Mara. Da moglie a troia. 6 Jasmine
di
Mara1990
genere
dominazione
Riccardo non ha detto nulla nei giorni successivi.
Nessun messaggio. Nessuna diretta. Nessuna richiesta.
Solo silenzio. E io tremavo.
Non per paura. Ma per astinenza.
Ogni volta che mi sfioravo le cosce, mi tornava in testa quella diretta. L’iPhone sul cavalletto. Il cazzo nella gola. Il bastone nero. Le gocce sul tappeto. Il pubblico. I commenti. Le reazioni.
E io, in ginocchio, troia esibita.
Sì, ci venivo sopra anche da sola. Ma non bastava più.
Non era mai abbastanza.
Poi, ieri sera, il messaggio:
«Domani. Non sarai sola.»
Sono entrata a casa sua con la figa già calda.
Il corpo teso. La testa pronta.
Non sapevo chi sarebbe stato con me, ma sapevo che l’avrei desiderato.
La porta si è aperta come sempre.
Silenzio.
Luce bassa.
Profumo denso. Pulito.
E lei.
Seduta sul divano. Gonna stretta, maglia leggera, labbra piene, pelle liscia color caffè. Una bellezza morbida, sensuale, sottomessa.
Jasmine.
La sua voce era bassa, timida.
«Ciao…»
Mi ha guardata. Poi ha abbassato gli occhi.
Riccardo è comparso accanto a lei.
«Lei è Jasmine. È qui per te. E tu per lei.»
Jasmine si è sistemata sulla sedia senza dire altro.
Occhi bassi. Cosce strette.
Ho notato che non indossava mutandine.
«Sposata?» ho chiesto, tanto per rompere il silenzio.
«Sì. Lui lavora offshore. Due mesi via, uno a casa.»
«E oggi?»
«Oggi non c’è.»
«Nemmeno domani» ho pensato.
Riccardo non ha detto nulla. Si è seduto. Ci ha guardate.
«Falle vedere chi sei diventata.»
Non ho chiesto altro.
Mi sono spogliata davanti a Jasmine.
Nuda, senza fretta.
Lei mi guardava. Occhi larghi, bocca leggermente aperta.
Mi sono inginocchiata davanti a lei. Le ho aperto le cosce con le mani.
Non ha opposto resistenza.
Anzi.
Si è lasciata fare.
La sua figa era scura, ordinata, profumata. Bagnata.
L’ho toccata. Due dita tra le labbra. Piano.
Lei ha chiuso gli occhi e ha gemuto. Un suono leggero, già arrendevole.
L’ho fatta sdraiare sul tappeto.
Mi sono messa sopra di lei.
Le ho legato i polsi con la cintura del mio vestito.
Lei ansimava. Non protestava. Non si lamentava.
Aspettava. E godeva.
Le ho leccato i capezzoli, duri e pieni.
Poi la pancia.
Poi la figa.
Calda, dolce, colma.
Ho infilato la lingua dentro.
Lei si muoveva, si piegava, mi offriva tutto.
Due dita. Poi tre.
Era pronta.
«Ti piace?» ho sussurrato.
Ha annuito, mordendosi il labbro.
Mi sono alzata.
«A quattro zampe» ho ordinato.
Lei si è messa a carponi.
Il culo in aria. La figa aperta, pulsante, che colava.
Ho preso il fallo nero dal tavolo. Quello grosso. Quello che conoscevo bene.
Gliel’ho mostrato.
«Lo vuoi?»
«Sì» ha risposto, con voce sottile.
«Allora chiedilo meglio.»
«Per favore… scopami con quello. Ti prego.»
Le ho aperto le labbra con due dita.
Ho puntato la testa del cazzo finto.
E ho spinto.
Piano.
Fino a farle urlare.
«Zitta. Respira.»
Lei ha annuito, tremando.
Un centimetro alla volta. Poi un altro.
La figa l’ha accolto tutto.
E poi ha chiesto ancora.
«Muovilo.»
«No.»
«Per favore…»
«Devi chiedere il permesso. Io decido quando vieni.»
L’ho tenuta così. Fissa. Bloccata.
Poi ho cominciato a scoparla davvero.
A spingere.
A muovere.
Forte.
Profondo.
Controllato.
Jasmine gemeva, colava, si apriva.
Il tappeto si bagnava.
La figa faceva rumore.
Riccardo guardava.
Il cazzo duro fuori dai pantaloni.
Non toccava.
Solo guardava.
La bocca socchiusa. Gli occhi fissi su di noi.
«Posso venire?» ha supplicato Jasmine.
«Ancora no.»
L’ho fatta soffrire.
Le ho fermato i fianchi.
Ho lasciato il cazzo dentro, immobile.
Lei implorava.
Sudava.
Si contorceva.
«Adesso puoi» ho sussurrato.
Ed è esplosa.
Un urlo lungo.
Le gambe che tremavano.
Un getto.
Poi un altro.
Il cazzo nero fradicio.
Riccardo è venuto subito dopo.
Senza una parola.
Senza nemmeno toccarsi.
Io… io ho sorriso.
Sudata. Nuda. Sporca.
Ma padrona.
Jasmine è crollata sul tappeto.
Distrutta.
Con la faccia tra le braccia.
La figa che ancora gocciolava.
Le ho accarezzato i capelli.
Le ho sussurrato:
«Brava cagna.»
Riccardo si è avvicinato.
Mi ha guardata.
E ha detto:
«Benvenuta tra le dominanti, Mara.»
Nessun messaggio. Nessuna diretta. Nessuna richiesta.
Solo silenzio. E io tremavo.
Non per paura. Ma per astinenza.
Ogni volta che mi sfioravo le cosce, mi tornava in testa quella diretta. L’iPhone sul cavalletto. Il cazzo nella gola. Il bastone nero. Le gocce sul tappeto. Il pubblico. I commenti. Le reazioni.
E io, in ginocchio, troia esibita.
Sì, ci venivo sopra anche da sola. Ma non bastava più.
Non era mai abbastanza.
Poi, ieri sera, il messaggio:
«Domani. Non sarai sola.»
Sono entrata a casa sua con la figa già calda.
Il corpo teso. La testa pronta.
Non sapevo chi sarebbe stato con me, ma sapevo che l’avrei desiderato.
La porta si è aperta come sempre.
Silenzio.
Luce bassa.
Profumo denso. Pulito.
E lei.
Seduta sul divano. Gonna stretta, maglia leggera, labbra piene, pelle liscia color caffè. Una bellezza morbida, sensuale, sottomessa.
Jasmine.
La sua voce era bassa, timida.
«Ciao…»
Mi ha guardata. Poi ha abbassato gli occhi.
Riccardo è comparso accanto a lei.
«Lei è Jasmine. È qui per te. E tu per lei.»
Jasmine si è sistemata sulla sedia senza dire altro.
Occhi bassi. Cosce strette.
Ho notato che non indossava mutandine.
«Sposata?» ho chiesto, tanto per rompere il silenzio.
«Sì. Lui lavora offshore. Due mesi via, uno a casa.»
«E oggi?»
«Oggi non c’è.»
«Nemmeno domani» ho pensato.
Riccardo non ha detto nulla. Si è seduto. Ci ha guardate.
«Falle vedere chi sei diventata.»
Non ho chiesto altro.
Mi sono spogliata davanti a Jasmine.
Nuda, senza fretta.
Lei mi guardava. Occhi larghi, bocca leggermente aperta.
Mi sono inginocchiata davanti a lei. Le ho aperto le cosce con le mani.
Non ha opposto resistenza.
Anzi.
Si è lasciata fare.
La sua figa era scura, ordinata, profumata. Bagnata.
L’ho toccata. Due dita tra le labbra. Piano.
Lei ha chiuso gli occhi e ha gemuto. Un suono leggero, già arrendevole.
L’ho fatta sdraiare sul tappeto.
Mi sono messa sopra di lei.
Le ho legato i polsi con la cintura del mio vestito.
Lei ansimava. Non protestava. Non si lamentava.
Aspettava. E godeva.
Le ho leccato i capezzoli, duri e pieni.
Poi la pancia.
Poi la figa.
Calda, dolce, colma.
Ho infilato la lingua dentro.
Lei si muoveva, si piegava, mi offriva tutto.
Due dita. Poi tre.
Era pronta.
«Ti piace?» ho sussurrato.
Ha annuito, mordendosi il labbro.
Mi sono alzata.
«A quattro zampe» ho ordinato.
Lei si è messa a carponi.
Il culo in aria. La figa aperta, pulsante, che colava.
Ho preso il fallo nero dal tavolo. Quello grosso. Quello che conoscevo bene.
Gliel’ho mostrato.
«Lo vuoi?»
«Sì» ha risposto, con voce sottile.
«Allora chiedilo meglio.»
«Per favore… scopami con quello. Ti prego.»
Le ho aperto le labbra con due dita.
Ho puntato la testa del cazzo finto.
E ho spinto.
Piano.
Fino a farle urlare.
«Zitta. Respira.»
Lei ha annuito, tremando.
Un centimetro alla volta. Poi un altro.
La figa l’ha accolto tutto.
E poi ha chiesto ancora.
«Muovilo.»
«No.»
«Per favore…»
«Devi chiedere il permesso. Io decido quando vieni.»
L’ho tenuta così. Fissa. Bloccata.
Poi ho cominciato a scoparla davvero.
A spingere.
A muovere.
Forte.
Profondo.
Controllato.
Jasmine gemeva, colava, si apriva.
Il tappeto si bagnava.
La figa faceva rumore.
Riccardo guardava.
Il cazzo duro fuori dai pantaloni.
Non toccava.
Solo guardava.
La bocca socchiusa. Gli occhi fissi su di noi.
«Posso venire?» ha supplicato Jasmine.
«Ancora no.»
L’ho fatta soffrire.
Le ho fermato i fianchi.
Ho lasciato il cazzo dentro, immobile.
Lei implorava.
Sudava.
Si contorceva.
«Adesso puoi» ho sussurrato.
Ed è esplosa.
Un urlo lungo.
Le gambe che tremavano.
Un getto.
Poi un altro.
Il cazzo nero fradicio.
Riccardo è venuto subito dopo.
Senza una parola.
Senza nemmeno toccarsi.
Io… io ho sorriso.
Sudata. Nuda. Sporca.
Ma padrona.
Jasmine è crollata sul tappeto.
Distrutta.
Con la faccia tra le braccia.
La figa che ancora gocciolava.
Le ho accarezzato i capelli.
Le ho sussurrato:
«Brava cagna.»
Riccardo si è avvicinato.
Mi ha guardata.
E ha detto:
«Benvenuta tra le dominanti, Mara.»
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