Cattivi geni

Scritto da , il 2016-10-12, genere incesti

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Questo racconto è pura fantasia. Non so se esiste veramente una malattia del genere, né la "cura" indicata è una proposta. Io non sono un medico.
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Erano già diversi anni che io e mio marito cercavamo di avere dei figli. Tuttavia, sebbene fosse abbastanza facile concepire, non sono mai andata oltre l'undicesima settimana di gestazione.
Poche settimane fa ho avuto il quinto aborto spontaneo e allora il medico mi ha indirizzato ad un centro della fertilità. Mi sottoposero ad ecografie, a diverse visite ginecologiche, ad esami di dosaggi ormonali, ma il risultato fu sempre stato lo stesso. Tutto normale. Non riuscivano a capire cosa ci fosse che non andasse.
Poi un giovane ricercatore mi suggerì un particolare esame degli anticorpi. E finalmente si chiarì tutto. Avevo un eccellente sistema immunitario… Troppo eccellente, se vogliamo dire.
Ero da sola davanti ai medici. Mio marito, stufo della trafila, si era bellamente eclissato.
— Cara signora… il suo sistema immunitario è troppo efficiente. Vede il problema è proprio questo. I suoi globuli bianchi riconoscono il feto come un corpo estraneo e lo aggrediscono. E il risultato è un aborto — disse il primario di immunologia.
— Quindi… vuole dire che la colpa è mia? Dei miei globuli bianchi? … E non c'è una cura?
Il volto del medico si fece serio.
— No, signora. Non esiste una cura. Lei non potrà avere dei figli. Sono desolato.
Mi alzai sconsolata dalla sedia, mormorai un grazie prendendo i risultati degli esami e me ne andai. Avevo voglia di prendere a pugni qualcuno, di mettermi a piangere, di urlare al mondo intero la mia disperazione. Non sarò mai una madre.
Gironzolai a piedi senza meta per delle ore con le lacrime che mi scendevano agli angoli degli occhi.
“Non sarò mai una madre. Non sarò mai una madre. Non sarò mai una madre.” Sembrava un mantra che non voleva uscirmi dal cervello.
Alla fine mi sedetti al tavolino di un bar con le spalle curve e la borsa sulle gambe. Le lacrime non volevano saperne di fermarsi.
Si fece avanti una donna anziana, molto avanti negli anni.
— Tutto bene, mia cara? — mi chiese con un tono tra il dolce ed il preoccupato.
Mi asciugai le lacrime con il dorso delle mani.
— Sì… sto bene… È solo che mi hanno appena dato una brutta notizia…
Non volevo proprio raccontarle i miei problemi, ma questa donna era davvero preoccupata per me. E neanche ci conoscevamo…
— Mi dispiace per te, cara. Devo chiamare qualcuno?
— Non serve, grazie. Tra poco mi passerà.
— Posso chiederti il motivo delle tue lacrime? Magari posso aiutarti.
— Non c'è nulla che lei possa fare. Il problema sono io. Non potrò mai avere dei figli.
— Perché dici questo, Serena. C'è sempre una soluzione.
La guardai stralunata. Non le avevo detto come il mio nome.
— Come fa a conoscermi? Come fa a sapere il mio nome?
— Oh, tesoro, ma noi ci conosciamo… E so anche quale è il tuo problema. Devi solo trovare qualcuno di più compatibile di tuo marito. Ti suggerisco di guardare le foto della tua famiglia.
Detto questo la donna si allontanò, svanendo nella canicola cittadina.
Ma chi era quella donna? Come faceva a sapere? Come fa a conoscermi? chiesi a me stessa.
Mi alzai e me ne tornai a casa.
A casa non c'era nessuno, Sergio era al lavoro. Mi sedetti sul divano e ricominciai a piangere.
All'improvviso mi esplose nel cervello una frase che quella donna mi ha detto: “trovare qualcuno di più compatibile”. Mi ricordo a malapena di quello che ho studiato a scuola, di piselli verdi e gialli, dell'ereditarietà.
Afferrai il tablet sul tavolo e mi collegai ad internet. Feci delle ricerche e quello che trovai mi lasciò impietrita.
Lessi: “La compatibilità maggiore si ha tra i famigliari”.
Famigliari… famigliari… Nel mio caso i maschi: padre e fratello.
Quindi per avere una maggiore probabilità di portare a termine la gravidanza dovrei farmi mettere incinta da mio padre o da mio fratello? Ma come posso chiedere loro una cosa del genere? Con che coraggio?
Tutto ad un tratto ero esausta. Ero punto e a capo.
Dopo un po' mi riscossi, perlomeno c'è una probabile soluzione, pensai. Anche se non proprio ortodossa. Tutto stava nel riuscire a convincere qualcuno dei due che fosse l'unica soluzione al mio problema.
Secondo il sito, che parla di trapianti, la compatibilità migliore è quella di un fratello, perché possiede il 50% dei geni del padre ed il 50% della madre. Ma a me non serviva un organo. Mi serviva il suo seme. Per cui, se mio fratello ha il 50% di compatibilità, mio padre ne ha il 100%. Quindi avrei dovuto puntare su mio padre per avere migliori speranze.
Dovevo sedurre mio padre.
Già… come se fosse facile. Avevo bisogno di aiuto. Ma a chi potevo chiedere? Decisi di parlarne con mia madre, senza però dirle tutto.
— Sai, mamma, ho parlato con i medici per il mio problema. Del fatto che continuo ad abortire. Mi hanno detto che è un problema di compatibilità. Ma hanno anche detto che forse un giorno il problema si risolverà da solo.
— Oh… mi dispiace tesoro. Ora che mi viene in mente, anche mia sorella grande, tua zia Marianna, anche lei ha avuto dei continui aborti prima che riuscisse a partorire i tuoi cugini. Magari potresti parlare con lei e sentire come ha risolto la situazione.
— Ah sì? Allora più tardi la chiamo.
Restai ancora un po' a parlare con mia madre, ma ora avevo fretta di andarmene. Volevo telefonare alla zia. Me ne andai dopo un'oretta.
Appena a casa, le telefonai.
— Pronto? Zia… ciao, sono Serena. Come stai?
— Oh, ciao, quanto tempo! È da Pasqua che non ci sentiamo! Sei una nipote senza cuore, lo sai? Comunque sto molto bene, grazie.
— Ho bisogno di parlarti. Quando possiamo incontrarci?
— Ora ho tempo, se vuoi. Sono sola soletta. Tuo zio è fuori per lavoro per tutta settimana e non ci sono nemmeno i tuoi cugini.
— Quindi posso venire lì tra dieci minuti?
— Va benissimo. Ti aspetto.
Presi la macchina e andai subito da lei. Quando mi aprì la porta mi stritolò in un abbraccio, come se fosse da secoli che non ci vedevamo. Ci accomodammo in cucina, mentre preparava dei caffè.
— Allora, dimmi tutto.
— Beh, sì… è una cosa un po' personale e privata. La mamma però ha detto che avrei fatto bene a parlarne con te, visto che hai avuto anche tu dei problemi di… di gravidanze.
La zia smise di fare quello che stava facendo e si girò con uno sguardo stranito.
— Cosa ti ha detto di preciso?
— Nulla di particolare. Si è solo ricordata che anche tu hai avuto diversi aborti spontanei prima di avere Stefano e Giada.
Sospirò contenta.
— Oh solo quello. Meno male… credevo che si fosse venuto a sapere… — sussurrò.
Ma io ero di fronte a lei e avevo sentito bene.
— Sapere cosa? Chi è il padre dei tuoi figli?
— Già… proprio quello. Tua madre non sa niente di questa storia, che tra l'altro era ancora una bambina quando capitò. Lo sai no, che ci sono dodici anni di differenza tra noi. Solo chi è toccato da questa sventura può capire… Me l'ha confidata mia nonna prima di morire. È una malattia antica nella nostra famiglia. Allora ce l'hai anche tu, eh? È ereditaria, anche se non tutte le donne della famiglia hanno questo problema. Tua madre, per esempio, non ce l'ha. E neanche Giada, per fortuna. È un gene recessivo, a quanto pare.
— Sì, ce l'ho anch'io. È colpa del sistema immunitario. Allora chi è il padre dei tuoi figli?
— Mio padre. Tuo nonno. È inevitabile. Può essere solo lui. Coi fratelli non funziona, ci ho provato. Non c'è alternativa. Puoi avere dei figli solo se resti incinta di tuo padre.
— Merda! Speravo che… ah, fa nulla. Pazienza. E come dovrei fare secondo te? Cosa posso dirgli per convincerlo?
— L'unica cosa è essere sinceri e dire la verità, almeno a lui. Con me ha funzionato. Gli altri credano pure quello che vogliono. Sono sicura che non saprà negarti ciò che desideri maggiormente. Tuo padre ti vuole molto bene e quando gli dirai che solo lui potrà darti dei figli, non si tirerà indietro. Forse storcerà il naso le prime volte, ma sono sicura che non ti negherà mai quello che vuoi.
Bevemmo in tranquillità il caffè e mi chiese se volevo restare per cena.
— No, mi spiace, non posso restare. Ma ti ringrazio per tutto il resto. Farò come suggerisci.
Ritornai a casa e preparai la cena.
Appena finito di mangiare, Sergio mi chiese il risultato degli esami. Nel pomeriggio avevo già pensato cosa dire. Prima di tutto, mentire alla grande.
— Non c'è nessun problema. Il dottore ha detto solo di continuare a provare e prima o poi accadrà che porti a termine la gravidanza.
— Visto!? È quello che ti avevo detto anche io! Mi hai fatto fare degli esami umilianti per niente! — sbraitò lui.
— Beh… e secondo te cinque aborti spontanei consecutivi sono una normalità? Era naturale che volessi saperne di più! Non ti pare? — risposi a tono.
Borbottò qualcosa senza senso e se ne andò in sala a guardare una partita di calcio. Tifoso fino alla fine. Dalla punta dei capelli alle unghie dei piedi.
Meglio così. Almeno avrei avuto tempo per pensare ed organizzarmi per parlare a mio padre.
Dopo averci riflettuto per più di due settimane, con tutto il coraggio che riuscii a racimolare, telefonai a mio padre sul cellulare. Sergio non c'era, era via per lavoro per tre giorni.
— Pronto, papà? Ciao.
— Ciao Serena. È successo qualcosa? Non mi chiami mai sul cellulare…
— Per così dire… senti… potresti fare un salto qui da me quando finisci al lavoro?
— Beh, sì, certo. Ma è successo qualcosa?
— Sì… no… non è successo niente… ma ho bisogno… — non mi fece finire.
— Allora vengo immediatamente. Mi prendo mezza giornata di ferie. Tanto è un periodo morto e non ho nulla di urgente da fare.
— Va bene… come preferisci… ti aspetto, allora.

Dopo poco più di mezz'ora suonò alla porta e lo feci entrare.
— Dimmi tutto — mi disse appena oltrepassata la soglia.
— Siediti sul divano… Quello che ho da dirti è una cosa un po' complicata.
Papà si sedette e io cominciai a camminare avanti e indietro davanti a lui. Ero estremamente nervosa e lui se ne accorse. Si alzò e mi abbracciò.
— Calmati Serena. Non sarà una cosa poi così grave, dai… sei malata? Una qualche brutta malattia? Dimmi… — mi sussurrò all'orecchio.
— Oh papà… sì ho una malattia ma non è quello che credi. Non si tratta affatto di un tumore. Siediti, per favore.
Papà si risedette sul divano, lasciandomi il tempo per raccogliere le idee.
— Allora… sì… è una malattia un po' strana, perché vedi si tratta di un problema di compatibilità. Lo sai vero che ho avuto cinque aborti spontanei, no? Ecco, ho fatto degli esami ed è risultato che il mio sistema immunitario non riconosce il figlio di Sergio. Lo avverte come un corpo estraneo e quindi lo aggredisce e lo distrugge.
Papà mi osservò con uno sguardo attento. Presi una sedia e mi sedetti di fronte a lui. Appoggiò le mani sulle mie ginocchia.
— Va avanti… — mi esortò.
— Il problema è tutto lì. Se voglio avere dei figli devo trovare qualcuno che sia più compatibile di lui… — continuando poi guardandolo negli occhi — Che abbia il mio stesso DNA.
Sembrò turbato. Il volto di mio padre passò dal ribrezzo all'incredulità all'imbarazzo nel giro di pochi istanti.
— Ci scommetto che questo non te lo ha suggerito il medico, vero? — mi rispose con un sorriso sbilenco.
Sembrò che fosse più facile del previsto convincerlo.
— No, infatti. Il medico ha semplicemente detto che non potrò avere dei figli. Ma subito dopo ho incontrato una strana donna che mi ha fatto pensare e poi ho parlato con la zia Marianna, che a quanto pare ha la mia stessa malattia. E lei mi ha detto come ha fatto ad avere Stefano e Giada. Non dirlo a nessuno, però, è un segreto.
— Quindi vuoi che io… che io e te… vuoi che sia io a darti un figlio? È questo che vuoi?
Immaginai di fare sesso con lui ed arrossii come un adolescente in preda alla vergogna. Annuii guardando il pavimento.
Papà mi sollevò il viso.
— Non nasconderti, Serena. È davvero questo quello che vuoi? Che io ti metta incinta?
— Oh, papà… non te lo chiederei mai… se ci fosse un'alternativa! — dissi corrucciata. — Ma la zia ha detto che può accadere solo con il padre…
— E lei ti ha detto di avere fatto sesso con suo padre e che l'ha ingravidata. Ma sei sicura che non c'è alternativa? Sei proprio sicura sicura?
— Papà che vuoi che ti dica! Non so nulla di genetica! Ma i medici lo hanno escluso. Non potrò mai restare incinta per problemi di compatibilità. Tu sei mio padre ed ho metà dei tuoi cromosomi. Non so chi altri potrebbe essere più compatibile di te…
— Beh, sai, non è proprio una cosa che ti senti dire tutti i giorni. Tua figlia che ti chiede di metterla incinta… Posso pensarci su un po'?
— Papà… ti prego… È l'unico modo…
Papà pensò per qualche minuto.
— Perché allora non adottate un bambino? Questa è una alternativa.
— Ce lo vedi tu Sergio a sottoporsi all'iter burocratico? E poi ci vogliono anni prima di poter adottare. Colloqui su colloqui, viaggi all'estero, e quando poi il bambino cresce gli devi spiegare perché è diverso da te… — continuai poi abbassando la voce — E poi io voglio sentire la vita di mio figlio che cresce dentro di me.
Misi una mano sulla mia pancia e l'altra sopra le mani di mio padre, ancora sulle ginocchia.
— E la fecondazione artificiale? — chiese.
Papà mi strinse la mano nelle sue.
— Dovresti essere comunque tu. E dovremmo andare all'estero perché in Italia non si può fare, il seme deve essere quello di tuo marito. E il centro per la fertilità non ti accetterebbe comunque perché sei mio padre. L'unico modo è farlo alla vecchia maniera. Ti prego papà… voglio un figlio… mettimi incinta, ti prego…
Stavo piangendo. Le lacrime scorrevano sulle mie guance, fino a cadere sulla mano ancora posata sul mio ventre.
Stavo quasi per disperarmi al fatto di non essere riuscita a convincerlo quando…
— Va bene, tesoro. Lo farò, ma… non voglio che tu pensi che diverremo amanti. Lo faremo solo nel tuo periodo fertile, e solo fino a che resterai incinta. Poi non se ne parlerà più. Io amo tua madre. Ma voglio bene anche a te, per cui ti darò quel figlio che tanto desideri.
Ero al settimo cielo! Mi alzai di scatto dalla sedia e mi fiondai ad abbracciarlo, ancora seduto sul divano.
— Grazie, grazie, grazie, grazie…
Ora erano lacrime di gioia quelle che mi scendevano. Scoppiai a piangere per davvero e papà continuava a darmi delle leggere pacche sulla schiena.
— Dai, Serena, smettila ora… Non piangere più… non ne hai motivo.
Mi misi a ridere mentre piangevo e ne uscì uno strano suono, come di un'oca strozzata. Restai tra le sue braccia ancora per qualche minuto, poi mi staccò da lui, restando comunque seduta sulle sue ginocchia. Papà mi fissò negli occhi.
— Quando sarai in ovulazione? — mi chiese.
— Domani.
— Allora non c'è tempo da perdere. Fammi alzare che mi tolgo i pantaloni.
Si levò anche le mutande. Si girò di spalle per non farsi vedere, ma scorsi ugualmente il movimento della sua mano.
Io mi levai i leggins e gli slip e attesi, in piedi dietro di lui.
— Aspetta papà. Lascia che lo faccia io — gli dissi.
— Serena, non…
Lo feci girare e mi inginocchiai di fronte a lui. Il suo cazzo era già semieretto.
Chiusi gli occhi e lo presi in bocca. Le mie labbra si chiusero attorno all'asta e presi a succhiarlo. La lingua cominciò a saettare e arrotolarsi sulla cappella.
Non so cosa stava facendo papà, perché avevo ancora gli occhi chiusi. Non volevo guardarlo per paura di scoprire che quello che stavo facendo gli faceva ribrezzo.
Iniziai a prendere sempre di più il cazzo nella bocca, con succhiate vigorose e profonde. Mi stavo eccitando e sentivo che anche lui iniziava a godere. Il suo cazzo nella mia bocca diventava sempre più duro.
Papà raccolse i miei capelli lunghi nella sua mano. Stava respirando affannosamente e sentivo che il suo cazzo mi vibrava in bocca. Smisi di leccarlo e succhiarlo. Nessuno di noi parlava.
Ci spostammo verso il divano e papà si sedette. Continuavamo a non parlare. Io mi misi su di lui, guardandolo. Poi papà prese il cazzo in mano, muovendolo su e giù piano sulla mia fichetta.
A quel punto non capii più nulla. Sentivo tra le gambe un calore inebriante. Ero bagnata. La sua mano sinistra scese sul mio sedere, timidamente, per cercare una presa più salda.
E solo allora il suo cazzo durissimo scivolò dentro di me facilmente, per via degli umori grondanti. Iniziai a cavalcarlo, prima lentamente, per sentire tutta la sua lunghezza dentro di me e in fondo a me. Poi con foga, con un desiderio che non avevo mai provato, neanche con Sergio. Papà con altrettanta veemenza spingeva il suo cazzo gonfio dentro di me. Godevamo con versi smorzati, forse per non doverci ricordare di quello che stava veramente succedendo.
Durò solo pochi minuti. Verso la fine, papà mi afferrò i fianchi e mi tenne ferma, spingendo con molta più forza e velocità il suo cazzo durissimo. Naturalmente mi venne dentro. Abbondantemente, tra l'altro. Sentii il suo cazzo pulsare e getti caldi inondarmi le pareti. E io, già sul punto di venire sin dal momento in cui era entrato in me, al sentire quel getto di sperma caldo, al pensiero che mio padre era venuto dentro di me, mi lasciai andare all’orgasmo più intenso della mia vita. Pensai che non avrei mai più potuto provare un’emozione così forte e un orgasmo così bello.
Le mie gambe e la mia fica tremavano, mentre lui, accortosi di quello che stava succedendo, continuava a spingere, ora più lentamente.
Il suo cazzo si sgonfiò ed uscì dalla fica, trascinandosi dietro buona parte dello sperma.
Nessuno dei due parlò ancora. Ma qualcosa era cambiato… Nei suoi occhi vedevo la libidine che lo assaliva prepotentemente. All'improvviso ci guardammo intensamente, un istante che sembrava eterno. Fu lui a fare il primo passo. Mi afferrò la testa, si avvicinò con la bocca e mi baciò. La sua lingua rincorse la mia, la trovò, la accarezzò.
Ci baciammo a lungo, nessuno dei due accennava a smettere. Mentre la sua bocca tormentava la mia, le sue mani si mossero sotto la maglietta che ancora portavo addosso. Mi palpò e strizzò il seno. Era sconvolto, ma perse ugualmente ogni freno inibitorio; si era fatto prendere dalle circostanze.
Le sue mani sollevarono la maglietta, mettendo a nudo il seno già senza reggiseno.
Papà prese a leccarmi le mie tette piene e turgide. I capezzoli eretti erano come grosse caramelle gommose, duri e morbidi allo stesso tempo. Riuscì a metterne in bocca una buona parte del seno, succhiandolo a lungo, schiacciando il capezzolo contro il palato, mungendolo. Con voracità passò da una tetta altra.
Mi tolse la maglietta ed io levai la sua. Sotto le mie dita sentii i muscoli del suo addome tesi. Mi spinse contro il suo membro, oscenamente ingrossato da un’altra erezione. Si spinse contro la mia fica, calda, umida e accogliente. All'improvviso mi fece sdraiare sul divano, mettendomi sotto di lui. Mi sollevò un poco il sedere e mi infilò dentro la sua mazza. Ebbi quasi un orgasmo solamente per avermelo ficcato dentro. Mi scopò con più forza. Mi penetrò in profondità fino alla radice. Mosse il cazzo dentro di me, mentre mi mordicchiavo le labbra eccitata. Il suo movimento cominciò a essere più ampio e profondo. Ogni volta che il cazzo sprofondava dentro di me, i suoi sospiri erano pieni di piacere e di estasi, eccitando ancora di più il mio desiderio. Mi accarezzai i seni, stringendo i capezzoli fra le mie dita, il mio piacere aumentò.
— Scopami, scopami ti prego, papà! Più forte papà… — urlavo ormai totalmente presa dall'amplesso.
Il suo cazzo scompariva nella mia fica ingorda ad un ritmo forsennato.
Mi sembrava un sogno. Uno spettacolo mai veramente desiderato, si stava concretizzando sotto i miei occhi. Papà incuneato in mezzo alle mie gambe, mentre con il suo cazzo mi stava martoriando la fica.
Continuavo ad implorare papà di scoparmi più forte, di farmi godere ancora di più. Se prima avevo temuto di non avere più orgasmi così intensi dovetti ricredermi. Papà mi stava letteralmente facendo impazzire dal godimento.
All'improvviso sentii il suo cazzo che cercava la strada per entrare direttamente nel mio utero. Quando ci riuscì, dopo alcuni affondi convulsi, mi abbracciò e mi inondò di sborra. Avvertii distintamente il suo carico di sperma che mi riempiva.
Provai un senso di delizia estrema mentre papà scaricava quell’impeto dentro di me. Quella scopata era stata diversa, non aveva la stessa intensità emotiva di quelle che facevo con mio marito. Dava un piacere sublime, unico ed eccezionale, perché esaltato dal legame di sangue che ci univa. L’incesto ci aveva coinvolti un inferno di piacere estremo.
Poi papà mi crollò addosso. Respirammo affannosamente entrambi. Restammo così fermi per qualche minuto ancora. Poi si alzò e mi allungò una mano.
— Andiamo — mi disse.
A quello, che era stato solo l’assaggio, seguì l’apoteosi. Dopo quella veloce scopata, ci spostiamo in camera da letto. Appena sdraiata, si avventò su di me con già il cazzo in tiro.
Papà ignorò immediatamente la premessa fatta, dimenticò il motivo per cui era e lì e mi fissò a lungo con cupidigia. Vedermi disponibile a riceverlo dentro di me, gli diede una libidine ed una morbosità che stentava a controllare.
Verso le otto telefonò a casa per avvertire mia madre che restava da me per la notte.
— Sai tesoro, è giù di morale per tutta questa storia degli aborti. Sergio non c'è e non voglio che resti sola. Potrebbe fare anche un gesto sconsiderato — disse a mia madre.
Però! Sapeva mentire bene, mio padre…
Per cena ordinammo delle pizze. Nessuno dei due voleva perdere troppo tempo a mangiare.
Passammo tutta la notte ed il giorno seguente a scopare in ogni modo possibile ed in tutti i posti immaginabili della casa.

Papà centrò l'obbiettivo già quella prima volta. Rimasi subito incinta a comprova della facilità con cui concepivo. Ora si trattava solo di portare a termine la gravidanza.
Il ginecologo che mi aveva sempre seguito, si congratulò con me quando iniziai il secondo trimestre. Non c'erano più dubbi al riguardo. Avrei fatto nascere il mio bambino.
Per sicurezza, comunque, già dal primo mese, mi obbligò a stare a casa dal lavoro e avviai le pratiche con l'INPS per la maternità anticipata.
Quello che all'inizio era nato solo come uno struggente desiderio di maternità, si era trasformato in un'appagante e duratura relazione. Papà passava da me ogni due o tre giorni, mentre mio marito non c'era, e facevamo delle scopate fenomenali. Eravamo diventati amanti. Anzi, lui mi diceva che ero la sua seconda moglie.
Una notte, poi, dopo che avevamo appena finito di fare l'amore, mentre mi accarezzava dolcemente la pancia arrotondata da nostro figlio mi chiese — Allora amore mio, quanti figli vuoi che ti dia?
— Almeno altri quattro, papà — risposi senza esitazioni.
— Ma allora mi ami veramente… — disse lui.

Adesso mi mancano solo due settimane al termine e sono a dir poco euforica. Sergio non sospetta niente e mio padre è raggiante. Sta per avere un altro figlio. È un maschio. Per tutti però (tranne i diretti interessati e zia Marianna) è al settimo cielo all'idea di diventare nonno.

Sto sfogliando l'album di foto di mia madre, accarezzando soprapensiero la mia pancia, quando vedo la foto di una sorridente donna anziana che avevo incontrato una volta.
— Mamma, chi è questa donna?
— Chi? Fammi vedere.
La mamma prese gli occhiali per guardare meglio.
— Oh, lei. Lei è mia nonna. La tua bisnonna. È morta quando io avevo dodici anni.
La mia bisnonna era la donna anziana che ho incontrato molti mesi fa, in un bar del centro, che conosceva il mio nome.
Io non credo ai fantasmi, però…

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