La luce dei miei occhi

Scritto da , il 2018-08-12, genere incesti

- - - - Chiedo scusa alla Città di Firenze e ai suoi cittadini per la licenza poetica - - - - -


Eccola che sta arrivando.
E quando arriva lei, arriva la luce. Illumina tutto col suo splendido sorriso, i suoi luminosi occhi azzurri, la sua pelle diafana, i suoi lunghi capelli dorati…
E quando mi vede, sorride… illuminando tutto il mio essere.
Ha addosso una solo maglietta aderente ed un paio di jeggins leggeri.
Il suo seno gonfio spinge all'infuori la stoffa e si vede chiaramente la sporgenza dei capezzoli duri.
E poco più sotto, un altro tipo di sporgenza: il suo ventre, accentuato dalla rotondità di un figlio che le sta crescendo dentro.
Mio figlio…
Già, perché l'ho messa incinta poco più di quattro mesi fa.
Non so ancora se è maschio o femmina. E non so nemmeno se lo voglio sapere.
Lei ha solo 19 anni, ed è con me da quando ne aveva 7. È la figlia di mia sorella. E la sua (mia sorella) è una storia triste che non avevo mai conosciuto, fino a quando successe il tragico epilogo.
Mia sorella si era sposata giovane, 20 anni appena, con quello che noi tutti pensavamo fosse un uomo perfetto, quando invece era un mostro sotto mentite spoglie. Faceva prostituire mia sorella con molti uomini (alcuni dei quali, seppi dopo, la picchiavano pur di godere). E glielo faceva fare senza alcun tipo di protezione, tanto che venne contagiata dall'HIV (anche questo lo venni a sapere poi). Non so nemmeno se mia nipote è figlia di mio cognato oppure no. Fortunatamente (o sfortunatamente, dipende dai punti di vista, perché aveva dovuto subire l'umiliazione di conoscere la vera portata della tragedia della madre) mia nipote è sana; forse mia sorella è stata contagiata dopo la nascita della bambina. Comunque, dicevo… mia sorella un giorno ne aveva avuto abbastanza ed aveva ammazzato il "cliente" che la stava massacrando di botte, e il marito carnefice. Chiamò lei stessa la polizia per denunciare il fatto e subito dopo chiamò me, pregandomi di andare a prendere la figlia a scuola e di occuparmi di lei. Il giudice ci andò leggero con la sua condanna, ma andò in carcere ugualmente. Fu condannata a diciotto anni da scontare in quello che è un carcere femminile di minima sicurezza, con tanto di supporto psicologico. Certamente aveva influito il fatto che dopotutto anche lei era una vittima.
Un giudice minorile mi aveva affidato la bambina, anche se non ero sposato né convivevo con una donna, perché non c'erano altri parenti. Così, a 25 anni, mi ritrovai a crescere una bambina senza avere la minima idea di come fare.
Nonostante tutto gli anni passarono. Avevamo costruito un ottimo rapporto, io mi fidavo di lei e lei si fidava di me. Per lei ero uno zio ed un padre amorevole, un amico complice a cui raccontava i suoi amorini giovanili. Mi chiamava zio solo quando voleva qualcosa di particolare, per il resto mi chiamava semplicemente Marco. Quando aveva raggiunto l'età giusta le avevo spiegato cosa era il sesso e quello che doveva fare per proteggersi.
È diventata una giovane e splendida donna. E anche la sua mente non è niente male. Avevamo scoperto, quasi per caso, che è straordinariamente portata per il greco antico ed il latino. È perfettamente in grado di leggere un testo antico in lingua originale, così come il resto di noi è capace di leggere un romanzetto o i giornali.
Mancano poche settimane al suo diploma ed ha già l'iscrizione assicurata alla facoltà di lingue antiche di una prestigiosa università.
Questo è il nostro presente… ed ora vi racconto il nostro passato.

È successo tutto nel mese di febbraio.
Marina aveva avuto un brutto litigio con una sua compagna di scuola.
— Ci crederesti che mi ha accusata di essere andata a letto col suo ragazzo? IO! Io che, a dirla tutta, sono ancora vergine!? E tutto per quella stupida trasmissione che hanno fatto qualche giorno fa in TV. Maledetti giornalisti! Quando la smetteranno di tirar fuori la sua storia? Sono passati dodici anni ormai! Ci sono notizie più recenti e molto più raccapriccianti di quella di mia madre, maledizione!
È arrabbiata da far paura.
— Quando la smetteranno, Marco? — mi chiede in tono supplichevole.
Mi avvicino a lei e la abbraccio.
— Lo sai anche tu, tesoro. Non smetteranno mai. È un boccone troppo succulento per loro. La tragedia di tua madre è troppo particolare per essere dimenticata. Ci saranno sempre trasmissioni che semplicemente ne accenneranno anche solo una piccola parte.
Lo so che non servirà a cancellare quello che è successo, ma a volte vorrei che se ne dimenticassero tutti. Che lascino in pace mia sorella una volta per tutte.
Poi mi viene un'idea. La scosto da me solo per la lunghezza delle mie braccia.
— Che ne dici se domani partiamo e ce ne andiamo a Firenze per il carnevale e tu potrai finalmente consultare quei testi che ti piacciono tanto… Stamattina ho avuto la risposta dal Curatore. Hanno accettato la tua richiesta.
— Ma Marco… E la scuola?
— Ma dai! Ti preoccupi per quattro giorni di assenza da scuola? Davvero? E poi non ti serve mica per la tesina?
Marina fa un buffo sospiro, a metà tra una risata e un colpo di tosse.
— Non necessariamente. La biblioteca ha tutto il materiale su un server pubblico, consultabile da chiunque. Basta solo richiedere una password temporanea per avere l'accesso a tutto quello che mi serve. Certo però che avere tra le mani e vedere quei testi antichi… sentire il profumo della pergamena…
Le spunta quel suo sorriso speciale.
— Va bene zio. Andiamo.
— Perfetto! Prenoto un albergo tra un attimo. Però adesso mi spieghi la faccenda della tua amica, eh? Voglio capire cosa è successo.
— Ma nulla, Marco… Qualcuno è andato a dire a Sara che mi aveva visto parlare col suo ragazzo, che tra l'altro non mi piace nemmeno, in un angolo appartato della scuola. Era lui che ci provava con me, non il contrario. Sara, poi, è venuta subito da me ed ha fatto una scenata. Mi ha accusato di essere "una puttana come mia madre", parole sue, e che dovevo lasciarlo in pace e cose così. A quanto pare anche il suo ragazzo aveva sentito la TV e pensava che io fossi una facile. Da una scopata e via. Non sto neanche a perderci la testa per due come loro.
Mi sento in pace ora. Nulla di grave. Ho sempre paura che la storia di sua madre la faccia sentire emarginata.
— Bene tesoro. — Dopo averle dato un bacio sulla fronte, aggiungo: — Allora vai a fare le valigie e io prenoto un albergo.
Marina corre via subito nella sua stanza. Io, invece, mi attacco ad internet e trovo un bell'albergo ad una decina di chilometri dalla città che ha ancora stanze disponibili. Avrei preferito stare in città, ma il periodo non aiuta di certo. Anche se Firenze non è Venezia per il carnevale, è comunque una città che ha organizzato eventi sulle piazze che attireranno un sacco di turisti.
Avremmo dovuto lasciare l'auto e muoverci solo coi mezzi pubblici. Pazienza…
La mattina dopo, di buon ora, partiamo. Ci vorranno tre ore di viaggio per raggiungere Firenze, fortunatamente tutta autostrada. C'è traffico, ma non ci sono ingorghi che ci fanno stare fermi per ore.
Ci mettiamo solo mezz'ora in più del previsto. Quando arriviamo all'albergo, Marina resta incantata. È ancora più bello che in foto. È un rustico ammodernato, quasi un agriturismo, solo che non ci sono animali. C'è anche la piscina, ma è febbraio e fa un freddo cane. Negli angoli ombreggiati c'è pure qualche rimasuglio di neve.
Quando ci presentiamo alla reception, però c'è una amara sorpresa. Le camere che avevo prenotato non sono disponibili. C'è solo una matrimoniale. Ci toccherà dormire nella stessa stanza.
— Magari potrei chiedere di mettere una branda.
— Ma che sarà mai, dai! Non preoccuparti, Marco. Io non mi imbarazzo se dobbiamo dormire nello stesso letto. Dopotutto sono solo per quattro notti — mi dice Marina.
Vabbè, se sta bene a lei…
Ci danno la chiave. Siamo al secondo piano. E non c'è l'ascensore. Mi carico in spalla anche il suo borsone e saliamo.
Quando apriamo la porta della camera restiamo basiti. È davvero stupenda. Non assomiglia per nulla a una camera d'albergo. È spaziosa e arredata con gusto. Lascio i borsoni vicino all'armadio e do un'occhiata in giro. C'è una specie di salottino davanti alla TV (due divanetti), e al centro della stanza troneggia nientemeno che un letto a baldacchino. L'unica pecca è il bagno. È davvero piccolo. C'è a malapena spazio per una doccia ed i sanitari. Ma tanto… mica dobbiamo dormire in bagno! C'è anche un terrazzino, ma è poco più di un balcone, con una spettacolare vista sulla valle. E perfino un caminetto a gas sotto la TV appesa al muro, davanti ai divanetti.
Intanto Marina ha già svuotato il suo borsone e mi chiama.
— Marco, mi aiuti? Volevo mettere il borsone sopra l'armadio ma non ci arrivo.
— Non preoccuparti, lascialo lì. Lo metterò su quando svuoterò anche il mio — le rispondo.
Intanto ricevo una email dalla biblioteca.
— Marina, ho appena ricevuto un messaggio dal curatore. Sei inserita nel gruppo di venerdì. — Leggo: — presentarsi alle ore 9.30 per le procedure di identificazione e registrazione con tutti i documenti richiestovi. — Sollevo lo sguardo. — Li hai vero? Li hai tutti? Perché altrimenti non ti ci faranno neanche avvicinare.
Marina alza gli occhi al cielo. — Ma certo che li ho! Per chi mi prendi? Non sono una sprovveduta. Sono in una cartellina nello zaino. Li ho preparati ieri pomeriggio. E ho pure i guanti di cotone, se non lo sai. Ma so già che non me li faranno toccare… — sospira alla fine.
Non posso fare a meno dal ridacchiare.
— Allora, cosa facciamo fino a venerdì?
— Beh, per prima cosa occorre comprare un asciugacapelli. Ho dato per scontato che ce ne fosse uno in camera e non l'ho portato.
— Ok. Cos'altro?
— Non hai detto che ci sono eventi nelle piazze della città?
— Sì, ma da venerdì. Da venerdì a martedì, quando ci sarà la sfilata in costume per le vie più antiche di Firenze. Ehi, visto che non ci sarà scuola lunedì e martedì, potremmo vedere di allungare la nostra vacanza. Che ne dici, eh? Da week-end lungo ad una settimana?
— Non mi tentare, Marco. Lo sai che mi piace Firenze. Ma devo studiare. Mercoledì prossimo ho una verifica e ho a malapena iniziato. Anche se ho portato il libro, devo comunque studiare.
— Ma hai ugualmente tempo per prepararti. Le manifestazioni le faranno i pomeriggi e le sere. Puoi studiare la mattina. Senti, io inizio a scendere ad informarmi se possiamo restare. Se non si può fare, il problema si risolve da solo.
Detto questo, esco dalla stanza e scendo alla reception. L'impiegato consulta le sue carte e dice che è possibile restare fino a martedì, ma che devo dare conferma subito, altrimenti non mi potrà garantire la stanza. Confermo direttamente la nostra permanenza. Tanto so già che Marina vorrà restare. Adora Firenze. Intanto chiedo indicazioni su dove posso trovare un minimarket o qualcosa di simile.
Ritorno su in meno di cinque minuti e vedo Marina sdraiata su quel magnifico letto.
Mi fermo ad osservarla. Sembra una principessa o una contessa (o qualcosa del genere) che riposa le sue stanche membra. È bellissima, questo l'ho sempre saputo, ma in lei vedo anche qualcos'altro che al momento non riesco ad identificare. Mi avvicino per guardarla da vicino e vedo che si è addormentata. Prendo la trapunta ripiegata sul fondo del letto e la copro. Lei fa un sospiro che mi fa ribollire dentro. Sono agitato che quasi mi tremano le mani. D'improvviso mi coglie una voglia di allungare la mano per accertarmi che sia lì per davvero. Una voglia pazzesca di accarezzarla, di sentire la sua pelle morbida, di sentire i suoi capelli setosi scorrermi tra le dita, di toccare quella bocca rosea e sentirne la consistenza.
Mi accorgo di avere un'erezione pazzesca. E da quando Marina mi fa quell'effetto? Non può essere! Non è proprio possibile! Marina è mia nipote! Quasi una figlia! È con me da dodici anni! L'ho vista crescere!
Sì, l'ho vista crescere, e trasformarsi da una bambina impaurita di tutto ad una splendida donna. Una donna con cui dovrò dormire nello stesso letto per una settimana.
No! No! No! Non va assolutamente bene! Non posso avere questo genere di pensieri per lei.
Ma l'erezione non accenna a passare. So già che sarà una settimana d'inferno. Ma glielo devo. Gliel'ho promesso. Le ho promesso la visita alla biblioteca già da un anno, e non posso tirarmi indietro ora.
Maledizione! Maledizione! Maledizione!
Cerco di allontanarmi, ma i miei piedi non si muovono. Sembrano inchiodati al pavimento. Non riesco neppure a smettere di guardarla dormire.
Socchiude la bocca… e io esplodo. Letteralmente. Sono venuto semplicemente guardandola dormire. Finalmente mi sblocco e corro in bagno.
Non mi capitava una cosa del genere da quando ero un ragazzino alle prime armi. Venire nei pantaloni solo guardando una donna!
Afferro il bordo del lavabo e non faccio altro che lanciare una maledizione dietro l'altra.
Ma che mi è preso? Marina è mia nipote. La figlia di mia sorella. A cui faccio da padre da quando aveva sette anni!
Mi guardo l'inguine bagnato. Cazzo! non ho preso i vestiti per cambiarmi. Esco di corsa dal bagno e fortunatamente Marina dorme ancora. Afferro il borsone che non ho ancora iniziato a svuotare e torno in bagno a cambiarmi velocemente.
Butto i boxer sporchi di sperma nel bidet e mi lavo velocemente al lavandino.
Ed eccomi lì, nudo dalla vita in giù, di nuovo a lanciare maledizioni su maledizioni.
Do la colpa al fatto che non ho una donna da anni. Più o meno da… da quando Marina aveva sedici anni. Sì, aveva sedici anni, e già mostrava la donna che stava diventando…
Smettila! Non puoi avere questi pensieri!, dico a me stesso. Sono cose che urlo nella mia testa, ma il mio corpo va nella direzione opposta…
Il pensiero, l'idea, le sensazioni… tutto mi porta a lei. Marina mi eccita.
Ecco l'ho detto. Ma accettarlo… questo è un altro paio di maniche.
Maledizione! Maledizione! Maledizione!
Lo sconforto prevale. Non posso cedere. Non posso fare questo a Marina.
Poi mi torna in mente la discussione che ha avuto con la sua amica. "Una puttana come tua madre", le aveva detto quella ragazza. No. Non posso assolutamente cedere. Non posso e basta. Non lo farò. Marina è mia nipote e basta.
Ma sono lì, a dondolarmi avanti e indietro aggrappato al lavandino con un groppo alla gola.
— Marco? Marco, sei in bagno? — bussa Marina alla porta.
Accidenti!
— Sì, tesoro — ma la voce è rotta, come se avessi pianto.
— Stai bene, zio? Hai una voce…
— Non preoccuparti, Marina, sto bene. Ancora un po' e poi esco.
— Ok. Non volevo metterti fretta. È solo che non ti vedevo da nessuna parte.
E si allontana.
Prendo un paio di pantaloni e dei boxer puliti. Mi rivesto rapidamente.
Uso il sapone elargito dall'hotel, lavo i boxer sporchi e li metto a sgocciolare sul miscelatore della doccia. I pantaloni li accartoccio nel borsone ed esco.
Marina è seduta su uno dei divanetti con il libro in mano.
Svuoto il mio borsone e poi, assieme al suo, lo butto sopra l'armadio.
Lancio qualche occhiata a Marina, di tanto in tanto e vedo che si sfrega le braccia.
— Hai freddo? — le chiedo.
— Un po'. Non è che puoi accendere il caminetto? Bisogna pagarlo a parte?
— Non ne ho idea, ma se hai freddo non me ne può importare di meno se è da pagare. Non possiamo certo restare al freddo in camera.
Mi avvicino e lo accendo senza problemi. Poi metto i pantaloni sulla spalliera del divanetto libero.
Marina mi guarda e guarda i pantaloni.
— Li ho bagnati mentre ero in bagno. Quel posto è una scatola di fiammiferi — mi giustifico. Ma non ho pensato a cosa dire per i boxer appesi alla doccia. Ci penserò se si accorgerà della cosa.
— Allora… mentre dormivi sono sceso e… ho confermato la camera fino a martedì.
Sul suo viso sboccia quel suo magnifico sorriso, che illumina la stanza e me. Sapevo che ne sarebbe stata felice.
— E so anche dove andare a comprare quello che ti serve. Vieni con me?
— No, resto qui. Ne approfitto per studiare un po'.
— Beh, allora io vado. Ti serve qualcos'altro?
Marina fa cenno di no con la testa. Un rapido ripensamento a quello che ho lasciato in bella vista in bagno, ma pazienza. Non posso certo mettere i miei boxer ad asciugare davanti al caminetto acceso!
Mi metto la giacca a vento e scendo. Vado a piedi, gironzolando per quelle antiche stradine lastricate con cubetti di porfido. Trovo subito il minimarket, ma non vendono gli asciugacapelli. L'esercente mi da indicazioni per un ferramenta, dove sicuramente vendono anche piccoli elettrodomestici.
Chiedo altre indicazioni, perché il posto è un vero labirinto, ma alla fine trovo quello che mi serve. Ne compro uno da poco prezzo, non uno di quelli sofisticati che ti garantiscono che gli ioni ti permettono di avere chissà cosa.
Tornando curioso tra le vetrine. Sono davanti ad un negozietto, invisibile dalla strada principale. Sugli espositori c'è uno splendido gioiello, cesellato a mano (secondo il cartellino), in oro bianco. È a forma di cuore, non troppo grande, fatto a filigrana. È davvero bellissimo e mi fa pensare a Marina.
Oddio! Di nuovo. No! Marina la devi lasciare in pace!
Ma quel bellissimo cuore starebbe proprio bene appeso al suo collo.
Entro e chiedo di vederlo da vicino. È magnifico, leggero, e d'impulso lo acquisto con anche una sottile collanina abbinata.
Il gioielliere mi chiede se deve fare un pacchetto, ma preferisco di no. Lo faccio mettere in un sacchettino di raso blu. Allungo la carta di credito e con un sospiro firmo la ricevuta. Ormai non posso più tornare indietro.
— La sua amata lo gradirà di certo, signore — mi dice l'anziano gioielliere, restituendomi la carta assieme alla copia della ricevuta.
Già, la mia amata… Ma è davvero così? Davvero Marina è la "mia amata"? Amata senz'altro, perché le voglio bene. Ma "amata" nel senso di "la mia donna"?
Metto un passo davanti all'altro, guardando a terra. I pensieri mi rimuginano avanti e indietro per la testa, pesando ora da una parte, ora dall'altra.
Va a finire che mi perdo. Entro in bar e chiedo le indicazioni per l'albergo. Per fortuna non sono troppo lontano. Dieci minuti a piedi, a passo tranquillo.
Quando ritorno in camera mi accorgo che sono stato via per due ore. Lascio l'asciugacapelli sulla piccola scrivania e nascondo l'acquisto più importante nel cassetto coi calzini.
Ma mi rendo conto che si è fatta l'ora di pranzo e usciamo dall'albergo (avevo scelto l'opzione pernottamento e prima colazione). Adesso riesco ad orientarmi un po' di più e andiamo ad un'osteria, dove fanno anche da mangiare. Quello che ci servono è buono e abbondante. Quando il cameriere torna con il conto chiedo se servono anche la cena.
— Sì, ma con prenotazione — risponde lui.
Guardo Marina e lei annuisce.
— Facciamo in tempo a prenotare per stasera? Sa, siamo arrivati poche ore fa e non siamo ancora riusciti ad organizzarci.
— Non ci sono problemi. Le prenotazioni le chiediamo soltanto per avere una indicazione di quante persone ci saranno nel locale. La settimana di carnevale è un'incognita. A volte non c'è nessuno, ma altre volte non ci si può nemmeno muovere. La cena iniziamo a servirla dalle 19.30, ma siamo aperti fino alle 23. Prepariamo anche da asporto, se le può interessare.
Buono a sapersi. Allungo la carta di credito e da una tasca tira fuori l'accessorio per il pagamento on-line. Devo solo allungare la carta verso il sensore e digitare il codice.
Finito il pranzo, prima di uscire, Marina indossa il suo cappottone nero e si mette pure la sciarpa, i guanti ed il cappello bianco a cloche. Sta una favola quando li indossa tutti insieme. Di nuovo mi sento il sangue rimescolarsi nelle parti basse.
Poi ce ne andiamo a zonzo per il paesino, che sembra uscito da un racconto storico-medioevale. Viuzze strette, antichi palazzi, persino una mulattiera che scende a valle tra ulivi secolari. Deve essere un posto magnifico da visitare in primavera, quando tutto è più verde. Ci faccio un pensierino per le prossime vacanze.
Marina non fa che sgranare gli occhi da un edificio all'altro, aggrappata al mio braccio, come se fosse incapace di camminare per suo conto.
È tutto un "Oh Marco, hai visto lì?" oppure "Guarda quello!", la camminata fino alla cima del colle dove c'è un antico monastero, convertito in chiesa parrocchiale, laboratori sociali e scuola materna.
La chiesa è chiusa ai visitatori durante le funzioni, dice un cartello (c'è un funerale in corso), ma il resto è visitabile senza problemi.
Marina si ferma a leggere ogni iscrizione, ogni cartello, e mi traduce quello che non riesco a capire.
— La chiesa è stata costruita nel XV secolo, da un manipolo di frati francescani arrivati qui direttamente dalla sede di Assisi, su richiesta del locale signorotto — di cui mi fa il nome, e che a me è totalmente sconosciuto. — Faceva parte della famiglia dei Medici, un qualche lontano cugino dei signori di Firenze, se mi ricordo bene il loro albero genealogico.
Non commento. Sicuramente ha ragione lei. Mi accontento di riempirmi gli occhi del posto, ma soprattutto di lei. È così felice…
Si aggrappa nuovamente al mio braccio e mi si appoggia addosso, restando ad osservare il panorama che si apre davanti alla terrazza panoramica.
— È bellissimo, Marco. Non trovi?
— Sì, è splendido, tesoro — sussurro. Non so a cosa sto dicendo che è splendido, se a lei o al posto. Accidenti! Non di nuovo…
Ritorniamo lentamente in albergo. Mezz'ora di camminata, ma ormai è quasi il crepuscolo.
Tornati in camera, lascio a lei il bagno per prepararsi.
Cavoli! Mi sono dimenticato i boxer appesi nella doccia! mi viene in mente quando ormai si è già chiusa in bagno da un po'.
Intanto apro la scatola dell'asciugacapelli, che tanto so che userà tra pochi minuti.
— Marco? Mi passi il phon? — agitando una mano dalla porta socchiusa.
Glielo metto in mano e subito richiude la porta. Poco dopo sento il rumore del phon acceso.
Ma neanche due minuti dopo Marina spalanca la porta del bagno.
— Non riesco a vedere niente da quello specchio! — urla, attraversando la stanza con le ciabatte ai piedi e in mutandine e reggiseno.
Infila la spina nella presa accanto all'armadio, dove c'è un lungo specchio attaccato al muro, afferra la spazzola e inizia ad asciugarsi i capelli.
E io resto lì, immobile dov'ero, ad osservarla, piegata in avanti a testa in giù coi capelli che quasi sfiorano il pavimento. Non riesco a smettere di guardarla.
Il phon va avanti e indietro, ad asciugarle i suoi lunghi capelli. Ma non sono le mani quello che guardo. Guardo la rotondità dei suoi glutei, e il seno che intravedo tra i suoi capelli smossi dall'aria calda.
Non so se si rende conto di quello che sta facendo, ma io sì. E non posso continuare a guardarla. Ma non riesco a farne a meno. Sento di nuovo il mio sesso che mi si gonfia nei pantaloni.
Quando si tira su cerco di girarmi, per non farmi sorprendere a fissarla, ma non riesco a muovermi. Ci guardiamo e lei mi sorride. Quel suo bel sorriso che mi riempie l'anima.
Ingoio a vuoto un bel po' di volte, per riuscire a parlare chiaramente.
— Posso entrare io in bagno o devi fare ancora?
— No, ho fatto. Solo appoggia da qualche parte le cose che ho lasciato dentro.
Annuisco. Entro in bagno, raccolgo le cose che ha lasciato in giro e appoggio il beauty-case sulla scrivania. Dentro ci sono tutte le sue cose che le serviranno di sicuro.
Ritorno in bagno. Mi spoglio, ma faccio fatica ad abbassarmi i pantaloni, tanto è gonfio il mio pene. È rigido e completamente snudato. Chiudo il coperchio del water e ci appoggio sopra i vestiti che rimetterò. Apro il rubinetto della doccia e solo in quel momento mi accorgo che non ci sono i miei boxer. Mi guardo in giro e li vedo appesi ad un gancio assieme alle sue mutandine appena lavate.
Non so cosa pensare…
Il cazzo è ancora gonfio e c'è un solo modo per farmelo passare. Lo impugno e inizio a muovere la mia mano per tutta la sua lunghezza, immaginandolo stretto dentro… dentro…
No! Non dentro di lei! Non voglio! Tutto ma non lei! Non la mia piccola…
Ma la mia immaginazione va proprio lì. Il mio cazzo dentro Marina, che gode assieme a me, che mi cavalca col suo seno che si muove su e giù…
E poi vengo. Il mio sperma schizza sulla parete della doccia, ma l'acqua lo lava subito via.
Picchio esasperato le mani chiuse sul muro e quasi mi viene da piangere. Non posso continuare così. Ed è solo il primo giorno! Che supplizio che sarà per me questa vacanza…
Ma non devo cedere. Non mi prenderò Marina. Marina non può diventare la mia donna. Ma… ma col cazzo non si ragiona. Ha un cervello tutto suo. È una cosa che sanno tutti.
Finisco di lavarmi ed esco già vestito.
Anche Marina è già pronta. Ha riordinato le sue cose e in giro non c'è nulla. Ogni cosa è al suo posto.
Prende lo zainetto dall'armadio, toglie le carte che le serviranno in biblioteca, afferra il cappotto e usciamo per andare a cena.
Durante tutta l'uscita non facciamo che parlare per decidere che monumenti visitare e la serata passa tranquilla.
Fa troppo freddo per restare fuori e ce ne torniamo subito in camera.
Riaccendo il caminetto, che metto al minimo, e sposto i divanetti in modo da restare seduti a goderci il calduccio. Accendo anche la TV su un notiziario ma abbasso quasi del tutto il volume.
Marina riprende in mano il suo libro e si mette a studiare. Io, invece, passo lo sguardo tra le notizie che scorrono sui banner alla TV e il cellulare cercando di far coincidere orari dei mezzi pubblici e ingressi a musei vari. Alla fine perdo la pazienza e prenoto un taxi per domani mattina per portarci almeno in città.
Ore dopo, metto la sveglia al cellulare, spengo la TV ed il caminetto e ce ne andiamo a dormire.
Solitamente io dormo solo con i boxer, ma dovendo dormire nello stesso letto con Marina, mi metto almeno i pantaloni del pigiama e mi tengo addosso la maglietta. Anche Marina si mette un pigiama lungo, non troppo pesante.
Mi addormento quasi subito. E quando mi sveglio la mattina dopo, mi accorgo che io e lei siamo abbracciati stretti.
Non me ne ero neanche accorto. Lo avevo fatto nel sonno. Sorrido all'idea, inizialmente. Ma poi inizio a pensare alle conseguenze che potrebbe avere un tale gesto. Non ho nessuna intenzione di muovermi, anche perché rischierei di svegliarla. E poi si sta così bene… con lei che mi dorme tra le braccia. Un piccolo anticipo di quello che potrebbe essere il nostro futuro.
No! Non lo puoi fare! Marina è tua nipote!, continuo a ripetere a me stesso. Non lo posso fare. Non posso cedere.
Ma è così bello svegliarsi con lei tra le mie braccia…
Molto, molto lentamente sposto il mio braccio da sotto di lei. Ma appena inizio a muovermi, Marina si stringe ancora di più a me. Desisto.
Dopo un po', non so quanto, suona la sveglia. Almeno ora ho la scusa per spostarmi. Anche Marina si sveglia.
Dapprima resta un po' disorientata, ma poi mi illumina col suo sorriso.
— Buongiorno, Marco. Non so te, ma io ho dormito magnificamente. All'inizio sentivo un po' di freddo, ma poi mi è passato.
Faccio finta di niente, ma le rispondo che anche io ho dormito bene, che in fondo è la verità.
Vado prima io in bagno. Prendo dei vestiti puliti e mi fermo sulla porta, prima di entrare.
— Ah, ieri sera ho prenotato un taxi per le 9.30 per portarci in città. Con gli orari dei mezzi pubblici era un casino. Ci faremo portare da qualche parte e poi vedremo come fare quando saremo là. Va bene? Decidi cosa vuoi vedere per primo.
Marina annuisce, restando ancora sotto le coperte.
Chiusa la porta dietro di me, faccio un profondo respiro. Almeno non mi sono svegliato con una erezione. Sarebbe stato veramente imbarazzante, altrimenti. Dieci minuti dopo sono fuori.
Marina sta ancora oziando sotto le coperte.
Mi avvicino al letto, e solo in quel momento mi accorgo che ha gli occhi chiusi, le guance arrossate e respira rapidamente.
Ma che sta facendo? Poi scorgo dei rapidi movimenti circa a metà del letto. E tutto mi diventa chiaro. Oddio! Si sta masturbando! Non posso crederci! Lo sta facendo per davvero!
Mi allontano immediatamente, ma quello che ho visto mi intontisce.
Ma perché dovrei esserne sorpreso? In fondo è una donna. Anche lei ha le sue esigenze.
Anche dall'altra parte della stanza sento i suoi sospiri e mugolii trattenuti.
Che faccio? La lascio fare o mi faccio sentire, magari mettendola in imbarazzo ancora di più di quello che potrebbe essere?
Mi avvicino alla TV e l'accendo, facendo finta di niente. Non la guardo neanche, lasciandole il tempo di riprendersi. Infatti, pochi secondi dopo è già in bagno a prepararsi.
Preparo lo zaino col necessario per stare fuori buona parte del giorno per non dover salire nuovamente poi. Quando anche Marina esce dal bagno, scendiamo a fare colazione e poi restiamo nell'atrio ad aspettare il taxi, che arriva puntuale. Marina da indicazioni all'autista su dove ci deve lasciare. Restiamo fuori tutto il giorno e rientriamo solo dopo aver cenato.
Prima di ritirarci per la notte, prenoto ancora un taxi per l'indomani, ma con un altro orario. Sarà una levataccia, domani mattina. Per essere in orario alla biblioteca dovremmo svegliarci alle 7.30. Il taxi arriverà alle 8.30.
Chiedo a Marina di preparare i documenti già nel suo zaino per non dover fare tutto di corsa domattina. Siamo stanchi morti e alle 23 siamo già sotto le coperte.
Anche stavolta mi addormento subito, e al mattino, quando suona la sveglia, siamo di nuovo abbracciati.
Ma oggi non ho proprio tempo per riflettere sulla cosa. Mi alzo subito e in bagno non mi faccio nemmeno la barba. Marina ci impiega ancora meno tempo. Prendiamo le nostre cose e alle 7.45 siamo già in sala da pranzo a fare una abbondante colazione.
Marina è eccitata alla sola idea di poter finalmente avere accesso ai libri antichi e non fa che parlare della cosa. La osservo mentre chiacchiera, gesticolando ampiamente. È tutta sorrisi. Mi elenca tutte le cose che vedremo.
— Come che vedremo? Non ci vai solo tu? È a te che hanno dato il permesso, io non c'entro nulla coi libri antichi.
— Ho preparato i documenti anche per te, Marco. Nel modulo di richiesta c'era da indicare la presenza di un accompagnatore, così ho messo il tuo nome. Quando ho inviato la domanda l'anno scorso, ero ancora minorenne, non ricordi?
— Sì, mi ricordo. Ma ora non lo sei più.
— Ops. Non ho rettificato la cosa — mi dice facendomi l'occhiolino.
E così entrerò pure io nella zona riservata della biblioteca più antica della città.
— Vedrai Marco. Ci saranno dei manoscritti del XI secolo, ancora perfettamente conservati. E poi, poi anche uno dei Codici di Leonardo da Vinci. C'è anche una copia manoscritta della Divina Commedia.
Non sta zitta un momento e la sua allegria mi contagia. Dopo un po' la interrompo.
— Dovresti mangiare qualcosa, adesso, perché tra dieci minuti arriverà il taxi.
Faccio un cenno al cameriere e mi faccio portare un espresso.
Il taxi arriva puntuale ed in meno di mezz'ora siamo alla biblioteca, che è ancora chiusa.
Ci rifugiamo sotto un porticato, perché sta iniziando a piovere, e quando si aprono le porte della biblioteca corriamo dentro. È senz'altro meglio aspettare al caldo in un edificio, che fuori sotto la pioggia anche se al riparo dall'acqua.
In pochi minuti arrivano anche altre persone, di tutte le età, ma molti sono avanti con gli anni. Sicuramente sono studiosi di un qualche tipo.
Alle 9.30 si presenta il Curatore in persona, che seleziona le persone chiamandole da una lunga lista di nomi. Più della metà sono assenti.
Ci fanno entrare in uno stanzino e ci danno delle tute che dovremo indossare. Prima però ci fanno consegnare i documenti richiesti.
La procedura è lunga perché ogni domanda viene esaminata minuziosamente.
Quelli di Marina (e i miei) sono in perfetto ordine, e ci danno subito dei badge che dobbiamo sempre tenere al collo.
Due vengono scartati perché i documenti sono incompleti. I tizi vengono accompagnati nella zona pubblica con la richiesta di integrare al più presto i documenti per poter essere ammessi al gruppo nella settimana successiva.
Alla fine siamo solo in dieci ad essere ammessi. Il curatore da le ultime indicazioni, ci fa lasciare giacconi, borse e zaini negli armadietti alle nostre spalle (non sono ammessi macchine fotografiche né cellulari), ci fanno indossare le tute (che ci fanno assomigliare ad una massa di imbianchini) e finalmente possiamo passare.
— Mi raccomando, non potete toccare niente senza permesso — ci dice ancora, prima di aprire le porte.
Non sto a raccontarvi nel dettaglio cosa ho visto, perché sarebbe troppo e il giro è durato la bellezza di tre ore.
Marina era la più agitata del gruppo. Tra l'altro è pure la più giovane e avevo il mio bel da fare a tenerla buona. Se fosse stato per lei, si sarebbe incollata ad ogni vetrinetta che incontrava ad osservare minuziosamente ogni particolare del libro esposto.
All'inizio, il curatore sembrava molto preoccupato di aver permesso ad quella giovane donna esagitata di entrare in quel sancta sanctorum, ma quando vide che la sua era solo esaltazione di poter finalmente vedere quelle magnifiche opere e che non faceva mai nulla di avventato (come allungare un dito su un libro antico, perché ogni volta Marina si teneva le mani intrecciate dietro la schiena) si mise il cuore in pace e le diede un po' di libertà di movimento.
A metà della visita, il curatore diede il contentino a Marina.
Le allungò dei guanti di cotone e le diede il permesso di avvicinarsi ad uno dei restauratori che in quel momento stava lavorando su un codice miniato XII secolo.
Marina gli si mette accanto e prende a leggere ad alta voce e senza incertezza alcuna, le parole scritte sulla pergamena. Io non capisco niente perché è latino arcaico e da quello che mi sembra di vedere anche il curatore resta allibito dalla facilità con cui procede nella lettura. Per farla contenta, il restauratore gira la pagina e Marina continua a leggere. D'improvviso poi si arresta e guarda il curatore incredula.
— Ma davvero questo è…
Il curatore annuisce con la testa.
— Oh, wow… semplicemente wow. Lo sai che cos'è Marco?
E come potrei saperlo, io?
— Questo è il primo libro di medicina scritto da un europeo. È stato tradotto dall'arabo, ed è una delle copie in latino del Codice di Avicenna, un famoso medico vissuto in Persia a cavallo dell'anno 1000. Come ha fatto a salvarsi un tale testo?
— Proviene da una collezione privata. È stato acquistato una ventina d'anni fa. Il precedente proprietario era un discendente di un autorevole membro dei Templari che era pure medico. E tutti sappiamo bene che i Templari erano diversi da tutti gli altri cattolici. È stato tenuto nascosto per quasi tutto il Medioevo. Se vuoi conoscere la storia di questo trattato potresti fermarti per un po' al termine della visita e te la racconterò nei dettagli.
Marina mi guarda implorandomi, congiungendo le mani come se pregasse. Quasi scoppio dal ridere, ma acconsento.
Il seguito della visita procede come previsto, e al termine del giro, gli altri se ne vanno ed io e lei veniamo accompagnati nell'ufficio del curatore.
L'uomo spiega minuziosamente la storia del libro e Marina pende dalle sue labbra. È esaltata. Dopo un'altra mezz'ora di spiegazioni, si è fatta l'ora di andare. Ma prima il curatore le fa una incredibile proposta.
— Che ne dici di uno stage estivo? Prima di iniziare a frequentare l'università?
— Non saprei dottore — risponde Marina. — Certo è un'ottima proposta, ma vede io non so… devo ancora superare gli esami di maturità… E poi non abitiamo qui vicino… Non so davvero… Vorrei tanto accettare, ma…
— Pensaci intanto. Ti lascio il numero di telefono del mio ufficio. Se desideri accettare la proposta, non dovrai fare altro che chiamare quando vuoi. Magari anche l'anno prossimo. Hai un talento davvero raro, Marina. Non sono in molti in Italia con le tue capacità. Non le sprecare.
Finalmente ce ne andiamo dopo aver recuperato i nostri averi.
L'esaltazione di Marina ora le è passata. Sembra quasi più preoccupata.
— Marco? — mi chiede. — Credi che dovrei accettare quella proposta? Io non so cosa fare.
— Tesoro mio, sta a te decidere. Qualunque cosa sceglierai io ti appoggerò.
Ho sempre cercato di lasciarle fare le sue scelte, per imparare ad essere indipendente.
— Ma se la accettassi, dovrei trasferirmi qui a Firenze. Dovrei andarmene da casa. E tu rimarresti solo.
— Oh, Marina, sei una donna adulta, ora. Devi imparare a fare le tue scelte per conto tuo. E anche se tu decidessi di trasferirti qui, per me non c'è problema alcuno. Non preoccuparti per me.
Ma lei sembra svuotata. Senza forze. Ci fermiamo in un bar per pranzare. Ma Marina è stranamente silenziosa e mangia poco.
— Riportami in albergo, zio — dice all'improvviso. — Non ho più voglia di visitare musei.
— D'accordo, tesoro. Faccio venire un taxi.
Mezz'ora dopo siamo in camera. Accendo di nuovo il caminetto. La pioggia non accenna a smettere e fa freddo.
Marina si sdraia sul letto, completamente vestita. Si copre con la trapunta ma continua a girarsi e rigirarsi sul letto.
— Non so cosa fare, Marco. Davvero non lo so proprio.
Mi alzo dal divanetto e mi avvicino a lei.
— Marina… non è una cosa che devi decidere adesso. Devi ancora finire la scuola. E poi hai sentito cosa ha detto il curatore. Per lui va bene anche l'anno prossimo.
— Sì, lo so. Ma… io non voglio lasciarti. Voglio stare con te. È questo che mi blocca. Non voglio separarmi da te, Marco. Me ne sono resa conto solo ora. Io voglio stare con te per sempre.
— Oh, tesoro. Io ci sarò sempre per te. Nessuno potrà impedirlo. Potrai sempre contare su di me.
— Ma non è a questo che mi riferisco, Marco. — Si inginocchia sul letto. — Io non voglio lasciarti. Io voglio stare con te — mi dice allungandomi una mano sul petto.
Vengo preso da un improvviso capogiro, che quasi mi fa crollare.
— Tu… vuoi… stare… con… me…? — riesco a sussurrare.
Marina annuisce.
— Ti visto… l'altro ieri, ho visto la tua erezione, quando ero qui fuori ad asciugarmi i capelli. Non puoi credere che io sia così ingenua… Perché pensi che per due mattine ci siamo svegliati abbracciati? Perché credi che mi stavo toccando ieri mattina? Anche tu sei attratto da me. Io ti eccito.
— Ma tu… Marina, tu sei mia nipote… non possiamo…
Marina si avvicina di più a me, quasi incollandomisi addosso.
— Non mi importa. Io voglio stare con te.
Afferro la sua mano ancora poggiata al centro del mio petto.
— Non hai idea di cosa stai dicendo, Marina — dico scuotendo la testa. — Non potrà mai esserci un futuro per noi.
— Non mi importa delle regole. Io voglio stare con te, Marco.
E poi l'inaudito accade.
Marina mi bacia.
All'inizio sono solo dei leggeri toccamenti di labbra, ma che non fanno altro che spingerci l'uno contro l'altra. Le mie mani le circondano la vita, stringendola a me. Una mano poi sale verso l'alto, infilandosi sotto i suoi capelli setosi, spingendo la nuca alla mia bocca.
Le bacio lentamente le labbra, mordicchiando a volte quello sopra, a volte quello sotto, poi la mia lingua riesce finalmente a infilarsi nella sua bocca, alla ricerca della sua.
Sposto la mano che ho infilata tra i suoi capelli, ne afferro un bel po' e le tiro indietro la testa, esponendo il suo collo. La mia bocca si sposta sulla sua gola che inizio a baciare.
Marina ansima, le sue mani riescono ad infilarsi sotto il mio maglione, toccandomi i fianchi e l'addome. L'erezione ormai è garantita.
Mentre non smettiamo di baciarci, lascio andare i suoi capelli e inizio lentamente a spogliarla. Prima le sbottono i jeans e abbasso la cerniera. Li spingo al di sotto del bacino, lasciandole ancora addosso le mutandine. Poi le mie mani si spostano sulla sua maglia. Afferro l'orlo e tiro verso l'alto, riuscendo a sfilargliela del tutto. La lascio cadere a terra. È senza reggiseno.
Ci guardiamo negli occhi. Senza spostare lo sguardo dal mio viso, Marina riesce a togliermi i pantaloni.
Le circondo le spalle e lentamente la faccio sdraiare sul letto. Mi sollevo un momento e mi tolgo il maglione.
Mi sdraio al suo fianco. Mentre la accarezzo ovunque le sfilo i jeans e lei mi aiuta sollevando le gambe.
Entrambi, però, abbiamo ancora l'intimo addosso.
Riprendiamo a baciarci lentamente, gustandoci reciprocamente. Le mani di entrambi volano sul corpo dell'altro, imparando a conoscersi, a conoscere ogni centimetro di pelle.
Le mie labbra sono ovunque: sul viso, sul collo, sui seni, sulla sua pancia. Le sfilo le mutandine. Sul suo inguine c'è solo un piccolissimo triangolo scuro, ma che lascia completamente scoperto tutto quanto. Sembra quasi la punta di una freccia che indica dove c'è l'obiettivo finale. Do un bacio anche a quello.
Le sue mani si infilano tra i miei capelli, mentre ansima e inarca la schiena.
— Prendimi, Marco… Prendimi ora. Fammi diventare completamente tua, ti prego — mi implora.
Sollevo lo sguardo per guardarla. Mi sorride. Sul suo viso trovo semplicemente amore.
— Sì, amore mio, prendimi ora.
Rispondo al suo sorriso col mio. Abbasso di nuovo il viso sul suo inguine. Bacio e lecco ogni piccola piega, mentre Marina ondeggia godendosi la mia lingua.
In qualche modo riesco a togliermi i boxer.
Ormai niente ci separa. Ricomincio a baciarla, partendo dal ventre e salendo verso l'alto. Lentamente mi sposto tra le sue gambe. So già che non riuscirò a trattenermi. L'eccitazione mi spinge a prendermi questa bellissima donna.
Il mio pene è pronto. Lei è pronta. Entrambi siamo pronti a oltrepassare quel limite.
Le gambe di Marina mi accolgono trepidanti.
— Sei sicura? — le chiedo un'ultima volta. Voglio essere certo che non abbia dubbi su quello che stiamo facendo.
Marina mi posa dolcemente le mani sui lati del viso.
— Sì, amore mio. Sicurissima. Prendimi ora. — E poi mi bacia.
Mi spingo un poco in su, ed il mio pene trova la strada da sé per entrare nella sua fichetta. Ma la sua barriera mi ferma.
— Entra, Marco. Entra in me. Fallo adesso — mi invita ancora Marina.
Ed io spingo. Avverto il suo imene che si lacera e sprofondo dentro di lei.
— Ah — mormora lei, a metà tra il dolore ed un sospiro, mentre inarca il bacino e la schiena, accogliendomi dentro di sé, venendo incontro al mio addome.
Accidenti che versi riesce ad emettere… così eccitanti…
Raggiungo la sua bocca per regalarle un dolcissimo bacio.
Facendo così riesco ad entrare ancora più in profondità, nella sua vagina. I nostri pubi di incontrano. I miei testicoli la toccano. Mi blocco per un momento, assaggiando quell'attimo di felicità. Marina mi fissa negli occhi e la sua mano mi accarezza il volto.
— Finalmente amore mio. Ti aspettavo da tutta la vita e non lo sapevo neppure. Mi ci sono voluti solo dodici anni per capire che tu sei la mia vita. Ma fa nulla. Ora sono tua e questo non potrà mai cambiare. Ti amo, Marco — mi dice quando tocco il fondo del suo utero col mio pene.
Oh… wow… Una dichiarazione d'amore coi fiocchi!
Le do un altro dolcissimo bacio e mi muovo leggerissimamente dentro di lei.
— Scusa — rispondo. — Non era mia intenzione farti attendere così tanto. Ma a mia discolpa devo dirti che fino all'altro ieri non avevo capito che i miei sentimenti per te erano cambiati fino a questo punto. Per me eri solo mia nipote e non una donna. Una bellissima donna aggiungerei.
E poi iniziamo a muoverci in sincronia, come se l'avessimo fatto da sempre.
La vagina di Marina mi stringe deliziosamente, perché non è mai stata violata prima. Solo il primo uomo che la possiede completamente.
Sono il suo uomo… e lei, lei è la mia donna.
Non faccio che bearmi del corpo di Marina. Le mie mani sono ovunque: sul viso, sul collo, sul seno, sui fianchi, sulle gambe, sulla schiena e sui glutei quando lei è sopra di me…
È già venuta una volta… urlando il mio nome.
Il mio dentro e fuori la sta di nuovo eccitando, e il desiderio di entrambi non fa che crescere. Marina allarga più che può le gambe, facilitandomi i movimenti.
Non avevo mai goduto con una ragazza così giovane e senza esperienza. Ma le sensazioni che Marina mi fa provare sono assolutamente nuove anche per me. È la cosa più naturale a questo mondo, essere dentro di lei. E non ci sono paragoni rispetto alle storie che ho avuto prima di lei.
Mi sento… completo. Sì. Completo. Come se un ultimo brandello della mia esistenza è colmato dal solo essere dentro Marina.
È difficile controllarmi, il mio sesso duro come non mai è dentro un paradiso così caldo, così stretto, così umido, da farmi delirare.
Avverto che sto per godere anche io.
Inizio a spingere più velocemente il cazzo dentro e fuori da lei. I muscoli dell'addome di Marina mi stringono così forte che temo di farle male. Lei si contorce sotto di me, ma sta godendo.
Miagola, ansima, si inarca, e ripete ti amo in continuazione. Lo dice a parole, ma soprattutto lo dice col suo corpo e i suoi baci.
Questa è la nostra prima volta, ma non sarà sicuramente l'ultima. Ormai ho capito che ci apparteniamo a vicenda e che non potrò mai più fare a meno di lei.
D'improvviso Marina mi stringe i fianchi con le sue gambe.
Anche io, però, ho raggiunto il mio limite, non posso reggere oltre. Con un'ultima forte spinta mi blocco nel profondo di lei e le iniettò un primo getto di sperma. Subito dopo altri spruzzi del mio sperma si infrangono sulle pareti vaginali scosse da ritmiche contrazioni.
Continuo a spruzzare sperma per un tempo che mi pare infinito, mentre il corpo di Marina sussulta per il nuovo orgasmo e per il suo utero che si contrae e risucchia il mio sperma.
Riprendo a muovermi lentamente, sentendo su di me tutte quelle eccitanti contrazioni che mi accarezzano. C'è talmente tanto sperma dentro che mi sembra di muovermi nella gelatina, e la morsa della sua vagina chiude alla perfezione, il mio pene gonfio è come il tappo in una bottiglia, impedisce che tutto quel nettare vada sprecato.
Sono venuto dentro di lei. Non ho nemmeno pensato a togliermi prima di venire. E sono sicuro che Marina non l'avrebbe nemmeno accettato né gradito. Questa è la cosa più intima che può unire un uomo e una donna.
Marina se ne sta sdraiata lì, le braccia aperte sopra la testa, gli occhi chiusi, il respiro pesante, tutta sudata e arrossata. Le sue ginocchia sono ancora aperte e sollevate.
Il sesso mi si sgonfia lentamente e scivola fuori, ed io mi sposto. Non ho mai avuto una grande resistenza e sono esausto. Ci vorranno delle ore perché io possa fare il bis.
Mi allungo per afferrare la trapunta e copro entrambi.
Solo dopo un po' mi accorgo che la stanza è buia. Ormai è scesa la sera. Dovremmo uscire a cenare, ma non ho voglia di muovermi perché Marina si è addormentata tra le mie braccia.
Si sveglia un'oretta più tardi, e dopo una frettolosa cena fatta con una pizza d'asporto, ritorniamo in camera.
Recupero dal cassetto il regalo che le avevo comprato due giorni prima. Avevo intenzione di darglielo il giorno del suo diploma, ma questo momento mi sembra più adatto.
Mi avvicino a lei col sacchettino in mano, quasi tentennando le chiedo di mettere le mani a coppa e rovescio il suo contenuto. Marina è senza parole… e per l'emozione le scende pure una lacrima. Glielo prendo dalle mani, le scosto i capelli dal collo e glielo allaccio.
Subito Marina allunga le dita per toccare quello splendido gioiello.
— È bellissimo, amore mio — mi sussurra mentre ci baciamo.
E poi facciamo ancora l'amore.

Il resto della vacanza procede come avevamo programmato: la mattina lei studia, i pomeriggi e le sere le passiamo in città a seguire le varie manifestazioni del carnevale. Quando rientriamo in hotel, anche se siamo stanchi non possiamo fare a meno di goderci ancora, così come la mattina appena svegli. Marina non si è mai addormentata senza avere il mio sperma dentro di sé, né mai ha iniziato una giornata senza.
Rientriamo a casa martedì notte. Il giorno dopo, Marina riprende la scuola e tutto torna alla normale quotidianità, anche se io e lei riusciamo ugualmente a ritagliarci momenti di intimità. Naturalmente dormiamo insieme nel mio letto, e prima di addormentarci facciamo sempre l'amore. A quello non abbiamo mai rinunciato.
Settimane dopo Marina si accorge che non le è ancora arrivato il ciclo. Una corsa veloce in farmacia a pochi metri da casa, e un'altra corsa in bagno a fare pipì sul bastoncino ci regala un'intensa emozione che già sospettavamo entrambi.
Marina è incinta e secondo i calcoli è accaduto proprio durante la nostra vacanza a Firenze.
Siamo entrambi emozionati per questa improvvisa svolta.

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Abbiamo nascosto a tutti la sua gravidanza. Marina ha smesso di indossare abiti attillati, privilegiando ampie magliette che nascondono bene il suo seno che inizia ad ingrossarsi. Fortunatamente le nausee sono scarse ed il ventre sta solo ora a farsi vedere.
Tra una settimana inizierà gli esami di maturità e una volta finiti potrà dire addio per sempre ai compagni e non nascondere più il frutto del nostro amore.
Alla fine ha anche deciso di accettare lo stage alla biblioteca di Firenze: il curatore le ha assicurato che non fa alcuna differenza che sia in attesa di un bambino. Abbiamo trovato un piccolo appartamento in affitto per i tre mesi estivi. Io mi trasferirò assieme a lei.
Il mio lavoro non è un problema; essendo libero professionista posso esercitare ovunque.

A settembre inizia a frequentare l'università ed è molto impegnativa per lei. Sono anche gli ultimi mesi di gravidanza, ma non vuole rinunciarci. Sopporterà fino a che le sarà possibile.
A metà novembre nasce nostra figlia: Isabella. E consigliata pure dalla ginecologa che l'ha seguita inizia a prendere la pillola. Continuerà a prenderla fino alla laurea, poi deciderà se smettere oppure no.

Un paio d'anni dopo, ci contatta l'avvocato di mia sorella. Le sue condizioni di salute sono peggiorate ed è stata trasferita nel reparto infettivi del carcere. Non riuscirà più ad uscire dal carcere se non quando saranno gli ultimi giorni per lei. Marina ha sempre raccontato tutto di noi alla madre, le ha pure inviato le foto della nostra bambina. Mia sorella non ci ha mai giudicato ed ha accettato il nostro amore. Forse la vita a cui l'aveva costretta suo marito l'ha vaccinata contro tutti i pregiudizi che poteva avere. E lei sa che proteggerò la sua bambina sempre. Dopo dieci giorni ci comunicano che è morta per complicanze dovute all'AIDS.

È finalmente arrivato il giorno della laurea. Voto finale: 108. Proprio in questo momento siamo alla cerimonia in università. Isabella ha cinque anni ed è seduta sulle mie gambe. È felicissima anche lei per la sua mamma.
A sorpresa chi ha raggiunto il curatore della biblioteca di Firenze: sono rimasti sempre in contatto e tra loro si è creato un rapporto di reciproco rispetto.
Al termine della cerimonia, dopo le foto di rito e prima che tutto sia finito, le fa per la seconda volta una incredibile proposta. Entrare nella fondazione da lui creata che ha come obbiettivo l'acquisto di volumi rari per la biblioteca. I fondi sono garantiti da alcune banche e istituti privati ma la maggior parte sono un lascito plurimilionario.
Marina accetta la proposta. Ci trasferiamo a Firenze, dove ci attende un'altra sorpresa. Alloggeremo nell'antico palazzo della biblioteca.

Gli anni passano ancora.
Marina è diventata un pezzo grosso della fondazione e un personaggio molto influente, ma questo non l'ha mai fermata. Ha dato ad Isabella altri cinque tra fratellini e sorelline.

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