La biondina - 3
di
XXX-Comics
genere
esibizionismo
Giorno e notte, luna e sole, viviamo senza tempo.
M'accorgo che passano i giorni solo perché la sua pelle diventa più scura e lei sempre più bella. Il segno bianco del nastrino degli slip mi fa innamorare di più ancora.
Viviamo senza orologio. Passeggiamo all'alba per paesini medievali, ceniamo a mezzogiorno in una terrazza sopra le colline, dormiamo in spiaggia, vediamo il sole tramontare nel mare e sorgere dietro i cipressi, sempre solo noi due. Ridiamo e facciamo l'amore, sempre incastrati, scopiamo anche a cazzo stanco. Non abbiamo un centimetro di pelle che non sia stato baciato dal sole e dalle nostre lingue.
Non le piacciono i ristoranti per due motivi: non vuole obbligarmi a svenarmi, lei di famiglia è abituata bene, e perché non può mangiare comodamente seduta impalata in braccio. A me non piacciono perché tuba con tutti, per lei sono tutti simpaticissimi e fantastici, e perché me la spogliano con lo sguardo. Un cameriere l'ha invitata a vedere l'ulivo centenario dietro il ristorante. Apriti cielo!, ha fatto l'offesa per dieci minuti, imbronciata non alzava gli occhi dalla tagliata, ma poi è scoppiata a ridere: “Ma hai capito cosa voleva quel pirla?”
No, non avevo capito. Uff!
Angie, parla, parla, non smette mai di parlare, la amo. Mi stordisce col suono dolce della sua voce e all'improvviso mi traumatizza con le sue bestemmie impulsive, folli ed animalesche.
Mi sveglia un rumore d'acqua. Mi alzo senza svegliarla e spio dalle persiane. È il giardiniere dello zio, passa tutte le mattine, ha già bagnato l'orto ed ora sta innaffiando le aiuole sotto casa. Dovrei scendere a ringraziarlo.
Il cielo fuori è azzurro luminoso, la camera invece è immersa in una penombra fresca che filtra dalle persiane. Angela dorme, la schiena nuda abbronzata. Faccio scivolare piano il lenzuolo bianco e le scopro il culetto perfetto, morbido nella luce diffusa, meglio della foto di una modella. Mi si gonfia il cazzo nei boxer, punta in giù, me lo massaggio, l'eccitazione mi taglia le gambe.
Mi spoglio nudo e, senza smettere di fissarla, me lo ungo piano.
Mi stendo su di lei.
“Che c'è?”
“Sssh, è il giardiniere, è qui sotto, non farti sentire, la finestra è aperta.”
Le calo in culo, in questi giorni s'è allenata come diceva mamma. Piega indietro la testa. “Ummm cazzo Mirko, sei un animale, tu devi farti curare.” Ma sussurra e rilassa i muscoli abbracciata al cuscino.
Le foglie dei cespugli risuonano investite dal getto d'acqua, il movimento è regolare, non ci ha sentiti.
La scopo spremendole le chiappe, ficcandoci il cazzo più a fondo possibile. “Ti amo cucciolina.”
“Ti odio.”
“Dai! Mettiti qualcosa, scendiamo a salutarlo.”
Si sta vestendo di corsa, calzoncini e canottiera, è elettrizzata, il cazzo in culo le mette allegria.
“No. Rimaniamo qui ancora un po'.”
Si gratta i capelli con la spazzola. “Non fare il pigrone, poi si va al mare.” E corre giù.
Dannazione.
Il giardiniere è un brav'uomo, Angie in calzoncini e quarta stretta sotto il top lo mette in imbarazzo. Dobbiamo insistere perché si fermi a bere un caffè con noi. Lo prepara Angie, gli occhi scivolano furtivi sul culetto e tornano da me. Mi racconta dell'orto, del suo lavoro e delle sue grane ma dopo una Vecchia Romagna si scioglie e parla anche con Angie, dei suoi bei tempi, quando andava a ballare e ha conosciuto sua moglie.
Se ne va felice, è una bella mattina.
Noi torniamo nella cucina. “Se ti chiedo una cosa non t'incazzi?
È una bella mattina anche per me, non m'incazzerò, le dico.
“Secondo te, gli sarebbe piaciuto guardarci?”
“Eeeehhh?!!!”
“Hai capito, non fare lo scemo... Ci pensavo prima.”
“Non lo so, è una cosa troppo assurda.”
“A tanti piace.”
“Okay, ma adesso non incazzarti tu. A te piacerebbe? Ci pensi davvero?”
“Guarda che non sono mica malata! E avere fantasie non vuol dire nulla.” Si slaccia il bottone degli shorts e se li leva. “Mi è solo venuto in mente mentre eravamo seduti.”
È senza mutandine, la prendo da dietro, contro il lavello. Non la scopo, vuole solo il mio cazzo dentro. Le strizzo le tette. “Perché, tu non ci pensi mai?” Mi chiede tirando indietro la testa.
Le mordo il collo. “Sono un bravo ragazzo, lo sai.”
“Sarebbe eccitante.”
“Non dire cazzate, è un brav'uomo.”
“Non dico lui.”
“E chi allora?”
“Ci sono i club apposta.”
“Begli ambientini. Te li raccomando.”
“Sonia e Ale ci vanno. E fanno solo tra loro, almeno, così dice lei.”
Sonia è una tappetta che si crede strafica perché parla solo di sesso. Mi eccita come la zia Elvira. “Quella racconta solo palle.”
Si scopa da sola, piano, su e giù. Dev'essere una figata farlo che ci vedono.”
“Scordatelo.”
“Ma bisogna andare in un'altra città.”
“Ehi! Non ti viene in mente che a me può non andare bene?”
“Tu? ma figurati!” Si sfila, si volta e me lo prende in mano. “Tu vorresti farlo vedere a tutti.”
- - -
Stiamo dormicchiando si fronte al mare. Io con la testa poggiata sullo zainetto, lei sul mio torace. È ancora calda di sole, profuma di mare.
È il tramonto, la spiaggia, consigliataci dallo zio, è quasi deserta, solo due coppiette con tendina ed ombrellone. Ma sono lontani. Ovviamente Angie questo pomeriggio ha fatto amicizia anche con loro. Sono due coppiette di Padova, abbiamo fatto un bagno insieme, ma alle due ragazze fregava un cazzo di fraternizzare con lei. Angie non si rende conto di scatenare invidie e gelosie. “Ma che stronze!”
Si risveglia. “Quanto ho dormito?” Cerca l'acqua nello zainetto sgomitandomi in faccia. Beve. Guarda verso l'ombrellone lontano. Ritira la borraccia, altra gomitata e si rimette comoda frizionandomi il torace coi capelli. Non trova la posizione giusta, allunga la lingua per leccarmi e mi guarda da monella. “Sai di sale.”
La mano s'insinua nei boxer. “Ma tu devi farti curare! Senti che bestia.”
Mi è venuto duro appena mi si è mossa sopra.
“Fammi sentire se sa di sale.”
Lascio fare. Me lo tira fuori e lo sega lungo, facendolo svettare. Si sposta sulle ginocchia. “Quelle due stronze devono vedere come ce l'hai.”
“La malata adesso sei tu, ahaha!”
Scosta i capelli dietro l'orecchio e mi fa un succoso pompino dei suoi, cento volte più eccitante perché ci stanno guardando. Succhia facendomi il solletico coi capelli, fa tutto lei, muove la testa su e giù, fa vedere come se lo prende tutto.
Fantastica vacanza.
- - -
“Andiamo a farci un aperitivo a Pitigliano?... Mmm, che profumino! Cosa stai facendo?”
S'è appena risvegliata, stamattina non siamo andati al mare, ci siamo ammazzati in bicicletta su e giù per le colline e oggi siamo crollati sul letto.
“No, ci andiamo a cena, l'aperitivo lo facciamo qui... Prendi due bicchieri e la bottiglia in frigo.”
È una Vernaccia presa al supermercato ma andrà benissimo.
Apro il forno ed una ventata calda di pane abbrustolito invade la cucina. Porto veloce la teglia fuori, sul tavolo sotto il portico, Angela m'insegue nella scia di profumo.
“È fredda?” Le chiedo.
“Sì.”
“Mettila nel ghiaccio, di là ho visto un secchiello.”
Le fette di pane sembrano perfette. Le schiaccio con i polpastrelli: la mollica è rimasta soffice, cede dolcemente alla pressione e la crosticina ambrata è abbastanza dura. Ci gratto uno spicchio d'aglio tagliato in due.
“Non esagerare con l'aglio!”
“E tu non fare l'inglesina.”
Angie ha portato il ghiaccio, ci spinge dentro la bottiglia già ricoperta di goccioline di rugiada. Il vino è giallo limpido, sul vetro si riflette il cielo azzurro.
“Vieni.”
I cani la seguono festanti, nemmeno loro capiscono cosa stia succedendo.
Apro il cancelletto ed entro nell'orto. La terra è grigia, crepata in zolle che si sbriciolano sotto le ciabatte. Mi fermo davanti al filare dei pomodori. “Scegline un paio.”
Il sole è basso, la luce gialla colora le ombre. Le foglie sono incartocciate, d'un verde sbiadito, e profumano di polvere, ma i pomodori sono rossi e pieni di vita.
“Quale prendo?”
“Toccali.”
La osservo saggiare la polpa con la punta delle dita e poi avvolgerli nel palmo della mano. “Sono caldi!” Mormora.
“Li ha scaldati il sole... Strappa anche qualche foglia di basilico.”
I cani hanno perso interesse, sanno che non ci sarà carne, ma gironzolano comunque attorno ad Angie che strofina i pomodori sotto la fontanella.
Li lucida col lembo della camicetta e me li passa.
Li poso su un tagliere d'ulivo, spesso ed antico, con venature di decenni, e poggio la lama sul primo pomodoro che si gonfia leggermente sotto la pressione. Attendo un istante, uno sguardo ad Angie e lascio cadere la lama. Il pomodoro s'apre in due.
Lo taglio veloce a dadini di cinque, sei millimetri che si sdraiano sul legno bagnato dal sugo. Con la lama d'acciaio li sposto di lato e taglio anche l'altro sotto gli occhi di Angie.
Sollevo il pesante tagliere, lo inclino lentamente e faccio cadere il tutto in una ciotola, attento a non perder alcun dadino o goccia.
Un pizzico di sale, sgranato fra le dita, e “Ora devi metterci il basilico.”
Angie spezza sopra la ciotola le foglioline che sprigionano all'istante il fresco profumo.
Le faccio sbriciolare tra le mani anche un rametto d'origano, ma direttamente sulle fette di pane.
“Ora l'olio.”
Le passo la bottiglia sotto il naso. L'annusa.
Mi dà l'okay annuendo, è profumato, e ne verso un filo sottilissimo, di ragnatela, sul pane tiepido e poi con un ampio movimento circolare sui pomodori che s'accendono d'un rosso ancor più vivo.
È sufficiente. Rimesto per bene i pomodori e col cucchiaio li corico sulle bruschette senza toccarle. Per ultime un paio di foglioline verdi, di basilico, come guarnizione su ciascuna fetta.
“Lasciamole un paio di minuti, devono aver tempo di maturare...”
Stappo la bottiglia e verso due dita nei bicchieri di vetro.
Ammicchiamo un brindisi silenzioso, i bicchieri che si toccano, ed assaggiamo il vino.
Non male, ma c'è di meglio.
Mi guardo attorno. No!, non può esserci di meglio.
Ridiamo senza sapere perché.
Angie indica la teglia. “Ora posso?”
Ne sceglie una, la solleva fra due dita deformandola appena e la tiene in equilibrio. È un poco imbranata, la mano trema leggermente e la bocca si apre con timore, ma poi, finalmente, morde affondando i denti nel piacere.
Chiude gli occhi mentre inspira dal naso. Mastica lenta, per assaporarsi tutto il momento, e manda giù a malincuore.
Mi fissa: “È meglio d'una scopata!”
È un complimento maldestro, non voluto, e il cazzo mi tira sornione. Ha intenzione di farle cambiare idea.
M'accorgo che passano i giorni solo perché la sua pelle diventa più scura e lei sempre più bella. Il segno bianco del nastrino degli slip mi fa innamorare di più ancora.
Viviamo senza orologio. Passeggiamo all'alba per paesini medievali, ceniamo a mezzogiorno in una terrazza sopra le colline, dormiamo in spiaggia, vediamo il sole tramontare nel mare e sorgere dietro i cipressi, sempre solo noi due. Ridiamo e facciamo l'amore, sempre incastrati, scopiamo anche a cazzo stanco. Non abbiamo un centimetro di pelle che non sia stato baciato dal sole e dalle nostre lingue.
Non le piacciono i ristoranti per due motivi: non vuole obbligarmi a svenarmi, lei di famiglia è abituata bene, e perché non può mangiare comodamente seduta impalata in braccio. A me non piacciono perché tuba con tutti, per lei sono tutti simpaticissimi e fantastici, e perché me la spogliano con lo sguardo. Un cameriere l'ha invitata a vedere l'ulivo centenario dietro il ristorante. Apriti cielo!, ha fatto l'offesa per dieci minuti, imbronciata non alzava gli occhi dalla tagliata, ma poi è scoppiata a ridere: “Ma hai capito cosa voleva quel pirla?”
No, non avevo capito. Uff!
Angie, parla, parla, non smette mai di parlare, la amo. Mi stordisce col suono dolce della sua voce e all'improvviso mi traumatizza con le sue bestemmie impulsive, folli ed animalesche.
Mi sveglia un rumore d'acqua. Mi alzo senza svegliarla e spio dalle persiane. È il giardiniere dello zio, passa tutte le mattine, ha già bagnato l'orto ed ora sta innaffiando le aiuole sotto casa. Dovrei scendere a ringraziarlo.
Il cielo fuori è azzurro luminoso, la camera invece è immersa in una penombra fresca che filtra dalle persiane. Angela dorme, la schiena nuda abbronzata. Faccio scivolare piano il lenzuolo bianco e le scopro il culetto perfetto, morbido nella luce diffusa, meglio della foto di una modella. Mi si gonfia il cazzo nei boxer, punta in giù, me lo massaggio, l'eccitazione mi taglia le gambe.
Mi spoglio nudo e, senza smettere di fissarla, me lo ungo piano.
Mi stendo su di lei.
“Che c'è?”
“Sssh, è il giardiniere, è qui sotto, non farti sentire, la finestra è aperta.”
Le calo in culo, in questi giorni s'è allenata come diceva mamma. Piega indietro la testa. “Ummm cazzo Mirko, sei un animale, tu devi farti curare.” Ma sussurra e rilassa i muscoli abbracciata al cuscino.
Le foglie dei cespugli risuonano investite dal getto d'acqua, il movimento è regolare, non ci ha sentiti.
La scopo spremendole le chiappe, ficcandoci il cazzo più a fondo possibile. “Ti amo cucciolina.”
“Ti odio.”
“Dai! Mettiti qualcosa, scendiamo a salutarlo.”
Si sta vestendo di corsa, calzoncini e canottiera, è elettrizzata, il cazzo in culo le mette allegria.
“No. Rimaniamo qui ancora un po'.”
Si gratta i capelli con la spazzola. “Non fare il pigrone, poi si va al mare.” E corre giù.
Dannazione.
Il giardiniere è un brav'uomo, Angie in calzoncini e quarta stretta sotto il top lo mette in imbarazzo. Dobbiamo insistere perché si fermi a bere un caffè con noi. Lo prepara Angie, gli occhi scivolano furtivi sul culetto e tornano da me. Mi racconta dell'orto, del suo lavoro e delle sue grane ma dopo una Vecchia Romagna si scioglie e parla anche con Angie, dei suoi bei tempi, quando andava a ballare e ha conosciuto sua moglie.
Se ne va felice, è una bella mattina.
Noi torniamo nella cucina. “Se ti chiedo una cosa non t'incazzi?
È una bella mattina anche per me, non m'incazzerò, le dico.
“Secondo te, gli sarebbe piaciuto guardarci?”
“Eeeehhh?!!!”
“Hai capito, non fare lo scemo... Ci pensavo prima.”
“Non lo so, è una cosa troppo assurda.”
“A tanti piace.”
“Okay, ma adesso non incazzarti tu. A te piacerebbe? Ci pensi davvero?”
“Guarda che non sono mica malata! E avere fantasie non vuol dire nulla.” Si slaccia il bottone degli shorts e se li leva. “Mi è solo venuto in mente mentre eravamo seduti.”
È senza mutandine, la prendo da dietro, contro il lavello. Non la scopo, vuole solo il mio cazzo dentro. Le strizzo le tette. “Perché, tu non ci pensi mai?” Mi chiede tirando indietro la testa.
Le mordo il collo. “Sono un bravo ragazzo, lo sai.”
“Sarebbe eccitante.”
“Non dire cazzate, è un brav'uomo.”
“Non dico lui.”
“E chi allora?”
“Ci sono i club apposta.”
“Begli ambientini. Te li raccomando.”
“Sonia e Ale ci vanno. E fanno solo tra loro, almeno, così dice lei.”
Sonia è una tappetta che si crede strafica perché parla solo di sesso. Mi eccita come la zia Elvira. “Quella racconta solo palle.”
Si scopa da sola, piano, su e giù. Dev'essere una figata farlo che ci vedono.”
“Scordatelo.”
“Ma bisogna andare in un'altra città.”
“Ehi! Non ti viene in mente che a me può non andare bene?”
“Tu? ma figurati!” Si sfila, si volta e me lo prende in mano. “Tu vorresti farlo vedere a tutti.”
- - -
Stiamo dormicchiando si fronte al mare. Io con la testa poggiata sullo zainetto, lei sul mio torace. È ancora calda di sole, profuma di mare.
È il tramonto, la spiaggia, consigliataci dallo zio, è quasi deserta, solo due coppiette con tendina ed ombrellone. Ma sono lontani. Ovviamente Angie questo pomeriggio ha fatto amicizia anche con loro. Sono due coppiette di Padova, abbiamo fatto un bagno insieme, ma alle due ragazze fregava un cazzo di fraternizzare con lei. Angie non si rende conto di scatenare invidie e gelosie. “Ma che stronze!”
Si risveglia. “Quanto ho dormito?” Cerca l'acqua nello zainetto sgomitandomi in faccia. Beve. Guarda verso l'ombrellone lontano. Ritira la borraccia, altra gomitata e si rimette comoda frizionandomi il torace coi capelli. Non trova la posizione giusta, allunga la lingua per leccarmi e mi guarda da monella. “Sai di sale.”
La mano s'insinua nei boxer. “Ma tu devi farti curare! Senti che bestia.”
Mi è venuto duro appena mi si è mossa sopra.
“Fammi sentire se sa di sale.”
Lascio fare. Me lo tira fuori e lo sega lungo, facendolo svettare. Si sposta sulle ginocchia. “Quelle due stronze devono vedere come ce l'hai.”
“La malata adesso sei tu, ahaha!”
Scosta i capelli dietro l'orecchio e mi fa un succoso pompino dei suoi, cento volte più eccitante perché ci stanno guardando. Succhia facendomi il solletico coi capelli, fa tutto lei, muove la testa su e giù, fa vedere come se lo prende tutto.
Fantastica vacanza.
- - -
“Andiamo a farci un aperitivo a Pitigliano?... Mmm, che profumino! Cosa stai facendo?”
S'è appena risvegliata, stamattina non siamo andati al mare, ci siamo ammazzati in bicicletta su e giù per le colline e oggi siamo crollati sul letto.
“No, ci andiamo a cena, l'aperitivo lo facciamo qui... Prendi due bicchieri e la bottiglia in frigo.”
È una Vernaccia presa al supermercato ma andrà benissimo.
Apro il forno ed una ventata calda di pane abbrustolito invade la cucina. Porto veloce la teglia fuori, sul tavolo sotto il portico, Angela m'insegue nella scia di profumo.
“È fredda?” Le chiedo.
“Sì.”
“Mettila nel ghiaccio, di là ho visto un secchiello.”
Le fette di pane sembrano perfette. Le schiaccio con i polpastrelli: la mollica è rimasta soffice, cede dolcemente alla pressione e la crosticina ambrata è abbastanza dura. Ci gratto uno spicchio d'aglio tagliato in due.
“Non esagerare con l'aglio!”
“E tu non fare l'inglesina.”
Angie ha portato il ghiaccio, ci spinge dentro la bottiglia già ricoperta di goccioline di rugiada. Il vino è giallo limpido, sul vetro si riflette il cielo azzurro.
“Vieni.”
I cani la seguono festanti, nemmeno loro capiscono cosa stia succedendo.
Apro il cancelletto ed entro nell'orto. La terra è grigia, crepata in zolle che si sbriciolano sotto le ciabatte. Mi fermo davanti al filare dei pomodori. “Scegline un paio.”
Il sole è basso, la luce gialla colora le ombre. Le foglie sono incartocciate, d'un verde sbiadito, e profumano di polvere, ma i pomodori sono rossi e pieni di vita.
“Quale prendo?”
“Toccali.”
La osservo saggiare la polpa con la punta delle dita e poi avvolgerli nel palmo della mano. “Sono caldi!” Mormora.
“Li ha scaldati il sole... Strappa anche qualche foglia di basilico.”
I cani hanno perso interesse, sanno che non ci sarà carne, ma gironzolano comunque attorno ad Angie che strofina i pomodori sotto la fontanella.
Li lucida col lembo della camicetta e me li passa.
Li poso su un tagliere d'ulivo, spesso ed antico, con venature di decenni, e poggio la lama sul primo pomodoro che si gonfia leggermente sotto la pressione. Attendo un istante, uno sguardo ad Angie e lascio cadere la lama. Il pomodoro s'apre in due.
Lo taglio veloce a dadini di cinque, sei millimetri che si sdraiano sul legno bagnato dal sugo. Con la lama d'acciaio li sposto di lato e taglio anche l'altro sotto gli occhi di Angie.
Sollevo il pesante tagliere, lo inclino lentamente e faccio cadere il tutto in una ciotola, attento a non perder alcun dadino o goccia.
Un pizzico di sale, sgranato fra le dita, e “Ora devi metterci il basilico.”
Angie spezza sopra la ciotola le foglioline che sprigionano all'istante il fresco profumo.
Le faccio sbriciolare tra le mani anche un rametto d'origano, ma direttamente sulle fette di pane.
“Ora l'olio.”
Le passo la bottiglia sotto il naso. L'annusa.
Mi dà l'okay annuendo, è profumato, e ne verso un filo sottilissimo, di ragnatela, sul pane tiepido e poi con un ampio movimento circolare sui pomodori che s'accendono d'un rosso ancor più vivo.
È sufficiente. Rimesto per bene i pomodori e col cucchiaio li corico sulle bruschette senza toccarle. Per ultime un paio di foglioline verdi, di basilico, come guarnizione su ciascuna fetta.
“Lasciamole un paio di minuti, devono aver tempo di maturare...”
Stappo la bottiglia e verso due dita nei bicchieri di vetro.
Ammicchiamo un brindisi silenzioso, i bicchieri che si toccano, ed assaggiamo il vino.
Non male, ma c'è di meglio.
Mi guardo attorno. No!, non può esserci di meglio.
Ridiamo senza sapere perché.
Angie indica la teglia. “Ora posso?”
Ne sceglie una, la solleva fra due dita deformandola appena e la tiene in equilibrio. È un poco imbranata, la mano trema leggermente e la bocca si apre con timore, ma poi, finalmente, morde affondando i denti nel piacere.
Chiude gli occhi mentre inspira dal naso. Mastica lenta, per assaporarsi tutto il momento, e manda giù a malincuore.
Mi fissa: “È meglio d'una scopata!”
È un complimento maldestro, non voluto, e il cazzo mi tira sornione. Ha intenzione di farle cambiare idea.
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