Astrid

di
genere
saffico

Schipol è l’aeroporto che mi piace di più in Europa: la giusta combinazione di efficienza, estetica moderna e glamour. Non è troppo grande e nemmeno angusto, le indicazioni sono chiare e c’è tutto quello che ti può servire.
Insomma: tutto il contrario di Malpensa.
Eva è lì che ci aspetta all’uscita: è uno schianto, tutta in bianco come se sulle piste da sci anche se siamo quasi sotto il livello del mare… I lunghi capelli biondo platino sono sciolti sulle spalle sotto un cappellino di lana, e una sciarpa dell’Ajax (le piacciono i colori, non il calcio) le cinge il collo prima di cadere attraverso la giacca a vento e i pantaloni attillati.
Mi salta addosso e ci baciamo con foga, infischiandocene delle occhiatacce dei turisti appena arrivati: gli olandesi ormai hanno visto di tutto, e una ragazzina che bacia in bocca una MILF non fa certo più scandalo…
Dopo aver baciato me, Eva si esibisce in un benvenuto altrettanto caloroso per Giulia, e io noto per la prima volta la bruna accanto a lei.
Astrid.
Ha la mia età, mese piùmese meno. Pelle chiara, capelli neri e occhi blu uguali a quelli di Eva. Hanno anche la stessa figura: slanciate e sottili, di media statura olandese (e quindi altissime per noi italiani), mento appena pronunciato e guance un po’ scavate a delineare un viso delicato ma pieno di personalità. Nel caso di Astrid è anche un viso un po’ segnato, come il mio; però lei ha un bel sorriso aperto mentre io ho sempre un’aria arcigna che mi fa sembrare la regina cattiva di Biancaneve.
Ci stringiamo la mano, e io leggo la curiosità nei suoi occhi: mi chiedo se lei legge la stessa cosa nei miei…
Certo che i suoi sono più belli.
- Benvenuta a A’dam, Pat – mi dice – Eva mi ha parlato così tanto di te che mi sembra di conoscerti già!
- Uh! Spero di essere all’altezza della mia fama – faccio io, vagamente imbarazzata nel chiedermi quanto a fondo possa essersi spinta Eva nelle sue confidenze.
Come moltissimi olandesi, le due van Maar non hanno la patente perché i mezzi pubblici del loro affollato Paese funzionano e loro sono cicliste provette.
Quindi prendiamo il treno nella stazione che si trova proprio sotto l’aeroporto e nel giro di pochi minuti sfrecciamo verso sud in direzione di Rotterdam.
Astrid abita a Delft, una deliziosa cittadina piena di canali, con tutto lo charme di Amsterdam e senza la sporcizia e il sovraffollamento della città più grande: è un po’ come andare da San Marco a Murano.
La casa di Astrid è al secondo piano di una casetta tipica a picco su un canale e con l’ingresso su una stradina pedonale: se anche possedesse una macchina non saprebbe dove parcheggiarla. Per certi versi mi sembra di essere a casa: Delft somiglia molto a Venezia.
Le scale sono ripidissime: arrampicarsi con le valige è un’avventura… Ma l’appartamento anche se piccolo è delizioso: tutto in legno ed estremamente caratteristico. Ci sono due camere da letto più o meno identiche e piuttosto spartane, con i futon a terra e porcellane bianche e blu dappertutto.
Non sono affatto sicura di come ci divideremo le camere, visto che sia Giulia che io vogliamo dormire con Eva, e che la mia amante ha diviso il letto della zia da quando è arrivata; per il momento molliamo tutte e due i bagagli nella cameretta libera, e raggiungiamo le olandesi nel soggiorno dove hanno apparecchiato un pranzo veloce.
Gli olandesi a paranzo sono piuttosto rustici: praticamente il loro pasto principale è la colazione, che assomiglia a un’orgia romana, mentre a cena si concedono a stento una pietanza calda.
Rabbrividisco vedendo le aringhe crude a tavola: Eva sa che le odio: l’ha fatto apposta per provocarmi e ha detto a Astrid che le adoro… Me la pagherà.
Per fortuna Giulia vive in un collegio militare e non è schizzinosa: mangia tutto quello che le mettono davanti, senza mai eccedere.
Faccio uno sforzo e afferro per la coda un’aringa salata senza testa prima di farmela cadere in bocca… Per fortuna c’è anche un’ottima birra con cui lavarsi la bocca.
- Buonissime! – ciangotta la Giulia entusiasta – Non le avevo mai assaggiate, Pat mi diceva che fanno schifo…
Vorrei sprofondare. Eva si fa una risatina e Astrid mi guarda imbarazzata cercando di offrirmi qualcos’altro, ma adesso è una questione di orgoglio, così prendo un’altra aringa e mangio anche quella, tanto per smentire le due ragazzine.
Il ghiaccio è rotto e adesso siamo tutte amiche. Detesto quando Eva mi usa come cavia per i suoi esperimenti di psicologia.
I suoi esami sono andati bene, almeno?
Sì, certo… Come al solito.

Facciamo una passeggiata lungo i canali prima che cali il sole, poi ceniamo in un ristorantino indonesiano (a parte le aringhe, la birra e il formaggio, mi sembra di capire che la cucina indonesiana sia quanto più si avvicini a una “cucina tipica olandese”), dove ci spariamo i Nasi Goreng, che in effetti sono una cannonata.
Torniamo a casa infreddoliti, non perché la temperatura sia particolarmente bassa, ma perché pioviggina e soprattutto tira un vento tagliente e gelido che sembra farti cadere la pelle. Forse Eva mi ama davvero, ma sono convinta che togliersi dal clima olandese faccia parte delle attrattive di vivere insieme a me sulla Serenissima…
Una volta a casa, Astrid ci offre dell’acqua tiepida e sporca che lei chiama caffè, prodotta versando acqua bollente in un filtro di carta a cono con dentro una cucchiaiata di polvere scura. Di nuovo, Eva sogghigna apertamente ma questa volta mi defilo educatamente dicendo che il caffè la sera mi rende nervosa.
Chiacchieriamo un po’, soprattutto degli esami di Eva e della scuola di Giulia.
Poi Astrid ci offre una sigaretta di erba… Già, in Olanda è perfettamente legale. Ammetto di essere tentata, ma la Giulia è tutta d’un pezzo: la sua disciplina militare non lo consente, e basta.
Devo dire che ammiro la sua determinazione, e anche Eva ne rimane sorpresa.
L’hashish viene messo via e in compenso compare altra birra.
Ci rilassiamo: le scarpe sono tutte vicino all’ingresso come buona educazione a nord delle Alpi, e noi siamo tutte con i calzettoni di lana ai piedi; per il resto, indossiamo leggings e maglie confortevoli e poco appariscenti. Nessuna di noi è particolarmente sexy, conciata così, ma le tre femmine davanti a me sono tutte estremamente gradevoli da guardare, sono dotate di cervello e simpatia adeguate, e così mi godo la serata.
La birra, poi, aiuta a sciogliersi… Non ho avuto ancora l’agognata intimità con Eva, ma ho imparato ad essere paziente; e poi, il gioco di sguardi fra di noi è intrigante quasi quanto il sesso.
La mia compagna mi provoca e mi stimola con una serie di gesti, espressioni, battute e movimenti che ormai tra noi equivalgono a discorsi completi.
Il suo messaggio è chiaro: mi vuole, ma non subito…
Inoltre, ho una rivale. Giulia si è già scordata dell’accordo di essere “la mia ragazza”: da quando abbiamo ritrovato Eva, non ha occhi che per lei. Non che possa darle torto.
Hmmm… E poi c’è Astrid.
La zietta è discreta, carina, tranquilla… Un’acqua cheta.
Se non sapessi che ha una relazione incestuosa con Eva ormai da oltre cinque anni, la giudicherei una gatta morta. Eppure è stata lei a traviare la nipotina e ad iniziarla per prima ai riti di Saffo… Sono un po’ invidiosa: di solito sono io quella che travia le ragazzine.
Sento il suo sguardo su di me: parla poco, ma comunica molto anche lei con lo sguardo, dev’essere una caratteristica di famiglia.
Quanto le ha detto Eva su di me? Comincio ad essere curiosa.
E’ evidente che la padrona di casa non farà mai la prima mossa. So di piacerle: me lo ha fatto capire con molta discrezione con lo sguardo e con il sorriso, ma non è nella sua natura farsi sotto per prima.
Anche se Eva non le avesse spiattellato tutti i nostri segreti più sconci, la mia postura e il mio atteggiamento indicano chiaramente la mia spiccata tendenza a dominare: è come una maledizione.
La maledizione di Astrid è complementare alla mia: lei è una schiava. E come tale non si permetterebbe mai di proporsi apertamente a una dominatrice: il suo brivido di eccitazione sta nella speranza di essere scelta… E nel dubbio tremendo di non esserlo.
Eva ha preparato la strada ormai per quasi due anni, tessendo la rete fra di noi, e finalmente è giunto il momento…
Ecco, la birra ha fatto il suo effetto: Giulia si è fatta sotto sul divano, Eva le ha passato un braccio dietro le spalle, e le due ragazzine si scambiano le prime effusioni, come due gattine che si ritrovano dopo tanto tempo.
Astrid ha delle gambe chilometriche, proprio come Eva: le tiene ripiegate, con i piedi sotto il sedere, in un chiaro atteggiamento passivo, ma nello stesso tempo me le lascia ammirare liberamente. I suoi leggings grigi sono estremamente attillati e fasciano delicatamente le sue forme slanciate, esaltandole a dispetto dell’informalità dell’abbigliamento.
La zietta ci sa fare.
Però io mi diverto a tenerla sui carboni ardenti.
Sono una predatrice, ma non sto esattamente morendo di fame… Posso permettermi di trarre gusto dalla caccia, tormentando la mia preda il più a lungo possibile.
Perché ormai per me Astrid non è altro che quello: una preda da tormentare a lungo, e poi da abbattere senza pietà.
Eva è consapevole del gioco sottile in atto, e chiaramente ne è soddisfatta: mi ammicca sorniona, poi si dedica alla Giulia accarezzandole i capelli scuri e complimentandosi per le tette in pieno rigoglio.
Guardo mia figlia sfiorare con un bacio le labbra della mia amante lesbica e provo un fremito di gelosia, più piacevole che doloroso. Anzi, decisamente eccitante.
Eva e Giulia hanno un rapporto abbastanza paritetico, quando giocano fra loro: non sarà così fra me e Astrid…
Osservo di sottecchi la mia preda dal di sopra della mia pinta di birra ormai mezza vuota: anche lei cerca di dissimulare il suo interesse, ma sta diventando nervosa.
Il tarlo del dubbio la divora. Sono davvero interessata a lei, oppure..? Eva l’ha preparata a dovere, però… E se...?
Sono crudele, lo so. Non a caso mi chiamano Mantide.
Adesso Eva e Giulia stanno facendo lingua in bocca senza troppo ritegno, e cominciano a palpeggiarsi di gusto; ormai è un fatto acquisito che Giulia avrà la precedenza nel letto di Eva, e che giocheremo per coppie in base all’età.
Loro, che sono giovani e impazienti, sono già ai preliminari.
Intanto che le ragazzine giocano, Astrid e io chiacchieriamo tranquillamente in inglese; come quasi tutti nel suo Paese, lei lo parla perfettamente, con un filo di accento sibilante che io trovo molto sexy. Sì, sono attratta: cerco solo di non darlo troppo a vedere per portare la mia preda al giusto punto di cottura. Voglio che m’implori di darle il colpo di grazia.
Quasi mezzanotte.
Eva e Giulia si alzano in piedi e ci danno la buonanotte. E’ sottinteso che stanno andando a letto insieme, e non per dormire…
Mi baciano sulle labbra tutte e due prima di sparire; mia figlia mi sussurra un augurio di buon divertimento, mentre la mia amante aggiunge un consiglio: - Falla urlare!
Poi sfiora anche le labbra della zia, e le dice qualcosa in olandese che ovviamente non capisco.
Le squinzie spariscono e noi grandi restiamo sole, con i resti delle nostre birre e una tensione erotica che ci consuma entrambe.
Mi mordicchio un’unghia guardandola di sottecchi, e le lascio intravedere la lingua.
Lei avvampa.
La sua maglia è abbastanza sottile, e noto che i suoi capezzoli si sono induriti di colpo, e adesso protrudono attraverso il tessuto. Le sue narici stanno palpitando, e lei si agita sulla poltrona, come se avesse un prurito tremendo fra le gambe…
Probabilmente ce l’ha davvero.
Sono eccitata anch’io; faccio fatica a trattenermi, ma devo.
Astrid non ce la fa più. Il boccale di birra nella sua mano trema leggermente. Mi guarda con quegli occhioni imploranti, e sembra davvero sul punto di crollare.
Mi lecco il labbro inferiore e le sorrido come una pantera, reclinando il capo di lato e offrendo per un attimo il collo al suo sguardo bruciante.
Poi scavallo le gambe e sorseggio la mia birra.
Lei emette come un rantolo; si rivolta sulla poltrona e fa cadere un cuscino per terra; tutta rossa in viso, mi guarda come una coniglietta che osserva il cacciatore attraverso la canna del fucile.
Mette il boccale sul tavolo e mi guarda implorante.
Sorrido, e appoggio anch’io il boccale, poi mi alzo in piedi e la domino dall’alto del mio metro e ottanta.
Lei alza timidamente lo sguardo e mi sorride, esitante…
Implacabile, io mi volto verso la finestra e guardo di fuori, ignorandola.
Lei emette un guaito di sofferenza, appena mascherato da sbadiglio.
Mi giro a metà e le sorrido di sottecchi.
Sta sudando, poverina…
Mi avvicino alla sua poltrona, sempre con la birra in mano e la guardo dall’alto con un sorrisetto crudele.
Lei mi guarda implorante, sbattendo le palpebre.
Poi, per la prima volta, la tocco: sfioro con un dito il suo mento sottile, girandole appena il capo come per osservarla meglio, e faccio scorrere l’indice sul suo bel viso.
Poi, con voce roca, lascio cadere una frase.
- Ti voglio…
di
scritto il
2018-01-14
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