Francesca a cena al circolo anziani

di
genere
dominazione

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Francesca, la mia schiava di appena 18 anni, era un capolavoro di sottomissione vivente. Il suo corpo era un inno al peccato. La sua figa era rasata alla perfezione, labbra gonfie e umide che tradivano la sua eccitazione costante, e il suo ano stretto, addestrato da me con plug sempre più grandi, era pronto a dilatarsi per qualsiasi invasione. L’avevo plasmata per mesi: sessioni di bondage dove la legavo per ore, frustate che lasciavano strisce rosse sulla sua pelle candida, umiliazioni verbali che la facevano piangere e venire allo stesso tempo. “Sei nata per essere usata, puttana,” le ripetevo, e lei annuiva, gli occhi verdi lucidi di lacrime e desiderio.

Quella sera, l’invito del signor Rossi un imprenditore ottuagenario, grasso e sudato, con vene varicose sulle mani e un cazzo curvo che odorava di vecchi sigari, era il culmine del suo addestramento. Il Circolo Anziani era un palazzo neogotico nel cuore della città, con sale affrescate e un’atmosfera di decadenza aristocratica. Rossi mi aveva contattato: “Voglio la tua schiava per una cena privata. Venticinque membri, tutti over 75, con appetiti insaziabili. L a umilieremo fino a spezzarla, e la riempiremmo di sborra.”

Preparai Francesca con cura maniacale. L’abito: un velo di chiffon nero trasparente, così sottile da essere quasi inesistente, lungo fino a metà coscia ma con spacchi laterali che salivano fino ai fianchi. Sotto, un perizoma di pizzo rosso minuscolo, un filo che affondava tra le labbra della figa e lasciava esposto il clitoride piercingato – un anello d’argento che avevo inserito io stesso. Il reggiseno era un balconcino di pizzo nero, che spingeva i seni in fuori, capezzoli premuti contro il tessuto diafano, visibili come fari in una tempesta. Calze autoreggenti nere con giarrettiera di cuoio, tacchi a spillo rossi di 15 centimetri che la costringevano a camminare con il culo in fuori, inarcando la schiena. Trucco da troia: fondotinta leggero per far risaltare il rossore naturale, eyeliner spesso che allungava gli occhi, ciglia finte, rossetto rosso fuoco che lasciava impronte ovunque. Collare di cuoio al collo con un anello per il guinzaglio, e polsini ai polsi pronti per essere legati.

“Ricordati le regole, schiava,” le dissi in macchina, mentre guidavo verso il circolo. Le mie dita sfioravano la sua coscia, salendo fino al perizoma già umido. “Obbedisci a ogni comando. Chiama tutti ‘signore’ o ‘nonno’. Se esiti, ti frusto davanti a loro. E godi: il tuo piacere è la loro umiliazione.” Lei tremava, il respiro corto. “Sì, Padrone. Userò il mio corpo per servirli.”

Arrivammo alle 20 in punto. Rossi ci accolse sulla soglia, il suo alito che puzzava di whisky. Indossava un completo grigio, camicia sbottonata che rivelava petto peloso e flaccido. “Eccola, la puttanella,” grugnì, afferrandole il mento con dita callose e costringendola a guardarlo. Le sue unghie ingiallite graffiavano la pelle. “Bacia la mano del tuo ospite, schiava.” Francesca si chinò, labbra tremanti che sfioravano la pelle rugosa. Lui rise, palpandole il culo con l’altra mano, strizzando forte fino a farla gemere. “Già bagnata? Bene. Entra, i nonni ti aspettano.”

La sala da pranzo era un tripudio di lusso decadente: tavolo lungo di mogano per 25 persone, candelabri d’argento, tovaglie di lino bianco immacolato. L’aria era densa di profumi: arrosto, vino rosso, e l’odore muschiato di uomini anziani eccitati. I membri erano seduti: venticinque relitti viventi, alcuni curvi su bastoni, altri in sedie a rotelle con coperte sulle ginocchia, ma tutti con occhi affamati. Il signor Bianchi, ex giudice, 82 anni, mani tremanti da Parkinson ma dita ancora abili; il signor Verdi, 78, ex medico, con occhiali bifocali e un ghigno sadico; il signor Nero, 85, in sedia a rotelle, cazzo enorme nonostante l’età grazie a iniezioni; e altri, nomi dimenticati in un mare di rughe, calvizie, denti finti.

“Signori,” tuonò Rossi, tirando il guinzaglio di Francesca per farla avanzare al centro. “La nostra star: Francesca, 18 anni, schiava addestrata. Inizierà servendo la cena. Spogliati del cappotto, troia.” Il cappotto cadde, rivelando l’abito trasparente. Un coro di fischi e mormorii: “Guarda quelle tette!” “Quel culo è da scopare tutta la notte!” Francesca arrossì fino alle orecchie, ma tenne la posa, mani dietro la schiena, seni in fuori.

Iniziò il servizio. Versava il vino, chinandosi su ogni commensale. Il primo, Bianchi, le afferrò il la tetta sinistra attraverso il chiffon, torcendolo piano. “Sodi come mele mature. Premi qui, puttana.” Il capezzolo si indurì istantaneamente, visibile a tutti. Lei gemette: “Sì, nonno… pizzicatelo più forte.” Lui obbedì, unghie che affondavano, lasciando segni rossi. Verdi, dal lato opposto, infilò la mano sotto l’abito, dita nodose che scivolavano sul perizoma. “Annusa l’odore di figa giovane.” Tirò fuori le dita luccicanti di umori, le ficcò in bocca a Francesca. “Succhia il tuo sapore, schiava.” Lei leccò avidamente, lingua che roteava, occhi chiusi per l’umiliazione.

Con l’antipasto carpaccio di manzo lo spettacolo aumentò. Rossi batté il coltello sul bicchiere: “Schiava, sotto il tavolo. Servi con la bocca.” Francesca strisciò sul pavimento di marmo freddo, il vestito che si arrotolava, esponendo il perizoma incastrato tra le natiche. Sotto il tavolo, un caos di mani: una decina la palpavano simultaneamente. Bianchi le strizzò i seni fino a farli gonfiare; Verdi infilò tre dita nel perizoma, sfregando il clitoride con il pollice calloso. “Senti come pulsa, la troietta.” Un altro, il signor Grigio, 80 anni, le schiaffeggiò il culo con la mano aperta: pam! pam! Il suono echeggiava. “Rosso come una mela, puttana.” Lei mugolava, la figa che gocciolava sul pavimento.

Un anziano le ficcò le dita in bocca: “Succhia come un cazzo, ingoia la saliva.” Francesca obbedì, gola che si contraeva, bava che colava sul mento. Intanto, dita entravano nella figa: due, poi tre, stirando le pareti umide. “È stretta come una vergine,” ridacchiò uno. “Ma bagnata come una fontana.” La masturbavano senza ritmo, facendola contorcere. Il suo primo orgasmo arrivò lì, sotto il tavolo: corpo che si inarcava, un grido soffocato mentre schizzava sulle dita rugose. “La schiava viene per i nonni!” annunciarono, tirandola su per i capelli.

Ora, nuda dalla vita in su l reggiseno strappato via da mani impazienti Francesca ballava al centro. Musica di violini in sottofondo, corpo che ondeggiava ipnotico. I seni rimbalzavano, capezzoli viola per i pizzicotti. “Togliti tutto tranne le calze e i tacchi,” ordinò Rossi. Il perizoma volò via: figa esposta, labbra gonfie, anello al clitoride che luccicava. Gli anziani applaudirono, alcuni già con i pantaloni slacciati, cazzi semi-eretti che spuntavano venosi, curvi, odorosi di urina e lozione.

“Cammina e fatti toccare,” comandò. Francesca sfilò tra i tavoli, un percorso di umiliazione. Ogni anziano aveva il suo momento: uno le succhiò il capezzolo sinistro, denti finti che mordevano forte, lasciando impronte; “Ah! Nonno, fa male…” gemette lei, ma spinse le tette in avanti. Un altro le infilò la lingua nell’orecchio, sussurrando: “Dimmi quanto ami i vecchi cazzi.” “Li amo, signore… scopatemi con loro.” Un terzo le aprì le natiche, sputò sull’ano e infilò un dito secco: “Stretto, ma lo allargheremo.” Lei si contorse, dolore che si mescolava al piacere.

Con il primo piatto risotto ai funghi la fecero salire sul tavolo. Sdraiata a pancia in su tra i piatti, gambe spalancate. Rossi versò vino rosso sui seni: il liquido freddo scivolava sui capezzoli, giù per l’addome, fino alla figa. Gli anziani leccarono: lingue viscide, esperte nonostante l’età, che lambivano ogni goccia. Bianchi succhiò un capezzolo come un vitello; Verdi le aprì la figa con le dita, leccando il clitoride. “Sa di miele giovane,” mugugnò. Francesca inarcava la schiena: “Sì… leccatemi, nonni… fatemi venire.”

Il dominio culminò con il secondo: bistecca al sangue. “Dessert vivente,” annunciò Rossi. La legarono al tavolo con cinture improvvisate – polsi ai candelabri, caviglie alle gambe del tavolo. Esposta, vulnerabile. Il primo a usarla fu Nero, in sedia a rotelle: il suo cazzo enorme, 20 cm nonostante gli 85 anni, entrò nella figa con un colpo secco. “Senti come ti apro, puttana.” Francesca urlò, pareti che si stiravano al limite. “Troppo grosso… ah! Scopami, nonno!” Lui pompava lento, mani che strizzavano i seni. Sborrò dentro con un grugnito, seme caldo che colava fuori.

Seguì una catena: uno dopo l’altro. Bianchi nel culo – lubrificato con saliva – “Praking anale per la schiava”; spinte dolorose, ano che bruciava. “Ringrazia!” “Grazie per scoparmi il culo, signore!” Verdi in bocca, scopandole la gola fino a farla vomitare saliva. “Ingoia, troia.” Altri due contemporaneamente: uno in figa, uno in ano, doppio penetrazione che la faceva gridare. “Sto morendo… vengo!” Orgasmi multipli, corpo in spasmi, schizzi che bagnavano il tavolo.

La umiliarono con giochi: la fecero pisciare in un bicchiere, poi bere la propria urina calda mentre la masturbavano. “Bevi, puttana gialla.” Frustate con cinture sul culo, seni, figa – strisce rosse che sanguinavano leggermente. “Conta!” “Uno… due… grazie per punirmi!” Un anziano le infilò il bastone nella figa, girandolo: “Senti il legno dei nonni.”

La notte finì all’alba. Francesca era un relitto: corpo coperto di sborra secca, morsi, lividi; figa e ano dilatati, gocciolanti; voce rauca dai gemiti. Rossi le diede un ultimo schiaffo: “Tornerai, schiava. Sei nostra ora.” Io la portai via, guinzaglio al collo. A casa, la punii per aver goduto troppo: ore di tease and denial, fino a farla implorare.

Ma lei sorrise tra le lacrime: “Grazie, Padrone. Sono nata per questo inferno di piacere.”

http://www.padronebastardo.org
scritto il
2025-11-11
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