Ellen - 2

di
genere
sadomaso

Ci pensava ormai da settimane. Quel pensiero la feriva sempre più frequentemente.
Il primo lampo fu dall'estetista, mentre faceva la ceretta inguinale. Fu veramente un lampo, non un ricordo od un pensiero: Tonio era realmente in quello studiolo.
Ricapitò altre volte, ma solo di notte, a letto. No, non quando andava a dormire, Ellen s'era allenata ad una autodisciplina tale che s'addormentava due secondi dopo aver spento la luce. Capitava invece in piena notte, la svegliava di soprassalto. Bagnata ed ansimante si ritrovava seduta sul letto con in testa ancora le eco confuse di un sogno più reale dei ricordi. Aveva quasi paura di accendere la luce e di trovarselo lì.
Era la Ellen sbagliata che si stava risvegliando.
La Ellen razionale lo affrontò con le tecniche di autocontrollo che aveva affinato negli anni: full immersion nel lavoro e concentrazione totale in ogni cosa che facesse, fosse anche scaldare l'acqua per una tisana o correre nel parco.
Ma poteva ben poco e si conosceva troppo bene, la Ellen perfetta e la Ellen sbagliata erano una sua invenzione, un trucco per governarsi più facilmente. Esisteva una sola unica Ellen.
Magda, la sua segretaria, fu l'unica ad accorgersi che qualcosa la turbava. La sorprendeva fissare assente il pc e capiva chiaramente quando Ellen non la stava ascoltando: “Tutto bene, Ellen? Ci sono problemi.'
Magda, che si preoccupava sempre per un nonnulla in quel periodo aveva anche le antenne speciali, era al sesto mese.
“No, è solo un po' di stanchezza, non preoccuparti per me, Magda. Piuttosto tu, prenditi tutti i giorni che ti servono, sei troppo sotto pressione.”
Quel 'pensiero' invadente ricompariva sempre più spesso e a lungo. In piscina era costretta a contare ogni bracciata imponendosi un ritmo massacrante nella speranza di crollare poi a casa senza neanche cenare.
Non poteva permettergli di condizionare la sua vita ed allora cominciò a dargli sfogo. Lo fece razionalmente, cercando di arginarlo: rivoluzionò le sue scalette giornaliere e gli dedicò un'ora o due di sera. Era un palliativo, sarebbe servito solo a rimandare la decisione.
Pensò anche a Christian, con lui era stata bene in quella Spa sull'isola di Wight, era un buon amante e la lasciava libera, non la inseguiva o la tormentava come un amico asfissiante. Ellen era piuttosto soddisfatta di lui. Lei che voleva vivere nell'ombra con meno contatti possibili, lo considerava una deroga necessaria e non le importava nulla di come la potesse considerare lui. Non lo sapeva ma poteva immaginarselo, Christian si vantava con gli amici d'essere nel Pronto Intervento Ninfomani Represse. Non le importava, lo teneva per le palle come tutti i coglioni.
Ma se la bella Ellen cercava di muoversi come un'ombra nell'intreccio infinito delle relazioni lavorative e sociali, la Ellen sbagliata, quella di Tonio, doveva essere del tutto invisibile.
No, non avrebbe proposto a Christian un weekend in qualche anonima struttura al mare o sulle Alpi. Sarebbe stato uno stupido errore: non stava cercando un uomo.
Per essere più libera la sera aveva spostato l'ora di nuoto nella pausa pranzo. Ellen si nutriva di tramezzini e, anche quando si spostava al ristorante con clienti e procuratori senza interrompere le riunioni di lavoro, quasi non toccava cibo.
Rientrava a casa alle venti e trenta, a Nyhavn, nel suo bell'appartamento sui canali di Kopenhagen. Doccia veloce, felpa comprata a Houston, i soliti fuseaux grigi e mangiava quello che che le aveva lasciato la sua unica domestica. Trenta minuti contati seduta in cucina, la televisione senza audio e sul tavolo un plico di cartelle da sfogliare. Maniaca assoluta dell'ordine, lasciava bagno e camera come se non ci fosse nemmeno passata.
Si spostava allora sul morbido divano ed apriva il pc sulle ginocchia. Fino alle ventitré avrebbe inviato mail a tutti gli uffici con le disposizioni per il giorno dopo. Anche qui teneva il video acceso senza audio ma con in sottofondo la radio. Voci e musica riempivano la sala, l'importante era che non fosse musica barocca, Bach le invadeva il cervello come un meccanismo perfetto.
Alle ventidue e cinquantanove aveva risposto all'ultima mail e chiuso il pc. Si alzava per scaldarsi la tisana. La lasciava raffreddarsi in mano, in piedi davanti alla finestra. Fissava l'immobile respiro dell'acqua nel canale e seguiva i rari passanti, affascinata che esistessero infiniti modi.
Lavava la tazza e riponeva il tutto. In camera si spogliava di fronte allo specchio. Non capiva se si piacesse veramente e quasi non se lo domandava neppure, ma davanti allo specchio si guardava con gli occhi degli uomini e allora il suo corpo snello, le gambe lunghe e i seni sfacciati la eccitavano. Si toccava come se fossero mani maschili a palparla. Inclinava il busto di lato buttando fuori l'anca, era una bellissima figa di trentadue anni; di profilo si piegava a squadra, gambe ritte e culo teso, una puttana per cazzi; socchiudeva le labbra in un bacio come una ciucciacazzi da sogno. Era pronta.
Digitava alla tastiera dell'armadio a muro e l'apriva su quattro scaffali di gadgets, neri o coloratissimi. Quelle sere sceglieva subito la pesante sex machine in basso e la trascinava fino al centro della camera.
Si concedeva due ore.
La azionava a più riprese sfiancandosi come in piscina e sostituendo decine di dildi intriganti per forme e dimensioni, con vibrazione interna e anche animati, alcuni doppi ano-vaginali. Con metodo regolava l'angolo del braccio meccanico: orizzontale per usarla a pecorina, o inclinato verso il basso lei stesa sul parquet alla missionaria col bacino sospeso, o inclinato verso l'alto, lei inginocchiata contro il letto, o anche verticale, lei sopra a gambe larghe. Ellen che calcolava tutti i rischi, quando provava quest'ultima posizione si spostava contro lo specchio e si ancorava per i polsi ad una catena agganciata ad un anello al muro. Avrebbero potuto cederle le gambe e non voleva che la cameriera la scoprisse la mattina dopo impalata sulla macchina.
Era godimento meccanico, ma si eccitava punendosi davanti agli specchi. Si concedeva brevi pause con giocattoli meno impegnativi e riprendeva subito. La macchina la stantuffava implacabile senza nulla di umano, i cazzi la sfinivano, ma il ritmo cadenzato e meccanico la quietava invece di eccitarla, allora impostava il programma random: il braccio variava a caso ritmo, velocità e potenza, si fermava e ripartiva magari dopo due minuti, fotteva dannato o premeva forte scavandola in profondità e quando si bloccava e cominciava a ruotarle dentro Ellen si spaventava.
Ma non era la macchina, era la presenza di Tonio a scatenarle i ripetuti orgasmi tellurici che la riducevano ad uno straccio bagnato.
All'una Ellen ritirava tutto, lavava il pavimento, disinfettava i falli e si regalava una lunga doccia tiepida e poi le coccole delle creme. Si sentiva scaricata, poteva andare a dormire. Nella cameretta però, di là c'era ancora tutto lo squallore.
S'addormentava dopo due secondi rannicchiata sul sordo dolore al basso ventre.
Il sogno però la risvegliava ugualmente.

L'ultima notte, erano le tre e mezza, l'ha chiamato.
“Porcatroia! Chi cazzo sei?”
“Scusa Tonio, sono Ellen.”
“Cazzovvuoi?! Solo tu puoi scassarmi la minchia a quest'ora! Io ti rompo il culo porcaputtana!”
“Venerdì sera sono a Milano.”
“E chi cazzo se ne fotte dove sei o non sei?”
“Puoi?”
“… Sabato pomeriggio, solito posto.”
Tonio s'era ormai svegliato del tutto. Se quella cagna l'aveva chiamato in piena notte poteva esagerare. "Ma questa volta sono duemila. Li hai?”
“Sì, te li porto.”
“Chiamami domani e va' fanculo!”
Tonio era incazzato nero.
“Chi era?” Gli ha domandato la moglie.
“Fatti i cazzi tuoi! Cazzo! Torna a dormire e lasciami lavorare!”
Cercò una sigaretta, ma non trovava l'accendino. Cazzo che incazzatura! Finalmente lo trovò e se l'accende. La richiamò.
Ellen risponde al secondo squillo.
“No, sono cinquemila, ho un aiutante.”
“Un aiutante?”
“Vedi di non rompermi il cazzo. Se vuoi è cosi, se no fanculo!”
Quella figa danese era la sua gallina dalle uova d'oro. Stropicciò con godimento la sigaretta nel portacenere sul comodino e spintonò la moglie. “Fammi un pompino.” Era orgoglioso del suo cazzone, quella cagna non poteva più farne a meno.
Ellen s'era quietata. Aveva finalmente deciso e nessun pensiero l'avrebbe più turbata.
Almeno fino a sabato.


Prese una Yaris a noleggio, il casolare di Tonio era perso nella campagna duecento chilometri da Milano. Ellen aveva pianificato tutto come al solito: passò prima nel motel vicino e prese una camera per due giorni. Al ritorno non sarebbe stato necessario passare per la reception, poteva parcheggiare direttamente avanti alla sua camera. Si rinfrescò e lasciò i documenti e cellulare in cassaforte, l'avessero fermata avrebbe raccontato d'esserseli scordati in albergo. Con sé portò solo i cinquemila e lo zainetto col ricambio.
L'emozione vera la prese quando rimontò in auto. Ora erano solo cinque minuti di strada.
Ellen provava vera repulsione per Tonio, ne provava ribrezzo a pelle. Tutto in lui le faceva schifo e non solo fisicamente. Era un rozzo, un porco vero, in testa aveva solo la figa e il suo cazzo, un arrogante e ignorante patologico, non parlava una parola d'inglese, solo fuck you ripeteva all'ossessione. Ellen con lui s'arrangiava con lo spagnolo e quel poco d'italiano che conosceva e quando gli parlava, era necessario farlo per chiarire bene le cose prima, Tonio non capiva un cazzo e le fissava bavoso le tette. E fisicamente era anche peggio. Cinquant'anni mal portati, alto dieci centimetri meno di lei, panzone pendente, dita grasse, denti grossi, sorriso osceno, pelato coi capelli lunghi sul collo e pelosissimo, peli di tre centimetri su pancia, cosce e culo. Puzzava come un cinghiale. E il cazzo era orribile, tozzo e largo con cappella a palla. Tonio pareva il peggior personaggio dei peggiori fumetti porno.
Ellen ne aveva paura o lo disprezzava. Tonio le faceva male dentro, nella parte più profonda della sua anima, ma non si domandava perché lo facesse. In quella stessa parte dell'anima c'era la risposta.

Era fine febbraio e faceva più freddo che a Kopenhagen. Immersa nella nebbia procedeva sobbalzando su una stradina di fango che tagliava in due prati verde pallido spruzzati di neve. La stanga del cancello era aperta di lato, Ellen lo sorpassò a passo d'uomo, il casolare era un'ombra grigia contro il cielo bianco.
Si fermò e spense il motore. Lo vide.
Era in un canaletto d'irrigazione, spuntava solo con la testa fra gli scheletri neri dei gelsi sulle ripe rialzate. Ne uscì a fatica aiutandosi con le mani e si rialzò dolorante. Lasciò cadere a terra il badile, era in stivali di gomma, tuta da lavoro stazzonata, blu stinto, e una cuffia rossa calata fin sugli occhi. Andò incontro all'auto. Le sorrideva coi denti enormi.
Batté con le nocche al finestrino e con l'indice indicò in basso. “Levali.”
Ellen si sfilò veloce giaccone, anfibi e jeans. Tonio le aprì cerimoniosamente la portiera, Ellen scese piedi nudi nel fango freddo. Era in maglione e mutandine, niente reggipetto.
Tonio le palpò le tette con la mano dura sotto il maglione. “Eccole finalmente, le tette della la mia cagna preferita! Ci ho pensato tanto, sai, tutto l'inverno che aspettavo la tua chiamata, tu mi sei entrata nei coglioni, mi hai costretto a tirarmi segoni pensandoti.” Le strinse il seno. “Ma tu te la tiri troppo, mi fai aspettare sempre! Sei una cagna, non devi tirartela con me. Ammettilo, non puoi più fare a meno del cazzo di paparino! Ti sono mancato, vero?”
Ellen capì solo tette cagna coglioni cazzo e paparino.
Tonio sfregò pollice e indice e domandò torvo: “Li hai portati?”
Ellen gli allungò una busta gonfia che Tonio fece sparire in un lampo nel tascone della tuta. “Mi fido, non li conto, ahah! È la condanna di noi coglioni, pensiamo che sono tutti onesti come noi Lo sai che sono onesto vero?”
Era di fronte a lei, impettito, ma le arrivava appena alla spalla. Il porco non s'era nemmeno fatto la barba. La fissava cattivo in attesa della risposta
“Sì, tu sei onesto.” Ripeté senza capire.
Si piegò sulla pancia dal ridere, ma subito risollevò il volto serissimo. “Puttana la miseria, non ti ricordavo così figa.” Si massaggiò tra le gambe. “Sì, io sono un lavoratore onesto e ti prometto che oggi ti ripagherò di ogni singolo euro.”
Le carezzò la guancia, con la mano callosa sporca di terra, e la voltò contro l'auto, contro la carrozzeria gelata.
Minchia quel culetto da ginnasta era spettacolare. Lo palpò pesante, se ne impossessò premendo le dita contro gli slip. La cagna gemeva. S'incazzò, s'era incasinato col coltellino svizzero, ma alla fine riuscì ad aprirlo e gli tagliò via le mutandine, prima su un fianco, poi l'altro. Non era andata come voleva, porcatroia! Lo gettò in tasca e le frizionò il pube grattugiandole la fica.
Ellen fu scossa da un brivido.
“Hai freddo, troia? Vieni dentro che ti scaldo per bene, ahahah!”
E s'incamminò verso il casolare.
“No, fermo.”
Tonio si fermò. “Che cazzo c'hai adesso?”
“La safeword.”
“Ancora con queste cazzate??? Voi troie ciucciacazzi non siete contente se non spaccate il cazzo con queste minchiate. Ma che cazzo vuol dire? Non ti fidi di me?”
“Io non entro.” Si sforzò di dire in italiano.
“Okay okay, se ti eccita di più ti do la tua cazzo di safeword, la scelgo io però... Mona!”
“Mona??”
“Sì, mona, ahah! Se lo dici una volta mi fermo dieci minuti, due volte e ti carico su quella cazzo di macchina e te ne torni col culo rotto in quel cesso di Danimarka. Okay?”
Con le dita indicò l'uno e il due e poi con la mano tesa le fece cenno di spedirla via.
Ellen accennò un sì.
“Bene, adesso che abbiamo fatto questa troiata di teatrino ti decidi o no a entrare? Ma tieni presente che mi hai fatto incazzare di bestia.”
Ellen lo guardò smarrita, non aveva capito niente.
Tonio pensò che quella fica era così troia e stupida che potevi farle capire qualcosa solo se gliela ficcavi in culo. Ma cazzo se era giovane e bona, si era davvero tirato seghe spaziali pensando a lei.
Ellen lo seguì.


Si scendeva per una porta di legno grezzo mezza interrata in quella che doveva essere stata una stalla. In alto, appena sotto le travi del soffitto c'erano finestrelle oscurate. Lo stanzone era in ombra, debolmente illuminato da una decina di lampadine pendenti pitturate malamente di rosso. Tonio aveva colorato di rosso scuro anche il pavimento di cemento con uno spesso strato di vernice gommata che si stava già scollando qua e là. In un angolo c'era una stufa a pellets probabilmente spenta perché la temperatura era appena tiepida. E c'era il tavolo, il cavalletto, la panca e la croce di sant'andrea, ma Ellen cercò di non guardarli.
La prima volta che era entrata in quella stanza aveva un cappuccio in testa. Le girava la testa come allora.
Sentì la porta aprirsi e chiudersi alle sue spalle. La luce illuminò e spense subito la parete di fronte. Era entrato qualcuno. Ellen non si voltò, fissava Tonio.
“Allora, è figa o no 'sta cagna?”
“Cazzo Tonio, dove l'hai trovata?”


“Bene Ginko, ora pausa! La cagna sta godendo troppo, ahah!
Tonio lasciò cadere a terra la lunga cannetta di bambù come aveva fatto col badile. S'avvicinò per verificare meglio il lavoro alla debole luce rossastra. Era soddisfatto, leccò il seno. Ellen s'irrigidì, s'aspettava un morso.
Anche l'aiutante di Tonio interruppe il lavoro, diede tre ultime botte che le staccarono i piedi da terra e si sfilò dal culo. Era forse un trentenne, orgoglioso del suo fisico da scopatore di professione, lui girava completamente nudo, ma era poco professionale come master sadico, non nascondeva il suo entusiasmo d'avere quello schianto di figa danese appesa alla trave.
Tonio si lasciò cadere sul divano sfondato. A fatica, puntando il tacco ed aiutandosi con l'altro piede si sfilò gli stivali di gomma. Levarsi i calzettoni fu ancora più difficoltoso, divenne paonazzo. “Portala qui.”
Ginko volle prima limonare quella figa, la stringeva e la palpava ovunque, insensibile ai suoi gemiti. Ellen partecipava, spingeva e succhiava la lingua, voleva protrarre il più possibile quel momento di tregua e stare lontana da Tonio. Aveva ripreso a pensare, con uno come Ginko ci avrebbe fatto sesso anche se l'avesse incontrato fuori di qui. Ci si spinse contro.
“Puttana.”
Sganciò i moschettoni dalle polsiere ed Ellen scivolò senza forze, giù in ginocchio. Ginko la sostenne per il collare, la tirò su all'altezza giusta e la soffocò col cazzo. Poi l'ammanettò dietro la schiena e la trascinò lungo il pavimento fino al divano per deporla ai piedi di Tonio.
Ellen si ritrovò un piede puzzolente premuto in faccia.
“Lavameli, troia!”
Ubbidì. Lo fece all'istante. Era stordita, si sentiva vuota, la pelle le bruciava, eppure un piacere malato la pervadeva tutta. Ellen non era più nulla, non era giusta o sbagliata. Questa era Ellen. Lei era questo.
Leccò le piante, succhiò ogni singolo dito, passò la lingua negli interstizi e si asciugava il viso sui piedi.
Tonio le tirava i capelli e la insultava. Insulti che le rimbombavano dentro sempre più osceni. Le echeggiavano nel cervello azzerato, erano fitte gratificanti come le frustate. E se spingeva il piede colpendola al naso, chiedeva scusa lei e glielo massaggiava coi seni.
Intese una frase. “Con te ho appena cominciato.”
Si protese in avanti, sulle cosce grosse, sfregando i seni contro la tuta. Tonio aveva l'orribile cazzo che spuntava fuori. Piano, attenta a non farlo incazzare e pronta a prender qualche ceffone, si alzò su di lui. Tonio semisdraiato se lo teneva ritto stringendolo alla base. "Lo vuoi il cazzone di paparino?" Ellen, ammanettata dietro la schiena, ci si sedette impalandosi.
Tonio rideva e bestemmiava da porco, lo divertiva troppo quella strafica addomesticata. Con la punta del dito le fece tintinnare un capezzolo. "No, in culo."

Ma era concentrato al massimo, se voleva che quella cagna tornasse una quarta volta non doveva sbagliare nulla. Era un gioco di equilibri, si sentiva un chimico che dosava gli ingredienti, sarebbe bastato esagerare un poco, da una parte o dall'altra, e avrebbe mandato tutto a puttane. Niente di troppo forte ma neppure di troppo leggero; paura molta, terrore solo un pizzico; dolore intenso ma sopportabile; assolutamente nessun segno permanente ma la cagna doveva ricordarsi di lui per giorni... Con Ellen però poteva andarci pesante con gli incaprettamenti, aveva il fisico allenato e le articolazioni di una ballerina, e pure con le penetrazioni poteva andarci tranquillo, quella danese col volto e i capelli d'angelo era sfondata come una puttana da marciapiede.
E sì, le cagne non erano tutte uguali, lui lo sapeva ed era il migliore.
Con la danese aveva capito subito di non fare domande. In teoria di lei sapeva solo che si chiamava Ellen; questa aveva molto da nascondere ed era ricca. Ci doveva andare piano, un altro coglione la starebbe già ricattando. Lui no, era onesto e sapeva attendere il momento giusto. La puttana non si fidava ancora di lui, guardava sempre negli angoli in cerca di telecamere e non si lasciava bendare.
Ci voleva pazienza e tanta fantasia. Intanto oggi le aveva fatto trovare carne giovane, un bel ragazzo testosteronato: per lei strafica fare la cagna col paparino davanti a Ginko era umiliazione era totale.

Ellen s'abbandonò totalmente e il tempo si fermò, visse quelle ore come un presente senza passato e futuro. Si donò peggio che innamorata al porco, felice di farlo felice, timorosa d'essere rifiutata. Lo baciava come una cagna appena punita. Voleva meritarsi le sue carezze e soffriva se non la toccava.
Ubbidiva ai suoi occhi. Al solo tocco delle sue dita si piegava docile, s'inginocchiava, allargava le gambe... Due dita a tenaglia serrate alla nuca, sotto i lunghi capelli biondi, e Ellen si lasciava condurre alla panca e al cavalletto. Tonio faceva il porco vissuto con Ginko, gli insegnava come legare ed usare la cagna. Usava cinghie sintetiche, moschettoni e costrittori per gli avambracci, Ellen si contorceva nelle sue mani con l'ansia di non esserne capace e di farlo incazzare. Tonio era soddisfatto solo quando la cagna era incaprettata nella posizione più scomoda e oscena, allora si accendeva una sigaretta e la passava a Ginko che, imbottito di viagra e altro, si consumava il cazzo. Ellen, compressa in posizioni assurde, pensava solo a respirare e resistere, era meno umano della sex machine.
Sulla panca e poi al cavalletto, ma il vero trattamento Tonio lo aveva riservato al tavolo. Erano tre mesi che pensava a come spedirla all'inferno delle cagne. Stesa di traverso sul tavolo, braccia e gambe legate sotto, con Ginko tra le cosce, testa penzoloni all'indietro, cieca col viso che batteva contro i coglioni pelosi di paparino, Ellen incavava il ventre piatto e gli offriva le belle tette
Una figa spaziale. A Tonio bastarono dieci minuti di piccole sofferenze: chino su di lei le succhiava e mordicchiava i capezzoli eccitati mentre le faceva scorrere sulla pelle liscia i denti delle mollette d'acciaio. Ellen vibrava, Ginko fotteva più forte. Tonio chiudeva le mollette sui capezzoli, premeva con le dita, le toglieva e le rimetteva. Tonio conosceva benissimo l'effetto che avevano, le aveva trovate su un sito tedesco, gli erano costate una sassata ma valevano i soldi che aveva speso. Gliene mise due anche ai lobi delle orecchie e s'incazzò tentando inutilmente di mettergliene una all'ombelico. Ellen si contraeva in apnea, due secondi, gemeva accecata e poi distendeva i muscoli e riprendeva a ciucciargli le palle facendolo fremere. Per il gran finale Tonio mise in salvo i coglioni, allontanò Ginko e fece sibilare la cannetta di bambù in una tempesta di staffilate su ventre seni e cosce e le ultime due in piena fica. Finalmente la cagna urlava.
“Cazzo stai lì fermo? Coglione, mettiglielo in culo!” Attese che Ginko la sollevasse di un poco per ficcarglielo da sotto e tirò piano, ma sempre con più forza, la catenella delle due mollette ai capezzoli.
Ellen si scaricò in un orgasmo da tarantolata, colpì con le ginocchia Ginko e lo spruzzò fino al petto.
Tonio rideva entusiasta.

Ellen si rannicchiò in braccio a Tonio, sulla sua poltrona. La tuta puzzava di sudore, il cazzo di vecchio, le mani callose le grattavano la pelle che bruciava al più lieve sfioramento, i bacetti sui seni erano schifosi e la lingua in bocca era bavosa. E lei era nuda, a pezzi, violentata e frustata. Ma era bellissima. Una figa che quel porco si sognava.
E sapeva di essere uno schianto quando la issarono alla trave per le caviglie.
Mani bloccate dietro le scapole, gambe larghe, le tenevano la testa ad altezza cazzo, ma Ginko per scoparla in gola doveva piegarsi sulle ginocchia e il panzone di Tonio la respingeva indietro, urtando i seni. Aveva cosce e figa in fiamme e Tonio, in piedi di fronte a lei a testa in giù, la teneva ferla per i fianchi nudi e ci tuffava il viso. Grufolava come un cinghiale grattandola con la barba dura.
Ellen godeva male, sentire la sua lingua in culo le provocava un malessere dell'anima, e quando riprese a tormentarla le sembrò inevitabile, giusto così. Urlava per dargli soddisfazione, ma quelle dannate mollette tra le gambe la facevano davvero lacrimare dal male. Ribaltata testa in giù le sembrava tutto più intenso e credeva di non potercela fare coi grossi falli di gomma che le ficcava a forza, dall'alto.
Ginko aveva perso la carica, ce l'aveva sempre addosso, le strofinava il cazzo sul viso, la palpava tutta, la succhiava tra le gambe e la scopava stanco in gola.
“No, si fa così!” Tonio lo spinse via.
L'addentò a bocca spalancata. Ellen ebbe una scarica di terrore vero, aveva l'intero pube era nelle fauci di quel cinghiale. Tonio non poteva farlo, voleva solo spaventarla. Invece la morse, il suo primo folle orgasmo a testa in giù.

Non l'avevano tirata giù.
“Facciamo un brindisi finale?”
Ellen non capiva, ed era intontita di suo.
“Cincin... Prosit?... Champagne? Ma tu non capisci proprio un cazzo!... Ginko va' a prendere lo champagne.”
A testa in giù osservò Ginko tornare con due bottiglie di spumante.
Le aveva trovate a 3,99 all'Esselunga. Tonio agitò forte la sua bottiglia.
“Io le faccio fare la fontana dal culo, tu in fica.”

Guidò Ginko fino al motel. Tonio li seguiva col suo furgone per riportare poi indietro Ginko. Non una parola. Ellen scese da sola, ma Ginko l'accompagnò lo stesso fino alla porta della camera. Non ebbe coraggio di salutarla.
No, non era poi messa così male, a parte dolori, bruciori e un incerto intontimento si muoveva abbastanza sicura. Riempì la vasca.

Si svegliò a mezzogiorno. Un'altra lunga doccia tiepida. Per almeno una settimana non avrebbe più potuto andare in piscina, avrebbe fatto solo jogging in leggings lunghi. Il motel era efficiente, aveva anche servizio in camera, ordinò hamburger e patatine e attese in bagno che gliele portassero.
Alle due bussarono alla porta.
Era Ginko.
“Come va'? Come stai?” Lui se la cavava con l'inglese. “Hai mangiato? Ti ho portato una pizza.”
Lo fece entrare, Ellen aveva bisogno di rilassarsi poppando un bel cazzo. Non si tolse il maglione, i seni erano orribili, ma lo volle nudo, era un magnifico animale.
Ginko la coccolò delicato come un infermiere.
Chiamò Magda, aveva una decina di suoi messaggi e chiamate. Le aveva detto che avrebbe fatto trekking sulle Alpi “Scusami Magda, non prendeva, sì è stato bellissimo ma sono morta.”
Magda finse di crederci. Tubarono un po' come amiche e si salutarono.
Ginko sollevò la testa. “Tonio è un bastardo, perché lo fai?”
Aveva il segno dei denti.
“Non voglio parlare di lui. Continua a leccarmi, ti prego.”
E si lasciò spogliare del tutto. Per Ginko era bellissima, la spalmò di creme e di baci. Far l'amore con lui, paralizzata da mille dolorini e bruciori che si spegnevano, fu bellissimo.
Ginko temeva di farle male, cercava di non pesarle addosso e faceva leggero. I baci la sfioravano appena ma il cazzo le vibrava dentro eccitato. Lo volle lei, con Ginko si sentiva figa, una puttana da prendere. Si girò sulle lenzuola e lo volle in culo. Gemette, piagnucolò per farlo sentire maschio, ma quel cazzo in culo era una benidizione. la fece rinascere.
Ginko, attento a non pesarle addosso, la scopava braccia puntate ai lati della sua testa, e pompava spremendole le natiche. Ellen avrebbe voluto addormentarsi. Ma perché non poteva essere sempre così?
Ginko le lesse nel pensiero.
“Perché lui? Tonio è un porco, un vecchio schifoso. Tu Ellen sei bellissima, fallo solo con me. Vieni quando vuoi tu, non m'importa, quando vuoi io ci sono... Sono capace anch'io, lo sai, ti faccio godere come... come ieri... noi due soli, sei bellissima, e non voglio i tuoi soldi, sei troppo fantastica.”
Elle voltò di scatto la testa indietro. Uno strappo al collo la bloccò, ma gli morse comunque le labbra.
“Fammi male adesso.”
Ginko le picchiò in culo una picconata maledetta e cominciò a saltarle sopra come nemmeno al cavalletto.
Ginko non poteva capire. Tra due mesi l'avrebbe risvegliata Tonio, non lui.
scritto il
2025-08-06
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