La cagna d'ufficio 4
di
Dan dan
genere
dominazione
"Buongiorno, Sharon." La voce del signor Thorne risuonò nell'aria stantia dell'ufficio mentre lasciava cadere una cartellina manila sulla scrivania. Sharon alzò lo sguardo dal suo cuscino d'angolo, sbattendo due volte la coda sul pavimento. "Buongiorno, signore."
Lei era sempre stata così: silenziosa, obbediente, una presenza senza pretese che si muoveva tra le scatere degli archivi e il tappeto sotto la poltrona di Thorne. Ogni mattina alle nove, dopo aver tolto le scarpe e il tailleur, Sharon si inginocchiava per terra. Il collare rosso di pelle scricchiolava quando abbassava la testa, le sue mani nude che si appoggiavano sul linoleum fresco. Era un rituale semplice: lei camminava a quattro zampe verso la ciotola dei biscotti, ne prendeva uno con la bocca, poi tornava indietro per posarsi la fronte sulle scarpe lucide di Thorne. Lui le passava una mano tra i capelli castani sciolti, le dita che seguivano la curva della sua nuca fino alla fibbia del collare. "Brava ragazza," diceva ogni volta. Lei rispondeva con un piccolo movimento della schiena, sollevando il bacino per mostrargli la pelle nuda tra le cosce, un gesto che aveva imparato settimane prima.
Ma oggi era diverso. Thorne non aveva aperto la cartella. Invece, aveva estratto un guinzaglio sottile dalla tasca della giacca. Sharon trattenne il respiro quando la fibbia metallica tintinnò nell'aria. Lui non l'aveva mai usato dentro l'ufficio. "Sharon," disse, la voce più morbida del solito mentre fissava la curva dei suoi fianchi. "Stanotte non dormirai a casa tua." Le parole caddero tra loro come pietre nello stagno della loro routine. Sharon sentì le ginocchia tremare contro il pavimento. Sei mesi di rituali prevedibili—leccare le briciole dalle sue scarpe, aspettare il suo tocco dopo pranzo, dormire arrotolata sul cuscino vicino alla porta—si sbriciolavano in quel momento. Sollevò lo sguardo verso di lui, gli occhi verdi larghi e interrogativi. Thorne le sorrise, un'espressione strana che non aveva mai visto prima: calda, quasi tenera. "La mia casa ha bisogno di un cane," aggiunse, allacciando il guinzaglio all'anello del collare con un clic decisivo.
Aspettarono il crepuscolo. L'ufficio si svuotò, le luci si spensero una dopo l'altra oltre la porta a vetri, lasciando solo il bagliore fioco della lampada da scrivania. Thorne ordinò del cibo cinese—anatra alla pechinese e riso alla cantonese—e quando arrivò, aprì i contenitori sulla sua scrivania. L'odore acre della salsa hoisin si mescolò al tanfo del vecchio tappeto. Sharon rimase immobile vicino alla ciotola dei biscotti, il guinzaglio che le penzolava dalla bocca mentre fissava le scatole di cartone. Thorne non le offrì nulla dal suo pasto. Invece, le indicò la sua ciotola vuota. "Mangia," disse, mentre lui stesso infilzava un pezzo di carne croccante con le bacchette. Sharon chinò la testa, le labbra che sfioravano il bordo di plastica fredda mentre rosicchiava un biscotto a forma di osso. Il rumore delle sue mascelle che masticavano sembrava troppo forte nell'ufficio silenzioso. Thorne osservò ogni suo movimento, i suoi occhi scuri che seguivano la linea della sua schiena nuda mentre si abbassava per prendere un altro boccone.
Le sue cose—il tailleur grigio, le scarpe col tacco, la biancheria intima—erano già state stipate da Thorne in una borsa di tela marrone. La borsa giaceva accanto alla porta, un promemoria muto della vita che stava lasciando. Sharon la fissò tra un boccone e l'altro, il metallo del guinzaglio che le scaldava la lingua. Quando Thorne finì di mangiare, gettò i contenitori vuoti nel cestino con un tonfo sordo. Si pulì le labbra con un tovagliolo di carta, poi si alzò. "È ora," annunciò, prendendo la borsa e il guinzaglio. Sharon si alzò sulle ginocchia tremanti, il collare che le stringeva la gola mentre lui tirava leggermente. Il corridoio era buio, illuminato solo dalle luci di sicurezza verdi.
La guardia di notte, Marco, un uomo con gli occhi stanchi e una barba rada, li vide avvicinarsi. Il suo sguardo scivolò sul corpo nudo di Sharon, sulla posizione a quattro zampe, sul guinzaglio stretto tra i suoi denti. Non batté ciglio. "Tutto chiaro, signor Thorne," disse, premendo un pulsante per sbloccare la porta d'ingresso. "L'ultimo impiegato è uscito due ore fa. Non c'è anima viva." La sua voce era piatta, professionale, come se vedere la segretaria del capo trasformata in un cane fosse parte della normale routine di chiusura. Sharon abbassò lo sguardo, il pavimento di marmo gelido sotto le sue ginocchia e i palmi delle mani. L'aria della notte estiva, umida e carica di smog, le investì il viso quando la porta si aprì.
Thorne tirò leggermente il guinzaglio. "Avanti." Sharon avanzò strisciando sul marciapiede, il cemento ruvido che le graffiava la pelle delle ginocchia. Il rumore del traffico notturno era un brontolio lontano, interrotto solo dal clic delle sue unghie sul selciato e dal passo sicuro di Thorne dietro di lei. Attraversarono una strada deserta, le luci dei semafori che riflettevano pozze d'acqua stagnante. Poi, svoltarono verso un vialetto alberato che costeggiava il parco. Il verde intenso degli ippocastani formava una galleria scura sopra di loro, frammentata dai lampioni gialli. Fu allora che Sharon vide le ombre muoversi tra gli alberi più avanti. Due forme: una eretta, l'altra curva, strisciante. Un guinzaglio luccicava sotto la luce fioca.
Thorne rallentò il passo. Sharon sentì il metallo del guinzaglio irrigidirsi nella sua mano mentre fissava le figure che si avvicinavano. Elena camminava con passo sicuro, il suo tailleur color crema che strideva contro l'oscurità del parco. Dietro di lei, Claudia avanzava a quattro zampe, completamente nuda. La pelle pallida di Claudia brillava di sudore sotto i lampioni, il suo collare di cuoio nero che contrastava nettamente con il rosso vivo di Sharon. Le loro ginocchia erano sporche di terra, foglie secche attaccate alle cosce. "Buonasera, Thorne," salutò Elena, la voce ferma come sempre. Il suo sguardo scivolò su Sharon con un cenno quasi impercettibile del mento. "Sharon."
Claudia sollevò la testa, gli occhi che si illuminarono di riconoscimento quando incrociarono quelli di Sharon. Un guizzo rapido—qualcosa tra vergogna e complicità—prima che abbassasse di nuovo lo sguardo sul selciato. Il guinzaglio di Elena si tese quando Claudia si immobilizzò, le spalle curve sotto la pressione silenziosa. Sharon sentì il proprio corpo irrigidirsi, il cemento freddo che le mordeva le ginocchia. Non aveva mai visto Claudia così fuori dal loro ambiente controllato: vulnerabile, esposta, con le foglie autunnali che le si attaccavano alle caviglie. L'odore di terra bagnata e muschio si mescolava al profumo chimico dello smog cittadino.
Elena fece scattare il guinzaglio con un movimento del polso. Il gesto era preciso, economico. "Non fermarti," disse a Claudia, la voce piatta come una lama. Poi rivolse il suo sguardo a Thorne, la mano che stringeva la frusta di pelle nera con naturalezza. Sharon fissò quell'oggetto: lungo, sottile, con un'impugnatura intrecciata che terminava in una linguetta biforcuta. Le ricordò un serpente addormentato, pronto a svegliarsi. Elena seguì la direzione dello sguardo di Sharon. "Ti piace?" chiese, sollevando leggermente la frusta. La pelle sembrava ingrassata dall'uso, luccicante sotto il lampione. "Cuoio di vitello. Molto... educativo."
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Sharon distolse gli occhi dalla frusta e li posò su Claudia. La sua nudità era diversa dalla propria: meno una resa, più una dichiarazione. Le lunghe ciocche di capelli neri, lucide come ala di corvo, le cadevano lungo la schiena fino alla curva dei glutei, incorniciando una pelle così pallida da sembrare marmorea sotto la luce gialla. Non c'era vergogna nel suo portamento, solo una concentrazione intensa, quasi meditativa, mentre teneva la fronte bassa verso il selciato. Sharon notò una sottile striscia rossastra che attraversava la parte alta della coscia sinistra di Claudia, un segno fresco che contrastava con la perfezione lattea della sua pelle. Un ricordo le attraversò la mente: il suono secco della frusta di Elena nell'ufficio di Thorne, mesi prima, seguito da un singhiozzo soffocato. Ora, quel segno era qui, esposto al mondo.
Claudia sollevò lentamente la testa. I suoi occhi, grandi e scuri come pozze d'ombra sotto gli ippocastani, cercarono quelli di Sharon. Un tremito quasi impercettibile attraversò le sue labbra socchiuse. "Padrona..." La voce di Claudia era un sussurro roco, appena udibile sopra il fruscio delle foglie e il lontano brontolio del traffico. Si rivolgeva a Elena, ma il suo sguardo rimaneva fissato su Sharon. "Posso... parlare?" Elena non abbassò lo sguardo verso di lei. Continuò a fissare Thorne, le dita che stringevano l'impugnatura della frusta con una sicurezza familiare. Solo un lieve movimento del polso, quasi impercettibile, diede il permesso. Era un gesto piccolo, consumato dalla routine.
"Grazie, Padrona." Claudia inspirò profondamente, l'aria umida della notte che le gonfiava il petto. Una goccia di sudore le scivolò lungo la tempia, tracciando un percorso lucido sulla pelle pallida. "Mi... mi piace questa passeggiata." Le parole uscirono stentate, come se dovesse ricordarsi come formarcele dopo tanto silenzio. "L'aria... l'aria è fresca dopo la pioggia." Abbassò gli occhi sul selciato umido sotto le sue ginocchia sporche di terra. "E gli alberi... hanno un odore buono." Un sorriso timido, tremulo, le sfiorò le labbra mentre ricordava il profumo pungente delle foglie bagnate e del muschio schiacciato sotto le sue mani nude. "È... è meglio che stare dentro." Sharon trattenne il respiro. Vide il riflesso dei lampioni negli occhi umidi di Claudia mentre la fissava direttamente. Quel sorriso fragile conteneva una verità semplice, disarmante. Non era una recita. Claudia *era* felice, in quel momento, sotto gli ippocastani, con la terra sotto le ginocchia e il guinzaglio di Elena stretto nella sua mano. La striscia rossa sulla sua coscia sembrava meno crudele alla luce di quella fragile gioia.
Elena emise un breve suono, una specie di "hm" secco che tagliò l'aria. Non un elogio, ma nemmeno una censura. Il suo sguardo rimase fisso su Thorne, freddo e valutativo. "Si è adattata bene," disse semplicemente, la mano che assestava una leggera pressione sull'impugnatura della frusta. Era un'affermazione fattuale, senza calore. "Più velocemente di quanto previsto." Sharon sentì una strana stretta al petto guardando Claudia abbassare la testa di nuovo, quel fugace momento di felicità già soffocato dalla presenza dominante della sua padrona. Il contrasto era brutale: la vulnerabilità nuda di Claudia contro la compostezza impeccabile di Elena nel suo tailleur color crema. La frusta di vitello nero sembrava un'estensione naturale del suo braccio.
"La disciplina aiuta," rispose Thorne, la sua voce neutra mentre osservava Sharon inginocchiata sul cemento umido. Il guinzaglio era ancora teso tra le sue mani. "Ma anche la libertà controllata ha il suo posto." Fece una pausa, studiando il modo in cui Claudia teneva le spalle curve sotto il peso invisibile della sottomissione. "Potrebbero beneficiare di uno spazio aperto. Lasciarle sciolte per un po'." Elena sollevò un sopracciglio appena percettibile. Il silenzio si fece più spesso, rotto solo dal fruscio delle foglie di ippocastano sopra di loro e dal lontano brontolio della città. Sharon trattenne il respiro, il freddo del pavimento che saliva lungo le gambe nude.
Elena non rispose subito. Il suo sguardo si posò su Claudia, immobile come una statua di marmo pallido sotto il lampione. Poi, con un movimento fluido e improvviso, si chinò e sganciò il guinzaglio dalla fibbia del collare nero di Claudia. Il metallo tintinnò debolmente cadendo sul selciato. "Non muoverti," disse Elena, la voce tagliente come vetro mentre si raddrizzava. Claudia non alzò lo sguardo, ma Sharon vide un fremito attraversarle le scapole. Thorne seguì l'esempio senza esitazione. Si inginocchiò accanto a Sharon, il suo respiro caldo sulla sua nuda schiena mentre le mani lavoravano rapidamente sulla fibbia del collare rosso. Un altro clic metallico, e Sharon sentì il peso familiare sparire dalla bocca. Il guinzaglio cadde con un tonfo sordo. "Resta così," ordinò Thorne, la sua voce bassa ma ferma mentre si alzava. Sharon rimase perfettamente immobile, le mani ancora appoggiate sul cemento ruvido, il cuore che batteva forte contro le costole. La libertà improvvisa era un vuoto vertiginoso.
Il parco si aprì davanti a loro, un mosaico di ombre profonde e chiazze di luce gialla sotto gli ippocastani. Elena fece un cenno del capo verso l'erba oltre il vialetto. "Camminate," disse. Claudia sollevò lentamente la testa, i suoi occhi scuri che scrutavano l'oscurità con un'espressione strana, quasi di incredulità. Sharon osservò il movimento delle sue spalle mentre Claudia spostava il peso sulle mani nude, poi spingeva in avanti con le ginocchia. Un passo strisciato, incerto. Poi un altro. Sharon la imitò, muovendosi lentamente verso il bordo del marciapiede. Il cemento lasciò il posto a un tappeto di erba umida e fredda sotto le ginocchia e i palmi. L'odore pungente della terra bagnata e delle foglie decomposte si fece più intenso, quasi soffocante dopo l'asfalto cittadino. Sharon avanzò verso un'aiuola di cespugli scuri, Claudia poco più avanti verso un gruppo di panchine vuote. Nessuna correva. Nessuna tentava di alzarsi. Il movimento era cauto, esplorativo, come animali rilasciati in un recinto più grande dopo anni di gabbia.
Thorne osservò Sharon muoversi verso un cespuglio di ortensie, le foglie lucide che sfioravano le sue spalle nude. "Si muove come se stesse scoprendo la gravità," commentò Elena, la sua voce piatta mentre seguiva Claudia che si avvicinava a una pozza d'acqua stagnante sotto un lampione. Claudia si fermò ai bordi della pozza, fissando il proprio riflesso distorto nell'acqua scura. Sollevò una mano tremante, le dita che sfiorarono la superficie, rompendo l'immagine. Sharon raggiunse un albero isolato, il tronco nodoso e rugoso sotto le sue mani. Premette la guancia contro la corteccia umida, chiudendo gli occhi per un istante, respirando l'aria fresca che portava via l'odore dello smog.
"Non è scappata," osservò Thorne, un tono quasi di sorpresa nella sua voce mentre Sharon si allontanava dal cespuglio verso un'aiuola di violette selvatiche. Le sue ginocchia lasciavano solchi nell'erba bagnata. Claudia si era inginocchiata accanto alla pozza, raccogliendo una foglia di ippocastano caduta e girandola tra le dita come un tesoro. "Non hanno bisogno di scappare," rispose Elena, la frusta ancora rilassata nella sua mano. "Sanno dove appartengono." Sharon si fermò vicino alle violette, il naso che sfiorava i petali viola. Un ronzio basso di insetti notturni riempiva l'aria tra loro.
Claudia posò la foglia sull'acqua stagnante e si girò lentamente verso Elena. Si mosse con una strana grazia, strisciando sul ventre attraverso l'erba umida fino a fermarsi ai piedi della sua padrona. Senza esitazione, chinò la testa e premé le labra contro la punta lucida delle scarpe di pelle di Elena. "Padrona," sussurrò, la voce roca ma chiara. "Posso... chiedere un favore?" Elena rimase immobile, solo un sopracciglio leggermente sollevato. Claudia alzò lo sguardo, gli occhi scuri che riflettevano la luce dei lampioni. "Sharon e io... potremmo avere un momento? Solo un po' di... divertimento?" Un silenzio pesante cadde, rotto solo dal fruscio delle foglie sopra di loro. Sharon trattenne il respiro, le mani che affondavano nell'erba fredda. Elena studiò Claudia per un lungo istante, poi fece un piccolo cenno con la testa. "Sì." La parola era tagliente come vetro. Poi, con un movimento fluido, sollevò la frusta e la fece schiocare sull'aria sopra la schiena di Claudia—non un colpo pieno, ma un avvertimento sonoro che echeggiò tra gli alberi. "Ma non troppo a lungo."
Claudia si voltò verso Sharon, un rossore improvviso sulle guance che contrastava con la pallida nudità. Si mosse attraverso l'erba alta, le ginocchia che lasciavano solchi scuri nella rugiada. Sharon rimase immobile vicino alle violette selvatiche mentre Claudia si fermava davanti a lei, gli occhi che cercavano i suoi con una domanda muta. Senza una parola, Claudia abbassò la testa e premé il viso contro l'interno della coscia di Sharon. Le labbra erano calde e insistenti mentre trovavano il punto più morbido tra le sue gambe. Sharon emise un gemito soffocato, le dita che si aggrappavano all'erba mentre la lingua di Claudia tracciava percorsi umidi lungo le sue pieghe nascoste. L'odore della terra si mescolò a quello più dolce della sua pelle sotto le foglie di ortensia.
"Così," sussurrò Claudia contro la sua carne, la voce roca di desiderio. Le sue mani si alzarono per afferrare i seni di Sharon, i pollici che sfregavano lentamente i capezzoli induriti. Sharon si piegò all'indietro contro il tronco dell'albero, il respiro che diventava affannoso mentre Claudia si spostava verso l'alto. La bocca calda coprì un seno, succhiando con una pressione deliberata che fece tremare Sharon. "Ti ricordi?" mormorò Claudia tra un morso leggero e una leccata lenitiva. "La prima volta nel tuo ufficio? Quando hai pianto?" Sharon annuì, incapace di parlare mentre le dita di Claudia scivolavano lungo la sua schiena verso le natiche.
Dietro il cespuglio di ortensie, il mondo si restrinse all'odore di terra bagnata e al sapore salato della pelle di Sharon sulla lingua di Claudia. Le foglie lucide li proteggevano dalle luci dei lampioni, creando una grotta umida di ombre e respiri rotti. Claudia si abbassò di nuovo, le labbra che ripercorrevano il sentiero tracciato prima, più profonde questa volta. La lingua si insinuò dentro Sharon con movimenti esperti, alternando pressione circolare a rapide puntate che la fecero gemere, le mani che si aggrappavano ai capelli neri di Claudia. "Sì," ansimò Sharon, le gambe che tremavano. "Così." Un brivido le attraversò la schiena quando Claudia sollevò una mano per infilare due dita dentro di lei, sincronizzando il movimento con la lingua sulle sue pieghe più sensibili.
Dopo un lungo istante, Claudia si ritrasse, il mento luccicante. Si sollevò sulle ginocchia nell'erba alta, le mani ancora appoggiate sulle cosce interne di Sharon. "E Elena?" Sharon chiese a bassa voce, gli occhi che scrutavano oltre le ortensie verso le sagome immobili dei loro padroni sotto gli ippocastani. "Quando sei tornata dai giapponesi quella volta... come è andata?" Claudia sorrise, un'espressione stranamente libera nel buio. "Benissimo," sussurrò, sfregando una goccia di sudore dalla tempia. "Gli impianti di produzione erano perfetti. L'hanno detto loro stessi." Abbassò la voce ancora di più, un rossore improvviso sulle guance. "Per premiarmi, Elena... quella sera ha fatto la cagna." Sharon socchiuse gli occhi, confusa. Claudia scivolò più vicina, il respiro caldo sull'orecchio di Sharon. "Mi ha fatto mettere il suo guinzaglio. Si è inginocchiata sul nostro tappeto persiano e ha leccato il mio bicchiere di vino caduto, proprio come faccio io quando rompo una regola. Poi ha abbaiato per me tutta la notte." Ridacchiò piano, il suono soffocato dall'erba. "Non sapevo se ridere o piangere."
Sharon sentì una strana invidia mescolarsi alla confusione. Guardò Elena in lontananza, impeccabile nel tailleur crema, la frusta ancora rilassata nella mano. Era difficile immaginarla abbaiare. "Perché?" chiese. Claudia si strinse nelle spalle, le dita che tracciavano distrattamente una striscia rossa sulla coscia di Sharon. "Per ricordarmi che anche le regole hanno eccezioni. Che a volte... il gioco può cambiare direzione." Sollevò lo sguardo verso Sharon, gli occhi scuri che brillavano di una comprensione nuova. "Mi ha insegnato che la sottomissione non è una gabbia. È una lingua. E lei la parla in entrambi i versi."
Poi, con un movimento improvviso, Claudia si girò e si sollevò sulle mani e sulle ginocchia nell'erba alta. La sua schiena nuda si inarcò, le natiche pallide rivolte verso Sharon sotto le ortensie. "Ora tocca a te," sussurrò sopra la spalla, la voce roca ma ferma. "Lèccami. Abbiamo poco tempo." Sharon esitò solo un istante, l'odore della terra bagnata e della pelle umida di Claudia che le riempiva le narici. Poi si chinò in avanti, le labbra che trovavano la curva familiare tra le cosce di Claudia. La pelle aveva il sapore salato del sudore e qualcosa di più dolce, più profondo. Sharon leccò con passione, la lingua che tracciava un percorso umido lungo le pieghe nascoste, trovando il punto più sensibile sotto il cappuccio. Claudia emise un gemito soffocato, le mani che affondavano nell'erba mentre spingeva indietro contro la bocca di Sharon. "Così," ansimò. "Più forte."
Sharon obbedì, concentrandosi sul clitoride rigonfio con movimenti circolari rapidi. Le dita di Claudia si aggrapparono a un ciuffo d'erba, le nocche bianche sotto la luce filtrata. "Sì, proprio lì," sussurrò, la voce tremante. Sharon intensificò la pressione, alternando leccate ampie a puntate più strette. Sentì Claudia irrigidirsi, i muscoli delle cosce che tremavano contro le sue guance. Un odore acre e muschiato si diffuse nell'aria umida, mescolandosi al profumo delle ortensie schiacciate sotto le loro ginocchia.
Un fischio breve e tagliente squarciò l'oscurità. Elena stava in piedi sotto l'ippocastano più vicino, la frusta sollevata in un gesto netto. "Basta," chiamò, la voce piatta ma penetrante come un ago nel silenzio del parco. Sharon si ritrasse immediatamente, il mento bagnato. Claudia lasciò sfuggire un gemito strozzato, ancora tremante dall'interruzione. Entrambe si voltarono verso le loro padrone. Thorne osservava impassibile, il guinzaglio rosso già pronto in mano.
Si mossero insieme, Sharon e Claudia strisciando sull'erba umida verso il vialetto. Il cemento freddo sotto le ginocchia fu un brusco ritorno alla realtà. Elena non aspettò. Si chinò, afferrò il collare nero di Claudia e vi agganciò il guinzaglio con un clic metallico preciso. Thorne fece lo stesso con Sharon, il movimento rapido ed efficiente. "Avanti," ordinò Elena, dando un leggero strattone. Claudia si mosse, a quattro zampe, ma dopo pochi metri si fermò di colpo accanto a un lampione, un flusso caldo e giallo zampillò contro la base metallica, formando una pozza scintillante sull'asfalto. Elena non la rimproverò. Si accovacciò invece accanto a lei, una mano posata sul suo fianco, mentre Claudia finiva. "Brava," sussurrò Elena, una rarità nella sua voce. Le dita affondarono nei capelli neri di Claudia, accarezzandola con una tenerezza che Sharon non le aveva mai visto. Le unghie lucide di Elena tracciarono piccoli cerchi sulla pelle pallida della schiena di Claudia. "Così bene per me," mormorò Elena, premendo un rapido bacio sulla nuca di Claudia prima di alzarsi.
Marciarono lungo un viale fiancheggiato da platani, il guinzaglio di Elena ora sciolto mentre Claudia si muoveva con passo sicuro sul marciapiede. Sharon la seguiva, il cemento che pizzicava le ginocchia nude. All'incrocio successivo, un semaforo rosso li fermò. Elena si voltò verso Thorne. "Ci vediamo domani," disse, la voce tornata piatta e professionale. Non ci fu abbraccio, nessuna stretta di mano. Solo un breve cenno del capo. "Domani," confermò Thorne. Elena strinse appena il guinzaglio, un segnale impercettibile, e Claudia si girò verso Sharon. Un lampo negli occhi scuri, un misto di complicità e qualcosa di più dolce, più fragile. Poi, senza una parola, Elena diede un altro leggero strattone e si incamminarono lungo una strada laterale, Claudia che strisciava fedelmente al suo fianco, la sua nudità che si perdeva nell'ombra tra i platani.
Thorne tirò appena il guinzaglio di Sharon. "Avanti." Lei obbedì, le ginocchia che sollevavano polvere dal marciapiede mentre svoltavano in un viale più tranquillo. Le case si diradavano, sostituite da giardini recintati. Sharon sollevò lo sguardo oltre le spalle di Thorne. In lontananza, oltre un cancello di ferro battuto sormontato da un arco di rose rampicanti, apparve una piccola villa. La luce di un lampione a gas illuminava una facciata in pietra chiara, avvolta dall'edera. Davanti, un giardino disordinato esplodeva in macchie di colore: ortensie blu, cespugli di lavanda, e un vecchio melo dai rami contorti che gettava ombre lunghe sul prato incolto. Il profumo dolce dei fiori notturni si mescolava all'odore umido della terra appena irrigata.
Lei era sempre stata così: silenziosa, obbediente, una presenza senza pretese che si muoveva tra le scatere degli archivi e il tappeto sotto la poltrona di Thorne. Ogni mattina alle nove, dopo aver tolto le scarpe e il tailleur, Sharon si inginocchiava per terra. Il collare rosso di pelle scricchiolava quando abbassava la testa, le sue mani nude che si appoggiavano sul linoleum fresco. Era un rituale semplice: lei camminava a quattro zampe verso la ciotola dei biscotti, ne prendeva uno con la bocca, poi tornava indietro per posarsi la fronte sulle scarpe lucide di Thorne. Lui le passava una mano tra i capelli castani sciolti, le dita che seguivano la curva della sua nuca fino alla fibbia del collare. "Brava ragazza," diceva ogni volta. Lei rispondeva con un piccolo movimento della schiena, sollevando il bacino per mostrargli la pelle nuda tra le cosce, un gesto che aveva imparato settimane prima.
Ma oggi era diverso. Thorne non aveva aperto la cartella. Invece, aveva estratto un guinzaglio sottile dalla tasca della giacca. Sharon trattenne il respiro quando la fibbia metallica tintinnò nell'aria. Lui non l'aveva mai usato dentro l'ufficio. "Sharon," disse, la voce più morbida del solito mentre fissava la curva dei suoi fianchi. "Stanotte non dormirai a casa tua." Le parole caddero tra loro come pietre nello stagno della loro routine. Sharon sentì le ginocchia tremare contro il pavimento. Sei mesi di rituali prevedibili—leccare le briciole dalle sue scarpe, aspettare il suo tocco dopo pranzo, dormire arrotolata sul cuscino vicino alla porta—si sbriciolavano in quel momento. Sollevò lo sguardo verso di lui, gli occhi verdi larghi e interrogativi. Thorne le sorrise, un'espressione strana che non aveva mai visto prima: calda, quasi tenera. "La mia casa ha bisogno di un cane," aggiunse, allacciando il guinzaglio all'anello del collare con un clic decisivo.
Aspettarono il crepuscolo. L'ufficio si svuotò, le luci si spensero una dopo l'altra oltre la porta a vetri, lasciando solo il bagliore fioco della lampada da scrivania. Thorne ordinò del cibo cinese—anatra alla pechinese e riso alla cantonese—e quando arrivò, aprì i contenitori sulla sua scrivania. L'odore acre della salsa hoisin si mescolò al tanfo del vecchio tappeto. Sharon rimase immobile vicino alla ciotola dei biscotti, il guinzaglio che le penzolava dalla bocca mentre fissava le scatole di cartone. Thorne non le offrì nulla dal suo pasto. Invece, le indicò la sua ciotola vuota. "Mangia," disse, mentre lui stesso infilzava un pezzo di carne croccante con le bacchette. Sharon chinò la testa, le labbra che sfioravano il bordo di plastica fredda mentre rosicchiava un biscotto a forma di osso. Il rumore delle sue mascelle che masticavano sembrava troppo forte nell'ufficio silenzioso. Thorne osservò ogni suo movimento, i suoi occhi scuri che seguivano la linea della sua schiena nuda mentre si abbassava per prendere un altro boccone.
Le sue cose—il tailleur grigio, le scarpe col tacco, la biancheria intima—erano già state stipate da Thorne in una borsa di tela marrone. La borsa giaceva accanto alla porta, un promemoria muto della vita che stava lasciando. Sharon la fissò tra un boccone e l'altro, il metallo del guinzaglio che le scaldava la lingua. Quando Thorne finì di mangiare, gettò i contenitori vuoti nel cestino con un tonfo sordo. Si pulì le labbra con un tovagliolo di carta, poi si alzò. "È ora," annunciò, prendendo la borsa e il guinzaglio. Sharon si alzò sulle ginocchia tremanti, il collare che le stringeva la gola mentre lui tirava leggermente. Il corridoio era buio, illuminato solo dalle luci di sicurezza verdi.
La guardia di notte, Marco, un uomo con gli occhi stanchi e una barba rada, li vide avvicinarsi. Il suo sguardo scivolò sul corpo nudo di Sharon, sulla posizione a quattro zampe, sul guinzaglio stretto tra i suoi denti. Non batté ciglio. "Tutto chiaro, signor Thorne," disse, premendo un pulsante per sbloccare la porta d'ingresso. "L'ultimo impiegato è uscito due ore fa. Non c'è anima viva." La sua voce era piatta, professionale, come se vedere la segretaria del capo trasformata in un cane fosse parte della normale routine di chiusura. Sharon abbassò lo sguardo, il pavimento di marmo gelido sotto le sue ginocchia e i palmi delle mani. L'aria della notte estiva, umida e carica di smog, le investì il viso quando la porta si aprì.
Thorne tirò leggermente il guinzaglio. "Avanti." Sharon avanzò strisciando sul marciapiede, il cemento ruvido che le graffiava la pelle delle ginocchia. Il rumore del traffico notturno era un brontolio lontano, interrotto solo dal clic delle sue unghie sul selciato e dal passo sicuro di Thorne dietro di lei. Attraversarono una strada deserta, le luci dei semafori che riflettevano pozze d'acqua stagnante. Poi, svoltarono verso un vialetto alberato che costeggiava il parco. Il verde intenso degli ippocastani formava una galleria scura sopra di loro, frammentata dai lampioni gialli. Fu allora che Sharon vide le ombre muoversi tra gli alberi più avanti. Due forme: una eretta, l'altra curva, strisciante. Un guinzaglio luccicava sotto la luce fioca.
Thorne rallentò il passo. Sharon sentì il metallo del guinzaglio irrigidirsi nella sua mano mentre fissava le figure che si avvicinavano. Elena camminava con passo sicuro, il suo tailleur color crema che strideva contro l'oscurità del parco. Dietro di lei, Claudia avanzava a quattro zampe, completamente nuda. La pelle pallida di Claudia brillava di sudore sotto i lampioni, il suo collare di cuoio nero che contrastava nettamente con il rosso vivo di Sharon. Le loro ginocchia erano sporche di terra, foglie secche attaccate alle cosce. "Buonasera, Thorne," salutò Elena, la voce ferma come sempre. Il suo sguardo scivolò su Sharon con un cenno quasi impercettibile del mento. "Sharon."
Claudia sollevò la testa, gli occhi che si illuminarono di riconoscimento quando incrociarono quelli di Sharon. Un guizzo rapido—qualcosa tra vergogna e complicità—prima che abbassasse di nuovo lo sguardo sul selciato. Il guinzaglio di Elena si tese quando Claudia si immobilizzò, le spalle curve sotto la pressione silenziosa. Sharon sentì il proprio corpo irrigidirsi, il cemento freddo che le mordeva le ginocchia. Non aveva mai visto Claudia così fuori dal loro ambiente controllato: vulnerabile, esposta, con le foglie autunnali che le si attaccavano alle caviglie. L'odore di terra bagnata e muschio si mescolava al profumo chimico dello smog cittadino.
Elena fece scattare il guinzaglio con un movimento del polso. Il gesto era preciso, economico. "Non fermarti," disse a Claudia, la voce piatta come una lama. Poi rivolse il suo sguardo a Thorne, la mano che stringeva la frusta di pelle nera con naturalezza. Sharon fissò quell'oggetto: lungo, sottile, con un'impugnatura intrecciata che terminava in una linguetta biforcuta. Le ricordò un serpente addormentato, pronto a svegliarsi. Elena seguì la direzione dello sguardo di Sharon. "Ti piace?" chiese, sollevando leggermente la frusta. La pelle sembrava ingrassata dall'uso, luccicante sotto il lampione. "Cuoio di vitello. Molto... educativo."
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Sharon distolse gli occhi dalla frusta e li posò su Claudia. La sua nudità era diversa dalla propria: meno una resa, più una dichiarazione. Le lunghe ciocche di capelli neri, lucide come ala di corvo, le cadevano lungo la schiena fino alla curva dei glutei, incorniciando una pelle così pallida da sembrare marmorea sotto la luce gialla. Non c'era vergogna nel suo portamento, solo una concentrazione intensa, quasi meditativa, mentre teneva la fronte bassa verso il selciato. Sharon notò una sottile striscia rossastra che attraversava la parte alta della coscia sinistra di Claudia, un segno fresco che contrastava con la perfezione lattea della sua pelle. Un ricordo le attraversò la mente: il suono secco della frusta di Elena nell'ufficio di Thorne, mesi prima, seguito da un singhiozzo soffocato. Ora, quel segno era qui, esposto al mondo.
Claudia sollevò lentamente la testa. I suoi occhi, grandi e scuri come pozze d'ombra sotto gli ippocastani, cercarono quelli di Sharon. Un tremito quasi impercettibile attraversò le sue labbra socchiuse. "Padrona..." La voce di Claudia era un sussurro roco, appena udibile sopra il fruscio delle foglie e il lontano brontolio del traffico. Si rivolgeva a Elena, ma il suo sguardo rimaneva fissato su Sharon. "Posso... parlare?" Elena non abbassò lo sguardo verso di lei. Continuò a fissare Thorne, le dita che stringevano l'impugnatura della frusta con una sicurezza familiare. Solo un lieve movimento del polso, quasi impercettibile, diede il permesso. Era un gesto piccolo, consumato dalla routine.
"Grazie, Padrona." Claudia inspirò profondamente, l'aria umida della notte che le gonfiava il petto. Una goccia di sudore le scivolò lungo la tempia, tracciando un percorso lucido sulla pelle pallida. "Mi... mi piace questa passeggiata." Le parole uscirono stentate, come se dovesse ricordarsi come formarcele dopo tanto silenzio. "L'aria... l'aria è fresca dopo la pioggia." Abbassò gli occhi sul selciato umido sotto le sue ginocchia sporche di terra. "E gli alberi... hanno un odore buono." Un sorriso timido, tremulo, le sfiorò le labbra mentre ricordava il profumo pungente delle foglie bagnate e del muschio schiacciato sotto le sue mani nude. "È... è meglio che stare dentro." Sharon trattenne il respiro. Vide il riflesso dei lampioni negli occhi umidi di Claudia mentre la fissava direttamente. Quel sorriso fragile conteneva una verità semplice, disarmante. Non era una recita. Claudia *era* felice, in quel momento, sotto gli ippocastani, con la terra sotto le ginocchia e il guinzaglio di Elena stretto nella sua mano. La striscia rossa sulla sua coscia sembrava meno crudele alla luce di quella fragile gioia.
Elena emise un breve suono, una specie di "hm" secco che tagliò l'aria. Non un elogio, ma nemmeno una censura. Il suo sguardo rimase fisso su Thorne, freddo e valutativo. "Si è adattata bene," disse semplicemente, la mano che assestava una leggera pressione sull'impugnatura della frusta. Era un'affermazione fattuale, senza calore. "Più velocemente di quanto previsto." Sharon sentì una strana stretta al petto guardando Claudia abbassare la testa di nuovo, quel fugace momento di felicità già soffocato dalla presenza dominante della sua padrona. Il contrasto era brutale: la vulnerabilità nuda di Claudia contro la compostezza impeccabile di Elena nel suo tailleur color crema. La frusta di vitello nero sembrava un'estensione naturale del suo braccio.
"La disciplina aiuta," rispose Thorne, la sua voce neutra mentre osservava Sharon inginocchiata sul cemento umido. Il guinzaglio era ancora teso tra le sue mani. "Ma anche la libertà controllata ha il suo posto." Fece una pausa, studiando il modo in cui Claudia teneva le spalle curve sotto il peso invisibile della sottomissione. "Potrebbero beneficiare di uno spazio aperto. Lasciarle sciolte per un po'." Elena sollevò un sopracciglio appena percettibile. Il silenzio si fece più spesso, rotto solo dal fruscio delle foglie di ippocastano sopra di loro e dal lontano brontolio della città. Sharon trattenne il respiro, il freddo del pavimento che saliva lungo le gambe nude.
Elena non rispose subito. Il suo sguardo si posò su Claudia, immobile come una statua di marmo pallido sotto il lampione. Poi, con un movimento fluido e improvviso, si chinò e sganciò il guinzaglio dalla fibbia del collare nero di Claudia. Il metallo tintinnò debolmente cadendo sul selciato. "Non muoverti," disse Elena, la voce tagliente come vetro mentre si raddrizzava. Claudia non alzò lo sguardo, ma Sharon vide un fremito attraversarle le scapole. Thorne seguì l'esempio senza esitazione. Si inginocchiò accanto a Sharon, il suo respiro caldo sulla sua nuda schiena mentre le mani lavoravano rapidamente sulla fibbia del collare rosso. Un altro clic metallico, e Sharon sentì il peso familiare sparire dalla bocca. Il guinzaglio cadde con un tonfo sordo. "Resta così," ordinò Thorne, la sua voce bassa ma ferma mentre si alzava. Sharon rimase perfettamente immobile, le mani ancora appoggiate sul cemento ruvido, il cuore che batteva forte contro le costole. La libertà improvvisa era un vuoto vertiginoso.
Il parco si aprì davanti a loro, un mosaico di ombre profonde e chiazze di luce gialla sotto gli ippocastani. Elena fece un cenno del capo verso l'erba oltre il vialetto. "Camminate," disse. Claudia sollevò lentamente la testa, i suoi occhi scuri che scrutavano l'oscurità con un'espressione strana, quasi di incredulità. Sharon osservò il movimento delle sue spalle mentre Claudia spostava il peso sulle mani nude, poi spingeva in avanti con le ginocchia. Un passo strisciato, incerto. Poi un altro. Sharon la imitò, muovendosi lentamente verso il bordo del marciapiede. Il cemento lasciò il posto a un tappeto di erba umida e fredda sotto le ginocchia e i palmi. L'odore pungente della terra bagnata e delle foglie decomposte si fece più intenso, quasi soffocante dopo l'asfalto cittadino. Sharon avanzò verso un'aiuola di cespugli scuri, Claudia poco più avanti verso un gruppo di panchine vuote. Nessuna correva. Nessuna tentava di alzarsi. Il movimento era cauto, esplorativo, come animali rilasciati in un recinto più grande dopo anni di gabbia.
Thorne osservò Sharon muoversi verso un cespuglio di ortensie, le foglie lucide che sfioravano le sue spalle nude. "Si muove come se stesse scoprendo la gravità," commentò Elena, la sua voce piatta mentre seguiva Claudia che si avvicinava a una pozza d'acqua stagnante sotto un lampione. Claudia si fermò ai bordi della pozza, fissando il proprio riflesso distorto nell'acqua scura. Sollevò una mano tremante, le dita che sfiorarono la superficie, rompendo l'immagine. Sharon raggiunse un albero isolato, il tronco nodoso e rugoso sotto le sue mani. Premette la guancia contro la corteccia umida, chiudendo gli occhi per un istante, respirando l'aria fresca che portava via l'odore dello smog.
"Non è scappata," osservò Thorne, un tono quasi di sorpresa nella sua voce mentre Sharon si allontanava dal cespuglio verso un'aiuola di violette selvatiche. Le sue ginocchia lasciavano solchi nell'erba bagnata. Claudia si era inginocchiata accanto alla pozza, raccogliendo una foglia di ippocastano caduta e girandola tra le dita come un tesoro. "Non hanno bisogno di scappare," rispose Elena, la frusta ancora rilassata nella sua mano. "Sanno dove appartengono." Sharon si fermò vicino alle violette, il naso che sfiorava i petali viola. Un ronzio basso di insetti notturni riempiva l'aria tra loro.
Claudia posò la foglia sull'acqua stagnante e si girò lentamente verso Elena. Si mosse con una strana grazia, strisciando sul ventre attraverso l'erba umida fino a fermarsi ai piedi della sua padrona. Senza esitazione, chinò la testa e premé le labra contro la punta lucida delle scarpe di pelle di Elena. "Padrona," sussurrò, la voce roca ma chiara. "Posso... chiedere un favore?" Elena rimase immobile, solo un sopracciglio leggermente sollevato. Claudia alzò lo sguardo, gli occhi scuri che riflettevano la luce dei lampioni. "Sharon e io... potremmo avere un momento? Solo un po' di... divertimento?" Un silenzio pesante cadde, rotto solo dal fruscio delle foglie sopra di loro. Sharon trattenne il respiro, le mani che affondavano nell'erba fredda. Elena studiò Claudia per un lungo istante, poi fece un piccolo cenno con la testa. "Sì." La parola era tagliente come vetro. Poi, con un movimento fluido, sollevò la frusta e la fece schiocare sull'aria sopra la schiena di Claudia—non un colpo pieno, ma un avvertimento sonoro che echeggiò tra gli alberi. "Ma non troppo a lungo."
Claudia si voltò verso Sharon, un rossore improvviso sulle guance che contrastava con la pallida nudità. Si mosse attraverso l'erba alta, le ginocchia che lasciavano solchi scuri nella rugiada. Sharon rimase immobile vicino alle violette selvatiche mentre Claudia si fermava davanti a lei, gli occhi che cercavano i suoi con una domanda muta. Senza una parola, Claudia abbassò la testa e premé il viso contro l'interno della coscia di Sharon. Le labbra erano calde e insistenti mentre trovavano il punto più morbido tra le sue gambe. Sharon emise un gemito soffocato, le dita che si aggrappavano all'erba mentre la lingua di Claudia tracciava percorsi umidi lungo le sue pieghe nascoste. L'odore della terra si mescolò a quello più dolce della sua pelle sotto le foglie di ortensia.
"Così," sussurrò Claudia contro la sua carne, la voce roca di desiderio. Le sue mani si alzarono per afferrare i seni di Sharon, i pollici che sfregavano lentamente i capezzoli induriti. Sharon si piegò all'indietro contro il tronco dell'albero, il respiro che diventava affannoso mentre Claudia si spostava verso l'alto. La bocca calda coprì un seno, succhiando con una pressione deliberata che fece tremare Sharon. "Ti ricordi?" mormorò Claudia tra un morso leggero e una leccata lenitiva. "La prima volta nel tuo ufficio? Quando hai pianto?" Sharon annuì, incapace di parlare mentre le dita di Claudia scivolavano lungo la sua schiena verso le natiche.
Dietro il cespuglio di ortensie, il mondo si restrinse all'odore di terra bagnata e al sapore salato della pelle di Sharon sulla lingua di Claudia. Le foglie lucide li proteggevano dalle luci dei lampioni, creando una grotta umida di ombre e respiri rotti. Claudia si abbassò di nuovo, le labbra che ripercorrevano il sentiero tracciato prima, più profonde questa volta. La lingua si insinuò dentro Sharon con movimenti esperti, alternando pressione circolare a rapide puntate che la fecero gemere, le mani che si aggrappavano ai capelli neri di Claudia. "Sì," ansimò Sharon, le gambe che tremavano. "Così." Un brivido le attraversò la schiena quando Claudia sollevò una mano per infilare due dita dentro di lei, sincronizzando il movimento con la lingua sulle sue pieghe più sensibili.
Dopo un lungo istante, Claudia si ritrasse, il mento luccicante. Si sollevò sulle ginocchia nell'erba alta, le mani ancora appoggiate sulle cosce interne di Sharon. "E Elena?" Sharon chiese a bassa voce, gli occhi che scrutavano oltre le ortensie verso le sagome immobili dei loro padroni sotto gli ippocastani. "Quando sei tornata dai giapponesi quella volta... come è andata?" Claudia sorrise, un'espressione stranamente libera nel buio. "Benissimo," sussurrò, sfregando una goccia di sudore dalla tempia. "Gli impianti di produzione erano perfetti. L'hanno detto loro stessi." Abbassò la voce ancora di più, un rossore improvviso sulle guance. "Per premiarmi, Elena... quella sera ha fatto la cagna." Sharon socchiuse gli occhi, confusa. Claudia scivolò più vicina, il respiro caldo sull'orecchio di Sharon. "Mi ha fatto mettere il suo guinzaglio. Si è inginocchiata sul nostro tappeto persiano e ha leccato il mio bicchiere di vino caduto, proprio come faccio io quando rompo una regola. Poi ha abbaiato per me tutta la notte." Ridacchiò piano, il suono soffocato dall'erba. "Non sapevo se ridere o piangere."
Sharon sentì una strana invidia mescolarsi alla confusione. Guardò Elena in lontananza, impeccabile nel tailleur crema, la frusta ancora rilassata nella mano. Era difficile immaginarla abbaiare. "Perché?" chiese. Claudia si strinse nelle spalle, le dita che tracciavano distrattamente una striscia rossa sulla coscia di Sharon. "Per ricordarmi che anche le regole hanno eccezioni. Che a volte... il gioco può cambiare direzione." Sollevò lo sguardo verso Sharon, gli occhi scuri che brillavano di una comprensione nuova. "Mi ha insegnato che la sottomissione non è una gabbia. È una lingua. E lei la parla in entrambi i versi."
Poi, con un movimento improvviso, Claudia si girò e si sollevò sulle mani e sulle ginocchia nell'erba alta. La sua schiena nuda si inarcò, le natiche pallide rivolte verso Sharon sotto le ortensie. "Ora tocca a te," sussurrò sopra la spalla, la voce roca ma ferma. "Lèccami. Abbiamo poco tempo." Sharon esitò solo un istante, l'odore della terra bagnata e della pelle umida di Claudia che le riempiva le narici. Poi si chinò in avanti, le labbra che trovavano la curva familiare tra le cosce di Claudia. La pelle aveva il sapore salato del sudore e qualcosa di più dolce, più profondo. Sharon leccò con passione, la lingua che tracciava un percorso umido lungo le pieghe nascoste, trovando il punto più sensibile sotto il cappuccio. Claudia emise un gemito soffocato, le mani che affondavano nell'erba mentre spingeva indietro contro la bocca di Sharon. "Così," ansimò. "Più forte."
Sharon obbedì, concentrandosi sul clitoride rigonfio con movimenti circolari rapidi. Le dita di Claudia si aggrapparono a un ciuffo d'erba, le nocche bianche sotto la luce filtrata. "Sì, proprio lì," sussurrò, la voce tremante. Sharon intensificò la pressione, alternando leccate ampie a puntate più strette. Sentì Claudia irrigidirsi, i muscoli delle cosce che tremavano contro le sue guance. Un odore acre e muschiato si diffuse nell'aria umida, mescolandosi al profumo delle ortensie schiacciate sotto le loro ginocchia.
Un fischio breve e tagliente squarciò l'oscurità. Elena stava in piedi sotto l'ippocastano più vicino, la frusta sollevata in un gesto netto. "Basta," chiamò, la voce piatta ma penetrante come un ago nel silenzio del parco. Sharon si ritrasse immediatamente, il mento bagnato. Claudia lasciò sfuggire un gemito strozzato, ancora tremante dall'interruzione. Entrambe si voltarono verso le loro padrone. Thorne osservava impassibile, il guinzaglio rosso già pronto in mano.
Si mossero insieme, Sharon e Claudia strisciando sull'erba umida verso il vialetto. Il cemento freddo sotto le ginocchia fu un brusco ritorno alla realtà. Elena non aspettò. Si chinò, afferrò il collare nero di Claudia e vi agganciò il guinzaglio con un clic metallico preciso. Thorne fece lo stesso con Sharon, il movimento rapido ed efficiente. "Avanti," ordinò Elena, dando un leggero strattone. Claudia si mosse, a quattro zampe, ma dopo pochi metri si fermò di colpo accanto a un lampione, un flusso caldo e giallo zampillò contro la base metallica, formando una pozza scintillante sull'asfalto. Elena non la rimproverò. Si accovacciò invece accanto a lei, una mano posata sul suo fianco, mentre Claudia finiva. "Brava," sussurrò Elena, una rarità nella sua voce. Le dita affondarono nei capelli neri di Claudia, accarezzandola con una tenerezza che Sharon non le aveva mai visto. Le unghie lucide di Elena tracciarono piccoli cerchi sulla pelle pallida della schiena di Claudia. "Così bene per me," mormorò Elena, premendo un rapido bacio sulla nuca di Claudia prima di alzarsi.
Marciarono lungo un viale fiancheggiato da platani, il guinzaglio di Elena ora sciolto mentre Claudia si muoveva con passo sicuro sul marciapiede. Sharon la seguiva, il cemento che pizzicava le ginocchia nude. All'incrocio successivo, un semaforo rosso li fermò. Elena si voltò verso Thorne. "Ci vediamo domani," disse, la voce tornata piatta e professionale. Non ci fu abbraccio, nessuna stretta di mano. Solo un breve cenno del capo. "Domani," confermò Thorne. Elena strinse appena il guinzaglio, un segnale impercettibile, e Claudia si girò verso Sharon. Un lampo negli occhi scuri, un misto di complicità e qualcosa di più dolce, più fragile. Poi, senza una parola, Elena diede un altro leggero strattone e si incamminarono lungo una strada laterale, Claudia che strisciava fedelmente al suo fianco, la sua nudità che si perdeva nell'ombra tra i platani.
Thorne tirò appena il guinzaglio di Sharon. "Avanti." Lei obbedì, le ginocchia che sollevavano polvere dal marciapiede mentre svoltavano in un viale più tranquillo. Le case si diradavano, sostituite da giardini recintati. Sharon sollevò lo sguardo oltre le spalle di Thorne. In lontananza, oltre un cancello di ferro battuto sormontato da un arco di rose rampicanti, apparve una piccola villa. La luce di un lampione a gas illuminava una facciata in pietra chiara, avvolta dall'edera. Davanti, un giardino disordinato esplodeva in macchie di colore: ortensie blu, cespugli di lavanda, e un vecchio melo dai rami contorti che gettava ombre lunghe sul prato incolto. Il profumo dolce dei fiori notturni si mescolava all'odore umido della terra appena irrigata.
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