Eveline, vibrazioni - 02
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dominazione
Mi arriva un suo messaggio.
Sono al centro commerciale. Il mondo smette di girare.
'Ti devo chiamare Eveline.'
Ora è ansia, rileggo tre volte e mi sembra di sentire la sua voce. Il mondo riprende a girare. Velocissimo.
Lascio il carrello e corro alle casse. Alla cassiera dico che ho dimenticato in auto il borsellino. È una stronza, mi lascia passare sospettosa ma l'allarme non si mette a suonare. Cammino veloce verso i bagni. C'è coda, cazzo!
Ci sono solo due bagni. Ho dietro una donna con due bimbetti per mano. Mi guardano curiosi mentre mi allaccio al collo il collarino di cuoio nero.
Mi ronza la testa, ho una dannata fretta, mi deve chiamare.
Finalmente s'apre la porta a destra e posso entrare io, ho già la mano infilata nella borsa. Chiudo, abbasso jeans e mutandine e m'infilo il vibra fucsia, ano vaginale. Mi riabbottono ed esco.
Bimbetti e mamma mi guardano stupiti. Ho fatto troppo in fretta. In corridoio mi metto l'auricolare.
Non so cosa fare, se tornare all'auto o al carrello. Ed ecco che m'arriva la musica. Ha messo Vivaldi. È un esteta. “Dove sei Eveline?”
La sua voce mi fa vibrare.
E non è una sensazione, il dildo è collegato al suo cellulare, vibra alla sua voce.
“Al supermercato.”
“Finisci pure. Aspetto.”
La sua voce si spegne e riprende Vivaldi.
Ritrovo il mio carrello. Manca ancora un sacco di roba ma lo spingo verso le casse. I violini mi fanno gocciolare, mi spavento. Ho paura di non trattenermi, mi tremano le ginocchia, le cosce mi vibrano, i capezzoli mi dolgono. E ancora la sua voce che mi devasta. “Stanotte ho bisogno di te.”
È troppo! Lascio tutto e scappo fuori con la stronza che mi grida dietro. Sono bagnata. Levo il giubbetto e me lo lego in vita. Sudo, sento che mi guardano tutti.
“Sono uscita.” Dico.
La musica non smette. Vorrei implorare di parlarmi. Ma non devo.
Col telecomando apro l'auto.
“Ferma.” Ha sentito il bip. “Non chiuderti in auto.”
Sto male.
“Prendiamo un caffè insieme.” Mi offre.
Sa che c'è un bar coi tavolini fuori. Richiudo l'auto. “Brava.”
Non so come faccio ad arrivarci. Quando partono i violini alza il volume al massimo. Mi mordo le labbra e trattengo un gemito che mi vibra dentro anche lui.
Un caffè schiumato. Ordino.
E “posso sedermi?” chiedo a lui.
“Mettiti comoda, Eveline. Godiamoci questo bel sole.”
La ragazza mi porta il caffè. M'incasino, non trovo la moneta, non alzo gli occhi per guardarla. Finalmente se ne va. Non ho nessuno seduto vicino. Non tocco il caffè.
Un attimo di pausa e riprende.
È l'Estate. Gli archetti dei violini mi entrano dentro e mi devastano. Conosco a memoria ogni singolo movimento e brano delle Quattro Stagioni, me le ha impresse lui sulla mia pelle, nella mia carne e, peggio ancora, nella mia testa. Durano quaranta minuti.
Mi vibrano dentro due anni folli. Vibra tutta Eveline.
I primi sei mesi, l'apprendistato, le mille noiose regole, quando tornavo a casa insoddisfatta col desiderio assurdo d'essere subito richiamata indietro. Le languide umiliazioni e le piccole vittorie quando mi diceva brava Eveline.
E finalmente il battesimo. Finalmente sua. E la porta si è aperta.
I profondi piaceri, più profondi dei dolori. Eveline che sfidava sé stessa, che sfidava lui. Eveline che perdeva sempre. Mi vibrano dentro ricordi che credevo cancellati, che nemmeno io ci credo più. Davvero l'ho fatto? Non ero io, era Eveline.
Io sono Eveline.
E quello è il passato. Non conta.
Io vibro per il futuro, la mia anima vibra per la speranza d'essere convocata.
Abbasso lo sguardo. La macchia scura s'è già allargata sulle cosce. Non so come sono dietro. Lo devo avvisare. Questo mi è concesso.
“Scusa, possono scoprirmi.”
La musica s'interrompe all'istante.
Rimaniamo muti. Bevo il caffè. Un momento meraviglioso. Il sole è davvero bello, sono in pace, sono nelle sue mani e il vibra mi preme inerte in figa e culo.
Mi guardo attorno, nessuno sa di me e lui. Essere bagnata mi rende felice.
Il suo respiro mi soffia nell'orecchio e mi riempie sotto. Ogni tanto mormora eveline eveline e mi struggo di piacere. Voglio altre sue parole, quelle dure e insensibili, ma lui gioca col mio desiderio e me le nega.
Non so, forse lo amo.
Forse mi ama.
Non m'interessa.
Sono sua e questo mi basta.
“Ti aspetto alle dieci.”
Temo di svenire.
Sono al centro commerciale. Il mondo smette di girare.
'Ti devo chiamare Eveline.'
Ora è ansia, rileggo tre volte e mi sembra di sentire la sua voce. Il mondo riprende a girare. Velocissimo.
Lascio il carrello e corro alle casse. Alla cassiera dico che ho dimenticato in auto il borsellino. È una stronza, mi lascia passare sospettosa ma l'allarme non si mette a suonare. Cammino veloce verso i bagni. C'è coda, cazzo!
Ci sono solo due bagni. Ho dietro una donna con due bimbetti per mano. Mi guardano curiosi mentre mi allaccio al collo il collarino di cuoio nero.
Mi ronza la testa, ho una dannata fretta, mi deve chiamare.
Finalmente s'apre la porta a destra e posso entrare io, ho già la mano infilata nella borsa. Chiudo, abbasso jeans e mutandine e m'infilo il vibra fucsia, ano vaginale. Mi riabbottono ed esco.
Bimbetti e mamma mi guardano stupiti. Ho fatto troppo in fretta. In corridoio mi metto l'auricolare.
Non so cosa fare, se tornare all'auto o al carrello. Ed ecco che m'arriva la musica. Ha messo Vivaldi. È un esteta. “Dove sei Eveline?”
La sua voce mi fa vibrare.
E non è una sensazione, il dildo è collegato al suo cellulare, vibra alla sua voce.
“Al supermercato.”
“Finisci pure. Aspetto.”
La sua voce si spegne e riprende Vivaldi.
Ritrovo il mio carrello. Manca ancora un sacco di roba ma lo spingo verso le casse. I violini mi fanno gocciolare, mi spavento. Ho paura di non trattenermi, mi tremano le ginocchia, le cosce mi vibrano, i capezzoli mi dolgono. E ancora la sua voce che mi devasta. “Stanotte ho bisogno di te.”
È troppo! Lascio tutto e scappo fuori con la stronza che mi grida dietro. Sono bagnata. Levo il giubbetto e me lo lego in vita. Sudo, sento che mi guardano tutti.
“Sono uscita.” Dico.
La musica non smette. Vorrei implorare di parlarmi. Ma non devo.
Col telecomando apro l'auto.
“Ferma.” Ha sentito il bip. “Non chiuderti in auto.”
Sto male.
“Prendiamo un caffè insieme.” Mi offre.
Sa che c'è un bar coi tavolini fuori. Richiudo l'auto. “Brava.”
Non so come faccio ad arrivarci. Quando partono i violini alza il volume al massimo. Mi mordo le labbra e trattengo un gemito che mi vibra dentro anche lui.
Un caffè schiumato. Ordino.
E “posso sedermi?” chiedo a lui.
“Mettiti comoda, Eveline. Godiamoci questo bel sole.”
La ragazza mi porta il caffè. M'incasino, non trovo la moneta, non alzo gli occhi per guardarla. Finalmente se ne va. Non ho nessuno seduto vicino. Non tocco il caffè.
Un attimo di pausa e riprende.
È l'Estate. Gli archetti dei violini mi entrano dentro e mi devastano. Conosco a memoria ogni singolo movimento e brano delle Quattro Stagioni, me le ha impresse lui sulla mia pelle, nella mia carne e, peggio ancora, nella mia testa. Durano quaranta minuti.
Mi vibrano dentro due anni folli. Vibra tutta Eveline.
I primi sei mesi, l'apprendistato, le mille noiose regole, quando tornavo a casa insoddisfatta col desiderio assurdo d'essere subito richiamata indietro. Le languide umiliazioni e le piccole vittorie quando mi diceva brava Eveline.
E finalmente il battesimo. Finalmente sua. E la porta si è aperta.
I profondi piaceri, più profondi dei dolori. Eveline che sfidava sé stessa, che sfidava lui. Eveline che perdeva sempre. Mi vibrano dentro ricordi che credevo cancellati, che nemmeno io ci credo più. Davvero l'ho fatto? Non ero io, era Eveline.
Io sono Eveline.
E quello è il passato. Non conta.
Io vibro per il futuro, la mia anima vibra per la speranza d'essere convocata.
Abbasso lo sguardo. La macchia scura s'è già allargata sulle cosce. Non so come sono dietro. Lo devo avvisare. Questo mi è concesso.
“Scusa, possono scoprirmi.”
La musica s'interrompe all'istante.
Rimaniamo muti. Bevo il caffè. Un momento meraviglioso. Il sole è davvero bello, sono in pace, sono nelle sue mani e il vibra mi preme inerte in figa e culo.
Mi guardo attorno, nessuno sa di me e lui. Essere bagnata mi rende felice.
Il suo respiro mi soffia nell'orecchio e mi riempie sotto. Ogni tanto mormora eveline eveline e mi struggo di piacere. Voglio altre sue parole, quelle dure e insensibili, ma lui gioca col mio desiderio e me le nega.
Non so, forse lo amo.
Forse mi ama.
Non m'interessa.
Sono sua e questo mi basta.
“Ti aspetto alle dieci.”
Temo di svenire.
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