Un incontro inaspettato

di
genere
corna

Non so cosa mi abbia dato più fastidio, quella sera: il caldo soffocante della cucina, o il pensiero che la mia figa fosse di nuovo destinata a rimanere insoddisfatta. A ventotto anni, con la pelle ancora perfetta – almeno così mi piace raccontarmela davanti allo specchio – mi ritrovo a girare per casa col vestitino più leggero che ho, senza reggiseno, le tette che si intravedono sotto la stoffa. Sono piccole, ma dritte e sode, e il culo invece è tutta un’altra storia: sproporzionato rispetto al mio fisico minuto. Lo guardo, lo spingo in fuori, mi compiaccio. Poi mi piazzo davanti all’aria condizionata, sperando di non sudare via la voglia.
Basta il fresco, però, a farmi indurire subito i capezzoli. Il vestito non copre niente, le punte mi premono contro la stoffa. Sorrido, mi stuzzico: «Ehi, ragazze, venite fuori a giocare?» Rido da sola. Ma già so come va a finire: mi agito, mi eccito, e poi non posso far nulla, perché Michele sta per tornare. Sì, sono fedele – se non altro per mancanza di occasioni – e dovrei accontentarmi di un bravo ragazzo che paga le bollette e dice sempre sì.
Peccato che Michele a letto sia una frana. Ultimamente lavora troppo, è sempre fuori, e quando torna ha solo voglia di dormire. Ma il vero problema è che… come dire? È troppo piccolo. Non so se mi sono spiegata. Lo amo, sì, ma cazzo, la mia figa reclama altro. Prima o poi mi stuferò di fingere.
Sospiro, rassegnata, mentre mi rendo conto che c’è qualcuno che sale le scale. Rumore di passi, due voci da uomini. Strano. Michele non mi aveva detto che avrebbe portato qualcuno. E invece, eccolo: entra con un altro. L’uomo che lo accompagna è… una statua. Alto, grosso, pelle color cioccolato, la maglietta zuppa di sudore. E, non appena mi nota, si leva la maglietta, così, come nulla fosse. Addominali scolpiti, fianchi da porno, e tutto quel fisico che mi fa sentire subito bagnata.
Resto a bocca aperta. Ma riesco a fare la spiritosa: «Ah, vedo che hai portato un amico, eh?»
Michele se la ride. «Sì, ti presento Jamal, mio compagno di palestra.»
Jamal mi guarda, sorride. «Finalmente ci conosciamo, Lisa. Michele mi ha parlato tanto di te.»
La figa pulsa. Lo so che si vede che lo sto guardando, e lui lo sa. Faccio la finta distratta: «Volete dell’acqua? Dopo quella corsa dovete essere assetati.»
Michele scuote la testa. «Io vado a farmi una doccia. Jamal, fai come a casa tua.» E sparisce. Rimango sola con Jamal, il sangue che mi pulsa nelle orecchie.
«Un bicchiere d’acqua lo prendo volentieri,» dice lui, avvicinandosi. Le sue braccia sono enormi, le vene che si gonfiano. Io mi sento minuscola, vulnerabile, eccitata come una ragazzina. Mentre riempio il bicchiere sento la porta del bagno chiudersi, la musica che parte. Mi perdo, lo guardo appoggiarsi al bancone, i muscoli tesi.
Lui mi si avvicina, prende il bicchiere. Sono troppo vicina, troppo sudata, troppo… fuori controllo. Cerco una scusa per voltarmi, mi viene solo: «Dimenticavo il ghiaccio…»
«Nessun problema,» mi risponde, restando dietro di me. La voce profonda mi vibra nella schiena.
Apro il freezer, prendo i cubetti, il freddo mi scivola addosso, i capezzoli si induriscono ancora di più. Quando mi volto, so che sono uno spettacolo: vestitino leggero, capezzoli a vista, le guance arrossate. Penso solo a quanto sono bagnata.
Jamal mi sorride. «Grazie,» dice, prendendomi il bicchiere. Gli sorrido anch’io, mi appoggio al bancone, seno in vista. Voglio che mi guardi.
«Così, Jamal, parlami un po’ di te. Michele mi ha detto che sei più grande, più forte, più veloce. In tutto.»
Lui ride, una risata calda che mi fa sentire ancora più bagnata. «Più grande, sicuro. Più veloce… non so, di solito preferisco andare piano, godermela.»
Io arrossisco. La provocazione è chiara. «E sulla forza?»
«Quella non manca. In palestra ci sto spesso. Bisogna avere resistenza, no?»
Adesso il gioco è aperto. «Oh sì, la resistenza è fondamentale. Non mi piace chi si arrende dopo mezz’ora.»
Jamal ride di gusto. «Mezz’ora? No, io vado avanti almeno il doppio. Un’ora intera, due volte al giorno. Mi piace… pompare, caricare, ancora e ancora.» Si ferma a bere, fissandomi negli occhi. «Caricare ferro, ovviamente.»
La sua sfacciataggine mi manda in tilt. Allora mi sollevo, ruoto il busto, spingo fuori il culo: so che è la mia arma migliore. Mi chino, prendo una cannuccia, comincio a giocherellarci con la lingua.
«A me piace lo yoga,» gli dico, fissandolo negli occhi. «Aiuta con la flessibilità… a me piace essere allungata, stirata. Più in profondità si va, meglio è.»
Jamal mi guarda, il sorriso che si fa predatorio. «Yoga, eh? Sicura di essere brava? Qual è la tua posizione preferita?»
«Il cane a testa in giù,» rispondo subito. «Mi allunga tutta. Lo conosci?»
Lui non si trattiene. «Doggy style è anche la mia preferita.»
«Ma sei un maiale!» rido, ma intanto sento la figa che pulsa. «Vuoi vedere quanto si allunga?» Mi piego, posizione da yoga, il culo dritto verso di lui.
«Sì, vedo benissimo. Scommetto che ti piace essere una cattiva ragazza.»
Mi rialzo, la schiena arcuata. «A volte. A volte mi piace vedere fin dove posso arrivare.»
E lì lo vedo: l’erezione che spinge sotto i pantaloncini. Non riesco a smettere di fissarla. Jamal lo sa. Mi costringo a guardarlo negli occhi, ma il suo sorriso si allarga.
«Scusa, mi succede sempre dopo la corsa. Ma con quel vestitino e quel culo… non mi aiuti mica.»
Abbasso lo sguardo: i miei capezzoli sono due chiodi, la stoffa non copre nulla. «Scusa… Non sono abituata.»
«A me non dispiace se guardi.»
La testa mi gira. Michele è dall’altra parte, ma io penso solo al cazzo di Jamal. Sento la figa bagnata. Voglio toccarlo. Voglio sentirlo.
«Ma… davvero sei così…» non finisco la frase.
Lui la finisce per me: «Così grosso? Dieci pollici, tutti qui.» Mi indica l’erezione, che sembra voler uscire dai pantaloni.
Mi viene da ridere, mi copro la bocca con la mano. «Non ci credo! Nessuno è così grosso.»
«Puoi fidarti. O vuoi una dimostrazione?»
«Jamal!» protesto, ma la voce è tremante. «Non voglio imbarazzarti.»
«Mi sa che l’imbarazzata sei tu.» Si tira giù i pantaloncini. Il cazzo gli schizza fuori. Io faccio un passo avanti, quasi senza accorgermene. Lo guardo, lo annuso, mi sento umida fra le cosce.
«Posso… toccarlo?» La voce mi trema. Avvicino la mano, le dita gli scivolano sul cazzo. È caldo, duro, grosso. Il doppio di Michele. E io lo voglio tutto.
Jamal mi prende la mano, la guida piano avanti e indietro. «Brava, così. Mi piace come lo fai.»
Mi si accende una scintilla dentro. Michele non ha mai avuto pazienza. Jamal invece vuole godersi ogni secondo.
Comincio a masturbarlo con entrambe le mani, sempre più bagnata. Penso solo: «E se Michele entrasse ora? Cosa farebbe?» L’idea mi eccita da morire. Jamal potrebbe prendermi lì, senza che Michele possa fermarlo. E io sarei felice di farmi prendere.
«Sto facendo bene?» chiedo, fingendo innocenza. «Ti piace così?»
Jamal mi tira a sé, mi bacia. Un bacio profondo, la lingua che entra nella mia bocca, la sua mano sul culo. Non smetto di toccargli il cazzo, anzi. Michele non mi bacia così da secoli.
Mi stacco appena, ansimo. So che sono sul bordo: posso tornare indietro, posso fermare tutto. Ma non voglio. Voglio andare fino in fondo.
Jamal lo capisce. Mi sussurra all’orecchio: «Conto fino a cinque. Basta che tu dica no e vado sul divano. O rimani tra le mie braccia e ti do quello che ti serve.»
«Uno…» Sento la sua mano scivolarmi nelle mutandine, un dito mi sfiora la figa, già bagnata.
«Due…» Mi penetra piano, un dito che mi scova subito il punto giusto. Mi mordo il labbro.
«Tre…» Il respiro si spezza, il piacere cresce.
So che dovrei dire basta. Ma non posso. Non voglio.
Lui toglie il dito, me lo porta alla bocca. Io lo prendo, lo lecco, lo succhio. «Quattro…»
Poi mi solleva il vestito, mi mette sul bancone della cucina. «Cinque.»
Allargo le gambe, tiro di lato le mutandine. Non c’è più nessun dubbio, nessun pudore. «Prendimi,» gli ordino. La voce non trema più.
Lui mi punta il cazzo contro la figa, lo strofina tra le labbra, si bagna di me. Io sono una bestia, lo supplico: «Ti prego, Jamal, ti prego…»
Lui entra piano, mi apre, mi dilata come mai nessuno. Sento ogni centimetro, mi riempie tutta, dentro e fuori. È nero, enorme, una roba che mi manda fuori di testa. Si ferma, poi affonda ancora, mi stringe un capezzolo, muove il bacino, affonda più a fondo.
«Sì… sì…» mi esce a mezza voce. Non avevo mai provato niente del genere. Mi sento presa, colma, finalmente sazia. Ma lo voglio tutto dentro.
«Continua, ti prego…» Lo guardo, lui affonda ancora. L’orgasmo mi travolge, è animalesco, mi strappa un urlo dal fondo della gola. Non riesco a smettere di tremare.
«Ti faccio venire su questo cazzo nero,» mi ringhia nell’orecchio. Cambia ritmo, mi scopa più forte, più fondo. Michele non mi ha mai fatta venire così, mai con la sua roba minuscola. E io sento la figa che si stringe, un altro orgasmo che monta, la mano aggrappata al suo braccio. Voglio solo che non finisca mai.
Quando lui viene, lo sento esplodere dentro di me. Caldo, tanto, troppo. Mi riempie, sento lo sperma che mi invade la pancia, mi fa sentire viva.
Quando si stacca, gli guardo il cazzo sporco di sperma e umori. Mi inginocchio, glielo pulisco tutto con la bocca. Mi piace sentirlo in gola, succhiarlo, leccare via ogni goccia. Poi mi rialzo, sento lo sperma colarmi tra le gambe.
Gli sussurro all’orecchio: «Scopami quando vuoi. Sono la tua troia. Non sai quanto ne avevo bisogno.»
Lui mi stringe: «Piccola, ti scoperò così tanto che ti dimenticherai di com’era la vita prima di questo cazzo nero.»
Io sorrido, lo bacio. «Voglio vedere se ne sei capace.»
Il rumore della doccia che si spegne mi riporta alla realtà. Sudata, sporca di sperma, ancora eccitata. Mi sistemo il vestito, Jamal si rimette i pantaloni. Michele entra in cucina, con l’asciugamano in vita, ignaro di tutto.
«Grazie di essere passato,» dice Jamal, calmo, come se niente fosse.
«Ci vediamo per la corsa?» chiede Michele.
«Sicuro,» risponde Jamal. «Bel quartiere qui, tante cose da vedere…» Mi guarda, io capisco che tornerà a scoparmi.
«A presto,» fa Michele mentre Jamal esce. «Simpatico, vero?»
«Sì,» rispondo, ancora sconvolta. «È… interessante.»
«Spero non ti abbia annoiata,» ride Michele.
«Oh no, direi proprio di no.»
Poi sente odore di bruciato. «La crostata!» Esclamo. La tiro fuori dal forno, nera come il carbone. La mia figa, però, è ancora calda.
Michele mi sfiora le gambe, ma io gli prendo la mano e la porto sul seno. Lo bacio, lui non sente il sapore di Jamal, non capisce nulla. Gli dico di andare in camera, lo raggiungo, mi tolgo le mutandine, le lascio cadere. Spengo la luce e mi infilo nel letto.
Mi siedo sopra di lui, lo infilo dentro con una spinta. È piccolo, bagnato solo grazie a Jamal.
«Cazzo, sei bagnata…» dice Michele.
«È tutta la sera che ti aspetto,» mento, ma penso solo a Jamal che mi scopa ancora, qui, in questo letto.
Michele viene subito. Io mi giro su un fianco, la testa sul suo petto. So già che la prossima volta non mi accontenterò più. Jamal è entrato nella mia vita, e adesso la mia figa non si accontenterà mai più.
scritto il
2025-10-31
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