L’erotismo è un piatto che va servito come il sushi

di
genere
sentimentali

L’erotismo è un piatto che va servito come il sushi
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Adam Warrant era un uomo d'affari di successo. Quarantenne, americano, ricco quanto basta per permettersi certi lussi, portava con disinvoltura un fisico ancora tonico, occhi azzurro scuro che viravano al grigio nelle ombre, e capelli corti, ricci, appena spruzzati di sale alle tempie. Da cinque anni era sposato con Keiko, una donna giapponese dal portamento elegante e dallo sguardo silenzioso che aveva incontrato durante un evento mondano a San Francisco. Fu un colpo di fulmine — e con lei, aveva accolto anche Yumi, la figlia di Keiko, allora poco più che una bambina.
Ora si trovava nella periferia collinare di Los Angeles, ma sembrava di essere a un mondo di distanza dal rumore della città. Di fronte a lui si ergeva una villa sontuosa in stile tradizionale giapponese, costruita con una fedeltà quasi maniacale all’architettura Edo. Lì, tra le colline e la quiete, sembrava galleggiare nel tempo.
Era sera, e la luce calava con grazia. I sentieri di ghiaia conducevano attraverso un giardino zen perfettamente curato, dove muschi soffici e pietre scolpite si alternavano in armonia silenziosa. Un piccolo lago ovale, lambito da ninfee e illuminato da lanterne in carta di riso, ospitava carpe koi dai colori iridescenti che si muovevano lente sotto la superficie increspata. Gli alberi di acero giapponese cominciavano a tingersi di rosso, e le foglie cadute sembravano galleggiare nell’aria immobile.
L'intera villa era protetta da un sistema di sicurezza invisibile ma onnipresente, come a custodire un segreto antico. Uomini in nero si muovevano in silenzio come ombre, discreti, ma attenti.
Adam inspirò profondamente l'aria della sera, inumidita dal profumo sottile del legno di cedro e dall’incenso bruciato da qualche parte nel cortile interno.
L’atmosfera gli ricordava certi scorci vissuti anni prima, durante il viaggio di nozze al castello di Osaka. C’era la stessa perfezione formale, lo stesso senso di sospensione. Ma stavolta c’era qualcosa di diverso, qualcosa che sfiorava il confine tra bellezza e mistero.
Qualcosa che ancora non riusciva a spiegare.
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✦ Flashback – Qualche ora prima
Qualche ora prima, Adam stava ancora finendo il caffè del mattino, seduto nella veranda interna della casa. La luce attraversava il vetro con dolcezza, riflettendosi sul tavolo lucido mentre Keiko, avvolta in un morbido kimono color avorio, si muoveva leggera tra cucina e soggiorno.
«Oggi pomeriggio andrò alla villa di Mister Kyosuke Matsumoto,» disse lui, con tono calmo. «Quel magnate giapponese che ha investito in progetti ecologici, lo conosci?»
Keiko si voltò di scatto, incuriosita. «Matsumoto Kyosuke?» domandò, con un sopracciglio leggermente alzato. «Accidenti, è un nome che pesa. Un vero guru dell’industria pulita. Bel colpo, caro.»
Gli si avvicinò e lo baciò con slancio sulle labbra.
Adam sorrise appena, ancora assaporando quel gesto. «Uh… se fai così, mi viene voglia di... preliminari.»
Lei rise, chinando il capo con finta modestia. «Solo preliminari? Che uomo poco ambizioso…»
In quel momento, la porta delle scale si spalancò con un rumore secco, seguito dal suono di passi veloci: Yumi era piombata giù come un piccolo tornado. Jeans stretti, giacchetta in pelle nera, zaino buttato su una spalla, scarpe da ginnastica consumate ma aggressive. Salì su un gradino al volo, lo saltò, poi un altro ancora. L’energia le ballava addosso come una scintilla.
«Ciao mamma! Ciao Adam!» gridò al volo, senza nemmeno guardarli, sfilando via verso la porta.
«Tesoro! Ma dove corri così presto?» chiese Keiko, alzando la voce mentre si affacciava all’ingresso.
Ma Yumi aveva già varcato la soglia. Si udì solo il rumore della porta di legno che sbatteva piano al ritorno, come una risposta impertinente.
Keiko sospirò. «Bontà divina, quella ragazza è una tempesta con le gambe.»
Si voltò verso Adam, inarcando un sopracciglio con malizia. «Secondo te ha un fidanzato?»
Adam si appoggiò allo schienale della sedia e accennò un sorriso ironico. «Non lo so… ma nell’eventualità che se lo porti a casa, posso usare la katana che tieni nell’armadio?»
Lei rise, avvicinandosi di nuovo a lui, questa volta con un'espressione più languida. Si chinò, sfiorandogli l’orecchio con le labbra. «Prima però, potresti usarla con me.»
Quella frase si perse tra i cuscini del divano. I due si baciarono ancora, stavolta più lentamente, mentre il tempo sembrava dilatarsi intorno a loro. Le dita di Keiko scorrevano leggere sul colletto della camicia di Adam, mentre lui le cinse i fianchi con naturalezza, guidandola verso la camera da letto.
Ma prima che la porta si chiudesse del tutto, il mondo fuori svanì, lasciato indietro come un lontano rumore di fondo. I movimenti di Adam e Keiko divennero un balletto di passione, ogni gesto un colpo di pennello su una tela ancora in bianco. Si mossero l'uno verso l'altra con una tensione palpabile, l'aria carica di un desiderio che non poteva più aspettare.
Keiko, il suo corpo sinuoso avvolto in seta, si lasciò andare contro il petto di Adam, il calore della sua pelle un invito irresistibile. Le loro bocche si cercarono in un bacio che era una promessa, una esplorazione profonda e avida. Le mani di Adam, forti e sicure, scivolarono lungo la schiena di Keiko, trovando la chiusura del kimono e sciogliendola con un gesto quasi magico.
La stanza, arredata con una semplicità che esaltava la bellezza di ogni oggetto, divenne teatro di un desiderio che cresceva di momento in momento. I suoni del loro amore riempirono l'aria, un canto silenzioso che parlava di passione e intimità. Keiko, libera dalla seta che l'aveva avvolta, si rivelò in tutta la sua bellezza, la sua pelle un mistero che Adam voleva esplorare senza fretta.
Si amarono con una passione che li consumava, i loro corpi che si intrecciavano in un abbraccio che escludeva il resto del mondo. Ogni carezza, ogni bacio, ogni movimento era un pezzo di un mosaico che prendeva forma lentamente, un'espressione fisica del loro legame profondo. Adam, dentro di lei, sentiva il battito del cuore di Keiko, un ritmo che lo guidava in un viaggio senza parole.
E mentre il piacere cresceva, i loro corpi trovavano un'armonia perfetta, un movimento che era una danza, un dialogo senza bisogno di parole. E in quel momento, tutto il resto svanì, lasciando spazio solo a loro due, a loro stessi, al loro amore che si esprimeva nel modo più puro e selvaggio.
Fu un momento di pura bellezza, un momento che avrebbero custodito gelosamente, un segreto solo loro. Un momento che, anche se non avrebbero mai confessato a nessuno, avrebbe cambiato per sempre il modo in cui si guardavano.

Adam chiuse gli occhi per un istante, respirando lentamente.
La mente, nonostante tutto, tornava ancora a Keiko — al modo in cui lo aveva guardato qualche ora prima, alla leggerezza della seta che le scivolava sulle spalle, al profumo sottile della sua pelle. C’era stata una lentezza nel gesto, una confidenza antica, quasi rituale. Quel momento gli era rimasto addosso come un’eco fisica, un fremito ancora vivo sotto la camicia ben stirata.
La nostalgia del piacere appena passato aveva un sapore dolceamaro, come certi whisky giapponesi che Keiko amava bere in silenzio, con le gambe raccolte sotto il kimono.
Fu allora che un’ombra si staccò dal colonnato di legno scuro.
Un uomo in nero avanzò con passo controllato, privo di esitazione. Aveva la corporatura compatta di un ex lottatore, mascella larga, sguardo impassibile. La giacca nera gli aderiva perfettamente al corpo, ma lasciava intuire una fondina discreta sotto l’ascella. Nessun gesto brusco, ma una presenza che sapeva di controllo assoluto.
Adam lo seguì con lo sguardo, poi lo precedette quando l’uomo fece un piccolo inchino e, senza parlare, lo invitò a entrare.
Superata la soglia, il mondo moderno sembrò dissolversi.
L'interno della villa era un trionfo di equilibrio e sottrazione. Il pavimento in tatami cedeva leggermente sotto i piedi, restituendo una sensazione di morbida accoglienza. Le pareti erano fatte di shoji, pannelli scorrevoli in legno e carta di riso che filtravano una luce calda e ovattata. Niente lampade elettriche a vista, solo lanterne tradizionali appese alle travi, con luce dorata che danzava lieve.
Nessun mobile superfluo. Solo l’essenziale: un basso tavolo di legno laccato, cuscini neri disposti in perfetto ordine, un tokonoma — la tradizionale nicchia d'onore — con un kakemono dipinto a inchiostro e un ramo secco di pruno fiorito in un vaso di ceramica.
Il silenzio dominava la scena, interrotto solo dal suono gentile dell’acqua che scorreva in una fontana di bambù nascosta da qualche parte nelle stanze adiacenti.
Il profumo era sottile, indefinito: forse legno hinoki, o forse incenso antico. Tutto sembrava immobile, perfetto, eppure vivo.

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✦ Interni – Incontro con Matsumoto
Adam si guardò intorno, osservando con discrezione l’ambiente in cui era stato accompagnato.
Il salotto era un raffinato equilibrio tra tradizione e opulenza, punteggiato da oggetti d’arte dal valore incerto ma dall’effetto scenico notevole: rotoli calligrafici, vasi smaltati, sculture in legno laccato. Tutto sembrava studiato per raccontare una storia… o forse per confondere l’occhio.
Sulla parete opposta, una larga porta scorrevole in legno scuro e carta di riso si apriva su un engawa, il tipico patio giapponese: il legno era talmente lucido da riflettere la luce dorata delle lanterne.
Oltre il patio, il giardino si apriva come un dipinto vivo. Al centro, un maestoso albero di ciliegio si stagliava nell’oscurità vellutata della sera. Le foglie tremolavano lievemente sotto il respiro della brezza.
Una voce calma, profonda e modulata, interruppe il silenzio.«Yaezakura.»
Adam si voltò.
Un uomo di circa sessant’anni gli si era affiancato senza far rumore. Era chiaramente giapponese, dai capelli cortissimi e grigi, gli occhi di un insolito amaranto scuro, e la pelle tesa, ancora ferma, come scolpita da anni di autodisciplina.
Indossava un kimono beige chiaro, su cui erano ricamati con eleganza ideogrammi bianchi disposti lungo il petto. In vita, una cintura decorata da una corda di seta con nappe annodata con precisione quasi cerimoniale.
«Questo termine racchiude tutti i tipi di ciliegi che presentano più di cinque petali… Le Yaezakura, appunto. Fioriscono più a lungo, e hanno fiori più ricchi rispetto ai Somei Yoshino, i più comuni in Giappone.»
Adam seguì con lo sguardo la chioma ampia dell’albero. «Un bellissimo esemplare. Immagino che in primavera sia ancora più spettacolare.»
«In quel periodo, è mia usanza celebrare una cerimonia della fioritura. Non è una tradizione ufficiale, sa… è un vezzo privato che risale a mio nonno. Amava dire che le cose belle andavano onorate prima che sfiorissero.»Poi l’uomo si voltò verso Adam, e con eleganza si esibì in un inchino lento e profondo.«Mister Warrant, le do il benvenuto nella mia umile dimora.»
Adam ricambiò l’inchino con rispetto. «La ringrazio, signor Matsumoto. Ha una casa splendida.»
«È convinto anche lei, mister Warrant, che i buoni affari si discutano davanti a del buon cibo?» chiese Matsumoto, accennando un lieve sorriso appena visibile sotto la calma assoluta della sua maschera.
Adam rispose con sicurezza. «Perfettamente d’accordo.»
Senza aggiungere altro, Matsumoto lo guidò verso un passaggio interno. Attraversarono un corridoio silenzioso, lambito da luci calde e quadri in stile sumi-e, e infine entrarono in un’altra sala, più sobria, ma perfettamente calibrata tra Oriente e Occidente.
Le pareti erano in legno scuro e intonaco chiaro, con un pavimento in tatami parzialmente coperto da un tappeto persiano. Un basso tavolo moderno era stato posizionato al centro, circondato da cuscini e da due sedie dal design europeo, rivestite in pelle scura. Piccoli tocchi d’arte – una stampa ukiyo-e, una scultura astratta – completavano l’ambiente senza appesantirlo.
Nella stanza, due uomini si alzarono al loro ingresso.
Il primo, sulla quarantina, era vestito all’occidentale, con un completo scuro, camicia bianca e cravatta grigia. Aveva il portamento rigido e la postura dritta di chi prende le cose – e sé stesso – molto sul serio. Sguardo attento, nessun sorriso.
Il secondo, forse più giovane di qualche anno, aveva i capelli tinti di biondo cenere, pettinati con una certa cura disordinata. Portava una camicia nera sbottonata al collo, senza cravatta, e un sorriso appena accennato che sfiorava l’impertinenza.
Matsumoto fece un gesto con la mano, con naturalezza.
«Mi permetta di presentarle i miei collaboratori: mio fratello, Tetsuo Matsumoto...» disse, indicando l’uomo in abiti formali.«…e mio nipote, Seichi.» Qui accennò verso il giovane biondo.
Adam si fece avanti con un sorriso cortese, estendendo la mano. «Piacere di conoscervi.»
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✦ Sala delle trattative – Prima del Nyotaimori
«Dunque, mister Warrant,» disse Seichi, afferrando con noncuranza una manciata di arachidi da una ciotola di vetro intagliato, «mio zio dice che ha un’idea brillante per ripulire il mare da tutto quel pattume galleggiante.»
Adam annuì con calma, accavallando le gambe. «Sì, il progetto si concentra principalmente sul contenimento delle chiazze di petrolio e sull’estrazione selettiva delle plastiche leggere. Il danno alla fauna marina è ormai sistemico. È tardi, ma non troppo tardi.»
«Molto sensibile all’ambiente, per essere un ingegnere industriale.» commentò Seichi con un mezzo sorriso, lasciando che una noce salata gli scivolasse tra le dita prima di finirla in bocca.
Il dialogo proseguì tra una considerazione tecnica e qualche intermezzo più personale. La conversazione, ben orchestrata da Matsumoto, alternava business e cortese curiosità.
A un certo punto, Tetsuo, silenzioso fino ad allora, domandò: «Lei ha figli, mister Warrant?»
Adam si irrigidì appena, poi sciolse le spalle. «Figliastra. Ha diciotto anni.»
Tetsuo annuì lentamente. «Spero che andiate d'accordo.»
«In linea di massima sì,» rispose Adam con una smorfia neutra, «non mi ha mai chiamato papà, e non pretendo che lo faccia. Ma ci rispettiamo. E nel tempo è diventata… una presenza importante.»
La frase rimase sospesa un attimo più del necessario, prima che Matsumoto tornasse a prendere il controllo della scena con un sorriso disteso.
«Direi che è tutto molto interessante,» disse con tono soddisfatto, «e non vedo l’ora di firmare il contratto, mister Warrant. Ma prima… che ne dice di mettere qualcosa nello stomaco?»
Adam si rilassò e annuì. «Volentieri.»
A quel punto, Matsumoto batté due volte le mani, gesto antico e autorevole che risuonò come un comando nel silenzio della sala.
Poi si voltò verso Adam con un’espressione impassibile, come se stesse annunciando qualcosa di ordinario.
«Mai praticato il Nyotaimori?»
Adam inarcò un sopracciglio. «Ehm… non credo.»
«È una pratica feticista, se vogliamo ridurla così,» spiegò con tono pacato, quasi didattico. «È nata in Giappone, ma ha messo radici anche altrove. In sostanza, si servono sushi e sashimi sul corpo nudo di una giovane donna, disposta secondo regole estetiche molto precise.»
Adam deglutì appena, la mente balzò involontariamente all’immagine di Keiko — e alla sua probabile reazione se avesse saputo di quella “cena tradizionale”.
Immaginò il suo sguardo tagliente, il silenzio teso. E poi… Yumi, per un attimo, gli attraversò il pensiero come un riflesso involontario. Ma lo scacciò subito.
«Ah...» fu tutto ciò che disse.
Matsumoto inclinò la testa con calma. «In questa casa, mister Warrant, ogni dettaglio ha un significato. Il cibo non è solo nutrimento, ma rito. È il modo in cui accogliamo. È il modo in cui testiamo. E, a volte, è il modo in cui scegliamo di essere ricordati.»
Adam non disse nulla.
Si limitò ad annuire, anche se una parte di lui cominciava a percepire che quella sera sarebbe stata molto diversa da qualsiasi altra cena d’affari.
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Il rituale ha inizio
Matsumoto sorseggiò lentamente una tazza di tè, poi la posò con estrema precisione sul piattino laccato. Sollevò lo sguardo verso Adam, con quell’espressione imperscrutabile che sembrava quasi scolpita nel legno.
«Se la preoccupa ciò che potrebbe pensare sua moglie, non si allarmi, mister Warrant. So che è giapponese, e sono certo che non starà a sindacare troppo sulla sua integrità morale.»
Fece una pausa, accennando appena a un sorriso. «Il Nyotaimori non è una cerimonia a sfondo sessuale, né deve essere fraintesa come tale.»Adam inclinò leggermente il capo, senza dire nulla.«La donna che partecipa a questa pratica viene selezionata con grande cura, controllata dal punto di vista medico, e sottoposta a una purificazione molto rigida. Non le è richiesto nulla, se non la presenza, la disciplina, e il rispetto delle forme.»
Matsumoto parlava con voce calma, quasi cerimoniale. «Non è un gioco, né un’esibizione frivola. È un rito: il corpo offerto come vassoio vivente, come parte dell’estetica del cibo. Gli ospiti prelevano i pezzi con i bastoncini, e nient’altro.»Poi lo guardò con uno sguardo più diretto. «Le sa usare le bacchette, mister Warrant?»
Adam accennò un sorriso sottile. «Mia moglie mi ha insegnato bene.»
«Bene, bene,» annuì Matsumoto, socchiudendo gli occhi. «Non vorrei che si tirasse una forchettata addosso alla ragazza che si presta al nostro pasto.»
La battuta fu accompagnata da un lampo ironico negli occhi, appena percettibile, ma carico di una malizia calibrata.
Proprio in quel momento, le porte scorrevoli della cucina si aprirono silenziosamente.
Una figura minuta fece il suo ingresso, avvolta in un kimono bianco bordato di rosso, i movimenti misurati come quelli di un’attrice Nō. I suoi capelli neri, perfettamente raccolti in uno chignon basso, erano decorati con due spille di madreperla. Dietro di lei, un lungo tavolo basso a rotelle scivolava silenziosamente sul pavimento, spinto con cura.
Sul tavolo, una figura femminile era distesa: corpo snello, pelle chiara, capelli scuri raccolti in modo elegante. Il suo corpo era adornato con cura quasi maniacale: nigiri, sashimi, rotolini di maki, fiori di wasabi, petali di shiso. Le mani erano posate lungo i fianchi, le gambe unite, lo sguardo fisso verso il soffitto come pietra serena.
Il sushi era stato disposto con simmetria perfetta, alternando i colori dei pesci crudi, il verde delle foglie, l’arancio delle uova di salmone. Il corpo era un paesaggio.
Matsumoto fece un gesto con la mano, con un tono quasi affettuoso.
«Mia moglie, Mei.»
La donna si fermò, eseguì un inchino impeccabile, poi si rialzò con la grazia di chi ha vissuto per anni dentro i rituali. Aveva una cinquantina d’anni, alta forse un metro e cinquanta, gli occhi sottili e il volto appena segnato dal tempo, ma pieno di dignità.
Portava il trucco tradizionale delle geishe: cipria chiara, rossetto vermiglio, sopracciglia finemente tracciate.
«È anche la nostra cuoca,» aggiunse Matsumoto con tono lievemente fiero. «Ha preparato personalmente ogni pezzo servito su questo tavolo. Nulla viene delegato, in queste occasioni.»
Adam la osservò con sincera ammirazione. La figura minuta si muoveva tra i presenti senza emettere alcun suono, come fosse parte della casa stessa.
Mei si rivolse agli ospiti con un sorriso appena accennato, chinò nuovamente il capo e poi, con passo misurato, si ritirò dalla stanza in silenzio, lasciando dietro di sé solo il profumo sottile di zenzero, aceto di riso… e qualcosa d’altro che Adam non riuscì a definire.
Lo sguardo dell’uomo tornò alla figura sul tavolo.
Ancora non distingueva il volto con chiarezza, ma qualcosa — forse la linea del mento, forse la forma delle mani — gli lasciava addosso una sensazione stranamente familiare.
Senza capire il perché, il suo respiro si fece appena più profondo.
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✦ Il riconoscimento – L’ultimo boccone
Adam osservava i tre uomini seduti in silenzio attorno al tavolo. Nessuno parlava, ma tutto sembrava carico di significato.
Tetsuo si piegava con rigore, la postura impeccabile, e prelevava il sushi con una precisione chirurgica.
Seichi, invece, lo faceva con sfacciata disinvoltura: i suoi movimenti erano rapidi, quasi danzati, e un sorriso gli increspava le labbra ogni volta che si chinava verso il corpo nudo della modella.
Matsumoto, infine, era un sacerdote. Ogni gesto era lento, calcolato, intriso di rispetto. Prelevava ogni pezzo come se stesse maneggiando un’opera d’arte.
Poi fu il turno di Adam.
Si alzò. Il suo cuore picchiava nel petto, nonostante l’aria nella sala fosse calma, profumata, cerimoniale. Si avvicinò al tavolo, tenendo le bacchette tra le dita, il polso leggermente sollevato.
Il corpo della giovane era immobile, perfettamente composto. Un’opera di quieta bellezza.
Le bacchette cominciarono a calare — con lentezza — verso un punto neutro, lateralmente all’ombelico, dove giaceva un piccolo nigiri di salmone.
Ma prima che le punte toccassero il riso, gli occhi di lei si sollevarono verso i suoi.
Verdi. Chiari. Intensi come il vetro marino.
Un sussurro gli sfuggì dalle labbra, quasi senza volontà.«Yumi...?»
Per un istante, solo il battito del suo cuore. Poi il mondo tornò a muoversi.
Gli occhi della ragazza si spalancarono lievemente, sorpresi. Lo guardò con stupore, e per un attimo la sua immobilità si incrinò.
Non era più un corpo offerto al pasto. Era una persona, una presenza.
«Ha detto qualcosa, mister Warrant?» domandò Matsumoto, la voce sempre gentile, ma appena più affilata.
Adam si riscosse. Strinse le bacchette con più forza.
«No, mister Matsumoto. Nulla.»
E abbassò le bacchette. Il sushi si staccò perfettamente dal ventre della ragazza, lasciando la pelle nuda, appena percorsa da un fremito.
Il rossore gli salì al volto, ma non si fermò. Mangiò il boccone senza guardarla.
Eppure, con la coda dell’occhio, vide le labbra di Yumi muoversi appena. Nessun suono. Solo un messaggio, muto, tracciato con chiarezza.“Non esitare.”
Volse lo sguardo verso i commensali. Nessuno sembrava aver notato nulla.
«Quindi,» disse con un filo di voce che si fece più saldo parola dopo parola, «siete favorevoli a firmare un contratto con la mia azienda?»
Matsumoto annuì, soddisfatto. «La sua proposta ci ha colpiti favorevolmente, mister Warrant. E dopo questa cena, sarò lieto di mettere nero su bianco l’accordo insieme ai miei soci.»
La cena proseguì.
Yumi non si mosse mai, nemmeno per un istante. Era immobile come una figura sacra, esposta alla venerazione dei presenti. Adam, invece, cominciava a riacquistare il controllo. Ogni volta che abbassava le bacchette, lo faceva con più sicurezza.
Ma dentro di sé, una parte continuava a tremare.
Vederla lì, nuda, offerta come carne preziosa su un banco rituale, lo disorientava. Eppure… nulla accadeva. Nessuno faceva gesti sconvenienti. Nessuno osava toccare.
Il vero intruso era lui.
Poi giunse l’ultimo boccone.
Un uramaki arrotolato con eleganza, poggiato sopra il pube della ragazza, in una zona dove il corpo si faceva più intimo, più delicato.
La pelle era chiara, appena velata dalla seta dei capelli che ricadevano lungo i fianchi. Il boccone era lì, perfettamente al centro, come l’ultimo sigillo.
Adam si chinò lentamente, le bacchette tra le dita tese.
Il silenzio nella sala era assoluto.
Le punte toccarono il riso, e nel momento in cui il boccone si sollevò — una lieve contrazione attraversò il corpo di Yumi. Un gemito sottile, quasi impercettibile, si fece spazio tra le sue labbra chiuse.
Adam rimase immobile un solo istante. Poi portò il boccone alla bocca.
Lo masticò lentamente. Il gusto era pieno: riso, pesce, wasabi… ma qualcosa di più sottile aleggiava nell’aria.
Qualcosa di proibito, umano, crudo.
Il sapore di Yumi, anche se non avrebbe saputo spiegarlo.
Alle sue spalle, Matsumoto si alzò con compostezza. «Venga, mister Warrant. Mettiamo nero su bianco il nostro patto.»
Adam si voltò, ancora con il sapore in bocca.
I tre soci si alzarono, sorridendo in silenzio.
In quel momento, Mei riapparve. Lo stesso kimono bianco e rosso, la stessa eleganza discreta.
Si chinò sul tavolo, con la precisione di una cameriera che sparecchia, e cominciò a spingere via il tavolo con la ragazza distesa sopra.
Nessuno commentò. Nessuno la guardò più.
Come se fosse un oggetto che aveva esaurito il suo ruolo.
Adam la seguì con lo sguardo.
Yumi non si era mai voltata.
Non si era coperta. Non si era nascosta.
Ma negli occhi di Adam, la linea tra il sacro e il personale si era ormai spezzata.
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✦ Il brindisi e il commiato
Matsumoto tese la mano verso Adam, un gesto marcato dall’incontro tra le culture: cortese, rispettoso, una concessione alla formalità occidentale che non poteva non sembrare significativa.
«Sarà un onore lavorare con voi,» disse con voce ferma. «Se vuole, la prossima primavera potrà partecipare alla mia cerimonia della fioritura del ciliegio. Così avrò il piacere di conoscere la sua splendida moglie.»
Adam ricambiò la stretta con rispetto. «Sarà un piacere, signor Matsumoto.»
E poi Matsumoto aggiunse, con un’ombra di curiosità nei suoi occhi: «Anche la sua figliastra?»
Adam fece un attimo di pausa, come cercando le parole. «Io… se lei lo vorrà,» rispose, la voce un po’ incerta.
«Mister Warrant,» proseguì Matsumoto, «non dovrebbe sentirsi in imbarazzo. E mi scuso per quello che potrebbe esser sembrato—come dire—un teatro al quale l'ho costretta poco fa.»
Poi con tono più riflessivo: «Ha dimostrato un notevole sangue freddo durante la cena.»
Adam abbassò lo sguardo, le mani intrecciate davanti a sé. «Io… ho semplicemente seguito quello che voi facevate.»
Matsumoto assentì, accennando un sorriso che tradiva comprensione. «Intendevo proprio questo. Abbiamo usato la sua figliastra non come semplice spettatrice, ma come prova della sua dedizione. Lei desiderava tanto questo contratto da preferire la calma al turbamento.»
Adam deglutì, le labbra leggermente tese. «Può darsi che mi giudicherà freddo.»
«Al contrario,» ribatté Matsumoto quasi carezzevole. «Anch’io vissi qualcosa del genere, una volta: quando negoziazioni importanti mi portarono a scoprire mia moglie come centro di un rituale. Lei sapeva quanto quel contratto fosse essenziale, e accettò di “essere presentata” affinché il mio popolo capisse la mia serietà.»
Matsumoto si spostò leggermente verso un angolo della stanza, afferrò un piccolo bicchierino e lo riempì con sake trasparente. «Un brindisi?» propose, tendendolo verso Adam.
Adam lo prese, le mani leggermente tremanti. «Grazie.»
Brindarono in silenzio: il legno del tavolo, le ombre delicate delle lanterne, l’aroma tenue del riso e del mare sembravano sospesi nell’aria.
Poi Adam si alzò, valutò con un ultimo sguardo la sala«La ringrazio per la cena, signor Matsumoto,» disse con voce calma ma consapevole. «E grazie per l’opportunità.»
Matsumoto annuì con cortesia. «Il piacere fu mio. Buona notte, mister Warrant.»
Adam lasciò la villa stretta nel tatami dell’ingresso, la porta scorrevole che si chiuse dietro di lui con un suono leggero, quasi un sospiro.
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✦ Epilogo – Fuori dalla villa
L’aria della sera era fresca, profumata di pino e muschio umido. Il silenzio appena rotto dal canto sommesso delle cicale. La villa di Matsumoto alle sue spalle sembrava già lontana, come se fosse appartenuta a un’altra dimensione.
Appena fuori dal cancello in pietra, Yumi era appoggiata al sellino del suo scooter, le braccia conserte, lo sguardo basso, i capelli sciolti che le cadevano sulle spalle in morbide onde.
Adam si fermò.
Per un istante non disse nulla. Solo la osservò, indeciso se rompere il silenzio o lasciarlo parlare per loro.
Fu lui a cedere, alla fine.
«È stato imbarazzante.»
Yumi annuì lentamente, accennando un sorriso stanco. «Anche per me.»
Un’altra pausa.
«Com'è che sei finita lì? A fare da… vassoio?» chiese lui, cercando di mantenere il tono neutro, ma la voce gli tremava appena.
«Mi hanno chiamata loro,» rispose Yumi, sollevando lo sguardo. «Credo sapessero perfettamente chi fossi. Ho sentito la signora Mei parlare con suo marito. Era tutto calcolato. Volevano… metterti alla prova. Mettere sotto pressione il tuo autocontrollo.»
Adam trattenne un sospiro. «E… come ho reagito?»
Yumi sorrise, dolcemente. «In modo impeccabile.»
Un filo di silenzio si tese tra loro.
Poi lui chiese, con esitazione: «Dovrei… dirlo a tua madre?»
Yumi fece una smorfia, come se si stesse preparando a ricevere una punizione.
Ma poi, un piccolo lampo di ironia le attraversò lo sguardo.
«Lo sa già.»Rise, appena.«Credo ne fosse persino complice.»
Adam abbassò lo sguardo, scosse la testa piano. Non c’era rabbia nel suo volto, solo un incredulo sorriso amaro.
«Sei arrabbiato?» chiese lei, incerta.
«No. Sorpreso,» rispose lui, quasi divertito.
Poi aggiunse, più piano: «Dai, andiamo a casa.»
Yumi salì leggera sul suo scooter, accese i fari.
Adam raggiunse la sua auto, e la osservò partire davanti a lui, con quella stessa andatura decisa e selvaggia che aveva ogni volta che scendeva le scale di casa a tre gradini alla volta.
La notte era tornata quieta.
Durante il tragitto di ritorno, ripensò alla cena. Alla firma del contratto. Alle parole di Matsumoto. Ma soprattutto al corpo nudo e silenzioso di Yumi, al modo in cui la luce delle lanterne accarezzava la sua pelle, al contrasto tra l’antico cerimoniale e la modernità bruciante di quella ragazza che conosceva da anni… ma che ora gli appariva come una creatura nuova, sconosciuta.
A casa, Keiko lo accolse con un bacio e una domanda leggera:
«Com'è andata la cena?»
E lui le raccontò tutto. O quasi.
Il contratto. Il rito. L’onore. Il sake. La villa da sogno. La firma.
Tutto… tranne l’ultimo boccone.
Quello che aveva il sapore di Yumi.
Un gusto che nessuna spezia poteva ricreare. Un ricordo che si sarebbe sedimentato sotto la lingua, invisibile e persistente, come un segreto.
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Durante il tragitto di ritorno, Adam ripensò alla cena. Alla firma del contratto. Alle parole di Matsumoto.
Ma soprattutto al corpo nudo e silenzioso di Yumi, al modo in cui la luce delle lanterne accarezzava la sua pelle, al contrasto tra l’antico cerimoniale e la modernità bruciante di quella ragazza che conosceva da anni… ma che ora gli appariva diversa. Inafferrabile. Pericolosamente viva.
A casa, Keiko lo accolse con un bacio e una domanda leggera:
«Com'è andata la cena?»
E lui le raccontò tutto. O quasi.
Il contratto. Il sake. La villa. Il ciliegio.
Tutto, tranne l’ultimo boccone.
Quello che aveva il sapore di Yumi.
Un gusto che nessuna spezia poteva ricreare. Un ricordo che si sarebbe sedimentato sotto la lingua, invisibile e persistente, come un segreto.
E anche Yumi tenne quel ricordo per sé.
Quel tocco delicato. Quel lento assaporare.
Lo sguardo che Adam aveva avuto — quell’attimo in cui lei non era più solo la figlia della donna che amava, ma qualcosa di più. Qualcosa che non si poteva pronunciare.
Un confine che nessuno dei due aveva superato, ma che entrambi avevano visto, nitidamente.
Era un ricordo proibito, destinato a restare nascosto, solo loro.
E mentre Adam dischiudeva le labbra su quelle di sua moglie, raccontando con parole tranquille una cena rituale,
Yumi, nuda davanti allo specchio della sua stanza,
si sfiorò con lentezza quel punto — là dove lui aveva prelevato l’ultimo boccone —
e sorrise.
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scritto il
2025-10-03
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