Passione?

Scritto da , il 2010-06-27, genere trio

Ero rientrata un po’ più presto del solito, ero andata in camera mia, mi ero spogliata ed avevo fatto la doccia, poi ancora nuda, col solo asciugamani sulle spalle, stavo rientrando in camera, quando sentii la voce di Antoine parlare al telefono.
Corsi in camera per indossare qualche vestito, ma la sua voce, mi sembrava agitata e così, mi avvicinai alla sua porta e lo vidi, seduto sul letto, con gli occhi socchiusi, le dita nervose che non stavano ferme un attimo, poi si muoveva le labbra.
Io con lui avevo un rapporto molto strano: primo eravamo sempre in conflitto; secondo, lui mi piaceva come ragazzo e suscitava le mie fantasie più sconce, ma questo non era un mio segreto, ma per lui, da un po’ di tempo a quella parte, non ero che una rompi balle che non lo lasciava mai in pace.
Antoine parlava con la sua nuova amica, che naturalmente, era in un’altra casa, in un’altra stanza, ma era vicino a lui, perché si sentivano mille volte al giorno, perché ripetevano sempre le stesse cose, un misto di promesse e di richieste sessuali, più o meno esplicite, perché il suo cuore ormai, era dall’altra parte, accanto a lei.
Io ascoltavo, ma avrei voluto prenderlo a calci nelle palle, perché lui era il mio ragazzo, perché vivevamo assieme da oltre sei mesi, perché, seppur a letto, avevamo giurato amore eterno, però mi rendevo conto che, man mano che il tempo passava, io rischiavi di diventare solo un ricordo per lui, un ricordo per una storia che poteva concludersi da un momento all’altro ed io, non avrei dovuto amarlo come lo amavo.
Non ero ancora sicura, ma pensavo che mi avesse già tradito, oppure stava meditando di farlo, ma non me lo poteva ancora dire, perché neanche lui aveva la certezza che l’altra volesse condividere la sua vita con lui.
Io ero dietro la sua porta, perché ormai avevamo due camere separate, tentavo di ascoltarlo, tentavo di capire cosa dicesse, ma non vi riuscivo, non capivo neanche una parola, perché lui aveva la cornetta quasi attaccata alle labbra.
Io non ero delusa di lui, non ero terrorizzata per un eventuale tradimento, perché fra noi due c’era un patto, ma questo patto diceva che, nel caso di innamorarsi di qualcun'altra, nel caso che la nostra storia finisse, il colpevole avrebbe dovuto dirlo all’altro, e l’altro sarebbe stato il primo a saperlo.
Non era così, a quanto pare, perché lui, col suo cazzo di telefono, sembrava assaporare ogni parola dell’altra, sembrava respirare il suo alito, sentire il suo profumo, sembrava avesse le labbra attaccate alla bocca di lei e seduto sul letto, sopra il piumino che avevo comprato coi miei soldi, con la zip dei jeans aperta, le gambe penzoloni, sussurrava, non parlava, come un comune mortale, quando vuole farsi capire no, lui sussurrava soltanto, sussurrava frasi che non riuscivo a capire, parole che non dovevo sentire, forse erano le stesse parole che, qualche tempo prima, mi avevano colpito il ventre.
Poi bisbigliava, ronzava attorno al cuore di lei, come un’ape intorno ad un fiore, e le sue parole, dovevano esprimere il suo desiderio, i suoi ansimi, dovevano farle capire che aveva voglia di qualcos’altro, per farla sentire in soggezione e forse, lui la dominava già, come aveva dominato me stessa.
Ripeto, non avevo paura che mi avesse tradito, che avesse fatto l’amore con lei, ma ero incazzata nera proprio per non aver pensato al mio dolore.
Ripensandoci però, io avevo cercato in lui il dolore o meglio, il piacere nel dolore, perché non potrei trovare un’altra spiegazione per definire il nostro rapporto, il nostro intrecciare le dita, le gambe, le bocche, le lingue, la saliva, gli umori, le lacrime i cuori, che era un rincorrersi, un cercarsi, un sentirsi, un non capirsi, un cercarsi per poi smarrirsi, in un turbine di carezze, di baci, di sesso violento, di capelli strappati, di graffi sulla pelle e . . gli avevo dato tutta me stesso, in un modo di essere nuovo, perché cercavo di concepire il mio ed il nostro amore, mettendo in gioco il mio corpo, aprendolo per lui, in modo che fosse accessibile, vulnerabile, mentre lui, aveva messo a disposizione solo il suo desiderio, la sua voglia.
Mi ero trovata a vivere in una prigione, prigioniera dei suoi desideri, chi lo avesse mai detto?
Io ero la sua compagna, la sua ragazza, la sua amante, ma lui, aveva voluto vivere con me solo per avere l’immagine della donna che avrebbe voluto plasmare e cos’, dovevo essere l’immagine di quello che lui si sarebbe aspettato da me, ma io sapevo che lui cercava proprio una ragazza (non donna) da sottomettere psicologicamente ai suoi desideri ed io, come una stupida, non avevo saputo resistere ai desideri d’amore.
Io non sono masochista e quindi, non ero alla ricerca di un amore fatto di dolore fisico, di negazioni o privazioni, ma semplicemente, ricercavo un filo indissolubile che mi avrebbe legato ad un uomo che, guarda caso, era diventato un rapporto di dominazione e di sottomissione: io e lui.
Mi aveva donato un foulard di seta, con una spilla d’oro ed entrambi, li avrei dovuti portare sempre con me, come se fosse un collare e questo, non avrei mai dovuto toglierlo, perché tutte le persone che mi conoscevano, avrebbero dovuto sapere che ero in suo potere, ero una sua proprietà.
Io ero di Antoine, io ero il foulard che lui, tenendone un cappio, poteva condurlo dove voleva.
Quando ero ragazzina, avevo molti sogni nel cassetto, mi sarebbe piaciuto essere ballerina, oppure insegnante o ancora, una pittrice o una modella per pittori, ma una volta conosciuto lui, io non potevo più perdermi in sogni, perché lui decideva per me ed in pratica, ero diventata la sua schiava, pur senza volerlo però, la nostra relazione mi appagava, mi bastava, così come mi era bastata l’amicizia con una ragazza, che poi, in quel periodo, era anche la sua fidanzata ufficiale.
Lei si chiamava Mathe, la conoscevo da sempre, perché nate e vissute nello stesso palazzo, abbiamo fatto le stesse scuole, fino al liceo e, durante questo periodo, avevamo affittato un appartamento, solo per dividere le spese, ma non era proprio così.
Ci sentivamo libere, ci confidavamo tutto o quasi ed i miei amici, erano anche i suoi amici ed in camera, potevamo tranquillamente girare nude, senza che l’altra si scandalizzasse oppure, potevamo ospitare dei ragazzi, per scopare, magari scambiandoceli, perché nessuna delle due avrebbe avuto niente da dire.
Anche Antoine era stato uno di questi ragazzi, ma lo aveva rimorchiato lei, aveva cominciato a chiudersi in camera e scopare come ricci, incantata dalla sua carnagione scura, dalle lunghe dita ben curate, dai lunghi capelli neri, legati dietro la nuca.
Antoine non era uno studente, ma faceva il bibliotecario all’università, ma a tempo perso, aveva manie artistiche ed era uno dei dieci componenti di un gruppo teatrale, che volevano girare il mondo divertendosi.
Antoine aveva un odore particolare, perché sembrava profumare di legno, di sudore non lavato, e proprio quell’odore così penetrante aveva fatto perdere la testa a più ragazze.
Ma non era solo odore, era anche carne e quando si muoveva, si aveva l’impressione che l’aria attorno a lui, fosse composta da mille luci, da un sipario che si apriva, da un palco che non poteva nascondere niente.
Dico questo perché, mentre scopava con Marthe, io ero già innamorata di Antoine, ero innamorata del suo corpo, e della complicazione che il mio amore poteva comportare.
Quando si richiudevano in camera e facevano l’amore, lui sembrava gridare più forte di lei, forse per farsi sentire da me, forse per dare il via ad una complicità perversa ed io, accostavo l’occhio allo spiraglio della porta, che restava quasi sempre aperta, e vedevo i loro corpi, vedevo che facevano l’amore sempre con la luce accesa, in modo da potersi vedere e forse, da poter essere anche visti.
In quei momenti mi sembrava che non esisteva che quell’atto, che oltre ad essere dentro di lei, forse era anche dentro di me, ma un giorno, mentre lei era piegata in avanti e lui la stava sodomizzando, entrambi, come ad un segnale, si bloccarono e si voltarono verso di me.
“Perché non entri?” dissero all’unisono “Vuoi forse correre in camera tua e masturbarti?” Rimasi paralizzata quando, oltre alle parole, Antoine tirò verso di se un filo di nylon e si aprì la porta: io ero ancora inginocchiata, con la mano in mezzo alle gambe.
Fino ad allora, io e Marthe, avevamo diviso tutto, sogni, segreti, diversi ragazzi, ma mai un amore, perché questo doveva essere una cosa personale, una cosa che doveva appartenere a me o a lei.
Quando si aprì la porta, sorrisi, ma avrei voluto sprofondare negli inferi e scoperta, mi alzai avvicinandomi intimidita.
Antoine riprese a sbattere Marthe, però mi prese la mano, mettendola fra i loro corpo, per toccare il suo sesso, le toccare la donna che ansimava.
Cominciò ad accarezzarmi, si fece accarezzare, poi si staccò da lei e mi ritrovai di fronte il suo enorme membro.
Guardai Marthe e le, col sorriso sulle labbra, fece una smorfia, ma avvicinò il mio capi, mi obbligò a prenderlo in bocca, mi obbligò a muovere la testa, poi mi spinse ancora di più, fin quasi a soffocare.
Penso che fu in quel momento che mi innamorai delle mani di Antoine, perché mi presero il capo e lo allontanarono dase, quel tanto che bastava per poter respirare.
Quelle mani sempre curate, che sembrava parlassero, che chiedevano, offrivano, toccavano, sudavano e penso, potevano anche sentire le mie impressioni.
Fu in quel momento che terminò la mia decennale amicizia con Martha, per iniziare la mia esistenza con lui, perché non esisteva nessun altro, non poteva esistere nessun altro all’infuori di lui.
Quel giorno, la sua mano mi insegnò a muovere la mia, le fece scivolare delicatamente sul suo ventre, per farmi toccare tutto di lui, a cominciare dai testicoli, dal membro, dal condotto anale, le spalle, il torace.
Sempre la sua mano mi guidava, mi bloccava il polso per allentare la presa, per riprendere un movimento deciso e calmo, veloce e tenero e sempre quelle mani, mi aprirono la strada verso un mio nuovo di essere, perché mi sembrava di non aver più bisogno di dimostrare niente, perché era sufficiente che appartenessi solo a lui, che io stessa fossi solo per lui.
“Non dovrai mai amarmi!” Mi disse, mentre lasciava schizzare il suo sperma sulla mia bocca, tenendo nel contempo, il volto di Marthe accanto al mio.
Non avevo mai provato uno sconvolgimento così forte del cuore, del sesso, del corpo, e mi sembrò la cosa più naturale del mondo abbandonarmi a lui.
“Non devi amarmi mai!” Ripeté, mentre le sue dita mi penetravano il ventre qià aperto al desiderio.
Allargai leggermente le gambe, per agevolarlo, per sentirlo meglio, per godere.
“Marthe è la mia ragazza, non devi dimenticarlo, ma tu sarai una parte di quanto c’è tra noi. Io non ti chiederò di amarmi e neanche ti amerò, perché tu dovrai donarmi te stessa, non solo il corpo, ma anche la tua mente.” Lo guardai diritta negli occhi, e mi sentivo come un cucciolo, come un animale addomesticato e non potei dire niente, né fare niente, mentre Marthe, al mio fianco, mi abbracciava, con uno strano sorriso, perché lei era sicura che avrei accettato, che non sarei scappata, che quello, se all’inizio poteva sembrare un gioco, mi coinvolgeva a tal punto da annientare anche la mia volontà ed accettare di essere amata in quel modo.
Cercai di lottare, per non dimostrare la mia felicità, ma le labbra di Antoine di avvicinarono alle mie e con quel semplice bacio a fior di labbra, suggellò il nostro patto, il suo dominio su di me, poi fu la volta di Martha, ma il suo bacio fu più profondo, fu come se non volesse staccarsi da me, fu come se volesse entrare nel mio corpo.
Mi ritrovai accanto ai loro corpi sudati e nudi, con le loro mani su di me, dentro di me, e mi sentivo sconvolgere, perché mi sembrava di non essere mai stata toccata prima di allora, sentivo di essere fradicia di sudore e di umori, ma non feci niente per resistere.
“Ho freddo! Mi vesto!” dissi, cominciando a tremare, ma il motivo era un altro.
“No, non vestirti, voglio vederti camminare per la stanza, nuda, perché si vedranno le tue gocce bianche di piacere, i tuoi umori, che ti scivoleranno lungo le cosce. Ho toccato con mano, sei talmente bagnata che sembri una sorgente perenne, ed il tuo ventre è lucido, come lo sono i tuoi occhi.” La sua voce sembrava diversa, dura, da uomo di comando, come se fosse un condottiero, mentre io non ero che una serva, un fiore di campo calpestato dai suoi soldati.
“Cammina davanti a noi, dritta!” Ordinò ed io, mi sentii proprio come un bamboccio a pile che, una volta datogli la carica, si muoveva ed Antoine, mi stava facendo scoprire alcuni lati a me stessa ignoti, e tremavo, perché non sapevo ancora se sarei stata capace di soddisfare le sue richieste però, mi faceva sentire bella, desiderabile, e mi sembrava inondare nella mia stessa bellezza.
Anche Martha aveva partecipato a quanto mi impose Antoine, perché si avvicinò a me, mi diede un altro bacio vero, con la lingua che si intrecciava con la mia.
“Si, prendila, fanne quello che vuoi, lei è anche tua!” Disse
“”Vuoi davvero?” Chiese lei, ma continuò ad impossessarsi della mia bocca, delle mie intimità, senza chiedermi il permesso, ma prendendo quanto aveva davanti.
Martha era bella, colle lentiggini sul volto ovale, i grandi occhi grigi che sembravano vuoti, le labbra sottili, abbellite da un piccolissimo neo all’angolo della bocca.
Martha, che sapeva muovere le mani, che sapevano prendere e dare piacere,.
Martha, con le sue unghie variopinte, un colore per ogni dito, perché non andava col suo umore, ma perché così sapeva che c’era sempre un colore che le andava bene.
Martha, col suo ventre piatto, privo di peli, col sesso perennemente spalancato, da cui facevano capolino enormi labbra rosso vermiglio, col seno non troppo grande, ma dai capezzoli abnormi.
Avevo sempre pensato che un rapporto sessuale fra donne, è l’equivalente di una tempesta, perché ci può essere passione, però manca la distruzione del dolore al momento della penetrazione.
Con Martha mi sembrava fosse così, ci mancava qualcosa e forse, anche lei provava le stesse sensazioni, perché se i nostri corpi si riconoscevano, si confrontavano, io mi accorgevo che non si capivano, non si sentivano e non si assimilavano.
Con fare sbarazzino, come fossi di sua proprietà, mi aprì le gambe, affondando due dita nel sesso, poi se li portò alla bocca e li succhiò, li rimise, per iniziare a muoverli con forza e violenza ed io, sentivo la carne aprirsi, sentivo pulsare le pareti uterine.
Se i nostri corpi non si capivano, le sue mani sapevano come fare, come e dove toccare, e mi sembrava che sapesse sentire le mie sensazioni.
Pensai che prima di me, era toccato a lei subire quanto stavo subendo io e con i movimenti delle sue dita, mi sembrava di vedermi i capillari vaginali arrossati, che vibravano, con le pareti interne rosse, vive, bagnarsi maggiormente.
Io conoscevo il corpo di Martha, perché lo avevo visto nudo numerosissime volte, ma non potevo pensare di certo che lo avrei sentito sul mio, come non avrei potuto immaginare di sentire il suo odore come il mio, che era un odore di femmina in calore.
Dopo le violente carezze, le dita lasciarono il posto alla lingua, che mi sfiorò la clitoride, percorse il breve tratto che la separavano dal foro anale, tentò di insinuarsi dentro, ma il suo posto fu preso da Antoine, che si tuffò fra le mie cosce spalancate e lui, mi prese con la lingua e con i baci, mi prese col membro rigido, con le mani, mi prese con il desiderio e con la forza, col la dolcezza davanti e dietro, con morsi e carezze, con sculacciate ed ancora carezze, in modo da entrare in me col suo odore, coi suoi occhi scuri, con la sua pelle scura.
Entrò tutto in me, si può dire che mi prese dentro, annientando la mia consapevolezza, annientando la mia volontà.
Io piangevo mentre urlavo il piacere, piangevo mentre ansimando, piangevo per essere maggiormente aperta, sentendo l’amore che si insinuava in ogni parte di me stessa e poi, piangevo perché finalmente, avevo trovato il desiderio, l’amore, l’abbandono, l’essere posseduta e la consapevolezza di offrirmi e di dare.
Mi sembrare di provare in quei pochi momenti, le stesse sensazioni che avevo provato in tutta la vita ed Antoine non avrebbe dovuto più cercare, perché aveva trovato me, mentre io avevo trovato un maestro.
Io, che per anni avevo cercato il fuoco, credendo che l’incendio della passione mi avrebbe portato all’amore, ma tutte le volte che si spegneva l’incendio e finiva l’amore, mi ritrovavo con un pugno di cenere, la cenere del cuore.
Antoine, ne ero sicura, non aveva scelto me tra tutte le altre donne, non aveva scelto un corpo di donna qualsiasi, un corpo a caso, un qualcosa che potesse somigliare ad una sagoma femminile no, lui aveva scelto me, aveva scelto di possedermi, di riempirmi di se, di legarmi a lui, di abbandonarmi a lui.
Io invece, non desideravo altro che essere in lui, ma sentendo la sua voce al telefono, pensai di non bastargli più, pensai di essere da un’altra parte, perché lui stava liberandosi di me, anche se fisicamente mi teneva ancora legata a se, proprio con il foulard di seta.
Uno di questi giorni, ne sono sicura, si presenterà con la prossima vittima, mi obbligherà a fare con lei, le stesse cose che ha fatto Marthe con me ed io, non posso fare niente, posso solo aspettare.
La sua nuova amica, gliela ho presentata io stessa, è una mia compagna di studi, ha diviso con me un piccolo appartamento, ci siamo confidate tante di quelle cose che alla fine, sicura di me stessa, l’ho portata da me e gliela ho fatta conoscere ed Antoine, vedendola, ha sorriso, ma il suo sorriso lo conoscevo bene, era come quello che mi aveva fatto tempo prima, ma che non avevo saputo riconoscere ed ora, io so che il suo cuore balla ormai nell’altra.

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