Romanzo Saffico - Capitolo III

di
genere
bisex

“Toccarla. Toccarla. Sentire che lei esiste accanto a te, come qualcosa di inevitabile”.
Avevano appena finito di farlo e tremavano ancora di orgoglio e di desiderio. Valentina massaggiava la spalla di Giulia, mentre leggeva lo “zibaldone” di poesie che teneva gelosamente nella sua libreria.
I loro corpi nudi si cingevano tra di loro, le loro pelli odoravano di una stanchezza esaustiva, totale.
«Questo è quanto» Affermò, rinchiudendo il voluminoso libro. «Sei così bella.»
Giulia non riusciva più ad imbarazzarsi ormai. Glielo ripeteva così tante volte e ogni volta suonava sempre diverso. Il suo sorriso sembrava oramai una parte di lei.
Valentina si alzò dal divano, si stiracchiò allungandosi verso l’alto; appoggiò il libro sul ripiano vicino a loro e Giulia la guardava come se si fosse ridestata da un lungo sogno.
«Ho bisogno di lavarmi.» Strizzò l’occhio, voleva che Giulia l’accompagnasse. I loro inviti erano sempre impliciti, segreti, l’intesa era quella che contava nel loro rapporto.
L’attico in cui Valentina viveva era enorme, adornato con decine di opere d’arte, sculture, diorami e fiori, molti fiori. Le finestrate alte il quadruplo della loro altezza davano su un ampio grattacielo dall’altra parte della strada, dove le sue luci stavano via via spegnendosi, lasciandole sole su un panorama buio e placido.
Valentina aprì il getto della doccia, entrò nella vasca e richiamò con uno strattone l’amata al suo seno, dove le solleticò con le labbra il collo. Scese lenta, ma inesorabile, verso il sesso di Giulia, che fu nuovamente invasa da quella presenza dentro di lei, lasciandola abbandonata ad un lungo sospiro, allo scroscio dell’acqua che si confondeva dietro le note dei suoi sussulti. Alla fine fu un altro crescendo di umori che sgorgarono nella bocca dell’inginocchiata. Volevano altro ancora, sarebbero state in grado di continuare per molto.
Si incrociarono le braccia attorno ai colli, rigidi nonostante il vapore e l’acqua calda, nonostante la sensazione di appagamento. Giulia girò Valentina di schiena, cingendole i fianchi, e le carezzò il nido d’amore. Annaspava tra le sue cosce, la sua carne era soffice, vellutata, priva di impurità e levigata. Le sue parole, i suoi monosillabi, arrivavano alle sue orecchie smorzati, indecisi, quasi lamentosi. Ma Valentina fu appagata, riversò bollenti liquidi lungo le dita di Giulia e continuava a stringersi, a rinchiudersi in sé stessa, un tremito che la scuoteva e altre parole pronunciate sottotono all’orecchio.
«Resta ancora con me.» L’odore di vaniglia, le sue mani che sapevano sempre dove dirigersi. «Un altro minuto.»

Valentina appoggiava i suoi capelli ancora bagnati sul grembo di Giulia. Gli occhi semichiusi, le labbra che esalavano respiri come se dormisse profondamente. Invece Giulia sondava le pagine del libro con le dita, il suo sguardo si perdeva tra le parole, nell’inchiostro nero come la pece che la lasciava intontita. Non poteva concentrarsi, non con lei affianco.
Grattò con le unghie la fronte di Valentina, senza farle male, cercando di vedere come avrebbe reagito. Ma la sua espressione scendeva sempre di più verso uno stato soporifero. Vedere la sua bocca conciarsi per rilassarsi, le sue palpebre chiudersi per rivedere il mondo due ore più tardi, un tenero bacio posto sulle labbra l’avrebbe aiutata a rinsavire.

«Sai che non potrà durare per sempre.»
Dopo quello che successe con Alessandro aveva deciso di essere sempre onesta, per un motivo o per un altro.
«Perché?»
Fu stupita da quella domanda. Forse la stava provocando.
«Per tuo marito.»
«Lui non è mai qui» Il riflesso allo specchio sembrava distorcere la faccia di Valentina vista dalla prospettiva in cui Giulia vedeva l’intera scena. «E non mi dà quello che mi dai tu.»
Non poteva cedere a certe lusinghe. Doveva resistere. Con Alessandro era stato difficile rompere: le motivazioni erano le stesse, non poteva permettere che Federica rimanesse ferita. Ma il marito di Valentina non lo conosceva, perché ora si comportava come se fosse stata provvista di una morale superiore che le permetteva di comportarsi sempre bene? “Perché era la cosa giusta da fare”.
«Non prendermi in giro.»
Valentina si voltò di scatto verso Giulia. Pensò di averla offesa e cercò di rassicurarla con un prolisso abbraccio.
«Stiamo così bene assieme, perché mai dovremmo rovinare tutto per lui?»
«Non ti interessa di lui?»
«Lui non è interessato a me.»
Regalò a Giulia un avvolgente bacio sulla guancia e la lasciò lì dov’era per andarsi a cambiare i vestiti, dacché aveva appena finito di truccarsi.
Arrivò nell’armadio della sua stanza e fece cadere le spallette della canottiera di fronte ad esso. Guardava l’interno del guardaroba spalancando le sue ante il più possibile.
Giulia si ripresentò di nuovo accanto a lei.
«Ci rivedremo?»
«Certo che sì.»
«Non vieni più al Caffè.»
«Se potessi stare con te ci rimarrei, ma non appartengo a quel tipo di luoghi. Ci andavo solo perché avevo la tessera di mio marito. Dov’è finito il tailleur?»
«Hai una mostra d’arte?»
«No, ma mi devo recare fuori città per valutare il valore di una tela. È stata trovata nella soffitta di una villa costruita a fine ottocento. Secondo i nuovi proprietari vale molto.»
«Quando?»
«Cosa?»
«Quando ci rivedremo?»
Valentina smise con la sua ricerca. Fissò Giulia in punta di piedi, nuda, braccia incrociate e un volto che non auspicava a nulla di buono.
«Ti chiamerò stasera stessa.»
Il volto di Giulia scomparve sotto una lesta insofferenza che era inutile nascondere.
«L’ultima volta ho dovuto aspettare un mese per rivederti. Ti ho chiamata diverse volte, ma non hai mai risposto.»
«Che ti devo dire? Sono molto impegnata, lo sai. Ti lascio una copia delle chiavi dell’attico? Puoi rimanere a dormire qui stanotte se non vuoi tornare a casa.»
«No» Giulia odiava la solitudine, avrebbe ancora di più detestato dormire da sola in un luogo così grande.
«Come vuoi tu allora.»
Valentina si vestì con la giacca del tailleur e un pantalone largo sotto le ginocchia; i tacchi che rumoreggiavano ad ogni battito sul pavimento.
«Come sto?»
«Bene.»
Giulia indispettì Valentina.
«È orrendo, vero? È passato oramai di moda dalla scorsa stagione.»
«No, stai bene. Sul serio.»
Valentina sondò il volto di Giulia con fare indagatorio.
«Non so se te l’ho mai detto, ma per quanto ci provi non capisco mai che cosa vuoi veramente. Sembra che nulla ti convinca.»
Era vero? Giulia faticava a crederci. Si era oramai distaccata dalla ragazza che era un tempo, pensava che ora potesse essere in grado di prendere decisioni migliori di quelle che prese una volta.
«Senti, ti lascio lo stesso le chiavi. Sei libera di venire quando vuoi qui, fino a quando mio marito non ritornerà dal suo viaggio di lavoro.»
Valentina si accostò a lei, le regalò un lungo bacio, un sorriso, e poi la lasciò sola con i suoi pensieri.

Giulia vagò per le strade della città, fermandosi di tanto in tanto a vedere le vetrine dei negozi, fingendo interesse quando in verità stava solo pensando. Superò una piccola zona residenziale posta in alto nella città, si sporse dal muretto della via in cui si trovava e si incantava a guardare il mare. Più in là vide la spiaggia dove mesi prima era stato consumato il matrimonio che le aveva permesso di conoscere Valentina.
Fece cadere lo sguardo ai suoi piedi e tornò a passeggiare.
Arrivata ad un incrocio udì dei forti battiti provenire da un palazzo lì vicino. Luci viola, gialle e verdi si dipanarono dalle finestre dell’edificio. Una discoteca che aveva aperto da poco, libera a tutti, senza biglietto. Giulia fece la fila per entrarvici e una volta dentro si fiondò al bancone bar, dove bevve tre gin tonic, un bloody mary e due vodka lemon. Qualcuno si fermò a parlare con lei al bancone: una giovane coppia, un viscido che ci provò con lei e tre ragazze che le chiesero di scattare una foto. Arrivò poi un giovane ragazzo, vestito con una corona di alloro, che aveva in compagnia con sé una comitiva di quelli che sembrarono dei neolaureati. Chiesero al barista tredici bicchieri di vodka e si avventurarono poi nella pista da ballo.
Giulia ebbe un fremito. Bevve l’ultimo sorso del suo bloody mary e si diresse verso il centro della sala. Il suo obiettivo era lui, il ragazzo con la corona d’alloro. Si mise a ballare tra la gente, ogni tanto approcciando qualcuno per danzare assieme, ma era solo un modo che usava per raggiungere il ragazzo decisamente più giovane di lei.
Alla fine arrivò al suo cospetto: era con una ragazza che Giulia scansò via, in un modo talmente rude che l’altra manco fece in tempo a realizzare che le stavano portando via il fidanzato. Giulia ballò con lui, comandava i passi del ragazzo, lo incitava a crearsi spazio tra la calca di persone e, infine, mise le sue braccia attorno al suo collo e lo baciò.
Giulia sentì qualcosa di nuovo: farsela con qualcuno che aveva molti anni in meno di lei, ricercando un senso di giovinezza in quel bacio, come un incantesimo che avrebbe spezzato le responsabilità di avere una ragazza che tradiva il marito, il ricordo di Leo che affiorava di continuo nella sua mente, il suo migliore amico che avrebbe avuto un bambino, una di quelle cose che lei non avrebbe mai vissuto, e Serena che l’assillava con il lavoro. Per quella notte poteva essere chiunque e lei scelse di essere una sconosciuta.

Senza scomodarsi di tornare a casa, che stava dall’altra parte della città, Giulia portò il ragazzo nell’attico di Valentina. Ubriaca, dovette farsi aiutare dal giovane per aprire la porta. Una volta dentro sbatté più di una volta contro il muro, dove a fatica riusciva ad usare la parete per rimettersi in piedi. Afferrò la cravatta del suo spasimante, usandola come appoggio per non fare un altro capitombolo al suolo, ma fu inutile e stramazzarono assieme sul pavimento.
«Non mi hai detto come ti chiami.» Giulia prese la corona d’alloro e se la mise in testa con fare giocondo.
«Marco. E tu?»
«Giulia. Non dispiacerà mica ai tuoi amici se stanotte la passi con me?»
Marco scosse le spalle.
«Quanti anni hai?»
«Ventitré.»
«Sei giovane…e così bello.»
Giulia non aveva più controllo di quello che diceva.
«Tu, invece?»
«Oh, ma non si chiede l’età ad una ragazza.» Giulia lo ammutolì dandogli un altro bacio sulle labbra, mentre prese a snodargli la cravatta.
«Dai, dimmelo. Sono curioso.»
«Se te lo dicessi faresti lo stesso sesso con me?»
«Mi piacciono le ragazze più grandi me.»
Giulia tentennò.
«Trentadue.» Rise sguaiatamente.
«Ne dimostri di meno.»
«Ah, non è vero.» Finse imbarazzo.
«Lo giuro.»
Risero.
Giulia riuscì a mettersi in piedi. Tolse i tacchi e li gettò da un lato, mentre fece strada a Marco verso il talamo.
Si gettò sul letto, la gamba piegata per addurre il ragazzo verso di lei.
«Riesco a vederlo sotto i pantaloni» Giulia si morse il labbro inferiore. «Perché non lo fai uscire?»
Marco prese a giocare, nascondendo la patta dietro le proprie mani. Giulia lo chiamò a sé. Gli aprì la zip mentre continuava a fissarlo negli occhi e presto si ritrovò il suo membro di fronte al naso.
«È…enorme» Lo toccava impressionata, mentre si sbottonò la camicetta per far uscire i seni. «Ora toccami tu Marco.»
Giulia sentì le sue ruvide dita spremerle i capezzoli. Fredde, maniacali, sapevano come muoversi. Marco desiderava palparli di più, ma Giulia preferì che fosse lui ad avere il primo piacere e protese la sua lingua verso il suo sesso.
«Dio…» Esalò Marco, mentre spingeva la testa di lei a sé.
Giulia dovette stringersi forte al ragazzo per riuscire ad ingoiarlo tutto e trasalì con il volto vergato da due lacrime.
Si ridistese poi sul letto, chinata supina, aspettando che anche solo una folata di vento le alzasse la gonna.
Marco cercava ancora di tastare il terreno: doveva capire se era lui o lei a dominare. Camminò a gattoni su Giulia, la virilità che aveva tra le gambe in escandescenze, le mani di lei che mossero gli indici per sedurlo.
Il suo membro si ritrovava a muoverle di poco il tessuto della gonna, la spostava per cercare le parti più recondite di lei.
«Fai piano.» Con quelle parole, Giulia abbandonò il suo stato di supremazia e si lasciò alla discrezione di lui.
Marco capì subito quale tipo di ragazza aveva davanti. La girò dall’altra parte, con la pancia rivolta verso il basso e le mani incrociate in fondo alla schiena. Le abbassò di poco la gonna, sentendo con il naso il profumo di cacao e mandorle che contraddistingueva Giulia. L’unico strato rimasto erano le calze, attraverso il quale Marco prese a baciare la pelle di lei, creandosi una scorciatoia tra le fenditure.
«Voglio sentirti dentro di me.» Altre parole che resero Giulia ancora più inerme.
Marco le sfilò le calze, osservando le dune di quella pelle muliebre, quella pelle che aspettava lui.
Entrò dentro di lei, prima con la punta, per assicurarle di non farle male, poi con tutto sé stesso.
Giulia cacciò uno stridulo: breve, sentito, prima che il dolore svanisse nel piacere totale; nell’idea di lui che si muoveva dentro di lei, nell’idea di aver conquistato un ragazzo più giovane di lei, nel mondo che aveva creato quella sera, dove era libera dai suoi errori.
Marco si aggrappava alle mani di lei. Giulia sentiva che aveva avuto altre esperienze prima, ma mai con una donna come lei, e lo percepiva da come si muoveva, delicato, troppo delicato.
La montava con una precisione tipica di chi sta commettendo il suo primo sbaglio.
«Marco…» Bisbigliò.
«Sì?» Il suono di lui, ondulatorio ai movimenti che faceva.
«Sto per venire.»
E Marco capì che era il momento di aumentare il ritmo. La spinse, ancora più affondo nella cunetta che avevano creato nel letto. Lei che affondò la faccia nel cuscino, soffocando le proprie espressioni di goduria nella faretra e scandendo il tutto nel focoso rilascio di nettari d’amore che ebbe in mezzo alle gambe.
Marco boccheggiava, resistendo mentre lei veniva sul suo membro.
«Puoi farlo» Giulia riprese il fiato. «Vienimi dentro.»
E lui ringraziò con potenti schizzi, cui ognuno portava un’emozione a sé stante che Giulia faticava a concepire.
Lui rimase dentro di lei per molto tempo, tutto quel tempo che bastò a Giulia per riprendersi almeno un attimo dalla sbronza e razionalizzare il tutto. Marco non era tanto diverso da Alessandro, quei momenti li stava vivendo esattamente come quella volta a casa sua. Ma questa volta decise di non intervenire, di lasciare Marco sognare: presto si sarebbero dimenticati di tutto.
Il ragazzo si sdraiò accanto a lei, sprofondando in una serie di respiri affannosi. Giulia lo guardava con mezza faccia affondata nel cuscino. Nessuna carezza, nessun bacio, nessuna parola: era stato solo sesso.
Chiuse gli occhi, in fretta, per dimenticare. Chiuse gli occhi sperando che l’alcol avrebbe preso il sopravvento sulle proprie memorie.

Giulia odiava svegliarsi con un raggio di sole che puntava dritto sulla propria faccia. Era fastidioso, specialmente quando attimi prima regnava il buio.
Si passò una mano in mezzo alle gambe: era ancora madida, un poco rigida.
Di fianco a lei il ragazzo era scomparso. La prima cosa che fece era ricordarsi il nome di lui, solo dopo realizzò che non si trovava a casa sua.
Si mise addosso un pantalone grigio che trovò in una sedia nella stanza, di Valentina probabilmente.
Accese il cellulare: quattro telefonate perse da Valentina, una da Serena.
Quanto era durata ieri notte? Gli attimi passati tra la discoteca e l’arrivo all’attico sembrarono essere stati così frenetici.
Si diresse in cucina, camminando furtiva come se si fosse infiltrata in un posto dove non doveva stare.
Marco era lì, che mangiava una tazza di latte con i cereali, impassibile, muto nell’adempimento di quell’azione quotidiana.
«Buongiorno.» Era sempre lei a fare il primo passo.
Marco salutò con un cenno della mano, senza mostrare emozioni, poi il cellulare gli squillò e fece una videochiamata con i suoi amici. Chissà cosa avrebbero pensato di lui dopo quella nottata? Per Giulia non era rimasto nulla, ma per un ragazzo come Marco era stata una scappatella di cui avrebbe parlato e si sarebbe vantato per sempre. Lei era stata solo il suo trofeo. Le dispiaceva ora per la fidanzata che lui aveva snobbato sulla pista da ballo, forse non se lo meritava.
Giulia si distese sul divano, accese la tv e si mise a guardare il telegiornale locale.
Aspettò che Marco se ne andò prima di riprendere il cellulare e telefonare Valentina.
Passò tutto appena sentì un “pronto?” provenire dall’altra parte del telefono.
scritto il
2025-10-26
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