Mara. Da moglie a troia. 5. Online

di
genere
dominazione

Quando sono entrata, la stanza era già pronta.

Tutto era stato disposto con quella precisione da maniaco del controllo che Riccardo si porta addosso come una seconda pelle. La luce era morbida ma piena, le tende solo accostate, il pavimento pulito. Al centro, un cavalletto sottile e nero, elegante nella sua crudeltà. Montato in verticale, con un iPhone acceso, fotocamera pronta. L’obiettivo puntava dritto verso un tappeto grigio, e sopra quel tappeto, un cuscino.

Accanto al cavalletto, sul tavolo, una bottiglia d’acqua, un asciugamano, un fallo di gomma. Nero. Osceno. Enorme. Non grosso: mostruoso. La circonferenza di una bottiglia, la lunghezza di un avambraccio. Solo a vederlo, la figa ha stretto.

Riccardo non ha detto nulla. Ha camminato attorno a me, poi si è messo alle spalle del telefono. Ha aperto un’app. L’ho riconosciuta. OnlyFans. Profilo attivo. Icona verde. Diretta pronta.

«Ti mostro al mondo» ha detto.
La figa ha pulsato.

«Il volto lo copro. Nessuno vedrà chi sei. Ma il resto… il resto è già proprietà pubblica.»

Mi ha guardato come se fossi un investimento. Uno di quelli che frutta.
«Tu sei carne da contenuto. Goccia da vendere. Puttana da clic. E oggi, diventi streaming.»

Mi ha fatto spogliare lentamente, mentre lui regolava l’inquadratura. Io, nuda davanti al telefono. Il cuore che batteva in gola, la pelle d’oca dappertutto, la figa fradicia.

«Siediti sul cuscino. Le gambe aperte. Il culo piantato. Il mento basso. Così non ti si vede la faccia. Ma tutto il resto è sotto i riflettori.»

Mi sono seduta. La videocamera dell’iPhone mi guardava come un occhio malato. Mi sentivo perforata. Il punto rosso della registrazione lampeggiava. Ero già online.
Pubblicata.

«Non parli. Non ti muovi. Finché non te lo dico io.»

Poi si è seduto dietro la camera, fuori campo.
Voce ferma, voce da regista.

«Apri le gambe.»

Ho aperto.

«Solleva i piedi. Talloni vicini al culo. Così la figa si apre bene.»

Ho fatto come diceva.
Il mio sesso era tutto in vista: labbra lucide, clitoride teso, pelle bagnata. Umori ovunque.

«Guarda il telefono. Immagina cento uomini che ti guardano. Mille. Diecimila. Tutti a guardare la tua figa da troia. Tutti a immaginare come ti lecchi. Come ti masturbi. Come ti apri.»

Ho ansimato.
Mi sentivo tremare.
Mi sentivo viva.

«Tocca il clitoride con un dito. Solo uno. Piano. Lento. Fai godere anche loro.»

Ho appoggiato il dito.
Un brivido mi ha attraversata tutta.
Ho disegnato cerchi. Lenti. Bagnati. Osceni.

La figa colava già. Il rumore era pornografico.
La videocamera registrava tutto. I dettagli. Le gocce. Il movimento delle dita.

«Due dita ora. Dentro. Piano. Fino in fondo.»

Le ho infilate.
La figa ha accolto. Ha stretto. Ha succhiato.

«Sei una puttana online, Mara. Nessuno ti conosce, ma tutti ti vogliono. Tutti vogliono la tua figa.»

«Sì…» ho sussurrato.
Ma lui: «Zitta. Le troie in video non parlano. Si usano.»

Ho annuito, le dita dentro, la testa bassa.
La figa si muoveva da sola.

«Ora infila la lingua sulle dita. Lanciala in bocca. Fatti vedere come ti lecchi i tuoi stessi umori.»

Ho obbedito. Le dita appiccicose sulla lingua.
Il sapore di me. Salato. Caldo. Sporco.

Lui si è alzato. Ha preso il fallo dal tavolo. Me lo ha messo davanti.
L’ha lasciato scivolare piano tra le gambe.
Il cazzo di gomma toccava la mia figa, ma non entrava.

«Adesso prendi questo. Mostralo bene alla camera. Mostra quanto è grosso. Quanto sei ridicola a pensare di potertelo infilare.»

L’ho preso. Era pesante. Liscio. Freddo.
L’ho sollevato davanti all’iPhone.
Le mani tremavano.

«Ora apriti con una mano. L’altra lo guida.»

Ho allargato le labbra con due dita.
Le grandi. Le piccole. Tutto.

La figa si è aperta. Sbracata. Umiliata.

Ho puntato la testa del cazzo all’ingresso.
Riccardo è tornato dietro la camera.
Silenzio.

«Spingi.»

Ho spinto.
La punta è entrata.
Subito la figa si è stretta. Ha cercato di ribellarsi. Ma era troppo bagnata.

«Continua.»

Ho spinto ancora. Un altro centimetro.
Un altro.
Un altro.

L’asta nera scivolava dentro di me come un serpente.
La pelle si tirava. Il buco si dilatava.

«Guarda la camera. Falli godere.»

Li immaginavo.
Uomini che mi guardavano da uno schermo.
Mani sul cazzo. Bocche aperte. Occhi sporchi.

Ho affondato ancora.
La metà era già dentro.
Poi tre quarti.

A quel punto ho iniziato a gemere.
Piano. Poi più forte.
Il corpo tremava.
La pancia si contraeva.
Il cazzo finto mi toccava punti che nessuno aveva mai toccato.

«Non fermarti finché non vieni.»

Ho mosso il cazzo dentro. Su e giù.
La figa era una fontana.
Il suono era da porno vero. Slap slap slap.

Mi sono piegata in avanti.
La fronte quasi sul pavimento.
Il cazzo dentro. Fino in fondo.
Ho tremato.

E sono esplosa.

Un orgasmo che non ho mai avuto prima.
Bestiale.
Violento.
Strappato.

Ho squirtato in diretta.
Davanti all’iPhone.
Davanti a tutti.
Un getto. Poi un altro. E un altro ancora.

Il cazzo è scivolato fuori, coperto di umori.

Il tappeto era fradicio.

Ho abbassato la testa. Non per vergogna.
Perché avevo appena lasciato l’anima lì sopra.

Riccardo si è avvicinato.
Ha fermato la registrazione.
Silenzio.

Poi ha guardato lo schermo.

«Ottimo. Cinquecento spettatori in diretta. E ti adorano.»

Ho sorriso. Esausta.
Sporca.
Ma felice.

Lui si è chinato. Mi ha preso per il mento.

«Questa è solo la prima diretta. La prossima volta, ti usano in tre.»

Mi ha lasciata lì.
A terra.
Con la figa aperta.
E la bocca che già diceva sì.
scritto il
2025-09-28
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