Mara. Da moglie a troia 4
di
Mara1990
genere
dominazione
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«Vieni senza mutandine.»
Due parole. Nessuna firma. Nessun punto.
Solo un comando. Riccardo non chiede. Ordina.
Io stavo facendo colazione, il mio uomo a pochi metri che tagliava il pane come ogni cazzo di mattina. Io avevo ancora in bocca il sapore del cazzo di un altro. La figa pulsava. Le cosce appiccicate dai resti della notte precedente. Lui mi parlava di marmellata e io pensavo alla mia bocca aperta, alla mia gola che si lasciava riempire senza fiatare.
Alle dieci ero lì. Trench beige, stivali. Sotto? Niente. Né reggiseno né mutandine. Pelle nuda. Capezzoli duri. La figa già calda. Ogni passo era uno sfregare. E ogni sfregare era una colata.
Lui ha aperto la porta, mi ha guardata senza dire niente. Poi ha abbassato lo sguardo tra le gambe. Ha notato. Sorriso appena. Quel mezzo sorriso bastava a farmi gocciolare sulle cosce. «Brava troia» ha detto. E in quel momento l’ho sentita stringere. La figa. La mia troia interiore. Quella vera.
Mi ha fatto entrare. Tende chiuse. Luci basse. Nessun rumore. Solo il battito nelle orecchie. Solo l’odore del sesso.
«In ginocchio» ha detto. E io mi sono inginocchiata. Il pavimento era ruvido, freddo. La pelle si graffiava, ma la figa gocciolava. «Divarica di più. Voglio vedere la tua fessura. Voglio vedere quanto sei bagnata solo per essere qui.»
Ho allargato le ginocchia. La figa era spalancata. Le labbra gonfie, lucide, una bocca aperta che non sapeva mentire. «Mani dietro la schiena. E stai zitta.»
Ho obbedito. La posizione tirava le spalle all’indietro, il petto in avanti, la figa in vetrina.
Lui si è messo davanti. Ha tirato fuori il cellulare. Click. Una foto. Un’altra. Poi un video.
«Ti ricorderai sempre così. La moglie perfetta trasformata in una cagna da vetrina.»
Mi sono sentita fremere. Lui si è seduto, le gambe larghe, il cazzo gonfio sotto il tessuto. Guardava. Solo guardava. Io nuda, umiliata, sporca.
«Parla.»
«Sono la tua troia.»
«Ancora.»
«Sono la tua puttana. La tua cagna. Il tuo buco.»
«Bene. Adesso toccati.»
Mi sono bloccata. «Come?»
«Toccati. Voglio che ti lecchi da sola mentre ti guardo. Usa le dita. Le tue, non le mie. Voglio vedere quanto sei brava a scoparti con niente.»
Ho portato le mani avanti. Ho affondato due dita tra le labbra. Umide, scivolose. Ho gemuto. Ho cominciato a massaggiarmi il clitoride, prima piano, poi più forte. Ho infilato le dita dentro. Due. Poi tre. Rumore di carne. Slap slap slap.
«Guarda me» ha detto. «E dimmi chi sei.»
«Una moglie sfondata. Una troia che si masturba per te. Una puttana che gode sotto il tuo sguardo.»
«Sporcati. Non fermarti. Voglio vederti colare.»
«Sto venendo…»
«No.»
«Ti prego…»
«Fermati.»
Mi sono bloccata. A un centimetro dal baratro. Il corpo tremava. Le cosce bagnate. Le dita appiccicose. Il clitoride in fiamme.
Lui si è alzato. Ha aperto un cassetto.
Ne ha tirato fuori lui. Il bastone nero. Lungo, sottile, lucido.
Mi ha fatto girare. Mani sulle ginocchia. La figa aperta in piena vista.
«Te lo infili da sola.»
Ho preso il bastone con due dita. L’ho portato all’ingresso. Era già così bagnata che non c’è voluto niente. È entrato come se fosse sempre stato lì. Lungo. Profondo. Umido. Mi ha fatta gemere.
«Tienilo dentro. Non lo muovere.»
Mi ha girata verso di lui. Il cazzo era fuori. Duro. Vivo. Bello. Troppo bello.
«Apri.»
Ho aperto. Lui è entrato. In un colpo solo. Fino in fondo.
Mi sono strozzata. Ma non mi sono ritratta.
Anzi. Ho spinto avanti. Ho accolto.
«Sta’ ferma. Non voglio che ti muovi. Solo la bocca. Solo il buco.»
Il bastone nella figa. Il cazzo nella gola. Io nel mezzo.
Riccardo mi scopava la bocca mentre io mi godevo il bastone che mi apriva sotto.
Due fronti. Due invasioni.
Ho gemuto attorno al suo cazzo.
Mi sono sbrodolata addosso. Saliva e umori.
«Guarda me mentre ti scopo la faccia.»
L’ho fatto. E sono venuta.
Un orgasmo violento. Caldo. Lungo. Ho squirtato. Forte. Le gambe mi hanno tremato. Le dita mi hanno sfuggito.
Ho gridato con la bocca piena.
Lui ha spinto ancora, fino a sborrare.
Tutto in gola.
Caldo. Denso. Un colpo in profondità.
Ho deglutito. Senza pensarci. Per istinto.
Quando ha estratto il cazzo e il bastone, sono crollata. A terra. Nuda. Umida. Soddisfatta.
Lui mi ha tirata su per i capelli.
«La prossima volta non saremo soli.»
L’ho guardato.
E non ho avuto paura.
Mi sono solo chiesta:
quando?
«Vieni senza mutandine.»
Due parole. Nessuna firma. Nessun punto.
Solo un comando. Riccardo non chiede. Ordina.
Io stavo facendo colazione, il mio uomo a pochi metri che tagliava il pane come ogni cazzo di mattina. Io avevo ancora in bocca il sapore del cazzo di un altro. La figa pulsava. Le cosce appiccicate dai resti della notte precedente. Lui mi parlava di marmellata e io pensavo alla mia bocca aperta, alla mia gola che si lasciava riempire senza fiatare.
Alle dieci ero lì. Trench beige, stivali. Sotto? Niente. Né reggiseno né mutandine. Pelle nuda. Capezzoli duri. La figa già calda. Ogni passo era uno sfregare. E ogni sfregare era una colata.
Lui ha aperto la porta, mi ha guardata senza dire niente. Poi ha abbassato lo sguardo tra le gambe. Ha notato. Sorriso appena. Quel mezzo sorriso bastava a farmi gocciolare sulle cosce. «Brava troia» ha detto. E in quel momento l’ho sentita stringere. La figa. La mia troia interiore. Quella vera.
Mi ha fatto entrare. Tende chiuse. Luci basse. Nessun rumore. Solo il battito nelle orecchie. Solo l’odore del sesso.
«In ginocchio» ha detto. E io mi sono inginocchiata. Il pavimento era ruvido, freddo. La pelle si graffiava, ma la figa gocciolava. «Divarica di più. Voglio vedere la tua fessura. Voglio vedere quanto sei bagnata solo per essere qui.»
Ho allargato le ginocchia. La figa era spalancata. Le labbra gonfie, lucide, una bocca aperta che non sapeva mentire. «Mani dietro la schiena. E stai zitta.»
Ho obbedito. La posizione tirava le spalle all’indietro, il petto in avanti, la figa in vetrina.
Lui si è messo davanti. Ha tirato fuori il cellulare. Click. Una foto. Un’altra. Poi un video.
«Ti ricorderai sempre così. La moglie perfetta trasformata in una cagna da vetrina.»
Mi sono sentita fremere. Lui si è seduto, le gambe larghe, il cazzo gonfio sotto il tessuto. Guardava. Solo guardava. Io nuda, umiliata, sporca.
«Parla.»
«Sono la tua troia.»
«Ancora.»
«Sono la tua puttana. La tua cagna. Il tuo buco.»
«Bene. Adesso toccati.»
Mi sono bloccata. «Come?»
«Toccati. Voglio che ti lecchi da sola mentre ti guardo. Usa le dita. Le tue, non le mie. Voglio vedere quanto sei brava a scoparti con niente.»
Ho portato le mani avanti. Ho affondato due dita tra le labbra. Umide, scivolose. Ho gemuto. Ho cominciato a massaggiarmi il clitoride, prima piano, poi più forte. Ho infilato le dita dentro. Due. Poi tre. Rumore di carne. Slap slap slap.
«Guarda me» ha detto. «E dimmi chi sei.»
«Una moglie sfondata. Una troia che si masturba per te. Una puttana che gode sotto il tuo sguardo.»
«Sporcati. Non fermarti. Voglio vederti colare.»
«Sto venendo…»
«No.»
«Ti prego…»
«Fermati.»
Mi sono bloccata. A un centimetro dal baratro. Il corpo tremava. Le cosce bagnate. Le dita appiccicose. Il clitoride in fiamme.
Lui si è alzato. Ha aperto un cassetto.
Ne ha tirato fuori lui. Il bastone nero. Lungo, sottile, lucido.
Mi ha fatto girare. Mani sulle ginocchia. La figa aperta in piena vista.
«Te lo infili da sola.»
Ho preso il bastone con due dita. L’ho portato all’ingresso. Era già così bagnata che non c’è voluto niente. È entrato come se fosse sempre stato lì. Lungo. Profondo. Umido. Mi ha fatta gemere.
«Tienilo dentro. Non lo muovere.»
Mi ha girata verso di lui. Il cazzo era fuori. Duro. Vivo. Bello. Troppo bello.
«Apri.»
Ho aperto. Lui è entrato. In un colpo solo. Fino in fondo.
Mi sono strozzata. Ma non mi sono ritratta.
Anzi. Ho spinto avanti. Ho accolto.
«Sta’ ferma. Non voglio che ti muovi. Solo la bocca. Solo il buco.»
Il bastone nella figa. Il cazzo nella gola. Io nel mezzo.
Riccardo mi scopava la bocca mentre io mi godevo il bastone che mi apriva sotto.
Due fronti. Due invasioni.
Ho gemuto attorno al suo cazzo.
Mi sono sbrodolata addosso. Saliva e umori.
«Guarda me mentre ti scopo la faccia.»
L’ho fatto. E sono venuta.
Un orgasmo violento. Caldo. Lungo. Ho squirtato. Forte. Le gambe mi hanno tremato. Le dita mi hanno sfuggito.
Ho gridato con la bocca piena.
Lui ha spinto ancora, fino a sborrare.
Tutto in gola.
Caldo. Denso. Un colpo in profondità.
Ho deglutito. Senza pensarci. Per istinto.
Quando ha estratto il cazzo e il bastone, sono crollata. A terra. Nuda. Umida. Soddisfatta.
Lui mi ha tirata su per i capelli.
«La prossima volta non saremo soli.»
L’ho guardato.
E non ho avuto paura.
Mi sono solo chiesta:
quando?
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