Un tranquillo week-end di scopate

Scritto da , il 2019-03-16, genere incesti

Avevo vinto un buono vacanza alla lotteria della festa di paese. Un week-end (due giorni e due notti) per due persone da passare in un albergo in montagna, ma non sapevo con chi andarci. Non avevo un ragazzo, né amici o amiche con cui ero in confidenza.
Quando ormai il buono stava per scadere, chiesi a mio fratello Andrea se volesse accompagnarmi lui.
Lui ha cinque anni più di me. Ed è un figo pazzesco… moro, occhi azzurri, con quella leggera barbetta molto di moda di questi tempi, sguardo intenso… Quando quei due occhi ti fissano, sembra sempre che un vorace predatore stia puntando la sua cena.
Gli voglio molto bene e siamo sempre andati molto d'accordo. Da piccoli eravamo inseparabili, tanto che dormivamo anche nello stesso letto. Ma vi parlo di quando avevo due o tre anni. Moltissime volte si è preso la colpa delle marachelle che combinavo e veniva punito lui al mio posto. Un paio di volte ho voluto io prendermi la colpa di qualcosa che aveva fatto lui, perché sapevo che lo avrebbero punito molto più severamente di me, che ero ancora piccola.
I nostri genitori lo hanno sempre spronato a curarmi e proteggermi in ogni modo possibile, per la sua giovanissima età. Quando camminavamo per strada mi teneva sempre per mano, quando avevo voglia di un gelato mi accompagnava sempre al bar vicino casa, quando eravamo al mare giocavamo sempre insieme e non potevo mai allontanarmi se lui non era con me.
— Verrò molto volentieri con te — mi rispose immediatamente.
E così due giorni prima iniziai a fare la valigia. Sì, d'accordo, era solo un week-end, sarebbe bastato anche solo uno zaino con un paio di jeans e qualche maglietta, ma volevo mettermi cose carine, almeno per una volta…
Senza neanche pensarci, riempii la valigia dei miei abiti più belli e seducenti. Ne misi da parte uno per il viaggio.
Saremmo andati con la sua macchina. Ero da poco maggiorenne e non avevo ancora la patente. La sua auto è un bellissimo suv, comprato usato ma quasi nuovo. Ce l'aveva da poco meno di sei mesi, e anche lui non vedeva l'ora di sfoggiarlo.
Era giugno e la scuola era finita solo da pochi giorni. Faceva caldo e le previsioni del tempo erano favorevoli. Ci sarebbe stato bel tempo ancora per una decina di giorni.
Avremmo dovuto fare all'incirca 200 km, quasi tutta autostrada, ma a mio fratello piaceva guidare e la sua auto è davvero molto comoda. Mi accoccolai sul sedile di fianco al suo, programmò il navigatore, mise alla radio una stazione di musica classica (siamo entrambi patiti di quel genere musicale), e all'alba finalmente partimmo per la nostra breve vacanza. Ci fermammo solo per un veloce caffè.
Entrambi stavamo in silenzio, lasciando che la musica in sottofondo riempisse il silenzio. Mi sentivo felice e serena in sua compagnia, col sorriso sulle labbra, e neanche lui sembrava avere interesse a riempire quel nostro silenzio. Sembrava assorto nella guida, anche se ogni tanto volgeva lo sguardo verso di me e mi sorrideva dolcemente.
Quasi a destinazione, uscimmo dall'autostrada e cominciammo a risalire verso la nostra meta. L'albergo era ubicato a mezza montagna, all'incirca a 800 mt. di quota, sulla cima di un colle dove un tempo c'era un passo trafficato (prima che costruissero una galleria a qualche chilometro di distanza) e, sullo sfondo, una bellissima valle circondata da alte montagne ancora innevate.
Restai senza fiato per la bellezza del posto. Recuperai il cellulare dalla borsa e scattai qualche foto. Era troppo bello per non immortalare quello splendido paesaggio.
— Resta ferma così… — sentii la voce roca di mio fratello.
Udii il clic di una foto scattata, poi Andrea si rimise il cellulare in tasca e recuperò la nostra valigia. Ne avevamo fatta una sola. Dopotutto era solo per due giorni, anche se io ne avevo occupata la maggior parte.
Ci registrammo e ci diedero la stanza. Eravamo al primo piano e dalla nostra stanza si vedeva lo splendido panorama che avevamo visto dal parcheggio. C'era anche un terrazzino, bello grande, con un incantevole angolo arredato con due divanetti ed un tavolino.
Anche la stanza era piuttosto grande. Ma aveva solo un letto matrimoniale.
— Mi dispiace, ma dovremo dormire insieme — dissi io.
— Non è un problema — disse Andrea facendo spallucce. — Sono solo due notti, dopotutto.
Tolsi i vestiti dalla valigia, li appesi con cura nell'armadio (anche i suoi) e misi la biancheria intima nell'unico cassetto che c'era. Mi imbarazzava un po' quel fatto, perché Andrea avrebbe visto la lingerie che avevo portato. Anzi mi imbarazzava proprio quello più che il fatto che avremmo dormito nello stesso letto.
— Bene… e adesso che siamo qui, cosa facciamo?
— Boh… giù alla reception ci saranno degli opuscoli con cose da vedere. Faccio un salto giù e arraffo un po' di tutto — rispose lui.
Nel giro di pochi minuti fu di ritorno.
— Allora… qui abbiamo… vediamo, degustazione di vini locali… museo reperti preistorici… museo reperti della Grande Guerra… percorso ciclopedonale… percorso sci di fondo, no, questo direi di no, visto che non c'è neve neanche a cercarla con un faro… altro percorso (aprendo l'opuscolo) di due ore di cammino… centro benessere/spa, questo sì che è interessante (e lo mise da parte)… degustazione formaggi nei masi della zona…
— Non so, Andrea… A me basterebbe anche solo stare qui ad ammirare questo splendido panorama…
— Ma dai, Paola… Abbiamo fatto tutti questi chilometri solo per stare chiusi in camera? — mi allungò la mano. — Dai andiamo a farci un giro qua attorno…
Misi la mia mano nella sua e mi lasciai convincere. Tenendoci per mano scendemmo le scale ed uscimmo fuori.
Nel parcheggio c'era una specie di totem, più che altro un palo, con attaccato degli indicatori. Andrea mi ci trascinò davanti.
— Allora… vediamo… — disse leggendo le indicazioni. — Trento, Milano, Bologna, direi proprio di no. Cascate Tonanti, 1 km. Ehi, Paola, c'è una cascata qui vicino — disse entusiasta. — Possiamo andare lì per cominciare, eh?
Approvai. Dopotutto fare un chilometro a piedi non era poi questa gran cosa.
Camminando fianco a fianco, ci addentrammo per il sentiero. Era ben tenuto e, anche se non avevo scarponcini adatti per camminare nei boschi, era facile da percorrere. Dopo pochi minuti iniziai a sentire il rumore della cascata, che non era affatto tonante. Era un piacevole mormorio che ben si legava con i rumori del bosco.
Il bosco si aprì e ci ritrovammo all'interno di una radura, ampia un centinaio di metri, e sul fondo la cascata. Era alta all'incirca tre metri e, come avevo pensato, la portata d'acqua era molto ridotta.
— Ma non è affatto tonante! — mi lamentai.
Andrea si mise a ridacchiare. — Sarà colpa del riscaldamento globale.
— Sì, sì, diamogli la colpa di tutto… Magari hanno deviato parte dell'alveo, o magari un castoro ci ha costruito una diga, se ne esistono ancora, e chissà quante altre ragioni…
— Se lo dici tu… Magari possiamo trovare un sentiero che va su, se sei così curiosa — mi tentò lui.
— Nah, non ho le scarpe adatte per arrampicarmi.
Andrea guardò i miei piedi. — E perché diamine ti sei messa quei sandali e non un paio di scarpe da ginnastica? Lo sapevi che saremmo venuti in montagna.
— Senti un po'… io volevo starmene in albergo — gli risposi decisa. — Non ho portato vestiti per scalare una montagna.
— Ehi, ehi, non arrabbiarti. Era solo un'idea. Possiamo anche starcene qui a non fare niente — disse Andrea sollevando le mani in segno di arresa.
— Uhm… — e borbottai qualcos'altro senza senso.
Era un posto incantevole. Se guardavi in alto, si aveva l'impressione di guardare il cielo terso attraverso un cannocchiale.
— È meraviglioso… — sussurrai, con lo sguardo rivolto al cielo.
— Già proprio così… — rispose lui con voce roca. Abbassai lo sguardo verso di lui e notai che mi stava fissando intensamente.
— Che c'è? — chiesi io.
— Niente, niente, solo un pensiero — disse lui, non del tutto convincente.
Volli avvicinarmi alla cascata, ma misi male un piede e mi ritrovai a fare un bagno imprevisto. La pozza d'acqua alla base della cascata non era profonda, mi arrivava soltanto a mezza coscia, ma mi ritrovai lo stesso completamente fradicia.
Andrea scoppiò a ridere.
— Non è divertente! — urlai io. — Ed è pure freddissima.
— Vieni, ti aiuto a risalire — rispose trattenendo una risata.
Quando anche lui si avvicinò, fece la mia stessa fine, anche se si bagnò meno di me. E questa volta fui io a ridere.
— Cazzo… il cellulare — imprecò Andrea, cercando svelto di togliere il telefono dalla tasca dei pantaloni per evitare di danneggiarlo ulteriormente.
Insieme cercammo di uscire dall'acqua e ce la facemmo piuttosto a fatica. Le pietre sul fondo e quelle che circondavano il laghetto era scivolose a causa di alghe e muschi.
Tremavo di freddo.
— Vieni, mettiamoci al sole. Ti scalderai più facilmente.
Ci spostammo in un punto, a qualche metro di distanza, dove il sole batteva forte. Ci sedemmo sull'erba.
Mi levai i sandali e anche lui si tolse le scarpe da ginnastica che portava.
— Cavolo… Ormai sono rovinati! — osservando bene i sandali. — Non torneranno più quelli di prima. E il tuo cellulare? Si è bagnato?
— Un po'. Dovrà farsi un bel riposino nel riso, ma riuscirò a sistemarlo. — rispose, forse preoccupato, osservando preoccupato il telefono che aveva in mano. — È tutta colpa tua! Mi hai fatto cadere nell'acqua. Lo hai fatto apposta, vero?
— Ma no! — risposi indignata. — Non è vero!
Ma lui stava sorridendo. Poi lentamente il suo bellissimo sorriso si smorzò. Mi guardava intensamente, con i suoi stupendi occhi azzurri. Un improvviso lampo di dolore gli attraversò il viso. Ma non il dolore fisico di una fitta.
— Paola… — per poi ammutolirsi. Dopo sembrò aver preso una decisione, ed il suo dolore fu sostituito dalla determinazione. Mi catturò le labbra con un bacio che non conteneva alcuna incertezza.
— Sì… — sussurrai tra le sue labbra, anche se capivo esattamente a cosa dicevo di sì.
Improvvisamente fui consapevole della nostra vicinanza, di quanto i miei vestiti bagnati fossero solo un velo incollato alla pelle. Avevo addosso un semplice vestitino di viscosa.
Le mie mani si mossero lente sull’abbottonatura della sua camicia, gliela feci scorrere via dalle spalle, mi strinsi contro il suo petto percependo la sua pelle calda contro il mio abito bagnato. Il profumo del suo corpo mi mandò in estasi. Gli feci scorrere le mani lungo il corpo, desideravo accarezzarlo, senza inibizioni, senza il terrore di osare troppo, senza la paura che lui non mi volesse. Sentivo le mie dita percorrere il suo corpo, la cosa più bella del mondo. Non c'era posto per l’imbarazzo, non quando potevo cogliere una simile occasione, con la paura che qualcuno potesse interferire.
Andrea mi poggiò le mani sulle spalle, avvertii che aveva preso tra le dita le spalline del mio abito, scostò le labbra dalle mie e mi interrogò con lo sguardo, con la fronte premuta contro la mia e gli occhi che sembravano risplendere come due astri.
Mi strinsi le spalle per aiutare il vestito a scendere: quel gesto fu più eloquente di qualsiasi parola. Mentre il tessuto umido si scostava dalla mia pelle, mi lasciai andare all'indietro, sdraiandomi con la schiena nuda sull’erba.
Andrea mi fece scivolare via completamente il vestito di dosso; il sole illuminava la radura, scaldandoci, ma non lo sentivo nemmeno. Sentivo solo la sua presenza al mio fianco e la sua mano che mi percorreva il corpo. Poi lui si piegò verso di me e le sue labbra mi trovarono di nuovo.
Non mi preoccupai di trattenere i sospiri, non in quel momento. Eravamo soli, anche se in mezzo ad un bosco. La sensazione della sua pelle nuda sulla mia era meravigliosa, la carezza gentile delle sue mani che scivolavano tra i nostri corpi uniti ci accendeva di desiderio, la consapevolezza che in fondo ci appartenevamo riempiva ogni parte cosciente di noi.
Avrei potuto dirgli di fermarsi, che sarebbe potuta arrivare gente, che eravamo fratello e sorella… avrei potuto dirgli mille altre cose, ma scelsi il silenzio, accettando tutto quanto. Non c'era bisogno di parole quando quelle potenti emozioni riempivano qualsiasi cosa.
Sentii le sue labbra sul collo e gli affondai le dita tra i capelli. I baci che seguirono mi eccitarono, non avevo la forza di fare altro se non quella di aggrapparmi a lui in qualsiasi modo possibile. Avvertivo le sue labbra ovunque, sul collo, nell'incavo dei seni, sull'addome… le sue mani mi sfioravano in un modo che mi faceva sembrare che mi sarei dissolta da un momento all’altro e, al contempo, che se non avesse continuato sarei esplosa.
Non avevo mai provato così tante sensazioni tutte insieme. Mi sentii tremare da capo a piedi quando Andrea tornò a baciarmi sulle labbra, mi sembrò quasi che sorridesse tra un bacio e l’altro, poi sollevò leggermente dal mio corpo. Capii dopo, cosa aveva fatto, quando non avvertii più il contatto con i suoi jeans bagnati contro le mie gambe.
Ce ne stavamo lì, entrambi sdraiati sull'erba, e tra noi restavano solo tre cose: il mio reggiseno, le mie mutandine ed i suoi slip.
Andrea mi tirò sopra di sé mentre mi baciava e io mi sentii travolgere da un desiderio selvaggio e irrefrenabile. Mi abbandonai a una vertigine di desiderio per cui non ero affatto preparata. Forse non era quello che avevamo pianificato di fare, però… stava succedendo sul serio.
Quando le sue mani scivolarono sotto il reggiseno, rimasi per un momento senza fiato per i brividi, e non di freddo; poi lui si bloccò, interrogandomi con gli occhi, gli feci segno di sì. Mi slacciò i gancetti del reggiseno, sfilandomelo lentamente dalle braccia.
Riprese ancora a baciarmi, accarezzandomi lungo la schiena, fino ad arrivare ad infilare le dita dentro l'elastico delle mie mutandine. Si fermò di nuovo, chiedendomi con lo sguardo se poteva continuare. Mi sollevai leggermente dal suo corpo e lui le sfilò giù, facendo incredibili contorsioni per evitare di muoversi dalla sua posizione.
Quando mi riabbassai su di lui, mi resi finalmente conto che il suo durissimo cazzo premeva sulla mia pancia.
Si mosse contro di me, facendomi scivolare le gambe sui suoi fianchi. A dividerci restavano solo i suoi slip.
— Ti voglio, Paola… Ho tentato per anni di dimenticarti, ma ora non ce la faccio più. Non ho più la forza di resistere.
— Sì… lo so, Andrea… È la stessa cosa anche per me. E pensare che non lo sapevo nemmeno. Ho sempre contato sulla tua presenza al mio fianco, tanto che ormai è la cosa più normale per me. Lo voglio, se è quello che vuoi anche tu — sussurrai senza distogliere gli occhi da quelli di lui.
Sorrise alle mie parole.
— Lo voglio da quando ti ho vista smettere di essere una bambina — rispose, dandomi un veloce dolcissimo bacio.
Andrea mi stese sotto di lui e, di nuovo, mi interrogò con lo sguardo. Annuii e lui si tolse gli slip. Mi sentii fremere da capo a piedi, sebbene non lo avessi mai desiderato veramente. Avevo avuto delle fantasie, e a volte mi masturbavo pensando che un figo come lui volesse me, ma non ho mai pensato davvero di farlo con lui.
Poi finalmente ogni centimetro dei nostri corpi aderì, non esisteva più niente a separarci, e nulla al mondo avrebbe potuto essere più bello che vivere quel momento. Ero ancora vergine e sapevo che avrei sentito un po' di dolore, ma non mi importava: volevo vivere Andrea in ogni modo possibile.
Sollevai le ginocchia, intrappolandolo nella sua posizione. Mi baciò di nuovo, ondeggiando verso l'alto. Andrea prese a strusciarsi contro il mio pube, cercando di entrare in me. Quando riuscì a trovare la fessura, si spinse dentro un poco. Il suo cazzo penetrò di pochi centimetri. Sembrava quasi che anche lui avesse dei timori nel proseguire.
Fissai il suo sguardo carico di desiderio, con le sue pupille dilatate. Gli posai i palmi delle mani sulle sue guance.
— Sì, vai… — gli dissi con voce roca.
Lui entrò ancora un po' e fece un breve respiro.
— Paola… tu sei…
Ci stavamo ancora guardando.
— Sì — gli risposi nel modo più dolce possibile.
Calò su di me il suo bellissimo volto e mi baciò dolcemente. Mi chiese se sentivo dolore. Feci cenno di no con la testa. E si spinse dentro ancora di più. Solo una leggerissima spinta e un altro pezzo di lui fu dentro di me. Sentivo il suo cazzo che mi dilatava lentamente. Mi chiese nuovamente se sentivo male.
— Un pochino.
Poi diede una spinta un poco più vigorosa e la barriera dell'imene si lacerò. Andrea entrò ancora di più mentre feci una smorfia di dolore. Ma a quel punto ormai il peggio era passato ed il suo cazzo scomparve nella mia fichetta strettissima che lo avviluppava piacevolmente. Quando toccò il fondo si fermò, non potendo andare oltre.
— Come ti senti?
— Bene, Andrea. Mi sento bene — gli risposi dolcemente e accarezzando il suo bellissimo viso. — Mi sento come mi stessi riempiendo un vuoto. E il dolore è già passato.
Gli attorcigliai le gambe attorno alla vita e lui non ebbe necessità di ulteriori sollecitazioni. Finalmente fui sua, sua per davvero. Trasalii, travolta da ciò che provavo, e lo strinsi ancora più forte, mi avvinghiai a lui più che potei.
Non volevo che leggesse sul mio viso l'ansia per quello che stavamo facendo o si sarebbe fermato, e non desideravo che lo facesse. Non smisi di tenerlo stretto a me nemmeno per un secondo, nemmeno quando il mio corpo iniziò a tremare per via dei forti spasmi che mi attraversavano, neppure quando lo sentii nascondere il viso contro il mio collo mentre si muoveva dentro di me, ripetendo all'infinito di amarmi.
Non avevo mai sperimentato una tale sensazione di completezza in tutta la mia vita, mai avevo sentito di appartenere così profondamente a qualcuno, come in quel momento.
La mia fichetta strinse deliziosamente il cazzo di Andrea, perché non era mai stata violata prima. Era il primo uomo che mi possedeva completamente.
Mi afferrò le mani, incrociando le dita con le sue e tenendomele sopra la testa. Inarcai la schiena, in risposta ad una sua spinta particolarmente vigorosa. I suoi baci e le sue potenti spinte accrescevano il nostro desiderio. Non fece che bearsi del mio corpo. Le sue mani erano ovunque: sul viso, sul collo, sul seno, sui fianchi, sulle gambe…
Mi disse che stava per venire, ma anche io ero al limite. Avevo già avuto tre o quattro orgasmi, principalmente dovuti alla mia inesperienza. Mi strinsi ancora più forte a lui, e lui venne dentro di me.
Quando Andrea poggiò la fronte sul mio collo, i nostri cuori battevano all'impazzata ed in nostri respiri erano velocissimi. Gli affondai le dita tra i capelli, poi gli scostai la testa in modo che mi guardasse negli occhi. Con il suo sguardo limpido e bellissimo, mi sorrise. Mi accorsi di avere ancora le gambe allacciate attorno a lui, così le sciolsi per permettergli di muoversi, ma Andrea non lo fece. Era ancora dentro di me.
— Grazie… — e dopo un po' — Sei felice? — mi domandò con un dolce sorriso sulle labbra.
Annuii, ancora incapace di parlare. Poi, però, cercai di trovare la forza per parlare. Dovevo dirgli assolutamente una cosa.
— Vorrei restare tutta la vita così, unita te. Mi è piaciuto tantissimo e le emozioni che hai suscitato in me sono incomparabili. All'inizio avevo paura, ma quando poi sei entrato dentro di me avevo solo voglia che tu non smettessi mai. Mi sento felice come non era mai capitato prima.
— Credo ci si senta così quando fai l'amore con qualcuno che ami con tutto te stesso — rispose Andrea.
— Non lo sai? — domandai sconcertata.
— E come potrei saperlo? È la prima volta che lo faccio con qualcuno che amo per davvero — rispose, passandomi un dito sul labbro.
Gli baciai il dito.
— Sai… ho capito perché non ho mai avuto un ragazzo… ho compreso che, inconsciamente, volevo te. Volevo che fossi tu il mio primo uomo. Ti amo anch'io — gli dissi accarezzandogli una guancia.
Mi sporsi per baciarlo ancora e ancora, non ne avrei mai avuto abbastanza di quelle labbra, soprattutto dopo aver scoperto che effetto facevano sentirle in tanti altri posti oltre la bocca.
— Fermati, Paola, altrimenti non torneremo indietro presto — rise Andrea. — Probabilmente si staranno chiedendo dove siamo finiti.
— È un albergo… a loro non interessa. Io e te possiamo stare insieme ancora. Ci hanno visti andare via insieme, e sinceramente non me ne importa un fico secco — risposi, non ancora pronta ad abbandonare quella beatitudine.
— In fondo ci aspetta solo un pranzo, dopo potremo stare di nuovo soli — disse Andrea, strofinandomi il naso sul collo facendomi ridacchiare.
Non avrei mai creduto di poter raggiungere un tale livello di felicità.
— Sei mio ed io sono tua…— sussurrai contro il suo orecchio.
— Lo sono sempre stato — rispose Andrea con un bacio che si faceva sempre più profondo.
E ricominciammo.
Ritornammo in albergo solo a pomeriggio inoltrato.
Andrea chiese e ottenne uno scatolino a chiusura ermetica pieno a metà di riso dove mettere il cellulare ad asciugarsi. Andrea smontò a pezzi il cellulare e ce li mise dentro. Il riso avrebbe assorbito l'umidità.
Poi ci facemmo una doccia, eravamo entrambi sporchi di erba. Ce l'avevo dappertutto. Ma più che lavarci, abbiamo fatto altro. Non riuscivamo a restare lontani l'uno dall'altro. Mi prese lì, sotto lo scroscio dell'acqua, in piedi. Fu meraviglioso.
A malapena riuscimmo ad asciugarci, prima di buttarci sul letto, ancora desiderosi di goderci. Si alternavano momenti di totale frenesia a quelli di languida dolcezza di baci e carezze. Non ne avevamo mai abbastanza.
Fortunatamente arrivò l'ora della cena a cui proprio non potevamo mancare, visto che a pranzo non avevamo mangiato niente. Nemmeno un panino.
Mi vestii con cura, di fronte ad Andrea. Mi misi un coordinato di pizzo che avevo tenuto da parte per molto tempo, e sopra un vestitino di pizzo di colore rosso fuoco. Ci abbinai un collier d'oro che i miei mi avevano regalato per il mio compleanno ed un leggerissimo trucco.
Non ebbi il coraggio di guardare in faccia Andrea, principalmente perché non avrei voluto vedere di nuovo quel suo sguardo famelico che avevo imparato ad associare a lui che desiderava me, ed in secondo luogo perché se lo avessi visto, non saremmo andati a cena.
Solo quando fui pronta mi girai a guardarlo. Lui era già vestito e doveva per forza essere rimasto ad osservarmi.
— Wow, sorellina… Come sei sexy… — disse con un filo di fiato.
Gli sorrisi e mi avvicinai a lui. Mi mise un braccio sulle spalle e mi tirò a sé. Riuscii a sentire la sua erezione attraverso i suoi pantaloni.
— Credo che farò fatica a cenare senza saltarti addosso… mi fai venire voglia di prenderti adesso…
Nascosi il mio volto nel suo immenso petto, sorridendo. Ero felice di fargli quell'effetto.
Mi staccai leggermente. — Coraggio… andiamo a mangiare. Abbiamo tutto il tempo, dopo, per fare quello che hai in mente di fare.
Scendemmo per le scale abbracciati ed uscimmo dall'albergo. Nei pochi minuti che ho impiegato a prepararmi, tra un'occhiata e l'altra a me, era riuscito a trovare un ristorante a pochi chilometri di distanza.
Ci avvicinammo all'auto, mi aprì lo sportello e mi aiutò a salire in auto. Cavaliere fino alla fine. Il ristorante era davvero carino e mangiammo benissimo. Le tagliatelle fresche coi funghi porcini e la tagliata di manzo alla rucola erano davvero squisiti. Andrea ci fece portare anche una coppa di fragole con la panna. Pagò lui e non ne volle assolutamente sapere di dividere il conto.
— Non preoccuparti, di questo — disse una volta usciti dal ristorante, sventolando la ricevuta. — Io ho un lavoro e tu no. E poi la mamma mi ha dato 300 euro per le spese extra. Volendo ti potrei comprare qualcosina… ma tutti i negozi sono chiusi a quest'ora. E poi… — mi disse abbracciandomi — ho tantissima voglia di te — aggiunse sussurrandomi all'orecchio.
Sentivo ancora la sua erezione, attraverso i nostri vestiti.
Ritornammo velocemente in albergo. Non so come riuscimmo ad entrare in camera senza dare scandalo… Anche io avevo voglia pazzesca di lui… di sentirmelo dentro… che muoveva dolcemente il suo cazzo dentro di me… di sentire il suo respiro sulle mie labbra mentre veniva…
Feci una rapida sessione in bagno per struccarmi e poi tornai da lui.
Mi lanciai tra le sue braccia, che mi accolsero con fermezza. Le sue labbra mi cercarono e mi trovarono, pronte ad accoglierlo. Le mani di ciascuno presero a spogliare l'altro, godendo dei baci che ci scambiavamo. Lo facemmo con lentezza, senza quell'urgenza che a volte ci prendeva.
Gli abiti volarono via, abbandonati sul pavimento. Mutandine e reggiseno sparirono in un baleno.
Ci stavamo ancora baciando, quando Andrea mi fece sdraiare di traverso sul letto. Mi sollevò le gambe, appoggiandomele sul bordo del materasso. Lui si inginocchiò sul pavimento, di fronte alla mia fichetta aperta.
— È bellissima, Paola…
Furono le uniche parole pronunciate per molto tempo. Con le braccia infilate sotto le ginocchia e le mani sul mio seno, la sua bocca avida si lanciò sulla mia fichetta, leccando e baciando ogni singola piegolina. La sua lingua insisteva soprattutto sul clitoride, facendomi venire, per poi bersi i miei umori.
Subito dopo mi spinse in mezzo al letto.
Si stese al mio fianco, baciandomi. Sentii il mio sapore sulla sua bocca e mi fece eccitare ancora di più.
Mi ribaltò con la schiena sul materasso e mi venne sopra. Ci guardammo negli occhi e lui entrò in me facilmente. Inarcai la schiena alla sua piacevole intrusione e mi scappò pure un mugolio di approvazione.
Andrea si muoveva dentro di me, mentre ci baciavamo ancora. Andò avanti per molto tempo, a muoversi lentamente, assaporando ogni secondo il più lungamente possibile.
Dopo quello che mi parve un tempo infinito prese a muoversi più rapidamente ed Andrea spruzzò il suo seme nel profondo della mia fichetta.
Rimase fermo, tra le mie gambe, per un po' e poi si tolse, rimanendo tuttavia abbracciati.
Eravamo entrambi esausti per la giornata e ci addormentammo in poco tempo.

Ci svegliammo quando il sole illuminò la stanza. Eravamo ancora abbracciati.
— Buongiorno, amore… — mi disse Andrea, accarezzandomi il braccio posato sul suo petto.
— Buongiorno a te, amore mio — gli risposi ancora assonnata. — Sei sveglio da molto?
— Un po'. Dovevo andare in bagno. Tranquilla… ho solo fatto pipì — disse ridacchiando. — E già che c'ero ho rimontato il telefono. Funziona tutto alla perfezione. Temevo di aver perso tutte le foto… — non approfondendo il discorso.
— Meglio così. Ah, senti, mi dispiace per il bagno che sei stato costretto a fare ieri.
— A me no, perché finalmente ho avuto il coraggio di fare quello che mi ero riproposto. Quando mi hai chiesto di accompagnarti avevo deciso di dirti la verità, su quello che provo per te.
Con la testa ancora appoggiata al suo torace, sentivo il suo cuore battere veloce.
— Ma non volevo essere così diretto. Volevo spiegarti le cose con calma e poi avresti deciso cosa fare.
Mi sollevò il viso con una carezza.
— Ti amo, Paola.
Mi sorrise dolcemente.
— Anche io, Andrea. E quello che abbiamo fatto alla cascata e poi qui in questa camera, è stato semplicemente meraviglioso. Tu sei meraviglioso. E ti ripeto quello che ti ho detto ieri. Ero ancora vergine perché non ho mai avuto un ragazzo… e non l'ho mai avuto perché, senza neanche rendermene conto, volevo te. Sono felice che tu sia qui con me ora. Ti amo anch'io.
Ci baciammo dolcemente, mentre pian piano il desiderio prese piede.
Andrea si spostò sopra di me e mi entrò dentro nuovamente. Sentivo il suo cazzo muoversi con assiduità mentre mi possedeva ancora e ci baciavamo.
Quando lui mi prendeva a quel modo, non riuscivo più a ragionare. Volevo solo che venisse presto, ed allo stesso tempo che non lo facesse mai. Perché? Quei pensieri contrastanti non li capivo. Volere e non volere allo stesso tempo. Come era possibile? Cosa significavano esattamente?
Il movimento di Andrea si fece più deciso e rapido e poi venne. Sentii i suoi spruzzi dentro di me, mentre un nuovo orgasmo mi travolgeva.
Rimase fermo, dentro di me, mentre i nostri respiri rallentavano.
Andrea mi diede un bacio sulle labbra e poi si spostò, restando su un fianco rivolto verso di me, con una mano che mi accarezzava e l'altra infilata tra la testa ed il cuscino. Mi girai anch'io verso di lui.
— Non ne ho mai abbastanza di te… Ho sempre un impellente bisogno di godere di te e lo capisco. Le storie che ho avuto finora… — titubante a continuare, pensando di ferirmi — ho sempre fatto fatica a raggiungere un orgasmo, dovevo sempre immaginarmi che ci fossi tu con me. Ora finalmente ho compreso quello che facevo a me stesso… quello che…
Allungai la mano e gliela posai sulla guancia. Andrea girò la testa per baciarmi il palmo della mano.
— Non c'è bisogno che tu mi dica altro, Andrea. Va bene così. Ho capito. Adesso sono qui. Siamo qui insieme e mi hai dimostrato già molte volte il tuo amore — mettendomi la mano sulla pancia.
Andrea aggiunse la sua mano, intrecciando le dita con le mie.
— Resterai incinta? — chiese timoroso.
Rimasi a pensarci per un attimo, riflettendo che avevo terminato il ciclo solo da pochi giorni.
— Sarebbe bellissimo se accadesse, non trovi? Se dovesse succedere, sarebbe tuo figlio.
— Mio figlio… sì, sarebbe bellissimo avere dei figli da te, Paola — mi rispose guardandomi negli occhi. — Anche se preferirei avere delle femmine. Sarebbero tutte belle come te.
— E se invece fossero maschi avrebbero tutti il tuo fascino e la tua prestanza — risposi ridacchiando.
— Andrebbe a finire che diverrei geloso dei miei stessi figli… dovrò dividerti con loro.
— Allora dovrai impegnarti e avere solo femmine…
— Farò del mio meglio — rispose convinto.
Ci baciammo nuovamente e lui entrò ancora in me. Ci baciavamo frenetici, desiderosi di compiacere l'altro, avidi di sensazioni. Andrea si muoveva rapidamente dentro di me, poi si bloccò in profondità e venne, riempiendomi la fichetta di sperma ancora una volta.
Ci alzammo dal letto che era quasi mezzogiorno, dopo averlo fatto ancora una volta.
Mi feci una rapida doccia perché ero completamente sudata, e mi vestii con cura. Mentre ero ancora in bagno, entrò Andrea e si lavò anche lui. Quando uscì dalla doccia lo vidi per la prima volta nudo nella sua interezza. Era molto più che bellissimo. Rimasi incantata a guardarlo.
— Se continui ad osservarmi così non usciremo più da questa stanza… — mi disse lui.
— Non è colpa mia se sei così affascinante. Sfido chiunque a non guardarti allo stesso modo.
— E comunque anche tu sei bellissima, Paola — mi disse sorridendo. — Ora però ti conviene uscire da qui, altrimenti salteremo anche il pranzo, oltre che la colazione.
Rassegnata, uscii dal bagno.
Scendemmo al piano terra mano nella mano, come due fidanzatini. Per pranzo, aveva deciso di portarmi ad una baita che si poteva raggiungere in auto. Aveva un arredamento essenziale, fatto di lunghe tavolate e panche dove sedersi.
Ci fecero accomodare fuori sulla terrazza, da cui si godeva lo splendido panorama delle montagne ancora innevate. L'aria era frizzante, ma non fredda, ed al sole si stava benissimo. Andrea ordinò dei piatti di antipasti vari e due piatti di pasta con ragù di capriolo. Mangiammo con calma, parlando di argomenti leggeri.
Una volta pagato il conto ci spostammo in un angolo appartato della terrazza.
— Ho voglia ancora di te… — mi sussurrò all'orecchio.
Eravamo in piedi appoggiati alla balaustra e ci stavamo godendo il panorama, ma non appena mi disse quelle parole, lo feci sedere su una panca addossata alla parete. Gli abbassai la zip dei pantaloni ed il suo cazzo spuntò rorido. Mi sollevai la parte davanti del vestito e mi sedetti in braccio a lui, impalandomi su quel meraviglioso bastone di carne. Non portavo le mutandine e nemmeno il reggiseno. L'abito che indossavo era molto scollato e la sua bocca arrivò facilmente su uno dei miei capezzoli. Prese a succhiarlo, a leccarlo, a mordicchiarlo. Stavo ferma, perché non volevo che si capisse troppo quello che stavamo facendo, nel caso arrivasse qualcuno, ma sentivo il suo cazzo vibrare dentro di me. La sua bocca lasciò il mio seno per trovare le mie labbra. Ci baciavamo lentamente mentre il mio desiderio cresceva di pari misura alla sua voglia di possedermi.
D'un tratto il suo respiro si fece più rapido e mi sentii bagnare dentro dal suo sperma, mentre continue contrazioni mi attraversavano l'addome. Rimasi ferma, in braccio a lui, mentre il suo cazzo si sgonfiava lentamente.
— Sei una pazza… — mi disse dolcemente Andrea, con la fronte appoggiata alla mia.
— Sì… Sono pazza di te.
Restai nella stessa posizione, anche se il cazzo di Andrea ormai era scivolato fuori. Qualche goccia del suo sperma uscì dal mio corpo, per colare sul suo cazzo molle.
— Che ne dici di ritornare in albergo? — mi chiese Andrea.
Annuii sorridendo.
Andrea infilò le mani sotto il mio vestito e si tirò su la cerniera. Mi spostai solo quando lui mi fece il cenno che era tutto a posto.
Non appena in camera ci spogliammo e ci buttammo nuovamente sul letto.
Andrea era sotto di me ed io ero seduta sulla sua pancia, con il suo cazzo dentro di me.
Le sue mani erano sul mio seno.
— Sa, signorina… — iniziò scherzando, — devo dire che queste sue protuberanze mi impensieriscono non poco… Sono così sode e turgide… ma temo che un giorno possano crescere e gonfiarsi… finanche suppurare…
Stetti al gioco. Misi le mie mani sopra le sue.
— Pazienza, dottore… Vorrà dire che me le dovrà controllare spesso… E sotto… invece… come va? Va tutto bene, lì?
A quel punto mi ribaltò sotto di lui. Non vi ho detto che da tempo mi facevo depilare completamente dall'estetista, quindi la mia fica nuda era sempre in bella vista.
Si allungò verso il comodino e prese il telefono, completamente rinato dopo essere rimasto per ore chiuso in una scatola con il riso. Scattò un primo piano del suo cazzo dentro di me e mi mostrò la foto.
— Come può vedere, signorina, ogni cosa è al posto giusto — mi disse muovendosi lentamente dentro di me.
Mi lasciò il telefono in mano. Presi a scorrere la galleria delle immagini. Aveva solo foto di me, rubate in un qualsiasi momento della mia vita.
Lo guardai e vidi che mi fissava di nuovo intensamente.
— Te lo avevo detto che ti volevo da moltissimo tempo. Io ti amo, Paola.
Gli sorrisi dolcemente. — Anche io ti amo, Andrea.
Abbandonai il telefono il letto e ricominciammo a baciarci.
Inutile dire che scopammo per tutto il pomeriggio. Uscimmo solo per andare a cena allo stesso ristorante del giorno prima e ritornammo velocemente in albergo.
Quella sarebbe stata l'ultima notte che avremmo potuto passare insieme tranquillamente, senza che nessuno potesse interferire.
Passammo buona parte della notte ancora a fare l'amore, con lui che mi veniva dentro sempre.

La mattina dopo ci svegliammo un po' in ritardo. Dovevo ancora fare la valigia, ma buttai dentro tutto alla rinfusa, e basta.
Prima di aprire la porta, Andrea mi fermò.
— Ti ricordi quello che ti ho detto all'inizio della nostra vacanza? Di quanta strada abbiamo fatto? — Annuii. — Alla fine abbiamo fatto proprio quello… Siamo rimasti chiusi in camera per tutto il tempo.
— Non mi è dispiaciuto, Andrea… In fondo era quello che volevamo entrambi.
— Esattamente… — e mi baciò.
Andrea si era preso un giorno in più di ferie, quindi facemmo rientro con calma.
Una volta a casa, nel pomeriggio Andrea venne in camera mia a parlarmi.
— Paola… io voglio che andiamo a vivere insieme. Ti sembrerà folle, ma non desidero altro che stare sempre assieme a te.
— Anche per me è così, Andrea. So che non amerò altri che te. Per me va bene. Dobbiamo solo convincere mamma e papà.
— Non devi preoccuparti di questo. Papà mi ha già dato il permesso di usare la casa dei nonni. Possiamo trasferirci lì anche subito. Non occorreranno neanche fare dei lavori particolari, come sai l'aveva fatta ristrutturare qualche anno fa. Dobbiamo solo attivare i contatori, fare il cambio di residenza e comprare l'arredamento che manca.
— Davvero? — chiesi incredula.
— Sì, Paola, è la verità. Papà e mamma lo sanno che io ti amo, e che te lo avrei chiesto. Non devi preoccuparti per loro, sono d'accordo.

E così, in poco più di tre settimane ci trasferiamo. Meglio così, perché già aspetto un bambino da mio fratello.
Ho deciso che non andrò più nemmeno a scuola. Per il momento lo stipendio di Andrea è più che sufficiente per mantenerci, e se occorrerà potrò fare qualche corso, dopo.

++++++++++

Sono passati dieci anni.
Da Andrea già ho avuto tre figlie e sono tutte splendide.
Ci amiamo sempre di più ogni giorno che passa e siamo immensamente felici. Non credo che sarei stata così felice con un altro uomo al mio fianco.

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