella sua richiesta che non ho proprio preso in considerazione la possibilità di un rifiuto. Mi avvio verso il bagno seguita dalla sua voce che mi fa "è tutto lì, prendi quello che vuoi, sapone, shampoo, balsamo, creme, tutto... c'è anche un accappatoio pulito". L'accenno all'accappatoio pulito mi fa sorridere, per contrasto. Pulito come la mia bocca, adesso, dopo la Coca. Eppure mi sarebbe piaciuto tenere il sapore di Patrick un po' di più, essere lordata di più, mi sarebbe piaciuto restare e tornare all'ostello con lo sperma che colando mi sporcava le mutandine. Mi sarebbe piaciuto entrare in doccia sentendomi così sporca. Entro in bagno pensando che, cazzo, mi devo dare una calmata, mi sono lasciata andare anche troppo con certi discorsi.

Quello di Veronica è uno di quei bagni dove la cabina doccia vera e propria non c'è, c'è solo un avvallamento sul pavimento e il pozzetto per lo scolo. Sistemo i saponi e apro l'acqua, ripensandoci: ma, in definitiva, perché dovrei darmi una calmata? Non ho proprio voglia di darmi una calmata. Con quello che è successo negli ultimi giorni mi sembra di essere tornata quella che sono certe volte a Roma, quando esco a caccia sapendo che dovrò fingermi preda. Del primo che capita, del primo che mi piace. Certo, fare la preda con Patrick sarebbe la cosa più facile, chissà se stasera è libero. Potrei provare a spiegare tutto a Gretchen, potrei proporle di fare un giretto dopo cena e vedere se "per caso" lo incrociamo. Chissà come la prenderebbe. Potrei dirle "facciamoci agganciare e poi stanotte ci vediamo a letto, ci raccontiamo tutto e facciamo le lesbiche". Couldn't we? Non riesco a non pensarci, nemmeno il getto finale e prolungato della doccia sulla testa riesce a distogliermi.

- Annalisa, tu mi vuoi, vero?

Non ho sentito la porta aprirsi. Non l'ho nemmeno vista, ero impegnata a sciacquarmi l'ultima volta il viso prima di chiudere l'acqua che mi scroscia addosso e sul pavimento. Mi volto e la vedo. La vedo come avrei sempre desiderato vederla, in fondo. I capelli sulle spalle, gli occhioni, quelle labbra così attraenti, quel seno che le invidio così tanto e quei capezzoli così scuri al contrario dei miei. Più scuri anche di quelli di Serena, e più grandi. La grazia dei suoi fianchi e le sue gambe snelle, la piccola rotondità dal ventre dove, adesso sì, l’ombelico occhieggiante è come se chiamasse la mia lingua. I suoi tatuaggi sulle braccia, sulle cosce, sul corpo. I suoi piedi nudi, il suo pube nudo, un tatuaggio anche lì.

Ripeto a me stessa ciò che mi sono detta prima, ma con maggiore convinzione e, ammetto, molto ma molto più turbamento: come ha fatto una così a stare lontana dal sesso per tanto tempo? Quante avances avrà dovuto respingere? Quante volte si sarà fermata con un "ma no..."? Se c’è una che incarna il sesso è lei! Bellezza a parte, voglio dire. La sua postura, il suo modo di guardarti, di parlarti rappresentano la più spudorata delle seduzioni. Resto per un attimo senza fiato, poi la prima contrazione, la schiusa. Il respiro ritorna ma faccio quasi fatica, i capezzoli diventano due sassolini.

Non le rispondo ma tendo la mano verso di lei, lei tende la sua. A dispetto della sua entrata in scena così clamorosa sembra frenata, esitante. La attiro a me e per un attimo esito anche io, poi poggio le mie labbra sulle sue. Bacio a sfioro, sguardi che si scrutano. Le accarezzo un fianco con la mano bagnata. Finalmente le rispondo.

- Sì.

Le nostre lingue si incontrano, a lungo. Veronica mi bacia come se volesse mettersi nella condizione di non poter tornare più indietro, come nel bungee jumpin’, una volta che ti sei buttata bisogna volare. Ci stringiamo a vicenda carne e capelli. La giro e la metto schiena al muro, mi mugola in bocca il freddo fastidio delle piastrelle ma non si stacca. E un attimo dopo mugola per la mia mano che avvolge finalmente quel seno splendido, ma non si stacca ancora. Cerco con le labbra e con i denti un capezzolo e geme anche più forte ma non mi respinge, mai. So che dovrò andare avanti io, lo sento. Mi piacerebbe che mi accarezzasse, ma non è così. Mi piacerebbe che mi pinzasse i seni e i capezzoli fino a farmi sussurrare "così mi fai un po' male", con la voce e gli occhi che però dicono anche "così mi piace". Ma qualcosa mi dice che non lo farà. Le sue mani invece si avvinghiano dove possono: schiena, spalle, capelli. Quando scendo piano a baciarle il ventre si aggrappano proprio ai capelli. Affondo finalmente la lingua in quell'ombelico, mordicchio la carne intorno. Poi, beh poi ho voglia di scendere ancora un po'. Su "quel" tatuaggio a forma di rosa e anche più giù.

Non è per niente facile, sapete? E' stata lei a farsi avanti, d'accordo, ma è come contratta, intimidita. Ti capisco, Vero, ti capisco proprio. Non avevi mai baciato una ragazza e ora, di colpo, ci ritroviamo parecchio oltre i baci. Tuttavia, se proprio dobbiamo andare avanti, e io ho una voglia matta di andare avanti, dovresti, sì insomma, aprire almeno un po' di più le gambe, che dici?

Tutto questo discorso, che non le faccio e che mi guardo bene dal fare, è riassunto in un solo, unico gesto. Una lievissima pressione sui suoi interno-coscia, come ad allargarli. Penso "accoglimi, Veronica, accoglimi adesso, ti voglio, ti voglio tanto". Bacio, lecco e annuso divertita il suo monte di Venere, passo un dito lungo la linea che separa il gonfiore delle sue labbra, avanti e indietro, è un po' umida. Freme, respira più sonoramente, irrigidita nell'attesa. Non voglio usare le dita. Per qualche ragione che chiamerei, non lo so, delicatezza forse, non voglio assolutamente usare le dita. La voglio lappare piano, e la lappo. E’ così che conosco il suo odore e il suo sapore. Accarezzo piano le gambe, la parte posteriore delle cosce. Sulla mia schiena sento scivolare le gocce d'acqua che si staccano dai capelli, ruoto leggermente la testa per cercare un'inclinazione migliore per la lingua e quando incontro il grilletto Veronica si lascia andare ad un "oh!" quasi sorpreso. La guardo dal basso in alto, ma lei non vede me. Ha la testa reclinata all'indietro e forse gli occhi chiusi. E' appoggiata alla parete, anche le mani lo sono, le dita spalancate come quelle di un geco che si arrampica. Ho un bisogno pazzesco di toccarmi, di essere toccata, ma allo stesso tempo mi dico che, fosse l'ultima cosa che faccio al mondo, voglio farla impazzire, voglio che mi venga sulla bocca. E' il desiderio più forte di ogni altro, adesso.

Mi attacco alla sua fica e faccio il mio lavoro di lingua e labbra. Lancia un secondo “oh!”, è sempre tesa come una corda di violino ma qualcosa è cambiato. Ora che ho più spazio posso assaggiare il suo miele, esplorare la sua intimità, torturarle il grilletto. E’ tutto più facile adesso, è mia, ha ceduto. La seconda e ultima volta che mi fermo a guardarla è appoggiata con la parte bassa della schiena al muro, le spalle portate leggermente in avanti, gli occhi sempre strizzati e la bocca semichiusa. Le braccia, un po’ allargate, tremano. Ansima in modo meno rumoroso di prima, ma più convulso. Il bacino si sposta impercettibilmente ma ritmicamente a offrirmi il suo desiderio.

- Mamma mia, è bellissimo… Annalisa, è bellissimo.

Un mantra, più che altro. Lo sospira, lo geme, lo miagola due o tre volte. Mi aggrappo alle sue natiche, wow. Forse davvero dovrei penetrarla, probabilmente ci metterei di meno a portarla dove la voglio portare, chi lo sa. Ma il punto è che non lo voglio fare, continuo a non volerlo fare. Mi piace inzaccherarmi il muso della mia bava e del suo succo, mi piace persino starmi a spaccare le ginocchia sul pavimento concavo della doccia. Perché a lapparla in quel modo ci sto tanto ma proprio tanto tanto. Lo scatto, un altro, la sua mano sulla mia nuca e io che penso "cazzo, Veronica, sì, scoppiami in bocca!". Il mio nome che viene ripetuto due volte. Urlato, la seconda: “Annalisa!”. Un ultimo grido, quasi un ruggito, e il tremore. Lungo. Temo che possa cadere da un momento all’altro. Non accade, ma per un bel po’ di tempo è proprio da un’altra parte. Trema sempre più leggermente ma, se la sfioro, trema più forte, scatta convulsa. Se le tocco il pube o il seno, le labbra, ma anche se passo i polpastrelli lungo il corpo. A me non capita tanto spesso ma conosco questa sensazione, questa ipersensibilità che ti rende intollerabile persino una carezza.

Mi rialzo e la abbraccio forte. Il suo respiro addosso a me, il suo seno contro il mio. Aspetto, aspetto che si plachi. Torniamo a baciarci a lungo. Mi accorgo che mi struscio. Il mio corpo esprime una voglia che forse adesso dovrei calmare, anche se non ci riesco tanto bene.


CONTINUA

Questo racconto di è stato letto 3 1 9 1 volte

Segnala abuso in questo racconto erotico

commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.